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La riflessione come antidoto alla medicalizzazione

Se la filosofia della medicina, con la sua riflessione sui concetti di base della medicina, è un’impresa che da una parte contribuisce a chiarire questioni teoriche e teoretiche, dall’altra va notato quali profondi risvolti pratici possa avere. Rendendosi conto di come essa sia in grado di contribuire alla rimozione di fenomeni sociali pericolosi per la persona.

L’età contemporanea risulta infatti caratterizzata da fenomeni mai visti prima, come il Disease Mongering, che tendono a medicalizzare forzatamente l’intera sfera della vita umana. Di fronte a ciò nessuna delle metodologie e degli strumenti oggi in nostro possesso sembrano in grado di renderci immuni a tali pericoli. Così la riflessione propria della filosofia della medicina sui concetti di salute e malattia può essere letta e apprezzata non solo come lavoro epistemologico, ma anche come l’unico e indispensabile strumento che ci permetta di fare fronte alla nuove sfide che la società contemporanea ci invita a raccogliere.

Se già più di tre decenni fa Ivan Illich (1926-2002), prete, storico, filosofo e commentatore sociale scriveva polemicamente su come gli ambienti medici stessero tentando di medicalizzare la vita stessa, oggi il trend non è cambiato. Proprio nella sua opera appare per la prima volta la parola “medicalizzazione” (Illich 1975), di cui purtroppo non sarà più possibile fare a meno.

Il fenomeno nel corso del tempo si è raffinato ed ha visto entrare in gioco nuovi protagonisti. Che è facile che abbiano lo spazio per sopravvivere e riprodursi visto che la riflessione filosofica, evitando di occuparsi della medicina e dei suoi concetti, lascia spazio ad altri soggetti, sicuramente meno adatti e qualificati, affinché se ne occupino. In conseguenza di ciò, proprio a causa della mancanza di una seria

base concettuale che aiuti ad orientarsi davanti alla varie proposte e situazioni tra cui ci si trova a dover scegliere, la fiducia nella medicina ufficiale scema ed aumentano le pubblicazioni che ne denuciano gli abusi (Fitzatrick 2000, Blech 2003).

Il fenomeno del Disease Mongering, cercare di convincere le persone che stanno essenzialmente bene che invece sono malate e quelle che stanno un po’ male che invece stanno malissimo, descritto per la prima volta da Lynn Payer (1945-2001), giornalista e scrittrice (Payer 1992), può fungere da caso paradigmatico. Letteralmente consiste nel fare affari con le malattie, allargando i confini di ciò che deve essere considerata malattia, così da aumentare il mercato di chi vende e somministra trattamenti. Dilatando a tal punto i confini del concetto di malattia, che sempre più spesso accade che arrivi prima il farmaco della malattia, che ci sia una nuova malattia per ogni nuovo farmaco prodotto, e non viceversa. Come sarebbe caso che fosse. Così aspetti normali della vita ordinaria vengono ingigantiti fino a farli diventare degni dell’attenzione medica. Problemi di lieve entità descritti come se si trattasse di malattie serie, fattori di rischio, di cui già è difficile stabilirne con precisione la reale esistenza e accuratezza, considerati malattie in senso proprio.

Inoltre, per aggirare quei divieti che in alcuni paesi ci sono nei riguardi della pubblicità dei farmaci, vengono montate ad arte vere e proprie campagne pubblicitarie, nascoste sotto attività che in teoria dovrebbero puntare all’informazione e alla prevenzione della malattie, e il cui scopo si rivela ben presto nient’altro che la vendita di farmaci. Non reclamizzano farmaci, bensì malattie. Spesso quest’ultime vengono costruite a tavolino e in modo assolutamente arbitrario. Come per quello che è accaduto nei confronti dell’omosessualità o della masturbazione, un tempo considerate malattie ma che oggi non lo sono più. E questo perché, ad esempio per quanto riguarda il caso dell’omosessualità, nel 1974 i membri dell’American Psychiatric Association hanno votato a

maggioranza che l’omosessualità non doveva essere più considerata una malattia. Così chi fino al giorno prima era un malato, ora non lo era più. Situazione paradossale ma brutalmente reale.

Se la filosofia della medicina non fa il suo lavoro e non si occupa di dare una definizione dei concetti di salute e malattia, ci penseranno poteri ed organizzazioni che hanno tutto l’interesse a farlo. Così da allargare il numero dei fenomeni e delle condizioni da definire malattia, secondo la vecchia politica di far nascere e crescere il bisogno inventandosi sindromi, come quella delle gambe stanche, create ad arte proprio per aumentare le vendite di prodotti atti a risolverle. La storia del Ritalin, o metilfendato, è esemplare. Comincia nel 1958, quando il farmaco fu registrato e si iniziò ad utilizzarlo per il disturbo da deficit di attenzione con iperattività, o Adhd (Attention deficit hyperactivity disorder). Questo farmaco rappresenta un caso emblematico di come opzioni terapeutiche finiscano per ampliare il concetto di malattia.

Proclamando che ogni deviazione dalla normalità va trattata, rimane sempre il problema di stabilire cosa è normale, chi lo decide e come lo stabilisce. Proprio come nel caso del viagra. Nato come un prodotto efficace per le disfunzioni erettili dovute a problemi medici gravi come il diabete o danni al midollo spinale, ed incentivato poi come un farmaco che gli uomini “normali” possono usare per migliorare le proprie erezioni. Tutti quelli che si battono contro il Disease Mongering chiedono che si rinnovi il modo in cui le malattie vengono definite, togliendo questo compito dalle mani di chi ha interessi personali, professionali ed economici nella questione. Che ci si applichi affinché salute e felicità vengano intese come due fenomeni distinti. Visto che, se gli scopi della medicina sono non definiti o contestati, la questione non riguarda

where the truck is going, not even about who is driving it. […] but who is paying the driver. In the absence of an agreed-upon destination, the trucks go mainly where the drivers are paid to go (Elliott 1999, p. 22-23).

Da tutto ciò ne deriva che, se la medicina e la riflessione filosofica sono state le protagoniste di un rapporto secolare, è giunta l’ora che, per il bene dell’una, dell’altra e del genere umano, la filosofia della medicina inizi a fare la sua parte.

Marx W. Wartofsky più di trenta anni fa si chiedeva se la filosofia della medicina sarebbe diventata l’ultimo ramo dell’albero della filosofia della scienza (1975b). La risposta odierna non può essere altro che affermativa.

Le questioni filosofiche ed epistemologiche proprie della filosofia della medicina ce la fanno intendere oggi come una delle “filosofie delle scienze” presenti nel dibattito contemporaneo (Vassallo 2003). Proprio in virtù della medicina in quanto scienza applicata, gli ambiti di riflessione, pratica e ricerca, che vanno dalle questioni di metodo a quelle di etica medica, ci costringono ad accettarne un’accezione ampia. All’interno della quale il dibattito chiave e irriducibile a nessun altra disciplina è costituito da quello relativo ai concetti di salute e malattia. Che se da una parte ne caratterizzano la discussione, testimoniando ancora una volta l’esistenza della filosofia della medicina come disciplina a sé, dall’altra ne mostrano la rilevanza per la società.

2 Il concetto di Malattia e l’approccio normativistico