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La questione palestinese

5. Israele e Palestina

5.1 La questione palestinese

La maggior parte delle persone ha un’idea totalmente distorta della questione palestinese166: mentre il governo israeliano attacca quotidianamente i palestinesi,

facendo ricorso a forme di terrorismo sia fisiche che psicologiche,167 la maggioranza

della popolazione mondiale ha un idea completamente diversa di ciò che avviene in Palestina. È fondamentale quindi raccontare all’infinito la storia della colonizzazione sionista del territorio palestinese, a costo di sembrare noiosi e ripetitivi, (ma sono sicura che, purtroppo, questo rischio non si corra) perché soltanto così, forse, la voce dei palestinesi verrà ascoltata e le loro richieste prese in considerazione.

In La Questione Palestinese, Said vuole affrontare seriamente questo problema pestando particolare attenzione ai diritti umani che ogni giorno vengono calpestati da coloni armati nell’indifferenza del mondo intero.

È veramente difficile decidere da dove partire per descrivere queste vicende, poiché la storia è davvero troppo lunga e complicata perché possa essere esaurita in pochi cenni. Il filo portante di tutto il testo di Said è rappresentato dal fatto che i Palestinesi, dalla loro prima cacciata nel 1948, si sono rivelati le vittime infelici di un movimento che aveva come scopo principale quello di porre fine alla persecuzione degli ebrei e riparare ai danni commessi nella seconda guerra mondiale, apice di una storia di persecuzione che durava da quasi due millenni. Per questo motivo è così difficile narrare la storia dei palestinesi, perché sono “vittime delle vittime”. Il loro persecutore

166 In seguito vedremo quanto siano stati abili alcuni membri dell’élite israeliana, e più in generale esponenti gli ambienti cosiddetti “liberal” nell’influenzare l’informazione mediatica a livello internazionale, e, in particolar modo, in America.

167 Quando parlo di terrorismo fisico e psicologico mi riferisco alle informazioni riguardanti i maltrattamenti e le umiliazioni che i palestinesi hanno subito e stanno ancora subendo in Palestina, in particolare nei territori occupati. In seguito vedremo in modo più in dettagliato in che cosa consistono questi atti di terrorismo che l’informazione pubblica mondiale fa passare in silenzio.

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non ha una faccia mostruosa, non è un criminale pubblico, un dittatore, un estremista islamico, ma è un popolo che, agli occhi di tutto il mondo, ha sempre sofferto, sempre in esilio, mai al proprio posto perché diverso da tutte le altre civiltà, mai perfettamente integrato e accusato di essere il portatore di molte sciagure. È veramente difficile combattere contro un “cattivo” del genere, e, soprattutto, è quasi impossibile andare contro Israele dopo la seconda guerra mondiale: è diventato un popolo intoccabile, la cui sofferenza, che è stata indescrivibilmente drammatica, lo ha, però, posto in una posizione privilegiata, di chi non deve niente a nessuno, perché tutti si sentono in debito con lui. E questa posizione privilegiata gli ha permesso, e ancora, dopo più di mezzo secolo, gli permette di fare tutto ciò che vuole, indiscriminatamente, senza obbedire ad alcuna regola, legge, risoluzione, trattato.168 Con questo non voglio

assolutamente sostenere che le sofferenze che ha patito il popolo di Israele non siano reali o siano di poca importanza, perché si tratta veramente di secoli di persecuzioni terribili culminate in un epilogo incomprensibilmente inumano, il genocidio nazista. Purtroppo questa storia ha portato il mondo intero a guardare gli avvenimenti soltanto dalla parte di chi, finalmente, dopo secoli di persecuzioni e di esili, è riuscito ad avere una terra tutta sua, dove fondare uno stato in cui possa riconoscersi.169Ma nessuno,

nel lontano 1948 ha riflettuto su chi, in quella terra già abitava. «Sono proprio i notevoli successi riscontrati dal sionismo, nel portare gli ebrei in Palestina e nel costruire loro una nazione, ad aver fatto sì che il mondo non si sia affatto preoccupato di quello che una simile impresa comportasse in termini di vite umane e materiali, dispersione, di

168 Vedremo infatti, che la maggior parte delle risoluzioni Onu a favore del popolo palestinese, che, per esempio, intimavano la ritirata di Israele dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza, o che lo invitavano a rispettare i confini prestabiliti dai trattati originari, siano state quasi totalmente ignorate. 169 In questo caso parlo di popolo di Israele, e non solamente di movimento sionista, perché è l’intera essenza dell’essere israeliano, a prescindere da ogni differenziazione e sfaccettatura del termine, che è stata avvolta da quest’aurea di intoccabilità. Ripeto ancora una volta che lo scopo qui, non è negare le sofferenze di un popolo per dar voce a quelle di un altro, ma è quello, più volte espresso, di mostrare come questa sofferenza sia stata strumentalizzata al fine di giustificare atti di colonialismo e la negazione dei diritti umani del popolo palestinese. Questa strumentalizzazione è avvenuta in particolar modo per mano dei paesi occidentali che avevano degli interessi in Medioriente, come vedremo in seguito, ma è stata avallata anche da tutti quegli israeliani che ancora oggi vivono in Israele appoggiando acriticamente le politiche di espansionismo del proprio governo, tutti quegli israeliani che contribuiscono alla creazione di nuovi insediamenti sui territori palestinesi e tutti quegli israeliani che non si impegnano affinché il loro benessere non sia costruito sulle ceneri di un’altra civiltà e sulle vite distrutte di un altro popolo.

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esilio e di sventure per i nativi palestinesi»170. È necessario raccontare la storia da una

doppia prospettiva, prendendo in considerazione non solo la storia della vittoria e del successo dell’impresa sionista, ma anche quella della tragedia degli esuli e degli apolidi palestinesi, tragedia che Hannah Arendt descrive così in Le origini del totalitarismo: «dopo la [Seconda] guerra [mondiale] la questione ebraica, che era stata considerata l’unica insolubile, venne infatti risolta con la colonizzazione e la conquista di un territorio; ma lungi dal risolvere il problema delle minoranza e degli apolidi, e al pari di quasi tutti gli avvenimenti del nostro secolo, tale soluzione produsse una nuova categoria, i profughi arabi, aumentando di altre 700-800 mila unità il numero delle persone senza stato e senza diritti.»171

Nonostante le numerose problematiche coinvolte, Said sostiene che il maggiore ostacolo alla narrazione della storia palestinese e alla lotta per i diritti di questo popolo, sia da ritrovarsi in un atteggiamento culturale di cui si è molto interessato nei suoi libri, e che potremmo definire ‘orientalismo’. Come abbiamo già potuto vedere, si tratta di una serie di pregiudizi e preconcetti occidentali rivolti contro l’Oriente, gli arabi e l’Islam; è un atteggiamento che ha favorito alcune visioni della storia, ed è stato sempre sfruttato dal movimento sionista per trasformare gli abitanti della Palestina in una seccatura, in un ostacolo alla pace, in terroristi. «Ancor oggi colpisce il fatto che con il semplice pronunciare la parola palestinesi o “Palestina” in Israele oppure quando si discute con un convinto sionista, sembra quasi di evocare qualcosa di innominabile, tanto la nostra semplice esistenza accusa lo stato ebraico per ciò che ci ha fatto»172.

Said ha deciso di dare a tutta questa ‘faccenda’ il nome di ‘questione palestinese’ perché proprio il termine ‘questione’ è il più indicato ad esprimere tutta l’ambiguità e la problematicità della situazione vissuta dai palestinesi e del conflitto tutt’ora in atto. In particolare il sostantivo ‘questione’ viene usato per definire tre situazioni particolari173:

170 Ivi p. 47.

171 Hanna Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di comunità, Torino 1967, p. 402. 172 E. W. Said, La questione palestinese, cit. p. 50.

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1. “…e ora arriviamo alla questione di X”, dove è molto chiaro che “X” è un problema che deve essere trattato a parte, separato dagli altri, che non può essere paragonato a nessuna altra situazione già affrontata, e che quindi richiede uno sforzo particolare e la formulazione di nuovi strumenti attraverso cui operare.

2. In secondo luogo suggerisce l’idea di un problema particolarmente difficile, delicato e che sussiste da parecchio tempo e che ancora non ha trovato soluzione;

3. Infine, indica anche qualcosa a proposito del soggetto della questione, e cioè che il suo status è instabile, incerto e non ancora definito.

Il caso della Palestina ingloba in sé tutti e tre i significati insieme. In primo luogo la Palestina fa parte dell’Oriente, del Medioriente, il quale è un ambito diverso dal mondo occidentale, e quindi deve essere trattato a parte. In secondo luogo il conflitto israelo- palestinese può essere definito come uno dei problemi più spinosi dal secondo dopoguerra ad oggi. Terzo, anche sullo status politico e sociale della Palestina e sul suo significato ideologico, ancora non ci si è messi d’accordo: ancora non è stata riconosciuta una versione ufficiale accettata da tutto il mondo, non è ancora possibile definire la Palestina come uno Stato poiché non possiede dei confini definiti, non è riconosciuto unanimemente dalla comunità internazionale, e i suoi abitanti non possiedono i diritti di cui qualsiasi cittadino dovrebbe poter usufruire.

Ciò contro cui Said si è sempre battuto è l’idea, tanto diffusa in Occidente, secondo cui palestinesi non siano un popolo legato indissolubilmente alla terra che da secoli coltivano e abitano, e che, all’arrivo dei primi coloni israeliani, essi non fossero presenti sul quel territorio. «Agli occhi dell’Occidente la Palestina è sempre stata un luogo dove una popolazione relativamente avanzata (in quanto europea) di coloni ebrei immigrati ha compiuto miracoli nell’edificare e civilizzare il paese e ha brillantemente combattuto guerre moderne contro quella che veniva presentata come un’ottusa popolazione di incivili indigeni arabi, essenzialmente repellenti.»174 Vedremo più

avanti come l’informazione mediatica, con la pressione del movimento sionista, abbia

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contribuito a mascherare fin dall’inizio la reale situazione della Palestina, presentandola come una zona arida e desertica, abitata soltanto da qualche sgangherata banda di beduini nomadi.

Diamo ora qualche cenno su come nacque il progetto sionista e come si sviluppò, fino a raggiungere importanti obiettivi quali la conquista della Palestina e la creazione di uno Stato ebraico, interamente basato su una comune appartenenza etnica e religiosa.

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