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La vita di Savina Petrilli (1851-1923)

Nel documento P R O T A G O N I S T I M O M E N T I (pagine 24-50)

Benedico il Signore che Siena, onorata di aver dato i natali alla immortale Santa Caterina, abbia altresì potuto veder sorgere in questo ultimo cinquantennio nelle Sorelle dei Poveri una Pia Congregazione, che si propone di far rivivere nelle sue figlie lo spirito della grande Santa.

E ciò mentre è gloria di Siena, è prova altresì della perenne vitalità della Chiesa, che in ogni tempo vede con gioia sorgere tra i propri figli anime elette, di cui la Provvidenza mirabilmente dispone per conservare e risvegliare nei popoli profondo il sentimento cristiano.

Le Sorelle dei poveri che, sorte si può dire ieri, hanno già al loro attivo i resultati più consolanti nella esplica-zione della loro missione sia in Italia, sia in vari paesi dell’America (…), sono realmente animate da sincero spirito di vita religiosa, ed hanno ottima preparazione spirituale, ciò che costituisce la più valida assicurazio-ne per la buona riuscita del loro Apostolato.

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osì monsignor Prospero Scaccia, vescovo sene-se, nel febbraio del 1920, in una lettera al vesco-vo di Paranà in Argentina, per raccomandare il grup-po di Sorelle dei Poveri in procinto di aprire un asilo

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per le orfanelle a Victoria, in quella diocesi. Il tono è certamente elogiativo e forse un po’ interessato, ma il vescovo sa bene quel che dice. Due mesi dopo, nella risposta, il vescovo sudamericano, Abel Barzan, che conosce bene le Suore e appare in piena sintonia con i motivi della lettera commendatizia di Scaccia, scrive:

Condividiamo i concetti di stima e di apprezzo che nella sua lettera manifesta a favore di questa Congrega-zione Religiosa, lieti di ricevere per una seconda volta alcuni dei suoi membri nella nostra Diocesi, dove con il loro buono spirito ed ottima preparazione – di cui qui hanno già dato prova - troveranno un campo propizio per dare sfogo al santo zelo di cui sentono animate.

Che Santa Caterina, la cui festa oggi celebriamo, be-nedica ed assista dal Cielo a queste sue figlie di Siena, cui l’amore di Dio e la salute delle anime spinse a que-ste lontane terre di America.

La corrispondenza tra i due prelati gira intorno al legame tra Siena, Santa Caterina e le Sorelle dei Pove-ri, e in ultimo l’America Latina, la terra di missione.

Ecco allora che la catena Siena, Santa Caterina, le So-relle dei Poveri, la Chiesa, ci porta direttamente a Sa-vina Petrilli, da cui tutto parte: alla radice attraverso il tronco, all’albero attraverso i frutti.

Savina Petrilli nasce a Siena nel 1851, il 29 agosto, nel Costone, in Fontebranda, da Celso e Matilde

Vettu-rini. È la secondogenita di sette figli (Emilia, Gaetano, Loreto, Gabriello, Vitaliano e Isolina) che moriranno nel tempo prima di lei. Celso è dipendente di Pietro Bacci, un commerciante non ricco, ma benestante che gestisce una rivendita di vino e un laboratorio di pel-lami; Matilde fa la madre a tempo pieno e, quando ce n’è bisogno, aiuta il marito nelle sue attività. Savina non ha una salute ferma, come buona parte della gio-ventù dell’epoca, tanto che la madre chiede e ottiene che la bambina venga cresimata all’età di un anno, nel pieno di una grave crisi, in pericolo di vita. In più la bambina presenta una leggera, ma evidente, meno-mazione ad un piede che contribuirà ulteriormente a metterla in evidenza. Più tardi, la chiameranno “la zoppina”, ma la piccola, probabilmente perché era vero, pare non se ne avesse a male.

L’ambiente familiare è imbevuto di spirito religioso e Savina cresce secondo tale impostazione, mostran-do precocemente segni di vitalità interiore e curiosità intellettuale. La sua formazione si svolge presso le Figlie della Carità, a San Girolamo, che frequenta con passione e assiduità, nonostante la notevole distanza da casa. Qui riceve la prima alfabetizzazione e soprat-tutto l’iniziazione cristiana, apprendendo le formule tradizionali delle devozioni più diffuse all’epoca, sia a livello individuale che comunitario, insieme con i

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rudimenti della dottrina cattolica. Così scriverà nel 1910, ricordando il suo passato:

Fin dalla mia infanzia ebbi un carattere molto ma molto timido che conservai fino all’età di 25 o 30 anni. Mi credevo e tenevo, quale realmente ero, pove-rella e ignorante, inferiore a tutte. Amavo molto tutte le mie compagne di scuola e soffrivo per vedermi da esse poco curata, specialmente dalle più grandi di me di un anno o poco più, ma non me ne lagnavo né me ne impermalivo.

Il 31 maggio del 1863, a 11 anni, fa la prima Co-munione. Savina stessa, rielaborando nel 1909 il ri-cordo di quel giorno, descrive la particolare commo-zione del momento e riferisce di aver pregato così:

«Gesù caro, ti raccomando tutte le persone che sono al mondo, perché tutti si salvino». Nel 1866, quando la famiglia si è trasferita in via Diacceto, la ragazza lascia San Girolamo e frequenta la parrocchia di San Giovanni, al Duomo, dove si impegna nella prepara-zione delle fanciulle alla prima Comunione: qui è tra le fondatrici dell’“Unione Figlie di Maria”, la pia asso-ciazione che aveva nella purezza e nella fortezza le radici di una devozione alla Madonna e a Sant’Agne-se che saranno Sant’Agne-sempre preSant’Agne-senti nella vita spirituale della senese. Savina ha 15 anni. Nel 1874, diventerà

responsabile dell’organismo, carica che manterrà fino alla morte. Le attività spaziano dagli aspetti devozio-nali e di preghiera a quelli più spiccatamente carita-tevoli: assistenza in primis a fanciulle bisognose. Ma soprattutto la preghiera: in casa aveva ricavato in un anfratto un altarino e la sera pregava anche fino a tardi con la sorella Emilia e con le prime amiche.

Non mancano nella storia dell’infanzia di Savina alcuni dei topoi classici dell’apologetica cattolica del periodo: la conversione dell’ateo, nella persona del datore di lavoro del padre e amico di famiglia, non-ché suo compare di battesimo, Pietro Bacci (in preda ad «una deplorevole confusione, comune a molti, fra idee politiche e religiose»); la conversione della com-pagna pericolosamente vicina ai protestanti («tutto mise in opera per ricondurre la pecorella, che minac-ciava di smarrirsi, al dolce ovile di Cristo!») che poi si farà suora delle “Figlie della Carità” e morirà nel 1873 a Parigi. Fatto sta, comunque, che in lei si fanno sempre più manifesti i segni di una precoce vocazione religiosa forte e decisa, basata sulla pratica di virtù individuali e sulla scelta della povertà e dei poveri.

Si sa che ha letto una non meglio precisata Vita di S.

Caterina alla quale si deve dunque pensare per imma-ginare una fonte significativa per la piccola Savina. In tutti i modi, va registrato anche il voto di verginità che

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Savina emette prima in maniera annuale, nel 1868, e che poi diventerà perpetuo il 15 agosto 1869, con il consenso del confessore: aveva 18 anni. Nello stesso anno, in occasione di un viaggio Roma, ha la possibili-tà di andare in udienza da Pio IX. Più tardi, elaboran-do il ricorelaboran-do dell’incontro, Savina riferirà che il papa licenziandola le aveva detto: «Vai con Santa Caterina, cammina sulle sue orme e seguine gli esempi».

Al Duomo intanto era entrata in contatto con il canonico Francesco Ballati che sarà suo confessore per molti anni. Tramite lui coglie l’importanza del-la fedeltà aldel-la Chiesa, che si espliciterà nel rapporto con l’arcivescovo Bindi, al quale rivelerà presto il suo progetto. La responsabilità dei fratelli che la madre le assegna, dopo che lei è costretta dalle ristrettezze finanziarie della famiglia a dare una mano nella ri-vendita di vino, contribuisce a far maturare in Savina la sensibilità materna che ella di lì a breve esternerà soprattutto nei confronti delle fanciulle povere e bi-sognose. La sensazione è che l’esperienza delle “Figlie di Maria” sia per Savina importante perché le prefigu-ri in qualche modo la vita di una comunità femminile anche se non ancora in vita comune. Nell’estate del 1872, il 15 agosto, nasce il primo nucleo della comu-nità, in maniera semiclandestina e non del tutto sta-bile. In quattro emettono i voti religiosi per un anno.

Con lei ci sono Fortunata Medici, Giuseppina Nicolini ed Ersilia Ghezzi. Alla fine dell’anno Savina presenta al vescovo Bindi la sua proposta: una comunità reli-giosa a scopo di carità con dodici fanciulle povere.

La risposta del vescovo è al tempo stesso chiara e interlocutoria: «tempo, preghiera, consiglio». Proba-bilmente al vescovo appaiono in tutta la loro gravità le difficoltà della cosa e soprattutto la novità: queste ragazze del popolo che decidono di dedicarsi comple-tamente alla carità saltando le tradizionali modalità di assistenza caritatevole, come quelle delle “Figlie di Maria” oppure della San Vincenzo, offrono il fianco a obiezioni di non poco conto se associano anche la ra-dicalità della scelta religiosa. Tuttavia, il tempo lavora a vantaggio del progetto. Nell’agosto del 1873, Savina e le sue amiche (Emilia Barucci, Giuseppa Niccolini, Fortunata Medici, Sofia Cicali, Assunta Alessandri), tornano a sottoporre a Bindi la loro richiesta:

Ad unico oggetto di maggiore bene delle anime nostre e dell’avanzamento in questa via di perfezio-ne che sempre, benché indegperfezio-ne, abbiamo desiderato, ed allo scopo di venire in soccorso di qualcuna delle tante miserie che affliggono l’umana società, le qua-li tutte abbracceremmo volentieri per sollevarle, se ci fosse dato. E perché questo bene vesta un carattere ordinato e sottomesso ai canoni della Divina

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tà che noi riconosciamo nella autorità della E.V.R. alla quale ci protestiamo di voler ubbidire in tutto e senza restrizioni.

Nel dicembre 1873, è lo stesso Bindi a chiedere a Savina e alle sue amiche, che intanto erano in parte cambiate, di cominciare la vita comune in casa Petril-li, anche se le sue indicazioni appaiono piuttosto pru-denti. Bindi, accordando una sorta di permesso alle quattro amiche di continuare a vivere in famiglia, e mostrando di approvare l’iniziativa, indica lo scopo del progetto: «che le vostre opere di carità si dirigano specialmente alla religiosa istruzione della tenera età più bisognosa e più abbandonata, massimamente in ordine a ben ricevere i Sacramenti, e soprattutto a far bene la prima Comunione». Il vescovo sa bene che la cosa non è del tutto normale, ma mostra di aver colto lo spirito nuovo che anima le giovani donne. Dunque, anch’egli manifesta di apprezzare le opere di carità, come detto, ma non dimentica di sottolineare l’altro aspetto:

Acciò che vi sia fra voi stesse un centro di unione, necessario alla pratica unità d’azione, vogliamo che tale tra voi sia costituita la vostra compagna e sorella Savina Petrilli.

La gestazione della prima comunità avveniva dun-que nell’ambiente semplice e sobrio della famiglia Petrilli: le amiche avevano dovuto mentire ai propri genitori dicendo loro che bisognava completare un lavoro di ricamo e che dunque questo le obbligava a restare a casa di Savina. Ben presto le cose vennero allo scoperto, anche perché il numero delle fanciulle in qualche modo contattate dal gruppo aumentava e la situazione logistica diventava non più sufficiente.

Nel maggio del 1874 comincia la ricerca di una nuova casa che alla fine dell’anno viene acquistata e abita-ta in via Baroncelli, grazie all’aiuto determinante del marchese Alessandro Bichi Ruspoli, di cui abbiamo già parlato. Savina aveva conosciuto il Ruspoli trami-te monsignor Ricci Paracciani, allora Cameriere Se-greto del papa e divenuto successivamente Cardinale Protettore dell’Istituto, che glielo aveva segnalato a Roma in occasione della seconda visita di Savina da Pio IX, proprio nel gennaio 1874: questo sia a confer-ma di quelle corsie preferenziali con ambienti curia-li di alcuni esponenti della nobiltà senese, ma anche quale segno che l’idea della giovane senese aveva tro-vato ampio consenso anche a Roma. Al di là di questi aspetti, per così dire, ufficiali, il marchese aveva sin-ceramente preso a cuore le sorti del progetto di Savi-na e appunto le si era messo a fianco con elargizioni

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e consigli di tipo più generale. E così egli fu presente quando il 7 settembre ebbe inizio la vita comune tra cinque amiche e 9 fanciulle assistite. Secondo la te-stimonianza di Enrico Petrilli, Savina considerava il 7 settembre 1874

la data di nascita della Congregazione, mentre la data dell’8 dicembre dell’anno precedente la conside-rava la data della concezione del nuovo Istituto e se ne compiaceva dicendomi: Siamo state concepite con la Madonna e nate con la Madonna.

La prima messa venne celebrata nella cappella, rica-vata in una delle stanze, nell’ottobre 1874. I tempi de-gli inizi furono davvero difficili: scarseggiava tutto, dal cibo alle risorse per sostenere le fanciulle, che intanto andavano a vivere in casa. E davvero in questo fu stra-ordinaria la capacità della Petrilli di intrattenere rela-zioni con chi in qualche modo poteva sostenere la sua opera: in questo senso, ella sarà davvero «amica dei ricchi», caratteristica questa molto diffusa in quel tem-po nelle nuove fondazioni religiose e che segnalava, tra l’altro, quel mutamento di prospettiva del tradizio-nale paternalismo delle classi agiate che andava con-cretizzandosi in azioni determinate a favore di coloro che si occupavano dei più poveri. In questo senso, tra i nuovi protettori locali si segnalano anche Luigi

Barga-gli e Luigi Piccolomini. Tra il 1874 e il 1875 Savina, su esplicita richiesta del vescovo Zini e con l’aiuto dei sa-cerdoti vicini all’Istituto, scrive le Regole che il vescovo approverà. In realtà, anche il nuovo vescovo, Pierallini, nel 1876, rivide le Regole e, con qualche variazione, le approvò nel 1879 con riferimento ad «Alcune fanciulle della Città di Siena essendosi volontariamente dedica-te al servizio del Signore servendo i Poverelli».

A questo periodo risale anche la conoscenza e l’amicizia tra la nobile Anna Camaiori, moglie di Alessandro Saracini, e l’Istituto di Savina, mediate dal marchese Ruspoli. Donna religiosa e portata alla carità, secondo il modello tradizionale della nobil-tà cattolica, la Saracini si era avvicinata a Savina e aveva imparato ad apprezzare la sua opera. Vedova dal 1877, strinse con la Madre un’intensa amicizia di carattere spirituale tanto che, nel 1884, concesse all’Istituto una villa di campagna a Fontebecci per far-ne residenza estiva per le Sorelle e le fanciulle, e poi, come vedremo, sostenne l’apertura di una casa delle Sorelle dei Poveri a Castelnuovo Berardenga dove ella risiedeva. Quando morì, nel 1899, la villa di Fontebec-ci, che sarebbe diventata sede del noviziato nel 1906, l’avrebbe lasciata in eredità all’Istituto.

Gli anni dal 1877 al 1880 vedono una crescita continua di vocazioni, la progressiva sistemazione

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dell’Istituto, con l’allargamento degli spazi abitati in via Baroncelli, e la graduale introduzione, per così dire, nel difficile ambiente senese. In modo partico-lare, con l’aumento delle Sorelle, anche gli equilibri interni si fanno più delicati: è il caso delle difficol-tà che Savina incontra con il confessore Ballati e che comporterà l’allontanamento volontario di alcune Sorelle dalla comunità. Sta in questo, con molta pro-babilità, uno dei segnali più significativi del tenace spirito di libertà di Savina, la quale, pur rispettando quasi in maniera devozionale e fideistica la figura del sacerdote, mostra di non accettare le invadenze e le presunte prerogative maschili in un gruppo fatto da donne per le donne. È probabilmente in questo fran-gente che matura in lei la volontà di commentare le regole secondo linee ascetiche e religiose, onde evi-tare equivoci e fraintendimenti che possano nuocere poi al buon ordine interno della comunità.

Tra il 1880 e il 1887, nel torno di 8 anni, l’Istituto, forte della buona fama di cui gode, si espande fuori dalle mura di Siena: Onano, vicino Acquapendente, 1880; Castelnuovo Berardenga, 1882; Firenze, 1883;

Montespertoli, 1884; Celle sul Rigo, 1887; Volterra, 1887; Roma, 1887. Ciascuna di queste fondazioni ha la sua particolare storia che riflette i legami personali di Savina la quale, tra l’altro, deve tener conto anche

delle richieste ufficiali dei vescovi. Onano, anche per-ché la prima uscita da Siena, rappresenta nella memo-ria storica interna, una tappa particolare. Le suore tro-varono la casa dove avrebbero vissuto, praticamente vuota, sprovvista di tutto: il che provocò all’inizio un vero e proprio sconforto. Le Sorelle dei Poveri veniva-no chiamate soprattutto per far scuola alle fanciulle del popolo e affiancare a questo compito, come sap-piamo, quello della catechizzazione soprattutto in direzione della prima comunione. In realtà, le esigen-ze e le richieste erano tante e variegate. Il che com-portava la necessità di una formazione sempre più specifica del personale religioso, soprattutto secondo le indicazioni statali che richiedevano alle maestre il diploma superiore. Sempre più e sempre meglio per-ciò l’itinerario formativo delle professe e poi novizie doveva essere aggiornato tenendo conto dei nuovi compiti che l’Istituto assumeva. Per esempio, quello dell’assistenza ai malati moribondi nelle case, oppure ai vecchi. Insomma, la gestione della Congregazione significava riuscire ad avere presenti contemporane-amente tutti gli scenari che provenivano dalle richie-ste, e coordinarli con le effettive disponibilità interne, sia in termini di numero che di qualità del personale.

In coincidenza, infatti, con la situazione generale an-che all’interno dell’Istituto si registrava una mortalità

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piuttosto elevata fra le Sorelle che per fortuna veniva equilibrata, per così dire, da un reclutamento sempre intenso e fiorente. In questo Savina poteva contare si-curamente sull’aiuto e consiglio di alcune persone di cui lei si fidava: monsignor Pio del Corona, vescovo di San Miniato e fondatore, nel 1872, di una comunità di suore domenicane a Firenze; il Cardinale protettore, Francesco Ricci Paracciani, e, morto questi nel 1894, il Cardinale Vincenzo Vannutelli che lo sostituirà.

Con entrambi Savina seppe costruire relazioni signi-ficative dando al loro ruolo di protettore (assai usuale al tempo) un particolare significato confidenziale e di quasi direzione spirituale. Si ha notizia di una sola ri-serva che il Ricci Paracciani espresse alla Savina quan-do questa incontrò nel 1887, Umberto I e Margherita in visita a Siena. A quest’ultima però Savina riuscì a strappare un certo interesse e soprattutto la promes-sa di visitare e sostenere la fondazione romana.

Nel novembre del 1978, Savina tornò ad incontrare Leone XIII. In tutta la sua vita, a questo proposito, ella ebbe praticamente modo di contattare personalmen-te tutti i papi regnanti nella lunga sua vita: Pio IX, Le-one XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI. Le relazioni che ella intrattenne con loro non furono mai di semplice devozione, ma cercò sempre di coinvolgerli nei suoi progetti, nelle modalità tipiche ovviamente delle

cir-costanze. Gli incontri con loro furono sempre schietti e, per così dire, operativi: anche il Capo visibile della Chiesa evidentemente, per questa donna tenace, do-veva essere coinvolto nel suo progetto.

In quell’arco di tempo, fra il 1882 e il 1884, in os-sequio certo a quanto avveniva dentro la Chiesa uni-versale, ma rispondendo ad una propria intima con-vinzione Savina Petrilli decide di consacrare l’Istituto alla Madonna, e successivamente di consacrare tut-te le comunità delle Sorelle al Sacro Cuore di Gesù, nel settembre del 1884. Probabilmente, influirono su queste decisioni, almeno dal punto di vista della tem-pistica, i rapporti non del tutto pacifici con una buo-na parte della nobiltà locale e la difficoltà di trovare all’interno del clero senese interlocutori validi. È que-sto il periodo nel quale il nuovo direttore spirituale e confessore dell’Istituto, don Alessandro Toti, parroco di San Pietro in Pantaneto, ripetendo una storia già vista con Ballati, riesce a portare non poco scompiglio nella comunità, anche grazie a comprovate sue

In quell’arco di tempo, fra il 1882 e il 1884, in os-sequio certo a quanto avveniva dentro la Chiesa uni-versale, ma rispondendo ad una propria intima con-vinzione Savina Petrilli decide di consacrare l’Istituto alla Madonna, e successivamente di consacrare tut-te le comunità delle Sorelle al Sacro Cuore di Gesù, nel settembre del 1884. Probabilmente, influirono su queste decisioni, almeno dal punto di vista della tem-pistica, i rapporti non del tutto pacifici con una buo-na parte della nobiltà locale e la difficoltà di trovare all’interno del clero senese interlocutori validi. È que-sto il periodo nel quale il nuovo direttore spirituale e confessore dell’Istituto, don Alessandro Toti, parroco di San Pietro in Pantaneto, ripetendo una storia già vista con Ballati, riesce a portare non poco scompiglio nella comunità, anche grazie a comprovate sue

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