3 Approccio naturalistico: disfunzione ed evoluzione
3.2 Medicina Evoluzionistica
La medicina evoluzionistica si caratterizza come una prospettiva che introduce i concetti propri dell’evoluzionismo neodarwiniano, sia nella ricerca che nella pratica biomedica. Permettendo così di ripensare gli aspetti più disparati della medicina, dalle classificazioni delle patolgie alla formazione del personale sanitario.
La sua storia
Se di medicina evoluzionistica o darwiniana come viene comunemente intesa oggi si inizia a parlare dalla pubblicazione, da parte di Randolph Nesse e George Williams, del loro saggio dal titolo The Dawn of Darwinian Medicine (1991), è stato oramai ampiamente dimostrato che fin dai tempi di Darwin le possibilità offerte dalla teoria dell’evoluzione alla medicina non sono passate inosservate (Corbellini
1998). Lo stesso René Dubos (1959) cita Darwin, accanto a Claude Bernard, come le due personalità che intorno alla metà dell’Ottocento hanno dato il contributo più importante alla medicina.
C’è anche chi in questo approccio evoluzionistico alla medicina ha riconosciuto due periodi temporali precisi che, se in parte dotati di caratteristiche che li contraddistinguono, sono comunque stati caratterizzati dalla ricerca su temi comuni (cause prossime e cause remote della malattia, disadattamento, evoluzione delle malattie infettive, ecc. ) e possono essere quindi considerati un continuum. Il primo, denominato “darwinismo medico”, che va tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni’30 del Novecento. Il secondo, la “medicina darwiniana” vera e propria, dagli anni ’80 del Novecento ai giorni nostri (Zampieri 2006).
Per George Williams, biologo evoluzionista, la medicina evoluzionistica, che si basa su un evoluzionismo di stampo neodarwiniano, sembra essere il naturale proseguimento dei suoi studi. Egli è infatti l’autore di Adaptation and Natural Selection (1966), testo di riferimento del riduzionismo neodarwiniano e del, così definito da chi non lo apprezza, “programma adattamentista”. La selezione naturale viene ritenuta responsabile di tutti gli adattamenti evolutivi e ogni tratto o funzione presente nell’organismo viene considerato nei termini di funzionalità adattativa rispetto all’ambiente in cui è evoluto. Ed è proprio seguendo questa logica che i problemi della medicina vengono affrontati.
Per Randolph Nesse, psichiatra, la medicina darwiniana segna invece l’inizio e la direzione della sua carriera. Insieme a Williams incentra la ricerca sull’eziologia della patogenesi e della diffusione delle malattie nel contesto del programma adattamentista neodarwiniano, che considera il gene come il livello di selezione fondamentale. Quest’ultima caratteristica rende chiara l’idea che quindi ciò che conta è il successo riproduttivo, ossia la capacità di avere la massima trasmissione di geni
alle nuove generazioni. Anche a costo di condizioni di dolore e sofferenza per l’individuo.
L’idea posta alla base della medicina darwiniana è che ogni singolo individuo sia dotato di un programma genetico, espressione di processi storici, filogenetici e ontogenetici. La malattia è sempre una condizione strettamente individuale, dovuta alle incongruenze tra le caratteristiche personali e l’ambiente circostante. Così la medicina evoluzionistica di fatto non fa altro che affrontare le classiche questioni della medicina, dalla ricerca delle cause della malattie alla prevenzione, dalla logica della diagnosi all’identificazione della terapia, ma con un approccio innovativo. In quanto basato su concetti propri delle spiegazioni evolutive, capaci di gettare le fondamenta di una teoria medica unitaria e coerente, in grado di rendere conto delle caratteristiche specifiche degli individui e delle relazioni di questi ultimi con l’ambiente.
Caratteristica principale di questa prospettiva è il prendere in considerazione le “cause remote” o anche dette evolutive o predisponenti, solitamente dimenticate nell’ambito della medicina tradizionale, accanto a quelle “prossime”, nello spiegare le condizioni di salute e malattia. Così insieme alle cause fisiche e chimiche dirette, solitamente di facile osservazione e quindi di semplice spiegazione, vengono prese in considerazione anche i problemi dell’adattamento all’ambiente e le cause storiche. Il fatto che le nostre caratteristiche biologiche e genetiche siano state selezionate in un ambiente totalmente diverso da quello attuale e per rispondere a esigenze assolutamente differenti rispetto a quelle odierne crea un situazione instabile, che può portare allo sviluppo di situazioni comunemente considerate patologiche.
Proprio a causa di questa discordanza tra l’ambiente in cui gli organismi sono evoluti e quello attuale, risulta evidente che un adattamento perfetto alle condizioni ambientali non potrà mai realizzarsi, e quindi neanche una condizione di perfetta salute (Dubos 1959).
Tra gli altri protagonisti dell’approccio evoluzionistico alla medicina Charles Scriver e Barton Childs. Il primo definisce la malattia come una conseguenza disadattativa dell’evoluzione umana (1984) e in profondamente in sintonia con il suo collega Barton Childs (2004), vede la salute e la malattia come fenotipi risultanti dall’interazione tra il genotipo e l’esperienza. Entrambi credono che una nuova logica della medicina possa derivare da una sintesi capace di mettere insieme la nuova genetica, l’approccio evoluzionistico e quello fisiopatologico classico. Così da avere un approccio capace di concettualizzare tutte le malattie, viste come processi che si originano dalle incongruenze genotipo-ambiente, e al tempo stesso di tenere in considerazione l’individualità specifica di ogni paziente, facendo attenzione alle cause remote tanto quanto a quelle prossime.
Il suo contributo alla pratica clinica
La medicina evoluzionistica ha tutte le caratteristiche per avere un importante utilizzo nella pratica clinica e nella sanità pubblica.
L’approccio evoluzionistico alla medicina ha suggerito di ripensare numerose strategie terapeutiche. Infatti, partendo da questo nuovo punto di vista, la malattia viene considerata con occhi totalmente diversi. E di conseguenza anche le terapie. Ad esempio fenomeni quali la febbre possono essere considerati come strategie di difesa messe in atto dall’organismo stesso per facilitare la guarigione. Così si dovrà usare molta cautela nella prescrizione di farmaci atti a far scomparire la febbre. Visto che quest’ultima, in un logica evoluzionistica, ha una sua specifica funzione (Nesse e Williams 1994).
Nel corso degli anni gli studi e le ricerche sono aumentati in maniera esponenziale, e a oggi non mancano i testi che si occupano di riportare ricerche e pratiche mediche di stampo evoluzionistico ( Profet 1992, Donghi 1998, Stearns 1999, Trevathan et al. 1999). Anche per quanto
riguarda malattie e condizioni psichiatriche (Canali e Pani 2003, McGuire e Trosi 2003).
Un campo di particolare successo per l’approccio evoluzionistico è stato sicuramente quello delle malattie infettive (Ewald 1980, 1994), dove le condizioni trattate traggono grandi benefici da una logica di ampio respiro come quella darwiniana, sia dal punto di vista della salute del singolo, sia da quello della salute pubblica.
La tubercolosi rappresenta un caso esemplificativo di come la comunità medica abbia saputo utilizzare una visione evoluzionistica nelle sue strategie terapeutiche. Le linee guida oggi circolanti mostrano un chiaro approccio evolutivo. Esse prescrivono di controllare sempre la risposta del paziente al farmaco, così da evitare l’uso di farmaci ad ampio spettro che possano portare all’evoluzione della resistenza. Raccomandano inoltre di trattare il paziente affetto da tubercolosi con un numero di farmaci variabile da tre a cinque, così da essere sicuri di eliminare tutti i ceppi batterici e diminuire la probabilità che emerga qualche mutazione capace di rinvigorire i batteri. In caso di fallimento della terapia, non aggiungere mai un singolo farmaco, ma sempre almeno due o tre, sempre per evitare di fare nascere ceppi resistenti. Per i pazienti affetti da ceppi resistenti il trattamento deve durare almeno diciotto mesi, così da essere sicuri di averli debellati del tutto. La terapia deve essere effettuata sotto osservazione clinica diretta, ovvero in strutture sanitarie, sotto controllo medico. Così da essere sicuri che il malato non interrompa la terapia, atto che potrebbe magari portare alla nascita di ceppi resistenti.
Il suo contributo al concetto di malattia
L’approccio evoluzionistico comporta una serie di implicazioni epistemologiche per la medicina, che riguardano ovviamente le forme di
spiegazione causale, ma anche la struttura del ragionamento diagnostico e i concetti di salute e malattia.
Dagli anni ’60 in poi uno dei dibattiti fondamentali della filosofia della medicina si è incentrato sulla definizione dei concetti di salute e malattia. Alle definizioni naturalistiche, che puntano a spiegare la malattia sulla base di funzioni o strutture biologiche che non consentono all’organismo di funzionare come dovrebbe, sono state contrapposte quelle normative o socio-culturali, che tendono a riferirsi alle dimensioni culturali e collettive della salute e della malattia, salute e malattia sono relative, dipendono dal contesto culturale, politico, economico, ecc.
James Lennox ha cercato di superare questa dicotomia sostenendo che i concetti di salute e malattia possono essere messi in relazione con la capacità o meno di perseguire con successo gli scopi vitali (1995).
Il punto di vista evoluzionistico permette di superare queste divisioni e attraverso l’applicazione delle strategie che le sono proprie è in grado di combinare le istanze delle definizioni naturalistiche e normative. Esso infatti permette di arrivare a una definizione funzionale e al tempo stesso storica dei concetti di salute e malattia, basandosi sia sulla teoria dell’evoluzione che sulle istanze e sulle esperienze individuali. Se le malattie non sono nient’altro che incongruenze tra l’organismo individuale e qualche aspetto dell’ambiente, esterno o interno, la malattia non sarà un’entità. Bensì la sua origine risiederà nelle deviazioni quantitative cha hanno cause remote predisponenti.
Se si vuole costruire una definizione naturalistica dei concetti di salute e malattia, si finisce per forza a confrontarsi con il problema dei valori, visto che i suddetti concetti ne sembrano essere naturalmente carichi. Lo stesso Nesse si è impegnato nel dibattito relativo alla definizione del concetto di malattia da una prospettiva evoluzionistica (2001). Egli, a fronte di questa situazione, caratterizzata da posizioni a suo giudizio solo apparentemente inconciliabili, suggerisce che studiando il corpo e le sue vulnerabilità, partendo da un punto di vista
evoluzionistico, si possa raggiungere una base oggettiva dalla quale partite per determinare quando una condizione può essere definita patologica o meno. La malattia viene identificata con il dolore e la disabilità. Così risulta evidente che non si può prescindere da un giudizio di valore, in quanto il dolore e la disabilità sono condizioni indesiderabili. Riguardo ai giudizi di valore, anche se è vero che esistono solo nelle nostre menti evolute, è però altrettanto corretto sostenere che tali giudizi negativi nei confronti della sofferenza non siano arbitrari, bensì plasmati dalla selezione naturale. Per lui l’approccio naturalistico e quello normativo non sono mutualmente esclusivi. La malattia può riferirsi a condizioni fisiche oggettive e al tempo stesso l’interpretazione e la valutazione di queste condizioni possa variare, anche in maniera considerevole, da cultura a cultura. A suo giudizio non ci serve una mera definizione del concetto di malattia, bensì un’analisi causale, che ci chiarisca che cos’è, da dove viene, se è necessaria e se può essere prevenuta. Alla base della nozione semplice di malattia c’è l’idea che qualcosa vada male nel corpo, che qualche meccanismo lavori male. Ciò implica che noi dobbiamo sapere cosa vuol dire “lavorare bene”. E che quindi sappiamo riconoscere ciò che è normale. Questo in alcuni casi è abbastanza facile, in altri molto meno. Casi esemplari ne sono la gravidanza o la depressione. Quindi la difficoltà qui è nel capire cosa è “normale”. Riferirsi alla normalità statistica non basta. Così secondo Nesse bisogna invece capire come lavora il corpo e come è arrivato a lavorare in questo modo. Tenendo sempre ben presente come il corpo è stato plasmato dalla selezione naturale e per che cosa.
Questo approccio permette una fondazione naturalistica dei valori e ma al tempo stesso di concludere che la maggior parte delle malattie hanno uno status oggettivo, indipendente dai nostri valori.
Nel dicembre 2001, in occasione del decennale della pubblicazione del saggio di Williams e Nesse (1991) ritenuto l’atto fondativo della medicina darwiniana, Stephen Stearns e Dieter Ebert pubblicavano un articolo sugli sviluppi e sui progressi fatti dalla medicina evoluzionistica nei dieci anni precedenti, “Evolution in health and disease: work in progress”. Notando quante nuove idee erano state portate nel campo medico dal nuovo approccio.
Ora non ci rimane che aspettare il 2011, per vedere se la prospettiva evoluzionistica riuscirà ad entrare sempre più concretamente nella vita quotidiana della filosofia della medicina.
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