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III CAPITOLO – Fuori dal carcere: esercizi pratici di libertà condizionata

3.1 La preparazione all'uscita per i dimittend

Quando si parla di dimittendi, è necessario innanzitutto chiarire a chi ci si riferisce. Una delle questioni più spesso dibattuta e controversa all'interno degli istituti penitenziari è proprio quella di capire quanto manca al giorno della liberazione; non solamente da parte dei detenuti, per i quali il calcolo dei giorni è effettivamente l'attività quotidiana più reiterata, ma anche per il personale educativo, a cui sapere quanto tempo il detenuto rimarrà in carcere e quando e se potrà accedere alle misure alternative serve per poter organizzare al meglio le attività educative.

Secondo il Regolamento 230 del 2000, all'articolo 88, sono ritenuti dimittendi coloro a cui mancano sei mesi al termine della detenzione, ma tenuto conto delle possibili variabili che possono anticipare la data di scarcerazione, si parte a considerare dimittendo colui al quale manca un anno alla liberazione.

Per marcare l'importanza di questo passaggio nel periodo detentivo, il Ministero della Giustizia ha ritenuto giusto dare sostanza a quanto già contenuto nella normativa, ovvero che siano istituite delle sezioni apposite per coloro prossimi alla liberazione. Il 7 luglio 2010 il DAP ha difatti inviato una circolare a tutti i Provveditorati regionali nella quale specifica che “si chiede alle SS.LL. di voler individuare nell’ambito degli istituti

del distretto di competenza, una o più sezioni detentive da destinare ai detenuti prossimi alla liberazione e comunque con un residuo pena non superiore ad un anno. Nel limite del residuo pena indicato, potranno essere assegnati alle istituende sezioni i detenuti comuni che abbiano dimostrato una adesione responsabile al programma di trattamento e sempre che non sussistano cause ostative quali:

 condanna per i reati di cui all’art. 4 bis O.P.;

 sottoposizione al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis O.P.;

 presenza di precedenti disciplinari;  presenza di patologie psichiatriche;

 precarie condizioni di salute che richiedano assistenza e cure mediche

particolari.

Le sezioni “dimittendi” così individuate saranno caratterizzate da un regime penitenziario che favorisca quanto più possibile la permanenza al di fuori delle camere detentive durante la giornata. In considerazione di quanto previsto dall’art. 88 D.P.R. 230/2000, al fine di assicurare il particolare programma di trattamento che tenga conto dei problemi specifici e delle esigenze connesse al rientro nella società, saranno incentivate le iniziative trattamentali tese a promuovere un concreto reinserimento nella comunità; saranno favoriti i momenti di incontro con i familiari, da svolgersi anche negli spazi aperti, autorizzando colloqui aggiuntivi nei limiti consentiti dall’ordinamento penitenziario; saranno sollecitati la presenza del volontariato e il contatto con la comunità esterna; saranno assicurati, per quanto possibile, anche a turnazione e tenuto conto della data di scarcerazione, periodi di attività lavorativa al fine di fornire agli interessati un minimo di disponibilità economica utile al momento della dimissione.”54

Il Dipartimento ha riconosciuto le principali difficoltà del detenuto in uscita dal carcere e ha identificato quali sono le basi necessarie su cui costruire il percorso verso il ritorno alla libertà: relazioni famigliari, lavoro, reti locali. E' poi compito di ogni istituto attivare progetti e azioni che seguano il solco indicato dalla direzione generale. Quante carceri hanno nella pratica applicato quanto suggerito dal DAP? Non si riscontrano dati precisi da parte del Ministero su questo punto, ma cercando online si trovano riferimenti a diversi istituti che hanno istituito la sezione per le persone vicine al fine pena: Bologna, Alba, Forlì, Torino, Milano – Opera, ecc... Salta all'occhio la collocazione

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Circolare 8 luglio 2010 - Sovraffollamento, stagione estiva e condizioni di vita nelle carceri. Fonte: Ministero della Giustizia.

geografica, concentrata al nord, delle carceri che hanno attivato la sezione dimittendi. Le suddette sezioni faticano quindi a diventare una realtà generalizzata e, come dimostrato in precedenza rispetto al tema lavoro, risulta difficile per gli istituti creare opportunità lavorative in previsione dell'uscita.

All'esterno difatti ci si confronta con una resistenza prima di tutto culturale, accentuata in questo periodo di crisi economica, dove l'ipotesi di assumere un detenuto o ex detenuto è fortemente rigettata visto l'alto tasso di disoccupazione all'esterno; lo stigma rimane, nonostante gli incentivi economici e gli sgravi fiscali per le aziende che assumono persone in esecuzione penale. Ancora di più per gli ex detenuti, per i quali non sono previsti dalla legge incentivi economici e che sono meno seguiti dai servizi. A livello locale diversi istituti penitenziari si stanno attivando per una sensibilizzazione del territorio rispetto al tema, portando il problema ai tavoli comunali e provinciali dove si trovano soggetti del tessuto imprenditoriale per portare avanti l'istanza dell'importanza del lavoro per un reinserimento sociale che sia efficace.

Da una ricerca55

commissionata dall'associazione di volontariato “La fraternità”, che svolge attività nel carcere di Verona, sul tema dell'occupazione lavorativa per le persone ex detenute, emerge proprio questa difficoltà a convincere la società civile e imprenditoriale ad assumere persone con trascorsi penali e suggerisce come soluzione sia la creazione di una rete che metta in connessione anche la parte socio-sanitaria, sia l'avvio di tirocini ed esperienze formative da cominciare in istituto per far conoscere ai detenuti il lavoro e alle aziende le persone, poiché è sulla conoscenza personale e diretta che più facilmente si infrangono i pregiudizi.

A sostegno del lavoro del personale penitenziario si aggiunge quello degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, di cui vedremo in seguito più approfonditamente le attività;

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“Occupazione, lavoro e carcere. Il profilo della rete di accesso al lavoro per le persone ex detenute” dell'Università di Verona. Fonte: http://www.lafraternita.it/wp-content/uploads/2014/06/Ricerca-carcere-e-lavoro-sintesi.pdf

si segnala qui solamente che il momento della dimissione dovrebbe prevedere un passaggio di presa in carico della persona dall'amministrazione penitenziaria a quella dei Servizi sociali locali, come indicato nell'ordinamento penitenziario agli articoli 45 e 46, ma in sostanza ad essere seguiti sono solamente coloro che escono per accedere all'affidamento in prova ai servizi56.

Sono presenti in diversi istituti sul territorio nazionale sportelli informativi all'interno del carcere che dovrebbero dare supporto ai dimittendi nei mesi precedenti l'uscita, fornendo informazioni, affiancamento per l'inserimento in un percorso lavorativo e sostegno psicologico all'evento: a Torino per esempio il Consorzio Abele Lavoro ha realizzato diversi progetti dal 2008 al 2012 attraverso lo Sportello Carcere che si rivolge a detenuti a fine e pena e persone in carico all'UEPE per attivare corsi di formazione professionale e facilitarne l'inserimento in cooperative sociale e aziende. Allo stesso modo in alcune città della Lombardia si sono attivati Sportelli Informativi (SPIN) specifici, tra gli altri, per dimittendi e dimessi sulle questioni lavoro, casa, genitori e figli, emergenze, consulenza legale, finanziati da fondazioni bancarie, Regione Lombardia e realizzati da associazioni e cooperative private.

Al momento dell'uscita vera e propria in alcuni istituti si è attivato un piccolo intervento concreto, ovvero la consegna alla persona in dimissione di un kit di “sopravvivenza” per i primi giorni nel mondo reale; diffuso in diversi luoghi, da Torino a Roma a Milano a Firenze, gli oggetti forniti sono pressappoco sempre gli stessi: una borsa o zaino, una mappa della città, le indicazioni per i servizi, biglietti per il trasporto urbano. Qualcuno aggiunge un buono pasto. A realizzare questo servizio sono sempre associazioni del terzo settore, con la collaborazione degli istituti penitenziari a cui si rivolgono e degli enti locali.

56 Vedi il paragrafo 2 di questo capitolo per l'approfondimento sulle misure alternative.

Si ritrova sempre come un fil rouge la presenza del terzo settore in tutte quelle iniziative che vedono i detenuti come beneficiari; l'amministrazione pubblica ben volentieri accetta le proposte che gli pervengono, visto che pur avendo una normativa che permetterebbe molte attività, è sempre a corto di fondi, in particolare nel settore penitenziario i cui fondi vengono di anno in anno decurtati. A maggior ragione quando si tratta di persone in uscita dal carcere, poiché, come sottolinea un articolo di Ristretti Orizzonti “Non esistono statistiche dettagliate sul percorso post-carcerario, né

un’indagine significativa del comportamento tenuto dai DIMESSI. I cosiddetti "eventi critici", suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo, vengono monitorati dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria per la popolazione detenuta, ma che cosa succede poi agli ex detenuti non interessa quasi più nessuno.”57