• Non ci sono risultati.

La tecnica ORIF nelle fratture di pilone tibiale

Capitolo 3: Approccio terapeutico alle fratture di pilone tibiale

3.4 Interventi chirurgici

3.4.4 La tecnica ORIF nelle fratture di pilone tibiale

Come già detto, la sigla ORIF indica “Open Reduction and Internal Fixation”, ossia l’osteosintesi interna a cielo aperto, che si realizza mediante l’ausilio di placche o viti. La tecnica ORIF è la tecnica perlopiù preferita per il trattamento definitivo delle fratture di pilone tibiale, in quanto permette una migliore ricostruzione anatomica della superficie articolare; a seconda dello stato dei tessuti molli decideremo se trattare subito la frattura con tecnica ORIF o se eseguire un intervento provvisorio di fissazione esterna rimandando il trattamento definitivo.A causa della notevole varietà di quadri clinici che si possono avere all’interno delle fratture di pilone tibiale, questo tipo di intervento assumerà diversi aspetti e peculiarità da caso a caso.

Per il trattamento delle fratture che coinvolgono soprattutto il pilastro mediale della tibia o che interessano il margine tibiale anteriore si opta in genere per un approccio anteromediale in quanto permette di accedere al malleolo mediale e ai terzi mediale e anteriore della porzione anteriore dell’articolazione tibio-talare. Giunti quindi a livello dell’articolazione della caviglia tramite questo accesso, la si incide anteriormente e la si apre; identifichiamo i frammenti ossei e si riducono secondo le tecniche standard. Le fratture con split semplice andrebbero trattate con viti a compressione posizionate perpendicolarmente alla rima di frattura e con una placca di neutralizzazione che

43

prevenga lo scivolamento anteriore dei frammenti ossei (per esempio una placca 1/3 tubolare). In caso di impattamento articolare si disimpattano i frammenti articolari e l’osso subcondrale, si riducono e si stabilizzano temporaneamente con fili di Kirschner; la riduzione della superficie articolare viene quindi colmata con innesti ossei ottenuti dalla tibia prossimale o dalla cresta iliaca; si ottiene infine una stabilizzazione definitiva con viti a ritardo indipendenti che saldano tra loro i frammenti articolari, con una placca anatomica per la metafisi mediale con viti di bloccaggio o con una piccola placca anteriore. Per assicurarsi di aver ottenuto un’ottimale riduzione della superficie articolare risulta indispensabile il controllo fluoroscopico intraoperatorio. Il retinacolo degli estensori e il sottocute vengono suturati con fili riassorbibili e la cute viene suturata a punti staccati.

Per le fratture che coinvolgono soprattutto il pilastro laterale della tibia (tra cui le fratture con distacco del tubercolo anterolaterale della tibia, dette di Tillaux-Chaput) si utilizza usualmente l’approccio anterolaterale, che permette inoltre un ottimo accesso alla fibula; nel caso in cui tuttavia la rima di frattura sia obliqua e da posterolaterale si faccia anteromediale si preferisce utilizzare l’approccio anteromediale In caso di frattura contemporanea di perone, è preferibile generalmente procedere in primo luogo alla sintesi della tibia e solo successivamente a quella del perone: in questo modo si può infatti dislocare la fibula così da ottenere una miglior esposizione della tibia. In realtà su quest’ultimo punto, ossia se sia più conveniente sintetizzare prima la frattura di tibia o prima la frattura di fibula, non esiste consenso unanime: vi è infatti chi sostiene invece che stabilizzare una frattura di perone semplice in prima battuta possa successivamente facilitare il chirurgo nell’allineamento della tibia fratturata. Il chirurgo può quindi procedere in entrambi i modi a sua discrezione, valutandone i rispettivi vantaggi e svantaggi. Giunti a livello dell’articolazione, si visualizza l’inserzione laterale sulla fibula del legamento sindesmotico anteriore e si segue medialmente fino all’inserzione sul cosiddetto frammento anterolaterale di Tillaux- Chaput; questo frammento (generalmente grande) viene ruotato temporanemente lateralmente per permettere l’esposizione e la riduzione della superficie articolare e del

44

pilastro posteriori. La superficie articolare viene disimpattata e ridotta anatomicamente, spesso procedendo in senso postero-anteriore e latero-mediale. Si posizionano fili di Kirschner per mantenere temporaneamente la stabilizzazione e innesti ossei autologhi per colmare la superficie articolare ridotta. La riduzione dei pilastri posteriore e laterale richiede un’ulteriore esposizione prossimale dell’articolazione che può essere ottenuta innalzando il contenuto del compartimento anteriore. Si posiziona una placca anatomica metafisaria anterolaterale con viti bloccanti subito prossimalmente al margine articolare distale della tibia lungo la superficie laterale della tibia. Si riduce e stabilizza infine il perone con una placca 1/3 tubolare.

Nel caso in cui la frattura coinvolga più o meno diffusamente tutti e tre i pilastri (laterale, mediale e posteriore) della tibia si dovrà optare per un intervento con doppio accesso chirurgico, uno anteromediale e uno anterolaterale, oppure sfruttare il cosiddetto “accesso estendibile”, attraverso il quale possiamo accedere a tutti i pilastri mediante un’unica incisione. Quest’ultimo tipo di fratture sono perlopiù gravi e importanti, frequentemente accompagnate da forte comminuzione con frammenti articolari incastonati nella metafisi e forte sofferenza dei tessuti molli; ciò fa sì che sia praticamente sempre necessaria una stabilizzazione temporanea con un fissatore esterno a ponte. In questo tipo di fratture risulta particolarmente importante fare un accuratissimo planning preoperatorio in quanto il trattamento di esse risulta ancora oggi particolarmente problematico. Per l’intervento, una volta giunti a livello dell’articolazione tibio-talare, si procede alla riduzione progressiva della superficie articolare, spesso spostando un eventuale frammento del pilastro laterale (il cosiddetto frammento di Tillaux Chaput), procedendo dal dietro verso l’avanti e dal lato laterale verso il lato mediale. Una volta che il blocco articolare è stato ricostituito dopo essere stato temporaneamente fissato con fili di Kirschner, si può procedere alla sua unione con i frammenti prossimali della tibia; non è strettamente necessario ridurre anatomicamente la metafisi e la diafisi della tibia, ma è sufficiente ripristinarne la lunghezza e l’allineamento. Il tipo di placca impiantato dipende dal tipo di frattura;

45

spesso si impiantano due placche, una mediale e una anterolaterale. Nel caso in cui si decida di usare una sola placca andrebbe posizionata sul lato in compressione perché possa agire come contrafforte (cioè, nel caso abbia uno sforzo in varo dovrò posizionarla sul lato concavo, ossia quello mediale, se in valgo sul lato anterolaterale) e prevenire il collasso della struttura. Nel caso di estensione prossimale della frattura si fa scivolare la placca al di sotto della incisione per via sottocutanea. I fori della placca possono essere facilmente palpati e le viti inserite tramite piccole incisioni. I difetti metafisari vengono colmati con trapianti autologhi di osso. Il perone in questi casi viene ridotto e stabilizzato sempre dopo la tibia.18

46

Documenti correlati