Capitolo 1 – L’approccio teorico
1.7 La posizione del ricercatore
Bourdieu introdusse anche il concetto di “oggettivare il soggetto” della ricerca, ovvero l’idea secondo cui sia necessario riflettere sul proprio pensiero in modo critico per non finire con l’universalizzare situazioni specifiche da un punto di vista storico e geografico19. Per quanto mi è stato possibile ho cercato di spiegare a inizio capitolo perché ho deciso di impiegare i concetti ideati da Bourdieu e gli altri strumenti utili all’analisi, e così facendo credo di aver dato almeno parzialmente un’idea della mia posizione a livello teorico. Tuttavia, a mio parere è fondamentale anche definire la mia posizione “fisica” nello spazio sociale in cui sono stato. Con questo intendo dire che non solo l’approccio, ma io personalmente credo di avere avuto un’influenza sul modo in cui gli informatori si sono rapportati con me.
Infatti, bisogna considerare una serie di fattori che credo possano avere avuto un’influenza – sia essa positiva o negativa – sul modo in cui sono stato accolto e percepito durante la ricerca per via del modo in cui credo sia costruita l’identità, ovvero per strati che si sovrappongono.
Alcuni fattori particolarmente rilevanti sono stati il fatto che fossi un uomo straniero, e in particolare europeo, e che stessi facendo un programma di scambio studentesco in un’università giapponese molto nota e rinomata in tutto il paese. Il fatto che fossi un uomo ha portato i miei interlocutori ad avere degli atteggiamenti involontari, ma specifici nei miei confronti: nonostante non abbia notato favoritismi particolari né dagli uomini né dalle donne con cui ho avuto a che fare, non posso fare a meno di ricordare il Global Gender Gap Report del 2018 nel quale il Giappone è al 110imo posto nella classifica mondiale sulla differenza di genere20. Per questo motivo credo di essere stato parte del gruppo uchi (noi) degli uomini, e soto (fuori, altro) delle donne, per quanto, come accennato poco sopra, a me è sempre parso di essere stato considerato e trattato come un elemento nel complesso neutro dai miei interlocutori e più in generale dalle persone con cui sono entrato in contatto dal momento che il tema della ricerca non riguardava specificamente la discriminazione di genere. Inoltre, anche una ricerca intersezionale che prendesse in considerazione la discriminazione sessuale all’interno di gruppi discriminati, o una ricerca sulla rappresentazione dei generi nella propria e in altre minoranze, ritengo che mi sia almeno parzialmente preclusa a priori perché anche se fosse
19 Ciò significa affermare che l’antropologia […] deve mettere in discussione i presupposti inerenti alla posizione di
osservatore esterno che, preoccupato di interpretare delle pratiche, tende a importare nell’oggetto i principi della sua relazione con l’oggetto […] (Bourdieu, 2003 [1972]: 180)
20 World Economic Forum. The Global Gender Gap Report 2018. Consultato il 17 Dicembre 2018:
possibile svolgere delle interviste sull’argomento grazie alla fiducia degli informatori, è possibile che non capirei alcune sottigliezze fondamentali proprio in quanto uomo.
Il fatto che fossi uno straniero europeo credo che sia stato un elemento importante soprattutto nel primo periodo in cui ho stabilito i contatti con gli informatori. In primo luogo, sono stato facilmente riconoscibile nell’ambiente: visivamente parlando non potevo essere scambiato come appartenente a nessuno dei due gruppi, e quindi ero parte del soto anche nelle conversazioni di circostanza, con l’eccezione di quando sono stato presentato a terzi da persone che erano già membri (e quindi uchi) del gruppo in questione; inoltre, una volta stabiliti i contatti iniziali coi miei informatori, ho incontrato in più di un’occasione espressioni un po’ spaesate da altri membri della comunità al veder arrivare uno straniero parlare con dei loro amici o conoscenti di lunga data, quantomeno prima che ricevessero delle spiegazioni in merito.
In secondo luogo, credo che proprio questa “alta riconoscibilità” abbia portato anche al ragionamento opposto: dal punto di vista della società giapponese sono uno straniero, e quindi facente parte di una minoranza a mia volta per certi versi. A questo si va a sovrapporre il fatto che essendo europeo, e in particolare italiano, ci sono sia rappresentazioni positive – come il fatto che in Italia ci sia molta tradizione artistica, o che gli italiani siano in generale persone solari –, che negative – per esempio, per via del fatto che l’Italia sia stato uno stato colonizzatore durante la Seconda Guerra Mondiale e quindi uno stato che ha oppresso altre popolazioni –; questo ha aperto la strada anche a conversazioni che hanno esulato dall’intervista di per sé, e che hanno permesso di stabilire un rapporto in cui entrambe le parti hanno scambiato varie informazioni e idee, e che non erano a senso unico. Anche se il mio background storico-geografico mi hanno forse reso parte del soto, può darsi che proprio questa occasione di confronto abbia dato vita alla collaborazione che si è sviluppata durante le interviste.
Essere stato uno studente dell’Università di Kyōto ha avuto un suo peso, soprattutto all’inizio, quando ancora non si era stabilito un rapporto di fiducia basilare. Il fatto che essa sia un’università rinomata ha aiutato proprio a stabilire questo contatto iniziale, forse anche grazie al fatto che alcuni professori fossero conosciuti sia a me che ad alcuni dei miei informatori permettendoci così di compiere il primo fondamentale passo. Credo che essere stato uno studente – per quanto temporaneo – di un’università giapponese, mi abbia forse dato l’opportunità di essere ai loro occhi, almeno in parte, membro della società giapponese e quindi anche parte del gruppo uchi.
La mia impressione è che questa esperienza e ricerca siano state in parte frutto di tutti questi retroscena che si sono andati a sommare e comporre in un unico grande insieme, si potrebbe dire la mia identità, dal punto di vista delle persone con cui sono entrato in contatto.