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CAPITOLO TERZO

3.2 La trasformazione in trust dell’impresa formalmente in bonis

3.3.4 La trasformazione in trust di società che si trova in stato di insolvenza

Come ultimo punto, va brevemente affrontata la problematica relativa a quelle società che si trovano in uno stato di crisi tale che, sebbene non in stato di fallimento dichiarato, si trovano in una situazione di insolvenza tale da costituirne già i presupposti.

La questione non è di poco momento, in quanto, nell’affrontare la tematica ben più analizzata della costituzione di trust da parte di società insolvente, la prassi stessa ha evidenziato casi in cui la stessa individua nella costituzione del trust uno strumento per svuotare il patrimonio della stessa e successivamente procedere alla (quasi) immediata cancellazione della stessa dal registro imprese allo scopo di tentare di eludere la declaratoria di fallimento facendo decorrere il termine annuale di cui all’art. 10 l.f.

A ben vedere, una siffatta ipotesi ha tutti gli elementi per essere tacciata di invalidità. La dottrina minoritaria che avalla la ammissibilità infatti, non tiene in considerazione il carattere imperativo delle norme sulle procedure concorsuali e sul fallimento che sono da considerarsi all’interno del nostro ordinamento come norme imperative. E’ doveroso a questo punto il richiamo ai principi espressi nella Convenzione di cui agli artt. 15, 16 e 18, secondo cui un trust non può derogare, rispettivamente, alle norme inderogabili dell'ordinamento in cui esso si trova a operare, alle norme di applicazione necessaria e all'ordine pubblico. Non minore importanza riveste anche l’art 13 della medesima che offre al giudice, quale rimedio residuale, il potere di invalidare il trust che ritenga lesivo di principi contenuti in norme inderogabili dell’ordinamento.

E’ vero che, come abbiamo detto, l’art. 13 Convenzione è norma di chiusura, il cui rimedio costituisce extrema ratio per evitare che all’interno di un ordinamento nazionale esistano negozi validi che possano però essere in contrasto con i suoi principi fondamentali. E’ altrettanto vero , anche ai fini del sostanziamento della tesi di cui in questo lavoro, che la validità del trust va sempre individuata secondo un

criterio teleologico che possa attribuire omogeneità tra le finalità del trust e quelle della procedura che si intende derogare.

La questione sul punto però è differente, come si sottolineerà meglio anche nel successivo capitolo: nel caso della costituzione di un trust per svuotare il patrimonio sociale ed evitare il fallimento abbiamo l’attuazione di un negozio che non prevede, come la liquidazione o la procedura concorsuale il coinvolgimento dei creditori. La loro eventuale adesione alla costituzione del trust attraverso la loro adesione irrituale quali beneficiari, recupererebbe solo in via pragmatica una forma di loro tutela, considerando che non esistono strumenti, anche e soprattutto pubblicitari per valutare che i creditori aderenti siano tutti i creditori sociali. Se così non fosse, si attuerebbe una sorte di prededuzione extra legale nei confronti solo di alcuni dei creditori che altera il principio di par condicio creditorum che sta alla base delle procedure concorsuali in genere.

Né si potrebbe sostenere che lo stesso legislatore ha strutturato strumenti negoziali di risoluzione della crisi di impresa che coinvolgono i creditori, quasi a giustificare la liceità per analogia delle suddette operazioni, perché è evidente che le modalità negoziali di risoluzione della crisi sono modalità eccezionali, non estendibili nell’operatività dall’interpretazione dei giuristi.

Secondo lo scrivente, insomma, la costituzione di un trust da parte della società insolvente è un vero e proprio negozio in frode alla legge, la cui causa in concreto mira a evitare la procedura concorsuale ed è per questo stesso motivo viziata.

Non possiamo dire lo stesso della trasformazione in trust in fase di liquidazione, perché anche qualora la società già presentasse tutti gli elementi necessari per

decretarne l’insolvenza, il principio di continuità, che trasferisce integralmente i rapporti giuridici in capo all’ente trasformato restituisce comunque un identico centro di imputazione di interessi che peraltro nel caso del trust non modifica il regime di responsabilità patrimoniale vigente. Con la trasformazione ipotizzata nei fatti non deroghiamo alla eventuale procedura fallimentare, né la evitiamo: l’unica variazione è che a fallire sarà il trustee titolare dei beni. Nessuna differenza a livello pratico perché nei confronti del patrimonio del trustee, il fondo del trust è patrimonio bilateralmente separato, indifferente alle vicende familiari e successorie, inviolabile di fronte all’eventuale aggressione da parte dei suoi creditori personali. Senza dimenticare che, come più volte detto, l’opposizione data ai creditori in sede di trasformazione è strumento più che idoneo a garantire il loro effettivo coinvolgimento nella procedura.

Senza dimenticare i profili di stabilità in quanto, come indicato nei precedenti paragrafi, mentre il negozio dispositivo in favore del trust è quale atto gratuito sebbene non strettamente liberale, suscettibile di revocatoria, la trasformazione in

trust, essendo assoggettata alla sua propria disciplina che raggruppa tutte le tutele del

ceto creditorio nello strumento dell’opposizione, rende questa operazione stabile con indubbi vantaggi per la certezza dei rapporti giuridici.

Così ragionando l’utilizzo del trust da parte dell’impresa in crisi non è assolutamente una fattispecie omogenea. La fattispecie di costituzione del trust da parte dell’impresa in crisi si pone al limite della configurabilità nell’ordinamento, dove solo una attenta considerazione delle effettive condizioni dell’impresa disponente può lasciare margini per evitare che si possa addirittura ricadere nell’ipotesi di

negozio in frode alla legge. Per questo, come vedremo, la giurisprudenza si è pronunciata quasi sempre in senso negativo.

Ma la trasformazione in trust di impresa in crisi invece è una ipotesi, per tutte le ragioni dette, integrante un’operazione giuridicamente valida perché non solo fa cadere molte delle obiezioni che si possono muovere alla semplice costituzione, ma anche perché si inserisce in maniera decisamente più armoniosa nell’ambito della ricostruzione sistematica dei principi del nostro ordinamento.