• Non ci sono risultati.

La rappresentazione dell’immigrato: il ruolo dei mass-media

invecchiamento, evoluzione

2.4 La rappresentazione dell’immigrato: il ruolo dei mass-media

Occupandoci del ruolo dell’immigrato nei diversi aspetti socio-economici del nostro Paese bisogna discutere, adesso, sulla rappresentazione dell’immigrato, e

dell’immigrazione in generale, fornita dai mezzi di comunicazione.

Oggigiorno, la nostra civiltà è dominata da tali strumenti: differenziati tra di loro, ma ognuno di essi possiede notevole efficace. Stampa, radio, televisione e più recentemente la rete telematica permettono di ricevere notizie minuto per minuto, alimentando e

costruendo la cosiddetta opinione pubblica. La diffusione dell’informazione e l’ampio utilizzo degli strumenti poc’anzi indicati è

complementare al concetto di democrazia. Il termine “democrazia” deriva dal greco dèmos (popolo) e cràtos (potere): significa

etimologicamente “governo del popolo”; in una tale forma di Stato, il consenso dei consociati è alla base della formazione stessa della società. Difatti, la costruzione e (troppo spesso) l’omologazione del consenso in un'unica direzione sono processi estremamente importanti in una società democratica, a differenza che in una società di tipo autoritario: in un regime del genere chiunque può avere la propria opinione, tanto è incanalata verso il binario dell’indifferenza. Come, del resto, ci insegna Michel Foucault in “ Sorvegliare e punire” (Foucault,1975): un regime ti tipo autoritario si interessa ai

corpi dei cittadini, un regime di tipo democratico si interessa invece alle loro anime. Su tale concetto alcune pagine dell’aristocratico francese Alexis de Tocqueville, pur

datate nel tempo, sono sorprendenti per l’attualità del pensiero espresso: vi si afferma che per il controllo di una società, la libertà di stampa può essere più importante della censura, perché significa la libertà di offrire opinioni, di offrire motivi per l’azione, i quali ultimi costituiscono una spinta all’agire che è estremamente più efficace della

semplice censura. La costruzione del consenso è dunque scenario fondamentale per la vita politica

democratica: è necessario il consenso convinto dei membri della società (o almeno della

maggioranza di essi), la loro collaborazione e la loro partecipazione. George Herbert Mead, considerato tra i padri della psicologia sociale, si interessò

68 costruzione della “società” e del “sé” fanno parte del medesimo processo di “interazione sociale”, in quanto lo sviluppo di un “sé”, e in seguito di un “io” ben saldo, trovano la loro indispensabile premessa nell’abilità specificamente umana di assumere l’atteggiamento dell’altro: un altro che, nella forma più universale, è un “ altro generalizzato” (Mead,1925,1934). La costruzione del sé tramite l’assunzione della prospettiva dell’altro costituisce il processo di controllo sociale: questo è il procedimento mediante il quale si stabilisce il significato dell’oggetto di tale interazione; avviene cioè uno scambio tra attori sociali, in un processo di comunicazione. Porre l’interazione al centro del processo sociale significa attribuire la massima importanza agli strumenti del processo comunicativo: nella società della

democrazia di massa a questo ruolo sono adibiti i mezzi di comunicazione. Questi hanno sostituito l’interazione faccia a faccia: le forme comunicative sono

generalizzate ed universalistiche nonché standardizzate. L’ argomentare conduce a riflessioni problematiche:

-il possibile determinarsi di una tirannia della maggioranza -l’eventualità di manipolazione mediatica A riguardo, utile è il contributo del sociologo David Riesman: nel libro “ La folla

solitaria”(1950) trattò del problema del conformismo sociale causato dalla crescente paura dell’isolamento insita nelle società moderne. Evidenzia come la manipolazione dell’essere umano è resa possibile dal desiderio, costruito e alimentato dalla società, di uniformarsi agli altri. Avviene così che i gruppi sociali di appartenenza, anziché costruire una barriera di protezione dall’influenza della comunicazione di massa, alimentano il conformismo. Riesman(1950) per primo mise in evidenza la caratteristica auto-manipolatoria dell’essere umano: anche in presenza di grande pluralismo di fonti informative, il desiderio di conformità sociale (anche nell’eventualità in cui mantenga

differenze marginali) prende il sopravvento. I testi dei massi-media contribuiscono al continuo tentativo di dare “senso” all’universo

sociale: sono destinati alla presentazione pubblica di forme di spettacolo, propaganda ed informazione fattuale. Tra gli oggetti di trattazione vi è ampio spazio riservato alle molteplici manifestazioni della devianza. Per l’appunto, innumerevoli studiosi, in specie coloro che si occupano di scienze sociali, si interrogano su come i comportamenti

69 Goranson(1969) in “ A review of recenti literature on Psychological Effects of Media Protrayals of violence” ci fornisce un importante apporto per cercare di rispondere alla domanda posta: lo studioso, dopo aver fatto una rassegna della letteratura sugli effetti psicologici della violenza rappresentata dai media, arrivò alla conclusione che i dati forniti dalla sua indagine confermavano l’ipotesi secondo la quale la rappresentazione, smodata e senza controllo, della violenza da parte dei mezzi di comunicazione può

stimolare oltremodo l’apprendimento e la pratica degli atti di aggressività.

Evidenziò, inoltre, come un’esposizione frequente a tali rappresentazioni può produrre

assuefazione emotiva alla violenza. Negli anni successi all’opera di Goranson(1969), in contemporanea all’aumento della

diffusione dell’informazione, la quantità di indagine è andata in crescendo; sono stati

analizzati tre tipi di effetti della violenza tramessa dai mass-media:

-apprendimento di comportamenti nuovi (modellamento o imitazione)

-disinibizione (indebolimento dei controlli interni o esterni sui comportamenti

aggressivi) -desensibilizzazione con conseguente indebolimento delle reazioni emotive alla

violenza (Grandi, Pavarini, Simondi,1985) Si comprende, in tal modo, la valenza che possiedono i mezzi di comunicazione nella

società moderna. Constatato ciò, tralasciamo tali effetti in quanto tali, ed ai fini della nostra analisi

riguardante il rapporto tra immigrazione e mass-media ci occupiamo del ruolo che

questi giocano nel processo generale mirante a persuadere il pubblico.

È necessario premettere che l’artificiosa costruzione sociale dell’allarme sociale appare uno dei sistemi principali impiegati per assicurarsi l’appoggio della maggioranza silenziosa. Il punto di partenza dell’elaborazione teorica sui meccanismi di produzione di informazione coincide con l’analisi dello statuto della notizia nel modello del giornalismo liberale: in tale paradigma, la nozione di notizia come evento eccezionale è conseguenza di una routine giornalistica che, quando non può selezionare dalla realtà eventi effettivamente sensazionali, è portata a magnificare anche eventi minori pur di

trovare notizie eccezionali (Eco, 1979).

70 diversamente graduato a seconda dell’area sociale ove il fatto si verifica. L’area della devianza è di norma relegata nelle pagine di cronaca nera: ove, sovente, i protagonisti non hanno altra storia all’infuori di quella unidimensionale dell’atto deviante. La costruzione si realizza contestualizzando gli eventi dal retroterra sociale, isolando, all’interno di una striscia di comportamenti solitamente ripetitivi e diffusi, le fasi finali:

quelle resocontabili come azioni, come fatti (Grandi, Pavarini, Simondi,1985). Da ormai qualche anno, spesso, i fatti di cronaca nera si intrecciano con l’immigrazione

nella trattazione mediatica. Dal Lago (2009) evidenzia come le notizie di cronaca nera di cui sono eventualmente protagonisti gli stranieri diventano prove empiriche di una

verità già data per scontata nell’informazione di massa. Se uno straniero, infatti, compie una violenza su una donna è perché tutti gli stranieri

sono naturalmente degli stupratori seriali. Così, al contempo, dicerie, leggende metropolitane, pregiudizi e paure circolanti nelle società locali possono diventare, per

effetto dell’informazione di massa, verità sociali oggettive.

I mezzi di comunicazione82, secondo il pensiero di Dal Lago (2009), riescono ad

influenzare ed a costituire l’opinione pubblica trasmettendo alla stessa un immediato ed

irrazionale senso di paura: di conseguenza, la stereotipizzazione dilaga. Gli imprenditori morali ci forniscono un’immagine dei migranti come “problema”,

“piega” o “ minaccia”, etichetta costruita e comunicata dagli organi di informazione mediante l’uso costante di titoli ad effetto, di scelte stilistiche che sembrano calcolate

per provocare un disgusto “oggettivo” nel lettore (Dal Lago,2009). La cronaca è, dunque, il settore di informazione in cui gli immigrati ricorrono con

maggior frequenza, e la descrizione delle persone di origine straniera è spesso limitata al richiamo di questa condizione (mentre gli italiani sono definiti attraverso l’età, la professione, la condizione occupazionale). La nazionalità è l’elemento che domina i titoli e finisce non solo per connotare univocamente la notizia, ma anche per fornirla di

senso (Ferraris,2012). Dal Lago (2009) definisce tale meccanismo di allarme/paura immigrato come

“tautologico” in quanto, la semplice enunciazione dell’allarme dimostra la realtà che

82 I mezzi di comunicazione sono definiti “imprenditori morali” da Dal Lago: prende questa definizione da Becker.

71 esso denuncia. Nella costruzione del significato, le definizioni soggettive di una situazione diventano reali, cioè oggettive, e questo è tanto più vero quanto più

riguardano aspetti socialmente delicati, come la “paura del nemico”83 (Dal Lago,2009). La capacità della stampa di imporre la “definizione della situazione” dipende dalla sua

funzione fondamentale di agenda-setting, cioè dalla costruzione del campo di ciò che è

rilevante o di pubblico interesse. Quanto più queste modalità, queste notizie sono correnti, ripetitive, automatiche, date

per scontate, tanto più conferiscono oggettività alla definizione allarmistica della realtà, trasformandola in sfondo cognitivo abituale. Diventa un dato di fatto, oggettivo ed

incontrovertibile, un’etichetta costruita su misura.84 Sempre Dal Lago (2009) ci fornisce la rappresentazione di tale processo di

oggettivazione della paura: - risorsa simbolica: “ gli stranieri sono una minaccia per i cittadini( perché generalmente

clandestini, criminali,etc) -definizioni soggettive degli attori legittimi: “ abbiamo paura. Gli stranieri ci

minacciano” -definizione oggettiva dei media: “ gli stranieri sono una minaccia, come risulta dalle

voci degli attori legittimi nonché dai fatti che si verificano” -trasformazione della risorsa simbolica in frame dominante (è dimostrato che gli

immigrati clandestini minacciano la nostra società) -conferma soggettiva degli attori legittimi : “ non ne possiamo più, che fanno i sindaci,

la polizia ed il governo?” -intervento del rappresentante politico legittimo :” se il governo non interviene, ci

penseremo noi a difendere i cittadini”85 -adozione di misure legislative, politiche/amministrative che confermano il frame

dominante. Il suddetto meccanismo conferma il ruolo che l’opinione pubblica ha nelle scelte

politiche, poiché sono i cittadini attraverso il voto a decidere chi governa e chi dovrà compiere delle scelte. Per converso, i mass-media sono determinanti nella definizione

83 Melossi(2002) parla similmente di “eterna canaglia”.

84 Becker parlerebbe di etichetta applicata con successo.

85 Il partito “Lega Nord” nel corso degli anni ha, spesso, assunto ruolo di protettore contro la presunta “invasione”, anche con slogan discutibili.

72

dei contenuti delle politiche su immigrazione e criminalità. Essere inghiottiti dal vortice del luogo comune è tutt’altro che episodico, del resto la

percezione e il “contatto” con gli immigrati da parte della popolazione autoctona è

spesso filtrato da quello che viene raccontato dagli imprenditori morali. Quest’ultimo aspetto è simboleggiato da un’indagine demoscopica transnazionale

denominata “transatlantic trends: immigration “(2011)86, realizzata a partire dal 2008 in

diversi paesi europei oltre che negli Stati Uniti e in Canada; l’indagine si propone di analizzare l’opinione dei cittadini sui temi più scottanti riguardanti il fenomeno

migratorio87. Ai nostri fini, il dato che ci interessa particolarmente della suddetta

indagine, è emblematica la percezione che gli autoctoni hanno del numero degli stranieri: gli intervistati in diversi paesi europei ritengono che sia presente un numero di

immigrati di gran lunga superiore rispetto alla presenza reale88. L’Italia è la nazione

europea che presenta la percezione con maggior scostamento rispetto al dato reale

(Ferraris,2012). Non si può sorvolare come la percezione alterata sia alimentata dai mass-media, con un

trattazione della tematica spesso lacunosa e parziale. Una ricerca nazionale condotta dalla facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma(2009) rileva inoltre che la tematica immigrazione viene trattata dalla televisione e dai quotidiani in modo analogo a quanto avveniva vent’anni fa, tanto da sottolineare una

consolidata incapacità del sistema mediale italiano di rappresentare la realtà sociale e

il suo mutamento ( Sapienza Università di Roma,2009).

Analizzando la rappresentazione del dibattito sul tema, emergono ulteriori conferme di quanto detto : riguarda prevalentemente i soggetti della politica e poco coinvolge altri soggetti; l’immigrazione in quanto questione culturale od economica risulta inoltre pressoché assente nel dibattito mediatico. La trattazione è polarizzata su: controllo,

espulsioni, detenzioni, devianza (Ferraris,2012).

86 L’indagine è frutto di progetto congiunto di: German Marshall Fund of the United States; Lynde and Harry Bradley Foundation; Compagnia di San Paolo; Barrow Cadbury Trust.

87 Rispetto al 2008 (prima edizione dell’indagine), nell’edizione del 2011 non emergono variazioni considerevoli nella percezione dell’immigrazione come un problema o come un’opportunità: infatti, nel 2011 il 52% degli europei intervistati e il 53% degli americani ritengono l’immigrazione un problema piuttosto che un’opportunità (Il dato più pessimista è rintracciato nel Regno Unito, con un preoccupante 68% degli intervistati che ritiene un problema l’immigrazione).

88 In Italia, oltre il 60% degli intervistati dei cittadini pensa, inoltre, che vi siano più stranieri irregolari che regolari: ciò è in contrasto con tutte le stime affidabili che registrano come gli immigrati illegali siano una percentuale molto inferiore di quelli legali.

73 L’immigrato non è mai la soluzione: appare la minaccia da cui difendersi. Ed è questo che l’opinione pubblica si aspetta dall’immigrato: il concretizzarsi della sua minaccia o il reiterarsi della sua inciviltà; questo è il limitato campo d’azione del suo agire,

l’etichetta che non facilmente l’immigrato riesce a scollarsi. Come, inoltre, ci insegna Cohen(1972) il deviante non è una sorta di monade isolata

bensì un soggetto in interazione di controllo sociale: è questa interazione che costruisce

un’identità deviante e la percezione del sé come deviante89. Ancora Dal Lago in “Non persone”(2009) evidenzia come a partire dai primi anni

novanta l’immigrazione viene quasi esclusivamente definita dai mass-media in termini di illegalità e degrado. Mentre, infatti, nel corso degli anni ottanta le informazioni erano caratterizzate da variabilità, oggi, all’aumentare della presenza immigrata, sempre più i mezzi di comunicazione dedicano un’attenzione costante su notizie negative: ci viene comunicata un’immagine dell’immigrazione come problema sociale “grave”, fornendo

a portata di mano la preoccupante equivalenza immigrato=criminale/deviante. Vi è il fondato sospetto che l’atteggiamento di ostilità nei confronti degli immigrati sia

legato a una specie di rimozione e traslazione d’oggetto, un sospetto di noi stessi, della

nostra società (Melossi, 2002)90. Si noti, inoltre, che i comportamenti devianti solo

marginalmente sono caratteristica esclusiva di chi li pone in essere: sono il prodotto di un sistema di relazioni; d’altronde le attività principali devianti dei migranti (spaccio e

prostituzione)91 sono attività diretta a soddisfare bisogni che preesistevano

all’immigrazione, e che ancora oggi sono ampiamente definibili come italiani. Si conclude perciò che i comportamenti di certi immigrati possono esistere solo in

quanto fanno parte di una serie di condizioni e situazioni che si danno sul nostro suolo,

all’interno della nostra società. La stampa, la televisione, ed ogni veicolo informativo ricevono questo impulso di

ostilità e lo alimentano, rinviandolo al pubblico con notizie che si fondano sull’oggettività inconfutabile: d’altronde il lettore legge quello che lo attira ed in qualche modo lo soddisfa. È questo il circolo vizioso dell’informazione che occupa

l’analisi di molti studiosi e pensatori.

89 Questi ed altri concetti saranno approfonditamente sviluppati quando si tratterà della teoria dell’etichettamento nel prossimo capitolo.

90 A riguardo Melossi parla di “funzione specchio”.

91 Barbagli(2008) evidenzia come i reati di più complessa portata (come ad es.corruzione) siano ancora prettamente autoctoni.

74 I media parlano di immigrati senza dar loro parola, senza dar loro possibilità di esprimersi sul loro quotidiano, i loro bisogni, le loro aspettative, sulla maniera in cui ci

vedono o su come intendono integrarsi. La società italiana chiede agli immigrati un rapido inserimento sociale e culturale senza

che i mezzi di comunicazione forniscano un’informazione che favorisca tale processo. Notizie di rottura rispetto al paradigma informativo dominante sono fornite solo dai

media culturali: sono quelle trasmissioni televisive o radiofoniche dette d’utilità sociale, e finalizzate ad accendere i riflettori sui disagi, la solitudine, le difficoltà incontrate dagli immigrati ma senza sfociare in pietismo o stigmatizzazione. Con questo tipo di programmi si tende a promuovere graduale inserimento degli immigrati e sviluppare nel cittadino autoctono una maggiore sensibilità nei confronti dei

migranti, scardinando il muro della paura-minaccia. Esempi storici di programmi televisivi d’utilità sociale sono : “NonSoloNero”( in onda

su Rai Tv 2 dal 1989 al 1997) e “Shukran” (trasmesso su Rai Tv 3 fino a qualche anno

fa): è auspicabile che esperienze del genere vedano nuova luce. Ma sono opere residuali, la notizia costante e frequente è un’altra: come evidenza

Ernesto Calvanese, in “media e immigrazione tra stereotipi e pregiudizi. La rappresentazione dello straniero nel resoconto giornalistico”(2011), attraverso una

indagine su 31.946 articoli usciti sulle principali testate nazionali92 negli anni

2005-2008 sul tema immigratorio, si parla degli stranieri esclusivamente in termini di

conflittualità/problematicità. Molto ci sarebbe da fare per modificare, per quanto possibile, questo circolo vizioso tra

mass-media e immigrazione con la premessa ed il senso critico dell’insegnamento di Mills(1956) che ci avvisa come:

l’uomo che vive nella massa non riceve da questi mezzi di comunicazione una visione

che lo aiuti a elevarsi; al contrario, ne ricava un’esperienza stereotipata, che lo abbassa ancora di più. Si potrebbe, ad esempio, adottare un’autoregolamentazione delle notizie, come sul modello americano che impone alla stampa di non citare il colore degli arrestati o dei

92 L’indagine di Calvanese(2011) riguarda le testate nazionali : “Corriere della Sera”, “Il Giornale”, “La Repubblica”.

75

sospettati quando si riportano fatti di cronaca nera. Molto, però, dell’attuale modus agendi informativo è destinato a perdurare: la

manipolazione dei mezzi di comunicazione è probabilmente ineliminabile, così come il

fatto che siano strumenti sovente nelle mani delle elitè di potere.

D’altronde nelle democrazie la questione del consenso è fattore di vita o di morte, e la legittimazione è tanto più solida quanto meno tale consenso sembra costruito ad arte (Melossi,2002).

76

Capitolo 3

Criminologia e immigrazione

Non bisogna dire che un atto offende la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché offende la coscienza comune. Émile Durkheim, La divisione del lavoro sociale,1893.

3.1 Il crimine dell’immigrato e la sua sovrappresentazione in