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Capitolo 4: Protocollo di studio

4.3 Risultati

I pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di frattura di pilone tibiale e sono stati trattati chirurgicamente all’interno dell’Unità Operativa del reparto di Ortopedia e Traumatologia I nel periodo che va da gennaio 2014 a settembre 2017 (ossia i pazienti appartenenti alla prima coorte) sono stati 30 con età media di 47 anni, da un minimo di 16 anni a un massimo di 79. Le decadi d’età più rappresentate sono la quinta e la sesta decade, che costituiscono rispettivamente il 20% e il 23% del campione; seguono in ordine di percentuali la seconda, la quarta e la ottava decade d’età (rappresentando

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ciascuna un 13% del campione), la terza (10%) e la settima (7%) (Grafico 1). I componenti del campione sono in maggioranza di sesso maschile (77% di maschi contro 23% di femmine).

GRAFICO 1:DISTRIBUZIONE DEI PAZIENTI PER DECADI DI ETÀ NELLA PRIMA COORTE

I traumi alla base della frattura sono stati per il 63% ad alta energia: vi sono stati 12 fratture dovute a incidenti stradali (40%), 5 dovute a cadute dall’alto (17%), 2 dovute a un trauma da schiacciamento (7%); di quest’ultimi casi uno è stato conseguente al ribaltamento di un trattore, l’altro a un infortunio sul lavoro durante la movimentazione di un carico di tondini ferro al porto. Nei restanti 11 casi (37%) le fratture sono state secondarie a traumi a bassa energia: si tratta perlopiù di traumi in attività sportiva (sci, partite di calcetto, cadute dalla bici, lezione di ginnastica a scuola) o in ambito domestico. In 8 casi il paziente presentava solamente la tibia fratturata (27%), mentre in altri 15 vi era una contemporanea frattura del perone (50%); 4 pazienti, di cui uno con frattura bilaterale della tibia, sono stati ricoverati come politraumi (13%) e altri 2 presentavano altre fratture associate, non del perone (in un caso una frattura del femore, nell’altro una frattura del polso). Il 36,67% delle fratture è risultato essere extra- articolare e il restante 63,33% articolare; di quest’ultime 11 (58%) sono state classificate tipo III secondo la classificazione di Ruedi-Allgower, 4 (21%) tipo II e 4 (21%) tipo I. In 6 casi la frattura è risultata esposta (20%) (Grafico 2).

54 GRAFICO 2:DISTRIBUZIONE DEI TIPI DI FRATTURA SECONDO LA CLASSIFICAZIONE DI RUEDI-ALLGOWER NELLA PRIMA COORTE

Due casi sono stati considerati per motivi diversi poco utili allo studio per quanto concerne le indagini sui risultati delle tecniche chirurgiche: nel primo caso il motivo di ciò è riconducibile al fatto che il paziente fosse di nazionalità olandese e che a Pisa sia stato operato unicamente con un intervento di osteosintesi esterna e non più seguito; nel secondo caso invece il paziente oltre alla frattura del pilone tibiale ha subito una frattura vertebrale che lo ha reso paraplegico e, poiché per tali circostanze il caso si è trovato ad assumere peculiarità e specificità particolarmente distanti dal resto dei casi, si è preferito escludere questo paziente dal campione. Il 79% dei restanti casi di frattura di pilone tibiale è stato trattato con osteosintesi interna a cielo aperto; di queste il 64% è stato trattato in via definitiva con un singolo intervento chirurgico, nel restante 36% si è reso necessario invece fare anche un intervento di osteosintesi temporanea, utilizzando quindi l’approccio chirurgico a due stadi. Il 21% dei pazienti è stato trattato invece definitivamente con un intervento di osteosintesi esterna: di questi solo in un caso si è intervenuti con un singolo intervento chirurgico applicando un fissatore esterno semplice; nei restanti casi si è invece utilizzato un fissatore esterno ibrido, che prevede cioè anche una minima osteosintesi interna, installato successivamente ad un intervento di osteosintesi temporanea.

Il tempo medio intercorso dall’accesso del paziente al pronto soccorso all’ingresso in sala operatoria per l’intervento definitivo è stato di 149 ore (poco più di 6 giorni), da

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un minimo di 4 ore a un massimo di 1 mese, mentre gli interventi chirurgici definitivi sono durati mediamente 109 minuti (circa 1:50h), con un minimo di 40 minuti e un massimo di 3 ore e mezza. Il tempo necessario alla guarigione è stato mediamente 5 mesi, con un minimo di 2 mesi e un massimo di 11.

Vi sono stati 4 casi di infezione profonda (7,5%) che hanno comportato un ritardo di guarigione della frattura e la formazione di una pseudoartrosi ipertrofica; in tutti questi casi il paziente era stato precedentemente trattato con osteosintesi interna a cielo aperto e si è reso necessario eseguire un’ulteriore operazione chirurgica per rimuovere i mezzi di sintesi interni e operare una toelettatura della regione infetta, seguita da una terapia antibiotica impostata sulla base dell’esame microbiologico colturale e del relativo antibiogramma. In un caso si è riscontrata l’infezione superficiale dei tramiti del fissatore esterno da parte di larve di mosca carnaria. In un caso infine è avvenuta una malunione con formazione di un angolo patologico in retroversione di 159°. Non vi sono stati casi in cui si sia reso necessario eseguire l’amputazione chirurgica dell’arto. Siamo riusciti a contattare telefonicamente il 60% del campione; i risultati ottenuti dalla compilazione dell’IOWA Ankle Score sono stati per il 71% eccellenti o buoni, mentre per il 29% discreti o pessimi. Dal punto di vista radiografico i risultati eccellenti o buoni sono invece stati il 76% del campione totale, mentre quelli discreti o pessimi il 24%.

I pazienti raccolti nella seconda coorte sono invece 75. Questi presentano un’età media di 49 anni, con un minimo di 16 anni e un massimo di 80. 50 pazienti sono di sesso maschile (66,7%) e 25 di sesso femminile (33,3%). Il trauma alla base della frattura nel 73% è ad alta energia; di questi 52 casi sono dovuti a incidenti stradali (72%), 16 a cadute dall’alto (22%) e 4 a traumi da schiacciamento (6%). Nell’80% dei casi erano presenti altre fratture associate; solo 2 casi hanno subito un politrauma e solo in un caso la frattura di pilone tibiale era bilaterale. In 11 casi le fratture erano esposte (14,6%). Le fratture extra-articolari sono state il 36%, mentre le articolari il 64%; di quest’ultime 15 sono state classificate di tipo I secondo la classificazione di Ruedi- Allgower (31%), 12 di tipo II (25%) e 21 di tipo III (44%) (Grafico 3).

56 GRAFICO 3:DISTRIBUZIONE DEI TIPI DI FRATTURA SECONDO LA CLASSIFICAZIONE DI RUEDI-ALLGOER NELLA SECONDA COORTE

I risultati dal punto di vista radiografico sono stati per l’84% eccellenti o buoni, per il 16% discreti o pessimi. Il tempo di guarigione medio è stato di 4 mesi, da un minimo di 3 mesi a un massimo di 5. In 4 casi è stato necessario reintervenire chirurgicamente: in 2 casi si sono inserite delle viti per migliorare la stabilità del sistema lasciando in sede il fissatore esterno; negli altri 2 si è reso necessario convertire l’intervento di osteosintesi esterna in un intervento di osteosintesi interna a cielo aperto. Nel 30% si sono verificate infezioni superficiali dei tramiti; non vi sono stati casi di infezione profonda né di casi in cui sia stato necessario eseguire l’amputazione dell’arto.

Passando poi all’analisi statistica inferenziale, abbiamo confrontato la media, per le variabili continue (Tabella 1), e il rischio relativo, per le variabili categoriche (Tabella 2), di tutti i supposti fattori di rischio ricercati nella prima coorte tra i pazienti che hanno avuto complicanze post-chirurgiche e i pazienti che invece non le hanno avute: abbiamo trovato una differenza statisticamente significativa tra l’età media dei pazienti che hanno avuto complicanze e quella dei pazienti che non l’hanno avute; tutte le informazioni restanti, con i dati a nostra disposizione, non sono invece risultate statisticamente significative. Abbiamo notato tuttavia come la maggiore incidenza di fratture nelle fratture esposte da noi riscontrata sia prossima al livello di significatività (p=0.091).

57 TABELLA 1:DIFFERENZA DELLE MEDIE DEI FATTORI DI RISCHIO TRA I PAZIENTI CON COMPLICANZE POST-CHIRURGICHE E I

CONTROLLI

TABELLA 2:PROBABILITÀ DI ASSOCIAZIONE DELLE VARIABILI CATEGORICHE CON COMPLICANZE POST-CHIRURGICHE*

Abbiamo poi compiuto la stessa operazione confrontando la media, per le variabili continue (Tabella 3), e il rischio relativo, per le variabili continue (Tabella 4), dei fattori di rischio ricercati nella prima coorte tra i pazienti che hanno mostrato un risultato clinicamente discreto o pessimo secondo l’Iowa Ankle Score e coloro che l’hanno mostrato eccellente o buono. In questa seconda analisi abbiamo trovato una differenza significativa dal punto di vista statistico tra i due sottogruppi sopra descritti per quanto riguarda il tempo intercorso dal momento del trauma al trattamento definitivo della frattura. Sottolineiamo inoltre come anche la differenza dei mesi necessari alla guarigione radiografica delle fratture tra i due sottogruppi sia prossima al livello di significatività (p=0.071).

* Come è possibile notare, il valore di p per il fumo e per il sesso maschile (e successivamente nella Tabella 4 i valori di p per il fumo, il BMI<25 e la glicemia>125mg/dl) è risultato essere uguale a 1. Ciò non significa che la probabilità p sia uguale a 1; il test di Fisher può dare risultati non significativi in termini di probabilità in caso di valori troppo elevati del valore di p.

58 TABELLA 3:DIFFERENZA DELLE MEDIE DEI FATTORI DI RISCHIO TRA I PAZIENTI CON RISULTATI CLINICAMENTE DISCRETI/PESSIMI

E ECCELLENTI/BUONI

TABELLA 4:PROBABILITÀ DI ASSOCIAZIONE DELLE VARIABILI CATEGORICHE CON I RISULTATI CLINICAMENTE DISCRETI/PESSIMI

Si è calcolato quindi il coefficiente di Pearson al fine di valutare una eventuale esistenza di una relazione lineare tra le variabili continue analizzate come potenziali fattori di rischio e il punteggio dell’IOWA Ankle Score (Tabella 4). Le correlazioni risultate dai nostri calcoli sono tutte risultate deboli, a eccezione di quella per l’età che è risultato essere moderata (coefficiente di Pearson= -0.44).

TABELLA 5:COEFFICIENTI DI PEARSON DELLE CORRELAZIONI TRA FATTORI DI RISCHIO RICERCATI E I PUNTEGGI DELL'IOWA ANKLE SCORE

Abbiamo infine confrontato i tassi di complicanze post-chirurgiche totali (Tabella 6) e i risultati dal punto di vista radiografico (Tabella 7) tra i pazienti trattati definitivamente con osteosintesi esterna e i pazienti trattati con tecnica ORIF. In questo caso, sia i tassi di complicanze che i tassi di risultati discreti e pessimi delle rispettive tecniche

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chirurgiche non hanno mostrato differire in modo significativo dal punto di vista statistico.

TABELLA 6:CONFRONTO DEI TASSI DI COMPLICANZE POST-CHIRURGICHE TOTALI TRA OSTEOSINTESI ESTERNA E INTERNA DEFINITIVE

TABELLA 7:CONFRONTO TASSI DEI RISULTATI DISCRETI E PESSIMI DAL PUNTO DI VISTA RADIOGRAFICO TRA OSTEOSINTESI ESTERNA E INTERNA DEFINITIVE

A conclusione di tutto, si precisa come vi sia stata praticamente una perfetta coincidenza tra risultati clinici e radiografici nei pazienti trattati (si segnala un solo caso trattato con fissatore esterno che pur avendo un buon risultato dal punto di vista radiografico si è ritrovato a dover modificare le proprie abitudini e stili di vita lamentando un risultato non soddisfacente dal punto di vista clinico).

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