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PARTE II. QUESTIONI GIURIDICHE

15. La tassazione dei redditi di natura finanziaria

Come è noto, il d.lgs. n. 461/1997, in attuazione della legge delega n. 662/1996, ha ridisegnato il sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria, nozione che ha valore descrittivo e non definitorio e che comprende i redditi di capitale e talune fattispecie contenute nei redditi c.d. “diversi”.

Il d.lgs. 461/1997 ha invero mantenuto la dicotomia propria del TUIR, nella tassazione dei redditi di natura finanziaria, tra redditi di capitale, riconducibili alla nozione di reddito prodotto, e redditi diversi, riconducibili alla nozione di reddito entrata.

Tuttavia, essa ha inciso sull’estensione della stessa nozione di reddito di capitale, delineando all’art. 44, lett. h), TUIR una norma residuale di notevole rilievo sistematico.

Tale ultima disposizione, infatti, esce dal precedente schema normativo (anteriore al d.lgs. n. 461/1997) dei proventi «in misura definita derivanti dall’impiego di capitali»

per rivolgersi a qualsiasi rapporto avente per oggetto l’impiego di capitale. Tale disposizione si chiude con l’inciso «esclusi i rapporti attraverso cui possono essere rea-lizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto»,

(127) Sul punto, Allegato 2 – Proposte fiscali di semplificazione e razionalizzazione normativa e per la ripartenza e lo sviluppo, Audizione CNDCEC (2021), p. 7.

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ricollegandosi, in forma circolare, all’ulteriore previsione di cui all’art. 67, co. 1, lett c-quinquies, TUIR, che attrae ai redditi diversi «le plusvalenze e gli altri proventi, diversi da quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in di-pendenza di un evento incerto».

Restano in tal modo attratti alla disciplina dei redditi diversi quei proventi che, pur implicando un impiego del (o una provvista di) capitale, sono caratterizzati dall’incertezza del risultato economico, intesa come possibilità che da detto impiego scaturisca un differenziale negativo o positivo. Si tratta dei redditi di natura finanziaria che vengono definiti “da capitale”, in contrapposizione con quelli “di capitale”

disciplinati dall’omonima categoria reddituale.

La nuova sistemazione dei redditi di capitale appena delineata, pur giuridicizzando il fenomeno economico di incremento conseguente ad un impiego di capitale, lascia ferma la parte tradizionalmente riferibile al “frutto civile” (art. 820 c.c.), inteso come corrispettivo derivante dalla concessione in godimento del capitale, comprensiva degli interessi e dei dividendi, ricadendo invece i “differenziali” tra il costo del titolo e il ricavo conseguito per effetto della sua negoziazione – le c.d. plusvalenze – nell’ambito dei redditi diversi.

In sintesi, la prima categoria dei redditi “di capitale”, corrisponde, tendenzialmente, all’ambito dei frutti civili, in cui l’incremento di ricchezza deriva direttamente dal capitale per effetto di negozi giuridici che ne hanno ad oggetto l’impiego, secondo lo schema del reddito c.d. prodotto; la seconda categoria, dei redditi c.d. “da capitale”, corrisponde invece all’ambito delle plusvalenze e dei differenziali positivi da contratti derivati, essendo qui la derivazione da uno specifico impiego solo indiretta ed eventuale, pur riscontrandosi una relazione con un impiego (o anche una provvista) di capitale, secondo lo schema del reddito entrata.

Ebbene, più audizioni hanno rilevato come sia giunto il momento di procedere all’unificazione delle due categorie in cui attualmente i redditi di natura finanziaria sono allocati.

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Il problema principale è che per i redditi di capitale non è riconosciuta alcuna deduzione, essendo pertanto irrilevanti le c.d. “perdite di capitale”, mentre nel caso dei redditi diversi di natura finanziaria rilevano anche le minusvalenze. Pertanto, nel regime cd. di “risparmio amministrato” l’intermediario presso cui si trovano i titoli applica un’imposta sostitutiva del 26% su ogni singola operazione da cui derivano plusvalenze su partecipazioni non qualificate o altri redditi diversi di natura finanziaria, al netto delle minusvalenze realizzate nell’ambito del medesimo rapporto di custodia titoli su operazioni precedenti, ma eventuali redditi di capitale realizzati nell’ambito di tale rapporto sono autonomamente tassati. Solo il regime c.d. di “risparmio gestito”

consente di compensare redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria (c.d.

“compensazione eterogenea”), facendo riferimento alla differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare ed il valore dello stesso all’inizio dell’anno solare (dunque al netto di minusvalenze, perdite di capitale e spese). Se in un anno il risultato della gestione è negativo, il corrispondente importo è computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto per l’intero importo che trova capienza in essi.

Come rilevato nel documento di studio più recente e completo oggi disponibile sull’argomento (128), questa caratteristica, derivante dalla separata classificazione dei redditi finanziari tra redditi di capitale e redditi diversi, risulta obsoleta e suscettibile di creare rigidità nelle scelte di portafoglio, pregiudicando così ulteriormente l’efficienza del mercato dei capitali e determinando iniquità nella ripartizione del carico tributario (129).

Particolarmente grave è poi l’anomalia dei fondi comuni di investimento, essendo i relativi proventi classificati tra i redditi di capitale e le perdite tra i redditi diversi, potendo dunque le ultime essere utilizzate in compensazione solo quanto vengano realizzati redditi di tale ultima categoria (130).

(128) Si allude al già richiamato documento Redditi finanziari. Distorsioni del sistema impositivo e prospettive di riforma, redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Domenico Muratori e composto da V. Ceriani, G. D’Alessio, C. Lo Porto, N. Manuti, F. Marchetti e L. Zaccaria, nell’ambito del

“Laboratorio Fiscale”.

(129) Ivi, p. 21.

(130) Ivi, p. 24.

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Ma la stessa tassazione per maturazione risulta da ripensare, perché anticipa la tassazione su plusvalori ancora latenti e sui ratei di interesse, oltre a risultare distorsiva quando l’andamento dei mercati sia particolarmente volatile.

Molti risparmiatori italiani sono ancora “scottati” dalle rilevanti imposte pagate prima dei crolli di borsa del 2008 e del 2011 calcolati su incrementi del patrimonio poi volatilizzati e ciò spiega una perdurante avversione verso gli investimenti in fondi e gestioni azionarie.

Occorre dunque superare la distinzione tra redditi di capitale e diversi e rendere fiscalmente rilevanti le “perdite di capitale”, convergendo su una tassazione del

“realizzato”, che tassi solo redditi effettivamente conseguiti (131).

Si renderà necessario intervenire, come già anticipato, anche sulla tassazione degli utili societari, oggi caratterizzati da una doppia imposizione economica e che vedono una irragionevole equiparazione nella tassazione tra soci qualificati e non qualificati.