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Palestinesi: un popolo unito dalla catastrofe

5. Israele e Palestina

5.5 Palestinesi: un popolo unito dalla catastrofe

Abbiamo visto come il movimento sionista abbia cercato di far credere al mondo intero che la Palestina fosse una terra arida e disabitata, e forse, la maggior parte dei suoi tentativi è riuscita nel suo intento. Ma per ogni Palestinese, la Palestina è sempre stata la propria terra, una terra sul quale ha abitato, che ha coltivato, i cui frutti hanno sfamati i suoi figli, è sempre stata la sua casa. È vero che la Palestina non esisteva come un vero e proprio stato, essa infatti aveva fatto parte dell’Impero Ottomano fino alla sua dissoluzione dopo la prima guerra mondiale, ma i suoi abitanti, ad ogni modo, si sono sempre considerati diversi dai libanesi, dai siriani o dai transgiordani. Molti utilizzano questo percorso storico per sostenere che gli abitanti della Palestina non hanno diritto ad essere un popolo, perché non sono mai stati effettivamente uniti in un organismo politico proprio, e che, quindi, non essendo un popolo, non hanno diritto ad una patria.

Il movimento nazionalista palestinese, come quasi tutti gli altri movimenti nazionalisti, ebbe inizio quando la minaccia di un nemico esterno fece nascere un sentimento di unione, teso inizialmente soltanto a fronteggiare quella specifica invasione, ma con una propensione a consolidarsi in un’istituzione concreta. Quando, nel 1880, iniziò a

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verificarsi un forte afflusso di ebrei in Palestina, i suoi abitanti cominciarono ad aggregarsi per rivendicare i propri diritti, per affermare la loro presenza su una terra che sentivano propria e che non volevano cedere, a costo della vita. A testimonianza della specificità e della coesione del popolo palestinese c’erano tutta una serie di usi e costumi tipici che accomunava la popolazione, e che, se fino a quel momento era rimasta implicita e scontata, ora iniziava ad essere usata per affermare la propria coesione e il forte senso di appartenenza ad una specifica comunità.219

Said insiste molto su questo punto perché, da quando il conflitto israelo-palestinese ha avuto origine, il movimento sionista ha fatto di tutto per far apparire il popolo palestinese un’accozzaglia di tribù beduine senza storia né legami, ridicolizzando le sue rivendicazioni e mettendolo in una posizione svantaggiata soprattutto a livello diplomatico. Come abbiamo già sottolineato, la questione palestinese è stata influenzata dalla tendenza orientalista a non considerare la parte orientale e araba come voce in capitolo, a non dare credibilità e importanza ai suoi rappresentanti. Inizialmente i sionisti pensavano forse che i palestinesi se ne sarebbero andati più facilmente e che, senza troppe resistenze, avrebbero abbandonato le proprie terre e abitazioni sostandosi nei territori limitrofi. Vista la strenue resistenza che opponevano alla colonizzazione sionista, dopo la costituzione dello stato, Israele adottò tutti i mezzi a propria disposizione per declassare la popolazione araba ad una classe inferiore di esseri privi di raziocinio, tentando in ogni modo di cancellare l’umanità dei palestinesi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Per mettere a tacere un popolo che aveva una forte consapevolezza della propria dignità e che non voleva arrendersi al progetto sionista, lo stato ebraico instaurò un durissimo regime militare. «Nulla è stato risparmiato alla popolazione locale: torture, campi di concentramento, deportazione, distruzione di villaggi, case fatte saltare in aria per rappresaglia, confiscate, “trasferimenti” di migliaia di persone e persino l’uso di sostanze defolianti (come quelle irrorate da un aereo Piper Club, il 18 Aprile 1972, sul villaggio di Acraba nella

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Cisgiordania, che distrussero numerosi campi di c’grano; un episodio riportato da Le

Nouvel Observateur del 3 Luglio 1972).»220

I palestinesi hanno dovuto far fronte non soltanto all’occupazione straniera, ma anche, e soprattutto, alla difficoltà dell’esilio, l’ostacolo di trovarsi diviso, come popolo, disperso negli stati limitrofi, senza un territorio su cui esercitare il potere. A seguito di quella che è ricordata dai palestinesi come “Nakba”, la catastrofe, la popolazione cacciata dalla propria terra si è trovata a vivere in situazioni culturali, politiche ed economiche molto diverse le une dalle altre, che ne hanno modificato, nel corso del tempo, le abitudini e i modi di vita. I palestinesi vivono in modo assai diverso da paese a paese, e ogni comunità ha quindi dovuto trovare le risorse per mantenere la propria identità nonostante tutte le difficoltà. Oltre a queste due categorie di palestinesi, quelli che dal 1948 vivono in esilio e quelli che vivono sotto il controllo di un altro stato nei propri territori, ci sono anche i palestinesi che, dopo l’invasione della Cisgiordania e di Gaza, nel 1967, hanno dovuto subire un’occupazione militare e che per questo si sono ritrovati a rivivere le stesse esperienze vissute dai loro fratelli vent’anni prima. L’invasione militare della striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, fu un atto illegale, più volte condannato dall’Onu, e che avvenne sotto gli occhi di tutto il mondo, che, con la tecnologia ormai avanzata del tempo, poteva vedere in diretta gli atti brutali commessi dalla polizia israeliana nei confronti dei palestinesi; ma di questo parleremo in modo più approfondito tra poco. Torniamo ora alla critica posizione in cui si trovava il popolo palestinese, la quale rendeva la sua lotta per l’autodeterminazione e i diritti umani particolare e assolutamente non paragonabile con nessun’altro popolo della storia. Said usa delle parole fortissime che descrivono chiaramente la situazione di sofferenza e la difficile realtà che il suo popolo deve affrontare, cariche di sentimento e di desiderio di giustizia, ma anche, come solo lui sa fare, impregnate di poesia:

Noi palestinesi stiamo chiaramente lottando per la nostra autodeterminazione, sebbene privi di un posto, di un luogo fisico,

120 riconosciuto e disponibile, sul quale condurre la nostra battaglia. Noi

siamo anticolonialisti e vittime del razzismo, nonostante i nostri avversari storicamente siano le maggiori vittime del razzismo, e malgrado la nostra lotta sia stata intrapresa in un difficile periodo postcoloniale nella storia del mondo moderno. Lottiamo chiaramente per avere un nostro futuro sebbene o stato che ce lo impedisce ne abbia già dato uno al suo popolo perseguitato. Siamo arabi eppure non solo questo. Siamo esiliati, ma a malapena tollerati nei paesi che ci ospitano. Possiamo parlare alle Nazioni Unite ma soltanto come osservatori.221

La situazione palestinese è veramente una situazione complicata, sia per il suo ruolo all’interno dell’equilibrio di forze nel mondo mediorientale, sia per il particolare avversario che si è trovata a fronteggiare. Le tensioni che si sono create a causa della questione palestinese sono composte da un’intricata rete di relazioni e interessi internazionali su quel territorio. Paesi arabi, Egitto, Arabia Saudita, Siria sono interessati, chi per un motivo chi per l’altro, al destino di quella striscia di terra; anche l’America e la Russia ritengono la Palestina una questione di vitale importanza per i loro giochi politici ed economici. Proprio per il fatto che la questione palestinese coinvolge molte parti e più settori (della politica, dell’economia, della società…) è divenuta simbolo delle lotte contro le ingiustizie sociali, in particolar modo nel Medioriente: spesso, durante le manifestazioni di protesta per la rivendicazione di alcuni diritti, per esempio in Iran o in Egitto, vengono urlati slogan e cartelli in cui si manifesta solidarietà ai palestinesi.

La questione palestinese è molto particolare anche perché, a causa degli avvenimenti che hanno determinato il corso della storia dal 1948 in poi, le aspirazioni e gli obiettivi dei palestinesi sono cambiati, e questo soprattutto perché è cambiata la loro terra. Oggi la Palestina rappresenta un luogo dove tornare, ma questo luogo, nonostante sia lo stesso che gli arabi hanno abbandonato più di mezzo secolo fa, è anche un posto molto diverso, trasfigurato. I palestinesi non potranno mai riavere ciò che sono stati costretti a lasciare, nello stesso modo in cui lo hanno lasciato, ed è quindi questo il

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motivo per cui gli abitanti della Palestina sono bloccati in una continua oscillazione, tra il tornare indietro e l’andare avanti.222

La situazione che abbiamo descritto fino ad ora, ci permette di capire quanto sia stato difficile creare un’organizzazione rappresentativa che rispecchi le necessità di tutti i palestinesi, visto che questi, date le circostanze, sono stati costretti a vivere vite molto diverse tra di loro, e soprattutto, come sia stato difficile riuscire a far riconoscere un organo rappresentativo a livello internazionale. Said però, da palestinese, avendo vissuto sulla sua pelle l’esperienza dell’esilio e della perdita della “patria”, è testimone del fatto che «Nonostante tutto, però, la realtà della perdita subita- anche se spesso cancellata- fece sì che nascesse una vera comunità palestinese separata dalle società dei paesi ospitanti.»223

C’è un opera che può essere considerata come il poema nazionale palestinese, ed è

Bitaqat Huwiyya che significa “Carta d’identità”, di Mahmud Darwish. La poesia di

Darwish riesce a cogliere e incarnare la realtà politica palestinese, a descrivere i sentimenti che infiammano i cuori di tutti i palestinesi e descrivere con sarcasmo la loro drammatica esistenza.

Carta d’Identità

Prendi nota! Sono arabo

carta d’identità numero cinquantamila bambini otto

un altro nascerà la prossima estate. Ti secca? […] Prendi nota! Sono arabo 222 Ivi p. 173. 223 IVI p. 183.

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mi chiamo arabo non ho altro nome sto fermo dove ogni altra cosa trema di rabbia

[…]

Ebbene allora prendi nota che prima di tutto

non odio nessuno e neppure rubo ma quando mi affamano

mangio la carne del mio oppressore. Attento alla mia fame

Attento alla mia rabbia.

Nella parte finale del poema si può percepire una sorta di avvertimento in cui la rivolta palestinese viene soltanto minacciata; pochi anni più avanti, l’atteggiamento di ribellione caratterizzerà in modo forte la vita dei palestinesi, stanchi di subire le continue oppressioni del governo di Tel-aviv.

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