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La prospettiva tipicizzante nelle indicazioni della dottrina

Come si è anticipato, visti i poco confortanti risultati ai quali si perviene, nella pratica, nell’applicazione dell’art. 110 c.p., in seno alla dottrina penalistica si leva una pluralità di voci favorevoli al ricorso, de iure condendo, ad una tipizzazione dettagliata delle condotte concorsuali.

Per quanto qui più interessa, ossia le ipotesi di partecipazione morale al reato – nelle quali la complessità di tradurre in termini causali i complessi meccanismi di interazione psicologica si somma alle “usuali” difficoltà concernenti l’identificazione dei presupposti minimi di rilevanza della condotta concorsuale –, è ampiamente auspicato il ritorno ad un modello differenziato. In particolare, si avverte l’esigenza non solo di una mera distinzione tipologica fra le varie figure di concorrenti, ma, altresì, della puntuale definizione delle forme e del contenuto delle singole condotte, che possa consentire una corrispondente graduazione del trattamento sanzionatorio553. Tale obiettivo, secondo

552 Si considerino, ad esempio, le soluzioni adottate nell’ordinamento tedesco e francese. Nel primo, si distinguono figure tipiche di realizzazione del reato, definendo, innanzitutto, l’autoria in tre modi (la commissione del reato singolarmente, l’autoria mediata e la coautoria); in secondo luogo, si definisce l’istigazione (determinazione dolosa in altri alla commissione dolosa di un illecito); e, infine, si descrive la complicità, rappresentata dall’attività di colui che presta dolosamente aiuto ad altri nelle commissione di un illecito. Ebbene, una simile descrizione non riesce a scongiurare applicazioni pratiche non dissimili a quelle riscontrabili nella nostra giurisprudenza, in tema mera presenza sul luogo dl reato o di mera “tolleranza” dell’altrui azione illecita. Anche nell’ordinamento francese è presente una descrizione più dettagliata delle ipotesi di partecipazione. In particolare, la configurabilità dell’istigazione è vincolata all’uso di mezzi tassativi, ossia di doni, promesse, minacce, ordini, abuso di autorità o di potere, istruzioni. Accanto a tale previsione è posta quella più generica relativa all’assistenza o aiuto all’autore nella preparazione o nell’esecuzione del reato. Al di là di tale ultima ipotesi, anche con riferimento alla prima non mancano distorsioni prasseologiche dovute all’interpretazione “ampia” che viene, ad esempio, fornita ai concetti di “abuso di potere” – ravvisato non solo nell’abuso giuridico, ma anche nell’abuso di fatto – e di determinazione mediante “istruzioni”, non mancando, al riguardo, decisioni giurisprudenziali che finiscono per rendere labile il confine tra la determinazione vera e propria e il mero consiglio. Sul punto, v. A.SERENI, Istigazione al reato e autoresponsabilità, cit., p. 61 ss.; S.SEMINARA, La disciplina

del concorso di persone nel reato nei più recenti progetti di riforma del codice penale, cit., p. 304 s.

alcuni, potrebbe essere raggiunto tramite la valorizzazione delle modalità e dei mezzi tipici dell’istigazione penalmente rilevante554.

Al riguardo, una delle proposte più “estreme” è forse quella, elaborata sulla falsa riga della soluzione adottata nell’ordinamento francese, di limitare la punibilità rispetto alla sola induzione a commettere il reato, mediante dazione o promessa di denaro o altra utilità (comprese la fornitura di istruzioni), mediante abuso di potere, minaccia o violenza ovvero lo sfruttamento dell’altrui incapacità psichica555.

Per tale via, la configurabilità dell’istigazione andrebbe esclusa in assenza dell’impiego di mezzi qualificati o, comunque, in assenza di una vera e propria condotta di “induzione”. Di conseguenza il semplice rafforzamento del proposito criminoso non troverebbe più spazio tra le ipotesi di partecipazione psichica penalmente rilevanti556. Il rilievo di quest’ultimo potrebbe essere conservato nelle sole ipotesi di sollecitazione o incitamento, nell’immediatezza dell’esecuzione, a prolungare l’azione criminosa, in rapporto ai delitti a base violenta557.

In una prospettiva non dissimile, si ipotizza, altresì, la possibilità di limitare le forme di mera complicità psichica attraverso una tipizzazione attuata con una tecnica normativa “mista”, che demandi al legislatore della parte speciale la scelta definitiva di incriminare tale specie di concorso in rapporto alle tipologie criminose “di base”. In particolare, la punibilità del concorso morale dovrebbe essere vincolata, in modo espresso e tassativo, alla sola realizzazione di reati di una certa gravità558.

In relazione a simili proposte, si evidenzia, tuttavia, che una nozione così ristretta di concorso morale, oltre a non trovare riconoscimento nei vigenti ordinamenti stranieri,

554 L.RISICATO, op. loc. cit.

555 A.SERENI, Istigazione al reato e autoresponsabilità, cit., p. 206. 556 A.SERENI, op. loc. cit.

557 A.SERENI, ibidem. Lo stesso A., avverte, inoltre dell’opportunità, per quanto riguarda il concorso mediante omissione, di individuare gli obblighi impeditivi degli altrui reati, dovendosi tenere distinti gli obblighi di garanzia veri e propri dai meri obblighi di sorveglianza. In senso favorevole rispetto alla delimitazione espressa del concorso omissivo e alla previsione di una circostanza attenuante in rapporto a tale ipotesi, anche M.ROMANO-G.GRASSO, Pre-Art. 110, cit., p. 133.

558 G. DE VERO, Le forme di manifestazione del reato in una prospettiva di nuova codificazione penale, in AA.VV., Valore e principi della codificazione penale: le esperienze italiana, spagnola e francese a

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appare assolutamente estranea alla tradizione culturale e giuridica, e, di conseguenza, risulterebbe di difficile trasposizione normativa559.

In ogni caso, si può osservare che, nella pratica, potrebbe risultare estremamente complesso accertare la totale insussistenza di un preesistente proposito criminoso in capo all’istigato o, al contrario, verificare che l’opera dell’istigatore abbia solo rafforzato un proposito già esistente. Quindi, ancorare i presupposti della responsabilità alla aprioristica distinzione tra determinazione e rafforzamento significherebbe vincolare il rilievo penale della condotta all’“effimero” dato fattuale consistente nella preesistenza o meno di una, seppur “minima”, intenzione criminosa.

In termini più generali, potrebbe, invece, apparire maggiormente condivisibile l’opzione volta a circoscrivere le ipotesi di complicità psichica in base a modalità tassative di attuazione, selezionando tali modalità tra quelle “cristallizzate” in regole sociali esprimenti la ripetibilità nel tempo dei comportamenti umani, ovvero tra quelle che generalmente sono in grado di influire sull’altrui capacità di autodeterminazione560. Occorrerebbe, però, ammettere che anche la più accurata scelta di tipizzazione forse ridimensionerebbe, ma non risolverebbe mai completamente le problematiche attinenti all’indagine sulla causalità nelle ipotesi di partecipazione morale al reato. In ogni caso, infatti, il problema dell’accertamento dell’interazione psichica si ripresenterebbe anche in presenza della migliore tecnica di tipizzazione561. Come, peraltro, si è avuto modo di osservare affrontando il problema della causalità nelle fattispecie monosoggettive che presuppongono la verificazione di un risultato a livello psicologico562, la selezione, a livello normativo o giurisprudenziale, di indici da cui desumere la significatività di una determinata condotta di condizionamento non elide affatto la necessità di un rigoroso

559 S.SEMINARA, La disciplina del concorso di persone nel reato nei più recenti progetti di riforma del

codice penale, cit., p. 307.

560 L.RISICATO, op. cit., p. 81. M.DONINI, Il concorso di persone nel Progetto Grosso, cit., p. 333 ss., propone, invece, di affiancare al paradigma principale etologico, della causalità rispetto all’evento, soluzioni differenziate per l’agevolazione e l’istigazione, attraverso la tipizzazione di singole forme di partecipazione mediante condotte non causali rispetto all’evento, posto che la rilevanza dei contributi psichici «non consiste nell’aver effettivamente esplicato un’efficacia sul reato commesso, né nell’essere condotte di adesione, ma o in un’effettiva incidenza dell’atto sulla decisione che ha reso possibile l’attività esecutiva e l’evento […], oppure della sua incidenza su aspetti significativi dell’organizzazione complessiva del reato».

561 D.CASTRONUOVO, Fatti psichici e concorso di persone, cit., p. 194, nota 18. 562 Cap. IV.

riscontro dell’effettivo influsso esplicato sulla psiche della vittima. Pena, altrimenti, la violazione dell’art. 27 Cost. già nel suo significato minimo, di responsabilità per il fatto “proprio”.

Dunque, anche qualora si procedesse ad una descrizione tassativa delle ipotesi di partecipazione morale, non verrebbe meno l’esigenza di accertare la reale incidenza di un dato comportamento sulla volontà altrui e, quindi, di raggiungere la prova in ordine alla verificazione del “doppio evento”, consistente, in prima battuta, nel condizionamento del processo motivazionale, che rappresenta il risultato “interiore”, e, in seconda battuta, nel risultato offensivo “estrinseco”, quale conseguenza materialmente percepibile della condotta dell’istigato563.

Considerati tali rilievi, non appare poi così “eccentrica” la posizione di quegli autori che, in controtendenza con le maggioritarie istanze riformistiche orientate nel senso del ripristino di un sistema differenziato, suggeriscono, il mantenimento della soluzione unitaria, senza complicate e, probabilmente, quasi mai esaustive, descrizioni tipologiche.

A quest’ultima soluzione, però, si precisa, dovrebbe fare da contraltare la espressa indicazione dell’“ancoraggio” causale delle condotte di partecipazione al fatto tipico di reato564. Una simile specificazione consentirebbe, allora, di chiarire, in via definitiva, che tutte le forme di partecipazione al reato, per essere considerate tali, devono apportare un effettivo contributo alla realizzazione del fatto, intesa come produzione dell’evento offensivo hic et nunc565.

563 D.CASTRONUOVO, op. loc. cit.

564 P.COCO, L’imputazione del contributo concorsuale atipico, cit., p. 392 ss. Secondo l’A. basterebbe semplicemente inserire l’avverbio “causalmente” nella disposizione dell’art. 110 c.p., in modo da ricomprendere tanto la partecipazione sull’an che sul quomodo del reato. In relazione a quest’ultima, che si configura come partecipazione non necessaria, potrebbe, poi, essere prevista una specifica circostanza attenuante, in luogo di quella della “minima importanza”, contemplata dall’art. 114 c.p.

565 In questi termini, S.SEMINARA, La disciplina del concorso di persone nel reato nei più recenti progetti

di riforma del codice penale, cit., p. 309, secondo il quale la formulazione adottata nell’art. 20 del

Progetto Pisapia («concorre nel reato chi partecipando […] ovvero determinando o istigando […] o prestando […] apporti un contributo causale alla realizzazione del fatto»), con l’eventuale sostituzione del termine “fatto” con quello di “evento offensivo”, apparirebbe «un convincente punto di approdo».

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