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Nella proposta teorica denominata “ecologia dei saperi”, uno dei pilastri della “epistemologia del Sud” di De Sousa Santos, l'autore afferma che “non vi è ignoranza o conoscenza in generale; tutta l'ignoranza è ignoranza di una determinata conoscenza, e tutta la conoscenza è il trionfo di un'ignoranza in particolare” (Santos 2011). Gli fa eco Morin, sostenendo che l'approccio occidentale all'istruzione iperspecializzata sostituisce le antiche ignoranze con una nuova cecità, che conosce solo il calcolo come forma di conoscenza (occultando le realtà affettive degli esseri umani) e che si nutre dell'idea che la razionalità determini lo sviluppo (confondendo razionalizzazione tecnoeconomica e razionalità umana) (Morin 1993). Secondo Santos, apprendere alcune modalità di conoscenza può implicare il dimenticarne altre; in altre parole, l'ignoranza non è necessariamente lo stato originario o il punto di partenza: può essere anche il punto di arrivo (Santos 2011).

Utilizziamo questo spunto di entrata per continuare sul filone di riflessione inaugurato all'insegna delle relazioni tra produzione di conoscenza (medico-scientifica) e “mondo”, focalizzandoci su un particolare portato profondo dell'approccio occidentale alla salute ovvero la sua riduzione alla dimensione individuale. Bauman afferma che la storia europea tratta il proprio riduzionismo come se fosse un processo di continuo miglioramento, di elevazione dell'uomo-razionale sull'uomo- animale e del suo trionfo sul caos violento della vita (Bauman 2010). E così appare anche per la salute, laddove le tendenze riduzioniste continuano ad approfondirsi verso un individualismo sempre più spinto e particolare. “Personalised health care” e farmacogenomica sono solo due degli aspetti che questa tendenza assume nel mondo attuale della ricerca. Non si tratta di fare una critica tout court di questi approcci, piuttosto di sottolineare come essi occupino uno spazio mediatico, politico (investimenti ideologici) ed economico (investimenti economici) dominante. La lettura del principale programma di ricerca europeo Horizon 2020 nelle aree dedicate alla salute è sufficiente per dimostrare quanto sopra, come sottolineato in una lettera aperta scritta dalle principali società scientifiche di epidemiologia e sanità pubblica europee (IEA, ISEE, EUPHA 2013).

Ma la tendenza a vedere la salute solo come portato individuale è più profonda, come sottolineato efficacemente da numerosi autori soprattutto di scuola latinoamericana. Per esempio, anche nelle più recenti “aperture” della produzione scientifica di sanità pubblica verso una considerazione adeguata dei fattori sociali come determinanti di malattia (WHO 2008), questi vengono considerati come variabili con ricadute sull'individuo; specularmente, il campo sociale è concepito come mera sommatoria di individui e non nelle sue proprietà specifiche di ambito collettivo (Breilh 2013). Il concetto di “determinazione sociale”, introdotto da Laurell e divenuto uno dei tratti caratteristici della Medicina Sociale latinoamericana, ci aiuta a mettere a fuoco la questione. Laurell parla di “processo salute-malattia” come fenomeno collettivo e fatto sociale, in quanto si manifesta in maniera più evidente a livello della collettività e non dell'individuo. La comprensione del carattere

storico e sociale del processo salute-malattia ha come soggetto il gruppo, non per il fatto che esso è costituito da molti individui, ma perché consente di osservare e conoscere la dimensione sociale dell'unione di più individui, che cessano di essere analizzati come entità biologiche giustapposte. Lo sguardo si focalizza dunque sul processo salute-malattia degli individui in gruppo, considerati come entità collettiva. Benché lo studio concreto sugli esiti in salute si realizzi a livello dei singoli individui, questo deve andare di pari passo con lo studio più ampio volto a consentire un'interpretazione dei dati non in relazioni ai singoli, bensì al gruppo (Laurell 1983).

Il concetto di collettivo è fondante per l'area denominata “Salute Collettiva”, che è parte della Medicina Sociale latinoamericana e che ha trovato terreno fertile di sviluppo soprattutto in Brasile (Nunes 1994). L'oggetto della Salute Collettiva si colloca al confine tra le sfere biologica e sociale, e comprende lo studio dei determinanti della produzione sociale di malattia e dell'organizzazione dei servizi di salute, così come lo studio della storicità dei saperi e delle pratiche su questi determinanti. Il carattere interdisciplinare dell'oggetto di studio suggerisce un'integrazione a livello di conoscenza e di strategie volta al coinvolgimento di professionisti con background differenti (Osmo e Schraiber 2015). Caratterizzata da spiccata autoriflessività, la Salute Collettiva non intende la produzione di conoscenza come frutto del contatto con una realtà data, ma come parte di un processo di comprensione delle sue leggi e di impegno nei confronti delle forze capaci di trasformarla (Paim e Almeida Filho 1998).

La Salute Collettiva si organizza come campo di saperi e di pratiche in contrapposizione alle esistenti aree della Medicina Sociale e della Salute Pubblica che in Brasile, alla metà del XX secolo, erano pratiche di approccio igienista-sanitario orientate al disciplinamento degli individui e al controllo della popolazione (Paim e Almeida Filho 1998). Secondo Nunes, l'emergere di questo progetto riflette il più ampio contesto socioeconomico e politico-ideologico, così come le successive crisi manifestatesi tanto a livello epistemologico quanto a livello di pratiche sanitarie e di formazione dei professionisti della salute (Nunes 1994). Il dibattito sulla Salute Collettiva prende infatti piede intorno agli anni Settanta, un periodo di forti agitazioni sociali e tensioni verso il cambiamento. C'è la spinta ad ampliare il concetto di salute, superando il riduzionismo naturalista della salute pubblica, e costruire una lettura sociale che possa estendere il campo sanitario al di là dell'approccio igienista ereditato da una certa medicina sociale. La rottura con la visione della Salute Pubblica si dà nella negazione del monopolio del discorso biologico nel campo della salute (Guimarães 2016). Non si tratta semplicemente di una critica e una proposta avanzate sul piano del sapere, bensì di un processo politico e sociale profondamente connesso a pratiche politiche e a istanze riformiste.

Cohn, in una ricostruzione storica del processo di riforma sanitaria in Brasile, insiste sulla scelta del termine “salute”, in contrapposizione a “medicina” e a sottolineare l'ampliamento dell'oggetto e dunque del campo, e del termine “collettivo” anziché “sociale”, puntando a sottolinearne la processualità e la non specificità intrinseche (Cohn 1989). Per l'autrice, la dimensione della non

specificità è una caratteristica importante per comprendere la natura progettuale (e non programmatica) della Salute Collettiva. Guimarães aggiunge che la non specificità evidenzia la processualità del campo, la tensione che si pone in essere su di un piano di forze, e la sua non conclusività (Guimarães 2016).

In questa prospettiva, il collettivo non si connota per le sue proprietà estensive (descrizione di gruppo) bensì per quelle intensive (potenza istituente). La teoria dell'analisi istituzionale definisce l’istituzione come il prodotto di un confronto permanente tra l’istituito (ciò che c’è già, ciò che cerca di mantenersi) e l’istituente (le forze di sovversione, di cambiamento) (Hess e Weigand 2008). Castoriadis pone alla base del momento istituente una tensione “immaginaria”, e parla di “istituzione immaginaria della società” come creazione frutto di un immaginario collettivo anonimo, prendendo le distanze da concezioni funzionaliste che riducono le istituzioni alla sola funzione di soddisfacimento dei bisogni umani. Riprendendo Castoriadis, Dardot e Laval associano al momento istituente la capacità di creare significazioni interamente originali (Dardot e Laval 2015).

4. Il collettivo come processo istituente: i movimenti sanitari in