• Non ci sono risultati.

CAPITOLO TERZO

3.2 La trasformazione in trust dell’impresa formalmente in bonis

3.3.1 La trasformazione in trust della società in liquidazione

Altra fattispecie da analizzare è la situazione della società la quale, non trovandosi più nelle condizioni per stare nel mercato, è costretta dalla legge o decide volontariamente di uscirne trovandosi in stato di liquidazione.

La procedura di liquidazione di una società è disciplinata della legge in relazione alla tutela dell’affidamento dei terzi e nello specifico del ceto creditorio, che si realizza quando l’ente è costituito. Si pensi al particolare regime che il legislatore pone in caso di declaratoria di nullità del contratto sociale: in siffatta ipotesi, mentre ordinariamente le cause di nullità comportano che il negozio che ne è affetto sia escluso dall’ordinamento, come se mai fosse esistito, nel caso di nullità del contratto sociale che abbia già avuto adeguata pubblicità per i terzi attraverso l’iscrizione del registro delle imprese la risposta legislativa è differente. Non solo le cause di nullità stesse sono limitate a tre soli casi, ma rimangono in vigore gli obblighi assunti, compresi quelli dei soci al conferimento dei centesimi residui, e la società continua ad esistere sebbene al solo fine di liquidare il patrimonio costituito.

Secondo la legge in pratica, la costituzione di un ente al quale viene attribuita autonomia patrimoniale ingenera un affidamento nei terzi che non può essere

sconfessato, cosicchè il piano pratico dell’esistenza dell’ente, sebbene gravemente viziato, supera il piano logico giuridico.

In particolare, questo principio è stabilito in forza delle ragioni di tutela del ceto creditorio. La dimostrazione è data dall’indicazione che, mentre nel caso delle società di persone, la procedura liquidativa prima dell’estinzione dell’ente è una fase disciplinata, ma solo eventuale, nelle società di capitali è invece una procedura inderogabile finanche se la società non abbia alcuna esposizione. La ragione di questa distinzione è evidente: il diverso grado di autonomia patrimoniale fa sì che laddove l’autonomia patrimoniale sia imperfetta, è possibile derogare alla fase liquidativa, in quanto estinto l’ente rimane la responsabilità dei soci che lo partecipavano, invece laddove sia perfetta la fase liquidativa diventa inderogabile cosicchè, non essendoci nessun altro soggetto oltre l’ente responsabile per le obbligazioni sociali, l’estinzione può conseguire solo al completo soddisfacimento di tutte le ragioni di credito.

Nel costruire questo sistema, il legislatore, mosso dall’esigenza di tutelare nella forma più ampia le ragioni del ceto creditorio, ha mancato di obiettività nell’ottenere una disciplina che sia non solo efficiente, ma sia anche efficace.

La società che entra in fase liquidativa mantiene intatta la sua struttura organizzativa, ma modifica “implicitamente” lo scopo del suo oggetto sociale: l’attività economica esercitata non viene più svolta al fine del conseguimento dell’utile soggettivo, ma al fine di realizzare la massima utilità patrimoniale per soddisfare i creditori e, in subordine, per restituire ai soci l’investimento iniziale. Agli amministratori dunque si

sostituiscono i liquidatori, che tuttavia mantengono intatti i poteri propri dell’organo amministrativo, mentre rimangono in vigore gli organi di controllo.

E’ evidente che, mantenendosi la struttura organizzativa, da un lato rimangono vigenti i controlli sulla gestione sociale che costituiscono di per sé garanzia per i soggetti destinatari della liquidazione, ma dall’altro permangono sia i costi connessi alla struttura sociale vigente, sia la complessità del meccanismo di funzionamento degli organi. Questi due dati, seppur non costituiscano la causa del deterioramento della consistenza patrimoniale dell’ente, sicuramente non hanno contribuito a facilitarla. E’ questa la ragione per cui molti enti in liquidazione optano per la trasformazione regressiva in altra forma di società di capitali, di solito da S.p.A. in s.r.l., per alleggerire l’ente dei costi connessi ad esempio al mantenimento in vita di organi di controllo quali il collegio sindacale. Questa operazione è lecita e ammissibile in ragione del fatto anche l’ente di arrivo è soggetto alla inderogabile disciplina della liquidazione.

Cosa accade invece se la trasformazione regressiva avviene nei confronti di un ente o addirittura di una situazione giuridica che non prevede una fase liquidativa in senso stretto, come nel caso di una trasformazione regressiva in trust? Sicuramente ciò significa che i soci intendono derogare alla disciplina della fase liquidativa. L’ammissibilità o meno di una tale trasformazione non è dunque più discussa sul piano della fattibilità in astratto, che, abbiamo visto nel precedente capitolo, è assolutamente configurabile e lecita, ma sul piano pratico della compatibilità con le finalità della procedura liquidativa.

L’interprete più rigoroso potrebbe negare alla radice una siffatta ipotesi ritenendo come impercorribile qualsiasi adozione di istituto giuridico che si ponga come alternativo alla liquidazione. Ma inderogabilità della procedura liquidativa su un piano logico, non significa necessario esperimento di essa nei modi e nelle forme previste dal codice. Se si adotta un criterio teleologico, la lettera della norma può considerarsi integrata tutte le volte che si adottino istituti che, pur operando attraverso strumenti giuridici alternativi, rispettano le finalità e gli scopi della liquidazione.

Depone in questo senso una lettura ragionata dell’art. 2499 cod. civ. laddove l’ammissibilità della trasformazione “anche” in pendenza di procedura concorsuale, da leggersi anche come fase liquidativa è ammessa purchè non contrasti con le finalità della stessa. La trasformazione, così ragionando, potrebbe essere uno strumento alternativo e lecito alla liquidazione qualora, nelle differenze operative, conservi le finalità della stessa.

Né si può dire che in sé il trust non costituisca uno strumento idoneo quanto a finalità e struttura per gestire una fase di liquidazione, come meglio appresso si indicherà.

3.3.2 Facilitazioni nella ricostruzione dell’ipotesi in oggetto rispetto alla