• Non ci sono risultati.

P R O T A G O N I S T I M O M E N T I

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "P R O T A G O N I S T I M O M E N T I"

Copied!
97
0
0

Testo completo

(1)
(2)

P R O T A G O N I S T I M O M E N T I

(3)

la sorella dei poveri

storia di savina petrilli

P R O T A G O N I S T I M O M E N T I

(4)

La Sorella dei poveri. Storia di Savina Petrilli di Achille Mirizio

Volume della collana Protagonisti e Momenti edita dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena

Realizzazione

Salvietti & Barabuffi Editori, Siena Grafica

Maruska Pradelli Rossi Impaginazione e redazione Claudia Gasparri

Impianti e stampa Salvietti & Barabuffi Editori

ISBN 978-88-97082-46-0

© 2013 Fondazione Monte dei Paschi di Siena

© 2013 Salvietti & Barabuffi Editori, Siena Tutti i diritti riservati

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qual- siasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro, senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti editoriali.

L’Editore ha fatto quanto nelle sue possibilità per individuare e rintracciare tutti i detentori dei diritti fotografici e documentari. Nell’eventualità che immagini o testi di competenza altrui siano riprodotti in questo volume, l’Editore è a disposizione degli aventi diritto che non ha potuto reperire.

P R O T A G O N I S T I M O M E N T I

(5)

Le figure femminili descritte nella collana editoriale della Fondazione Mps Protagonisti e momenti, da Vio- lante di Baviera e Pia dei Tolomei fino a Savina Petril- li, la protagonista di questo volume, sono personaggi che hanno caratterizzato la storia di Siena.

Contesti politici, sociali, religiosi, come in questo caso, fanno da cornice ad esperienze di vita di donne che vengono ricordate e raccontate ancora oggi per la particolarità del loro vissuto.

Il titolo “La sorella dei Poveri”, libro a cura di Achil- le Mirizio, già rappresenta Savina Petrilli, la religiosa senese fondatrice della Congregazione delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena. Un’esistenza de- dicata alla vocazione religiosa, al completo servizio per gli altri, in una visione lungimirante di assistenza ai più poveri. Ancora oggi, infatti, la Congregazione è operativa e attiva attraverso sedi sparse in tutto il mondo.

Non c’è dubbio che le pagine del libro siano intrise di riferimenti religiosi, in un alternarsi di notizie e testi- monianze tratte da fonti dell’epoca. Ma sono convinto

9

Il senso di una collana

(6)

11

Savina riuscì ad abbandonarsi completamente alla volontà divina, facendo voti di non negare nulla a Dio deliberatamente. In questo impegno di completa obla- zione di se stessa a Dio e alla sua volontà, voto di ab- bandono totale, trovò la forza di dominare il suo tem- peramento impulsivo per acquistare le difficili virtù della dolcezza e della mansuetudine. Trovò anche la pace, riconoscendo che il suo zelo per le anime doveva seguire la strada dell’accettazione della croce, senza lamentarsi mai, nemmeno nelle più dure pene dello spirito e del corpo.

Q

ueste parole, pronunciate da papa Giovanni Paolo II durante l’omelia in occasione della proclamazione della Beata Savina Petrilli (1851-1923), il 24 aprile del 1988, sembrano rappresentare la sin- tesi più eloquente della vicenda personale di questa donna del popolo, nata a Siena, in quel rione già se- gnato dalla personalità di Caterina Benincasa. Questa fontebrandina dal carattere deciso e risoluto raggiun- ge gli onori dell’altare nella Chiesa cattolica grazie alle caratteristiche personali e alla tenace volontà di

Introduzione

che il messaggio contenuto nel testo sia di interesse non solo per un pubblico di lettori credenti, ma anche per chi individua nella tenacia e nella determinazione della Beata, solide volontà e praticità “terrene” che le hanno permesso di raggiungere e mettere in pratica azioni benefiche per il sociale.

Come da tradizione, Protagonisti e momenti si rivela ancora una volta lo strumento dall’approccio sem- plice, ma essenziale, adatto alla diffusione della co- noscenza del passato tra le giovani generazioni, af- finché l’ingegno e la risolutezza di personaggi che si sono contraddistinti per la loro originalità siano da esempio e da insegnamento.

Gabriello Mancini Presidente Fondazione Monte dei Paschi

10

(7)

12 13 mettersi al servizio dei poveri nelle forme originali e

durature oggi ben conosciute: la Congregazione delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina.

Oscillando tra agiografia e storia della pietà, non esclusi alcuni notevoli spunti di riflessione teologica e di suggestioni mistiche, la ormai ricca bibliografia sulla Beata si nutre anche del flusso a volte carsico, altre volte travolgente, e perciò tracimante, che nasce e si sviluppa all’interno della Congregazione mede- sima. Tra le Sorelle dei Poveri, infatti, vivono ancora assai fecondi e in apparenza inesauribili, lo spirito, la memoria e la legittima (e spesso giustificata) esal- tazione della Madre fondatrice, copiosamente soste- nuti, va detto, da un’abbondante riserva di scritti au- tografi coevi, o comunque direttamente e indiretta- mente riferibili a lei. Importanti sono anche i testi at- tribuibili a coloro che hanno accompagnato la Petrilli nei lunghi anni che l’hanno vista fondatrice prima e Superiora Generale poi per un lungo cinquantennio.

Di fatto, tale circostanza non è affatto secondaria: la presenza di un ricco archivio, cartaceo e insieme vi- vente, testimonia la particolare sensibilità della No- stra nel dotare di credibilità documentaria, e dunque istituzionale, le proprie opere, ben sapendo che con questo arredo di accreditamento filologico (dotato di tutti i crismi della tradizione ecclesiastica) si sarebbe

potuto ovviare ad ogni tipo di successivo fraintendi- mento. Ma anche la coincidenza nella Petrilli dei due ruoli (Fondatrice e Madre Generale) risulta assai prov- videnziale per lo storico, perché consente una lettura tendenzialmente completa e comunque sinottica, da una parte delle istanze complessive della originaria intuizione fondativa, e dall’altra dell’articolarsi nel tempo e nello spazio della concreta realizzazione di quel progetto che prendeva progressivamente corpo e si arricchiva di nuovi elementi. Nel mezzo, nella carne e nel sangue, la vocazione individuale della giovane, e poi matura donna senese, che a partire dalle condi- zioni di vita sia personali che della sua Siena, riuscì a immaginare e poi portare a compimento un profilo di vita religiosa assolutamente inedito per l’epoca e ricco e variegato per molti suoi aspetti. Ricchezza che con il tempo si manifestò meglio e di più.

Il tema dunque delle fonti disponibili non è sol- tanto un problema tecnico, proprio di chi si accinge a scrivere la storia: esso tocca un aspetto sostan- ziale che riguarda nel complesso la scelta delle no- tizie, l’interpretazione e di conseguenza l’ordine espositivo. Il fatto è che l’abbondante mole di carte disponibili è tutta interna alla Congregazione delle Sorelle dei Poveri e risente fortemente degli inten- ti agiografici assolutamente naturali in casi come

(8)

14 15 Introduzione

questo. È lo stesso problema che si è posto ed ha affrontato la Congregazione Vaticana alle prese con il processo di beatificazione della Petrilli. Non è ov- viamente questione di credibilità delle fonti interne, quanto di affidabilità rispetto ad elementi ritenuti a seconda fondamentali oppure secondari. Non a caso, la Congregazione citata si è impegnata in una estenuante escussione di testi per poter poi arrivare ad una visione unitaria, in un lasso di tempo che va dal 1941 (anno dell’apertura del processo ordinario diocesano) fino al 1987, anno di chiusura del proce- dimento canonico.

I testi fondamentali per seguire le vicende terre- ne della Beata sono due grossi volumi di Annali che coprono gli anni che vanno, il primo, fino al 1898, e il secondo fino alla morte della Petrilli nel 1923. Vi è poi una biografia anonima (Una sorella dei poveri) che viene attribuita a suor Carolina Tanari, edita nel 1937. Interessante appare la collezione de “La Voce della Carità”, mensile dell’Istituto che comincia le pubblicazioni nel gennaio del 1902, con il sottotitolo

“Periodico religioso e letterario”. Infine, non manca- no alcuni documenti nell’Archivio Unico Diocesano di Siena, sia nei faldoni della corrispondenza dei vari ve- scovi senesi che in quelli dedicati alla Congregazione medesima.

Da questo punto di vista diventano perciò signifi- cativi i due volumi relativi agli atti del processo di Beatificazione. Significativi perché il corredo di noti- zie e testimonianze è comunque sottoposto al fuoco incrociato del contraddittorio, almeno indiretto, dei testimoni e delle valutazioni dei censori.

Il primo volume degli Annali, che va fino al 1898, è un testo composito scritto con la chiara intenzione di redigere la biografia della Madre Fondatrice e la storia dell’Istituto. L’idea nasce dentro la Congrega- zione, forse per diretto ed esplicito interesse di Sa- vina Petrilli, la quale si occupa, in un primo tempo, personalmente della revisione della redazione, alme- no ufficialmente. In realtà, qua e là appaiono varie date, diverse e distanti tra loro, che fanno pensare ad una supervisione complessiva ex post, probabilmente operata negli anni vicini a quello della pubblicazione che è il 1942. Tale impostazione rende il testo utile per la mole di notizie, ma particolarmente esposto ai rischi apologetici e agiografici tipici di operazioni complesse come queste. Il testo riporta in copertina la dicitura «Scritto dalla Signora Luisa Mussini sotto il controllo della Ven. Madre Savina Patrilli». In effetti, la scrittrice ha avuto modo di leggere la corrisponden- za della Madre e altre fonti archivistiche e rielabora il tutto mescolando cronaca, memoria, testimonianze.

(9)

16 17 Per esempio, interrompendo la narrazione della vita

di Savina, l’autrice racconta che l’attuale (siamo nel 1910) direttore spirituale impone a Savina di scrivere le memorie. Lei aveva già scritto qualcosa che il suo Confessore, il canonico Ballati, le aveva ordinato di bruciare intorno al 1870 come segno di mortificazio- ne del proprio io.

E ancora un esempio. Savina racconta all’autrice di un suo sogno: un campo sterminato, del quale non le riusciva vedere i confini, e in questo campo tanti tribo- li e spine. L’autrice commenta individuando nei triboli e nelle spine le amarezze e le difficoltà che avrebbe incontrato, non solo nella fondazione, ma nello svi- luppo dell’Istituto; nel campo sterminato ella vedeva le proporzioni che «avrebbe preso questa Congrega- zione, fino ad uscire dall’Europa, come è, infatti, av- venuto, fino dall’anno 1903 con la prima fondazione del Brasile a Belem Parà». È evidente qui quella tipica inversione del post hoc propter hoc di cui abbondano le vite dei santi in versione agiografica.

Il secondo volume degli Annali è anonimo e non dà nemmeno indicazioni orientative sull’autore. Di fatto, è un’opera che vede la luce e si sviluppa den- tro l’Istituto con l’apporto delle notizie che proven- gono dalle ormai molte Case della Congregazione in Italia e non solo.

Questo ci porta, dunque, alla fittissima corrispon- denza della Petrilli e alla documentazione relativa alle disposizioni interne dell’Istituto. Da segnalare, infine, un quaderno contenente le biografie delle Sorelle via via defunte, fatte appositamente scrivere per poter essere usate come exempla nel cammino di formazio- ne delle postulanti e delle novizie.

L’obiettivo di una nuova rivisitazione storica è allo- ra cercare di recuperare le coordinate spazio-tempo- rali della biografia della Nostra, inserendo parole ed azioni in quel reticolo relazionale, sociale ed ecclesia- le, e del vissuto religioso, individuale e comunitario, dal quale Savina Petrilli prese per così dire spunto, nel quale si trovò a vivere e a pensare e con il quale ebbe a che fare.

La scelta operata in questa sede è quella di segui- re ovviamente la cronologia della vita della Nostra, mettendo, però, in rilievo, per così dire, le tematiche, piuttosto che seguirne passo passo gli eventi. Come tutte le scelte, è ovviamente discutibile, ma presenta l’indubitabile vantaggio di raggruppare i fatti ritenuti salienti della biografia, in modo da dare loro un senso complessivo, utile, a parere dello scrivente, per ren- dere leggibile la vicenda complessiva di una donna la cui vita ha avuto aspetti molteplici e non sempre riducibili ad unità.

(10)

18 19 Introduzione

In questo senso, risulta fondamentale anche la let- tura delle biografie via via edite sulla Nostra, a partire dalla prima che risale al 1937 ad opera di Giuseppe Bardi, fino all’ultima, pubblicata nel 1991 ed opera di Maria Papàsogli Zalum. Un’attenta analisi di questi testi, confrontati con le fonti citate, permette di deli- neare un profilo che, pur restando fedele allo spirito per così dire devozionale delle opere citate, acquista un respiro meno autoreferenziale. Almeno questa è l’intenzione. Insomma, siamo convinti che, comun- que la si racconti, la vita Savina Petrilli ci consegna una straordinaria figura di donna, anche umanamen- te, e di religiosa, la cui beatificazione appare essere solo un atto, ancorché determinante, del patrimonio di spiritualità e carità che resta alla città di Siena, e non solo. Sta qui il senso di una rilettura della sua vita, di una donna del popolo capace di entrare nel- le viscere della società senese e della Chiesa del suo tempo, leggerle nell’ottica e nello spirito della sua fede, e costruire intorno al tema e all’opera della ca- rità una particolare visione del mondo perseguita con tenacia e mai abbandonata. Sta qui il senso di una fedeltà individuale a ideali fatti propri e vissuti con coerenza, sempre e comunque. Sta qui quella sensibi- lità ai “segni dei tempi”, dei suoi tempi, che chiedeva- no alle donne cristiane e cattoliche di reinterpretare

il proprio ruolo nella chiesa e nella società alla luce dei bisogni via via emergenti e delle cose nuove (ba- sti pensare all’enciclica di Leone XIII del 1891, Rerum Novarum) che la società moderna con ansia faceva emergere. La sensazione è che in Savina Petrilli la di- mensione personale e quella storica, l’indole, il carat- tere, i talenti, la vocazione da una parte e l’insieme delle condizioni reali di esistenza, delle sovrastruttu- re culturali, politiche e via dicendo dall’altra, si siano in qualche modo coniugate in maniera assai significa- tiva, finendo per mettere sullo stesso piano, per così dire, le domande e le offerte. Savina Petrilli è stata una donna del suo tempo che ha provato a mettere in pratica nella Chiesa universale, a partire da una realtà locale, le spinte religiose alla radicalità evangelica che sole potevano permetterle di uscire dal guscio di una vicenda solo personale ancorché importante, per ade- rire ad un’esperienza davvero singolare, di cui oggi è ancora possibile parlare. Sta proprio in questo appun- tamento cruciale tra la vita individuale, la vocazione, e lo spirito dei tempi il suggello massimo e ideale per maturare la risposta, elaborare le forme di iniziativa e organizzarne le modalità. Si potrebbe dire: se non allora, quando?

C’è però un orizzonte più ampio, ma non per questo meno significativo, nel quale inserire l’espe-

(11)

20 21 rienza della Petrilli. A partire dalla Restaurazione,

infatti, si registra in Italia la nascita di numerose congregazioni religiose femminili (48 solo al centro, nella seconda metà dell’Ottocento) caratterizzate da un modello di vita religiosa non più legata alla esperienza claustrale, ma che invece persegue insie- me l’ideale della perfezione evangelica e il servizio al prossimo nella società, rinnovando le forme di spiritualità e di apostolato degli antichi ordini reli- giosi. Si tratta di una nuova concezione che medita ed elabora una perfezione fatta di contemplazione e azione, la carità cioè operosa verso il prossimo.

Sotto il profilo canonico questi istituti contengono delle profonde innovazioni rispetto al vecchio mo- dello: l’abolizione della clausura, l’introduzione di voti temporanei, la centralizzazione del governo delle varie fondazioni sotto un superiore generale unico, pur mantenendo del vecchio modello la vita comune, i voti evangelici, lo spirito di preghiera. Ma la maggiore novità è nella dedizione totale all’apo- stolato, che, più tardi, nel linguaggio post conci- liare, prenderà il nome di evangelizzazione: i nuo- vi istituti intendono cioè operare nella società e a vantaggio della società, nel mondo e per il mondo, per lenire le sofferenze dei singoli e i mali morali e fisici, spirituali e materiali della società, a favore dei

più deboli, degli emarginati e degli esclusi.

In questo senso vedremo nell’esperienza di Savina Petrilli un sapiente, ancorché non del tutto consape- vole, dialogo con le questioni sociali (legate alle tra- sformazioni nel mondo del lavoro, specie femminile) affrontate più in via di fatto che nella riflessione in- tenzionale. Laddove, invece, verrà presto colta l’im- portanza della cosiddetta Questione Romana, relativa cioè al conflitto tra Stato e Chiesa, con una aderenza allo spirito del tempo assai comune in esperienze si- milari. La risposta sarà comune a tutti quegli Istituti sorti a servizio della Chiesa locale, impegnati nella catechesi parrocchiale, nella promozione di prati- che spirituali e di culto, la devozione al Sacro Cuore, l’adorazione riparatrice, i ritiri spirituali, e nella col- laborazione alle opere promosse dalle associazioni di Azione Cattolica.

Sta qui la vita di Savina Petrilli, il suo personale cammino che spesso è parso più piegato verso una dimensione affatto mistica e contemplativa, così come è possibile intravvedere nelle parole del Papa citate all’inizio. Non è più possibile dunque scrive- re oggi di Savina Petrilli senza tener conto della sua canonizzazione: tale evento ha rappresentato di fat- to una rivisitazione della sua vicenda, sia sul piano storico sia teologico e personale, tanto da incidere

(12)

22 23 in maniera sostanziale sulle capacità e potenzialità

dell’interpretazione biografica. Resta perciò valido l’imperativo di una leale e feconda collaborazione fra l’occhio storico e quello della fede, i quali, ciascuno nel proprio campo e con gli strumenti che gli sono propri, possono arrivare a conclusioni probabilmente non sempre del tutto coincidenti, ma sempre rispet- tosi di una vicenda che è personalissima e dunque meritevole di ogni rispetto.

1. Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

Correvano i primi anni, dopo il Settanta, la rivoluzione trionfante in ogni angolo del Bel Paese, aveva toccato il tanto agognato apogeo con la spogliazione e prigionia del Romano Pontefice, l’ultimo e il più perfido dei suoi atten- tati contro la Chiesa. Incamerati i beni ecclesiastici, sop- pressi tutti gli ordini religiosi, assoggettati i chierici alla leva, lasciate molte sedi vescovili senza Pastori, più acuta gravava la persecuzione contro la Sposa del Nazzareno.

Che senso di abbattimento, di ansioso timore d’un peg- giore avvenire invadeva tutti i buoni che sfiduciati si do- mandavano: dove andremo a finire? E fu appunto in quei giorni dolorosi che la pia fondatrice, povera fanciulla del popolo, anzi di quel Rione che ci dette il nostro Portento, la nostra cara Santa Caterina, docile alla voce di Gesù che le aveva parlato al cuore e fidente in quella potenza che aveva vinto il mondo, nella sua cameretta dentro le mura domestiche radunava un piccolo nucleo di fanciulle pove- re come lei e non aventi altri pregi, altra dote che la loro virtù e con esse faceva voto di consacrarsi a Dio.

C

on queste parole, nel dicembre del 1910, don Alfredo Sani, direttore spirituale, come egli stesso si definisce, dell’Istituto delle Sorelle dei Po-

(13)

25 24

veri di Santa Caterina, presenta l’opera al nuovo ar- civescovo di Siena, Prospero Scaccia, in visita per la prima volta in via Baroncelli, sede di quella che è da tempo la Casa Madre della Congregazione. Egli esprime così l’autoconsapevolezza dei protagonisti, secondo una linea interpretativa che ha già elabo- rato in qualche modo il vissuto complessivo delle vicende che hanno visto nascere, e poi svilupparsi, la fondazione pensata e voluta da Savina Petrilli, la povera fanciulla del popolo senese. Il prete conclu- de significativamente l’incipit aderendo alla visione provvidenzialistica che alimenta in maniera eviden- te la sua ricostruzione:

Così come sempre, si dimostrava ancora una vol- ta che al compimento delle sue opere sceglie Iddio i mezzi più deboli e spregevoli per confondere l’orgo- glio del secolo superbo e perché nessuno inorgoglisca al suo cospetto.

Ma le cose andarono effettivamente così? Ci fu dav- vero un rapporto di causa-effetto tra gli avvenimenti, il clima liberale e anticlericale di Siena e il concepi- mento, la gestazione e il parto successivo dell’opera in questione? E poi, la nostra protagonista, la Madre Savina Petrilli, ne era fortemente consapevole tanto da ideare e costruire il tutto in maniera intenzional-

mente antagonistica, così come si potrebbe evincere dalle parole del sacerdote?

Nella seconda metà dell’Ottocento, Siena stava af- frontando, al pari delle altre città medio-piccole della penisola, le problematiche legate alla modernizzazio- ne che, come è noto, toccavano aspetti economici ed insieme sociali. La forte e fiorente struttura agraria rimaneva saldamente nelle mani delle ancora nume- rose famiglie nobili, anche se si manifestavano già le prime difficoltà legate al progressivo e incalzante al- largamento dei mercati internazionali. Questi infatti, influendo sui prezzi dei prodotti agricoli, incideranno presto sulla tenuta tradizionale del sistema agrario da una parte, innestando tra l’altro il dibattito sulla bon- tà o meno della mezzadria, e dall’altra alimenteranno quelle prime forme di protesta colonica che andran- no presto a sostenere l’associazionismo sindacalista, socialista e non. Sul piano interno ciò confermava di fatto l’egemonia sociale dell’aristocrazia ancora in gra- do di essere e continuare ad essere il modello civico di riferimento. La modernità però si stava inserendo anche nel tessuto cittadino a volte sfruttando la tra- dizione artigianale di stampo medievale e a volte ap- plicando in loco gli strumenti e i simboli del linguag- gio industriale ormai europeo. Nel primo caso, vanno registrate le produzioni di pelli e cuoiami, specie in

(14)

27 26

Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

Fontebranda, tradizionalmente a ciò dedita a causa della ricchezza delle acque, e le produzioni tessili; nel secondo caso, evento emblematico è senza dubbio la costruzione della ferrovia e, in stretto collegamento, delle Officine Meccaniche Ferroviarie. In questo modo, il tessuto sociale urbano veniva lentamente, ma ineso- rabilmente, assumendo caratteristiche di mobilità che la presenza delle nuove figure di operai e lavoratori salariati, e come conseguenza, di disoccupati, rendeva certamente più problematica e più difficile da gestire con i tradizionali modelli socio-antropologici. Specie quando, esaurita la spinta iniziale espansiva, intorno alla metà degli anni Settanta, il ciclo economico conob- be un periodo di recessione assai duro che solo all’ini- zio del nuovo secolo sembrò attenuarsi, quando cioè l’industrializzazione e la modernizzazione assunsero caratteristiche meglio definite.

In questo quadro, il cattolicesimo senese si trovava a fare i conti con il passaggio dal paradigma della religio- sità cittadina, autosufficiente e autoreferenziale, fatta di rispetto formale della liturgia esistenziale (quella dei riti di iniziazione legati alla sacramentalizzazione primaria) e di sana, ma sempre più problematica tradizione cit- tadina, ad uno che fosse in grado di affrontare da una parte i costumi mutevoli e in continua trasformazio- ne, e dall’altra l’ideologia liberale sempre più concreta

nelle istituzioni, governi centrali e cittadini, chiedeva- no una scelta di campo, non sempre linearmente con- dotta e perseguita, anche per mancanza di riferimenti ideali. Si trattava cioè di inventare un nuovo modello di cattolico che, fedele alla dottrina e alla Chiesa, sempre più intimamente e intenzionalmente identificata nella figura del Papa, doveva poi affrontare con coraggio e chiarezza le provocazioni morali (a livello individuale e collettivo) che i cambiamenti strutturali e sociali di fatto comportavano.

A giudizio dei vescovi senesi, ignoranza della dot- trina cristiana, cattiva educazione dei figli, allontana- mento dai sacramenti e vizio della bestemmia erano le gravi carenze che il gregge senese mostrava. Que- sto è il giudizio che ne dà Mancini (1824-1855) nel 1849 e che sostanzialmente non cambierà nel tempo.

Nel 1866, Baldanzi (1855-1866) rincara la dose:

Vi hanno pur troppo certi cristiani materiali, che sono sì, se volete zelantissimi di funzioni, di feste, di processioni, di addobbi e di simili cose esteriori e di pompa, voi però gli vedete arrecare in questo un’impotenza estrema, e non darsi mai posta. Ma, allorché si tratta di sacramenti, la cosa procede al- trimenti assai; imperciocché si vedono i tribunali di penitenza quasi deserti, e le mense di vita solitarie.

Quindi non è meraviglia se con queste mostre di pie-

(15)

29 28

tà e religione, si accoppiano e inveterano i vizi più turpi, le bestemmie più sataniche, le violazioni delle leggi sacrosante della chiesa.

Quando il nuovo vescovo, Enrico Bindi (1871-1876), arriva a Siena nel 1871, il mondo cattolico sembra es- sersi diviso, anche se non in maniera netta: da una parte la “Società senese per gli interessi cattolici”, composta da esponenti della nobiltà e dai cattolici intenzionati a non venire a patti con il nuovo governo, e dall’altra, quella parte di cattolici disponibili a fare i conti in qual- che maniera con la nuova situazione nazionale e locale.

In questa direzione va la pubblicazione del settimanale

“Il Messaggere della Settimana”, un periodico che sem- bra sostenere le posizioni conciliatoriste. Nel mezzo, le condizioni religiose della popolazione. Comincia a farsi strada quell’idea, di origine medievale e dunque molto sentita a Siena, e che in seguito avrà tanta fortuna nella pubblicistica cattolica, che lega insieme la buona edu- cazione cristiana con un positivo spirito civico. Bindi prende atto che il vero problema riguarda le plebi citta- dine, quelle le cui famiglie sembrano, rispetto a quelle contadine, più esposte ai pericoli della società moderna:

Se nelle famiglie di sfera superiore la mancanza o l’infiaccamento di questo principio può in qualche

modo venir supplito al di fuori dell’educazione e da una certa cultura di mente; non è così nelle famiglie delle plebi ignoranti, e ineducate, che, perduto il senso di Dio, non hanno più legame o freno, né temono di forza materiale che le trattenga.

Dunque, non bastano più, secondo il prelato, le for- me associative del passato: il nuovo imperativo per la Chiesa è quello di intervenire proprio sul versante educativo, della formazione:

Da tali famiglie che figlioli vengono su! Qual piaga più schifosa e molesta del ragazzume delle città? Chi pensa a curar questa piaga? Oh! sorgesse a questo in- tento anche tra noi un patronato (…), un patronato cristiano, che solo può ammansire e avversare questi piccoli selvaggi.

Bindi sprona i cattolici senesi a prendere l’iniziati- va per rendere la fede operosa, con il suo linguaggio, a beneficare. È in questo contesto che il vescovo in- contra il marchese Alessandro Bichi Ruspoli. Qualche tempo prima il suo nome era apparso nelle note in- formative prefettizie sulla “Società di S. Vincenzo dei Paoli”, considerata un covo della nobiltà retriva, e ac- cusata di essere vicina alla corte di Roma. Tale organi- smo però aveva ben precise caratteristiche. Federico Ozanam, tra i suoi fondatori e convinto sostenitore,

(16)

31 30

Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

aveva così scritto al padre Tommaso Pendola, che se ne era fatto promotore a Siena, nel luglio del 1853:

Fa d’uopo che questi giovani signori sappiano ciò che è la fame, la sete, lo spogliamento di un granaio.

Fa d’uopo che essi veggano dei miserabili, dei poveri infermi, dei pargoli in pianto. Fa d’uopo che essi veg- gano tutti questi sventurati e imparino ad amarli. O questo spettacolo sveglierà qualche palpito nel loro cuore, o questa generazione è perduta.

Con Bindi, il marchese si impegna attivamente e di- venta consigliere comunale nelle elezioni del 1875, nella lista clericale, sostenuta della “Società per gli interessi cattolici” e dal settimanale “Il Messaggere”.

Lo scenario sociale, e non solo, è per il vescovo asso- lutamente chiaro e non ammette ambiguità: i cattolici possono avere maggior voce in capitolo anche sugli aspetti politici dello scontro con la modernità, solo se dimostreranno capacità di incidere sui bisogni reali del popolo. Da parte sua, prova ad allargare i confini della visione ecclesiale partecipando a quel rito che stava diventando sempre più caratteristica universale della Chiesa cattolica: il 21 luglio 1873 consacra la diocesi al Sacro Cuore.

Nel 1876 arriva a Siena Giovanni Pierallini (1876- 1888) che fa una decisa scelta di campo a favore della

linea caritatevole, spingendo i senesi in questa dire- zione. I cattolici, d’ora in poi, devono smettere di pro- testare, lamentarsi, agognare, sperare, intravvedere mondi migliori e diversi: essi sono chiamati ad agire.

Il vescovo Tommasi arriverà, nella Lettera Pastorale del 1902, ad esortare addirittura i sacerdoti perché

«escano dal tempio ad esercitare il loro apostolato in mezzo al popolo».

Infine, Prospero Scaccia (vescovo dal 1909 al 1932), conferma come l’ignoranza religiosa sembri essere una caratteristica di lunga durata per i senesi. Sono cambiati i problemi e la società, ma «indifferenza, insensibilità, apatia religiosa, vita tutta materiale, animalesca, licenza d’atti e di parole, ambizione sfre- nata, procacità nelle fanciulle, precoce pervertimento nei minorenni» vengono confermati come vizi tipici della popolazione senese. E ancora una volta, la solu- zione viene individuata proprio a quel livello di impe- gno e attivismo che dovrebbe spingere i cattolici se- nesi ad essere protagonisti in tutti i campi: da quello assistenziale e caritatevole, a quello sociale e politico, sia pure in senso lato.

A questo scenario va aggiunto l’impietoso giudizio sullo stato del clero senese desumibile dai testi di Visi- te Apostoliche effettuate proprio in quegli anni, anche se con fini diversi. Risulta che la grande maggioran-

(17)

33 32

za dei sacerdoti non fa la spiegazione domenicale del Vangelo, non ha organizzato le scuole di catechismo parrocchiale, non frequenta gli esercizi spirituali e soprattutto non mantiene sempre una condotta mo- rale scevra da tendenze pericolose e consona all’abi- to. Nessuna meraviglia, dunque, che la frequenza alla messa domenicale sia assai scarsa, con preponderan- te presenza femminile, ancora meno le comunioni pa- squali e le confessioni, poco efficaci le associazioni devozionali e ancor meno quelle sociali e caritatevoli.

È questo, a maglie larghe, l’ambiente nel quale Sa- vina Petrilli matura le proprie scelte, la propria voca- zione. Quanto ha contato l’ambiente senese nel deter- minare tali scelte, tale vocazione? È del tutto evidente che l’estrazione sociale e l’ambiente familiare di Savi- na, tra l’altro di recente inurbamento e dunque ancora ascrivibile al mondo contadino, si iscrivono proprio in quell’orizzonte di cattolicesimo devoto e fedele, forse poco senese, da questo punto di vista, ma certamente inserito e a proprio agio in quella lunga tradizione di religiosità semplice, dal punto di vista dottrinale essenziale, ma motivata in quanto a costumi e attac- camento alla pietà popolare, fatta di santi e momenti liturgici forti e discriminanti. Tutti i topoi più classi- ci della pietà ufficiale della cattolicità, in quel torno di tempo che segna il passaggio alla modernità più

evidente, e che coincide, come abbiamo visto, con il periodo tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, sono presenti e ben vivi nella vita individuale della Petrilli prima, e della comunità da lei fondata dopo.

Basti pensare al culto mariano, in tutte le sue artico- lazioni e in modo particolare all’Immacolata e alla Ver- gine del Rosario, al recente, ma non per questo meno incidente, culto del Sacro Cuore, poi alla devozione a San Giuseppe, e a Santa Caterina, ovviamente. Su tutto, quell’atteggiamento del tutto diverso, ma non meno pregnante perché disponibile ad essere vissuto nella maniera più concreta possibile, che è la venerazione della figura del Papa. Da ciascuno di questi culti deri- vano pratiche individuali e comunitarie che animano la pietà individuale dei cattolici spesso in organismi e associazioni sempre più e meglio organizzati.

La “Pia Unione delle Figlie di Maria” affonda le sue origini in un’antica devozione mariana, tipicamen- te femminile, di stampo medievale, che nel tempo aveva collegato la riflessione sulle donne al seguito di Gesù (soprattutto la Vergine Maria, ma anche la Maddalena) alla figura di Sant’Agnese, la fanciulla della purezza. L’associazione viene ufficializzata nel 1867 con l’approvazione pontificia. Di qui si ebbe la generale diffusione del sodalizio nelle parroc- chie. Basata sulla preghiera, in primis la recita del

(18)

35 34

Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

Rosario, l’associazione univa anche pratiche di assi- stenza alle fanciulle povere del popolo, sia in senso materiale che spirituale, soprattutto attraverso l’at- tività del catechismo finalizzato alla prima sacra- mentalizzazione, in modo particolare la preparazio- ne alla prima comunione. L’associazione riusciva a connettere la presenza e l’attivismo delle donne nel- la organizzazione ecclesiale, con la riflessione sul- le qualità morali necessarie alla presa di coscienza femminile in una società che si avvertiva pericolosa ed improvvisamente estranea ai canoni della morale cattolica. In genere, vi aderivano donne delle classi più agiate soprattutto a livello sociale, che univano alla disponibilità di tempo e di risorse utili all’azione caritativa anche le prime forme di preparazione in- tellettuale nella direzione di conoscenze essenziali della dottrina cattolica.

Il culto mariano fa parte a pieno titolo di quella in- terpretazione in forma difensiva e protettiva dell’in- tervento divino, mediato appunto dalla Madonna, che aveva un’origine antica e che recentemente, con la Restaurazione, aveva assunto esplicitamente le carat- teristiche di antemurale verso la Rivoluzione prima e poi via via verso la Modernità. In particolare, il cul- to dell’Immacolata Concezione, come è noto, nacque in contemporanea con la proclamazione del dogma,

l’8 dicembre del 1854, da parte di Pio IX che portò a compimento un processo in atto da tempo nella Chie- sa cattolica. Tale devozione si rinforzò ulteriormente nel 1858, anno delle apparizioni mariane a Lourdes, in occasione delle quali alla cosidetta arroganza del pensiero razionalista moderno veniva opposta la semplicità della pastorella cui la Madonna aveva scel- to di apparire confidandole i suoi segreti. Nella stessa direzione va vista la ripresa dell’antica pratica del Ro- sario: alla Madonna, Auxilium christianorum secon- do Pio VII, il papa antinapoleonico, veniva chiesto di confermare lo speciale intervento protettivo che già nel 1571, a Lepanto, aveva svolto contro gli infedeli, identificati nell’Ottocento con i numerosi sostenitori dell’azione laicizzatrice dei governi liberali. Lo stesso Leone XIII aveva ripetutamente invitato i cattolici alla pratica del Rosario, sia a livello individuale che comu- nitario, consacrando in maniera ufficiale, nelle con- suetudini liturgiche delle comunità, il mese di maggio alla Madonna, così come quello di giugno verrà dedi- cato al Sacro Cuore di Gesù.

Anche questa devozione aveva una lunga storia alle spalle, ma la rivisitazione che i papi ne fanno tra Ot- tocento e Novecento, risponde proprio a quella nuova esigenza di far uscire dalla dimensione essenzialmen- te individuale e quasi clandestina le pratiche cultuali

(19)

37 36

per farle diventare, di fronte al mondo, esperienze di identificazione collettiva da una parte, e segnali di ri- presa di significato liturgico e politico (in senso lato) dall’altra. Nel 1899 Leone XIII ufficializzò la consue- tudine della consacrazione al Sacro Cuore chiedendo- ne la diffusione, anche attraverso le associazioni di origine gesuita dell’Apostolato della Preghiera.

Anche l’antica devozione a San Giuseppe conosce nel XIX secolo un’accentuazione verso la regolariz- zazione del culto. È Pio IX nel 1847 che stabilisce la festa principale di San Giuseppe, il 19 marzo, mentre Leone XIII la dichiara festa di precetto nel 1891, con- sacrando così il mese primaverile proprio alla memo- ria del padre di Gesù. Ed è proprio questo il legame che tiene teologicamente unito il culto e la devozione, in parallelo con quello della Madonna, legandosi via via con la postulazione di un modello di uomo cattoli- co impegnato nelle attività caritatevoli e consapevole del proprio ruolo al fine della diffusione della figu- ra del Santo e per estensione dunque della dottrina cattolica. Paternità e maternità vanno dunque di pari passo nel processo di costruzione apologetica di fi- gure esemplari di cattolici che resistono alle lusinghe della Modernità.

Discorso un po’ diverso va fatto per il culto di San- ta Caterina. Bisogna ricordare innanzitutto che c’era

a Siena una confraternita di Santa Caterina in Fon- tebranda che, per una serie di motivi diversi, com- preso il contraccolpo delle leggi eversive, si trovava ridotta ai minimi termini. Comunque, mancano tracce evidenti che documentino il legame della Petrilli con Santa Caterina, se non, più tardi, all’inizio del 1900, quando nascerà “La voce della Carità”, il mensile della Congregazione. Altrove però, intorno alla santa sene- se, le cose andavano diversamente. Nel 1855 vi era stata a Roma la riapertura al culto della chiesa di San- ta Maria Sopra Minerva: per l’occasione, il corpo della santa era stato ivi trasportato dal Collegio Capranica, dove era precedentemente, con una grande proces- sione che aveva di fatto rinforzato il legame del culto cateriniano con Roma, cioè con il potere temporale.

Nel 1866 Pio IX proclamava Caterina copatrona di Roma, chiamandola così a difesa della città.

Sulla Benincasa c’erano stati i fondamentali contributi del Tommaseo e del cardinale Capecelatro sulla vita e su alcuni suoi scritti, testi che difficilmente possiamo immaginare nella biblioteca della Nostra. Sta di fatto che la nuova situazione politica e religiosa stava trasforman- do l’immagine della santa, portandola in un certo senso fuori dai monasteri, così come la tradizionale devozione la considerava, per dipingere un profilo di donna atti- va, consapevole e soprattutto combattiva nella difesa

(20)

39 38

Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

della cristianità. In questo senso si spiega la nascita de

“La vergine Benincasa”, un mensile curato dal direttore dell’Istituto Sacro Cuore di Siena, Carlo Carapelli, anche se, pure in questo caso, non ci sono tracce di rapporti si- gnificativamente collaborativi tra questi e Savina Petrilli, nonostante egli sia successivamente presente, con pochi altri sacerdoti senesi, alla seduta inaugurale del primo capitolo generale della Congregazione nel 1906.

In un articolo del 1924, nel mensile dell’Istituto di Santa Caterina delle Sorelle dei poveri, “La Voce della Carità”, titolato La Madre Savina e il culto di Santa Caterina a Siena, appare un giudizio assai netto: «a quel tempo, a Siena, Santa Caterina appena si ram- mentava». In un intervento di don Roberto Puccini, canonico colligiano, inviato al vescovo Tommasi, ab- biamo una testimonianza delle problematiche legate alla figura e al culto della vergine Benincasa in tempi di difficile quadratura del cerchio:

In pellegrinaggio a S. Caterina da Siena dovrebbero andare, e nelle prime file, tutti quelli che sono spasi- manti di amor patrio a parole, ma non a fatti; e così piglierebbero forse occasione di ricredersi e miglio- rare, venerando quella sacra testa in cui ebbero sede tanti nobili e vigorosi pensieri, spesi poi a vantaggio non solamente di Siena, ma della Toscana, d’Italia, di tutta la Cristianità. Invero dall’urna di Santa Cate-

rina, più che da tante cattedre universitarie esce un insegnamento di amor patrio sì forte e persuasivo, da accendere i cuori, sanare i popoli e ricondurre il natio luogo a gloriosi destini. L’amor di patria, quand’è di quel vero, genuino e dabbene, è pure la santa cosa, e si vorrebbe predicarlo e innestarlo in tutti i petti; ma alle volte corre un amor di patria gonfio, ampolloso e vuoto che nasconde invece l’amor di sé, l’amore di ti- ranneggiare i cittadini, l’amore dell’oro altrui, l’amore della licenza, della vanità, dell’orgoglio dell’empietà.

(...) Che il Cristianesimo fomenti l’amor di Patria lo dimostrano i discorsi e le opere dei Santi; e basta per tutti la vergine di Fontebranda. Al vedere in una femminella di popolo quella eloquenza e quel si alto coraggio; quello scrivere con tanta umiltà di figliuola e con tanta superiorità di sapienza a papi e cardinali per il bene della patria; quello scoprir si a dentro le piaghe d’Italia e suggerir rimedi; quel pensare si spes- so e con tanto cuore alla sua cara Siena; quella carità si contemplativa e insieme tanto operosa ci riempio- no la mente e il cuore di meraviglia, in modo che non sappiamo rinvenire dallo stupore. Per merito della Santa, nell’eroica difesa delle mura senesi, le donne combatterono più che uomini; Firenze fu conciliata colla Chiesa; le repubbliche si accordarono; affratel- laronsi i nemici; i Papi fecero ritorno da Avignone in Italia; ebbe, insomma, pace, tranquillità, splendore la patria: perché questa non istà nelle zolle, ma dentro di noi, e la città è grande, se sono grandi i cittadini!

(21)

41 40

Ci sono testimonianze certe che segnalano. verso la fine del secolo. l’iniziativa di pellegrinaggi parroc- chiali alla Casa di Santa Caterina: il neonato settima- nale cattolico “Il Popolo di Siena” li presenta come manifestazioni di forza della presenza dei cattolici, uniti e compatti contro il dilagare della miscredenza liberale. Nel 1921, “La Voce della Carità” annuncia la nascita in Siena della “Società Internazionale di studi Cateriniani” con un organigramma provvisorio e un programma assai chiaro:

mettere in sempre più chiara luce la mirabile figu- ra della Vergine medievale come Santa, come scrittri- ce, come consigliera di Pontefici e di sovrani, come moderatrice e pacificatrice di popoli, illustrandone viemeglio l’azione sui suoi tempi e sui tempi succes- sivi, sino ai dì nostri;

fondare in Siena una biblioteca in cui dovranno es- sere raccolte e conservate le pubblicazioni riguardan- ti l’inclita nostra Concittadina, la sua vita, il suo apo- stolato, in Siena e fuori, i suoi scritti, le opere diverse fondate e ispirate da Lei, gli statuti delle Congrega- zioni e delle Confraternite, che da Lei si intitolano;

riunire, come in una spirituale famiglia, gli studio- si di cose Cateriniane di tutto il mondo, agevolando loro, con ogni mezzo, la continuazione e l’incremen- to di questi studi.

Di fatto, cominciò proprio in quegli anni la rivaluta- zione della Santa senese che conobbe sempre più un crescendo di interesse devozionale e non solo, e che portò alla proclamazione del 1939 di Santa Caterina patrona d’Italia.

L’accenno a Santa Caterina consente di analizzare un altro decisivo tema del periodo in qualche modo affrontato nelle vicende di cui ci stiamo occupando: il ruolo della donna, cattolica in modo particolare, nella società e nella Chiesa. Elemento questo nient’affatto assente negli ambienti che videro crescere Savina Pe- trilli e al quale ella stessa non fu insensibile. In ma- niera esemplificativa, ecco quanto scrive Sena Iulia su

“La voce della Carità” sul tema, nel febbraio del 1906:

Oggi che la donna, per forza dei tempi, viene chia- mata ad una più larga azione benefica e sociale, e insie- me ad una più varia, scientifica, e diffusa elaborazione del suo pensiero, come studiosa, come insegnante ed anche come scrittrice, si rende più che mai necessario che più larga, più profonda e più erudita sia pure la sua istruzione religiosa. Sì, perché oggi che di tutto si vuol chiedere e rendere ragione, e che inoltre uno spirito di dubbio e di innovazione si è infiltrato poco o molto, con l’indagine, in tutti gli animi, in tutte le scuole e in tutti i rami del sapere, è necessario, è urgente quanto mai che questa donna molto insidiata nella sua fede,

(22)

43 42

Società e Chiesa a Siena tra Ottocento e Novecento

nelle sue convinzioni religiose e morali (e più dell’uomo facile a subire impressioni ed influenze se vi si associa in qualche modo il sentimento) riceva come contrav- veleno un regolare ed assiduo insegnamento religioso.

Da precise testimonianze, si sa che Savina, nono- stante i suoi molteplici impegni, pur avendo affida- ta ad una Sorella la gestione del mensile, riguarda- va attentamente gli articoli che vi si pubblicavano.

Dunque, è assai verosimile che ella condividesse quanto veniva scritto. Del resto, come non pensare anche a lei leggendo queste parole? Ancora più in- cisiva appare la chiusa, laddove l’autrice metteva in guardia la donna

sia da quel sentimentalismo religioso che si nutre di impressioni, che spazia nel vago e trascura con que- sto, talora, l’osservanza degli stessi precetti, come, e più, da quel formalismo religioso, suo estremo oppo- sto, che sta attaccato alla lettera e trascura o ignora lo spirito, che nella pratica materiale della Religione (non sempre d’accordo con la pratica della virtù) fa consistere tutto il dovere e il merito.

In altre occasioni, il mensile della Congregazione era tornato sulla Santa Senese proponendone la sua figura di donna come «testimonianza di vero femmi- nismo, di quanto la donna, anche senza la sua azione

diretta può fare il bene sociale e politico della Patria», e riportando quell’espressione «siate virili», come un invito alle donne cattoliche perché abbiano «dignità vera di uomo», cioè, abbiano la capacità «di stare im- perterriti di fronte ai grandi della terra, per dir loro, a viso aperto, ciò che era giusto e vero». Quanto tale spirito fosse condiviso all’interno dell’Istituto viene ulteriormente testimoniato da una lettera che la Ma- dre riceve da Livorno, nell’aprile del 1904, dalle Sorel- le lì impegnate con le fanciulle povere:

Oh, cara Madre, quant’è bisognosa dell’istruzione re- ligiosa questa numerosa gioventù. Quanto bene maggio- re si potrebbe fare se avessimo mezzi materiali con cui poterla aiutare nei suoi bisogni materiali. Facciamo ogni giorno voti al Signore perche ispiri ad alcune pie persone, di questa città, di amare e proteggere la cara gioventù che noi educhiamo, organizzando un’opera a suo vantaggio.

Oh, qual benefica influenza ne risentirebbe la famiglia e quindi l’intiera società, essendo la donna molla segreta, per dir così, che pone in movimento il consorzio civile.

Da segnalare infine due interventi, ospitati da “La Voce della Carità”, che testimoniano la stretta col- laborazione tra la Congregazione e l’Unione Donne Cattoliche, il ramo femminile dell’Azione Cattolica.

Il primo, del 1919, di Franceschina Curci Sofio sulla

(23)

45 44

missione delle donne cristiane del dopoguerra, pro- nunciato nella sede del comitato senese:

Donne dunque non volgarmente mascolinizzate, ma nobilmente virili, richiedono i tempi nuovi, richie- derà il dopoguerra; quel dopoguerra che potrà es- sere tanto radioso o tanto fosco, secondo il diverso orientamento che si riuscirà a dare agl’intelletti e le coscienze, massime, forse, femminili. Che se tanto ur- gono oggi le infermiere dei corpi, tanto più urgeranno, domani, le infermiere dello spirito.

L’altro intervento è della stessa Savina che parlò per salutare gli ospiti riuniti nel suo Istituto, nel 1920, per la Settimana Internazionale Toscana-Umbra della Gioventù Femminile Cattolica, organizzata in colla- borazione con l’incaricato diocesano don Benedetto Morbidi. Questi così ebbe a ricordare quelle parole:

Ricordo che ci esortò a non dubitare della pochezza delle nostre forze fidandoci in Dio che moltiplica quel poco che noi possiamo fare quando ciò facciamo con umiltà e confidenza e retta intenzione. Rivestii questo pensiero con un esempio che potrebbe sembrare ba- nale, ma che è pure tanto espressivo «noi siamo come burattini: chi tiene i fili e li muove è il Signore. Bisogna confidare in Lui».

Infine, a proposito del nuovo culto del Padre bian- co, va ricordato che proprio il processo di secolariz- zazione della società, innescato dalla Rivoluzione francese aveva, contribuito a conferire ai pontefici un’aura di santità, in quanto nuovi martiri (Pio VI e Pio VII, in un certo senso, lo erano stati davvero), così come la dissoluzione del potere temporale dei papi favorì la devozione per Pio IX, «prigioniero del Va- ticano» dopo la breccia di Porta Pia. L’identificazio- ne tra Pontefice e Chiesa si perfeziona proprio nel 1870, quando al Concilio Vaticano I, la definizione della infallibilità delle parole del papa «ex cathedra»

contribuisce a dare il via a quella pratica delle visite a Roma, anche per sostenere, in polemica con l’inesora- bile scure economico-finanziaria dello stato liberale, l’obolo di San Pietro. Di qui quel crescente clima di quasi culto per il papa, divenuto fra l’altro, anche gra- zie alle migliori e cresciute forme di comunicazioni, paradossalmente più vicino, contattabile (le udienze), e al tempo stesso, più sacro e rappresentativo.

Savina dovette necessariamente entrare in contatto con questo panorama, composito e relativamente va- riegato. Nel corso della sua vita vedremo che ciascu- no di questi culti o devozione avrà un posto impor- tante. Ma ella dovette avere a che fare anche con quel continuum della vita socio-religiosa e dunque politica

(24)

47 46

di Siena: la tradizione della devozione istituzionale, di sapore medievale, di religione cittadina, di cui il culto mariano, Sena vetus civitas Verginis, era elemen- to portante.

2. La vita di Savina Petrilli (1851-1923)

Benedico il Signore che Siena, onorata di aver dato i natali alla immortale Santa Caterina, abbia altresì potuto veder sorgere in questo ultimo cinquantennio nelle Sorelle dei Poveri una Pia Congregazione, che si propone di far rivivere nelle sue figlie lo spirito della grande Santa.

E ciò mentre è gloria di Siena, è prova altresì della perenne vitalità della Chiesa, che in ogni tempo vede con gioia sorgere tra i propri figli anime elette, di cui la Provvidenza mirabilmente dispone per conservare e risvegliare nei popoli profondo il sentimento cristiano.

Le Sorelle dei poveri che, sorte si può dire ieri, hanno già al loro attivo i resultati più consolanti nella esplica- zione della loro missione sia in Italia, sia in vari paesi dell’America (…), sono realmente animate da sincero spirito di vita religiosa, ed hanno ottima preparazione spirituale, ciò che costituisce la più valida assicurazio- ne per la buona riuscita del loro Apostolato.

C

osì monsignor Prospero Scaccia, vescovo sene- se, nel febbraio del 1920, in una lettera al vesco- vo di Paranà in Argentina, per raccomandare il grup- po di Sorelle dei Poveri in procinto di aprire un asilo

(25)

49 48

per le orfanelle a Victoria, in quella diocesi. Il tono è certamente elogiativo e forse un po’ interessato, ma il vescovo sa bene quel che dice. Due mesi dopo, nella risposta, il vescovo sudamericano, Abel Barzan, che conosce bene le Suore e appare in piena sintonia con i motivi della lettera commendatizia di Scaccia, scrive:

Condividiamo i concetti di stima e di apprezzo che nella sua lettera manifesta a favore di questa Congrega- zione Religiosa, lieti di ricevere per una seconda volta alcuni dei suoi membri nella nostra Diocesi, dove con il loro buono spirito ed ottima preparazione – di cui qui hanno già dato prova - troveranno un campo propizio per dare sfogo al santo zelo di cui sentono animate.

Che Santa Caterina, la cui festa oggi celebriamo, be- nedica ed assista dal Cielo a queste sue figlie di Siena, cui l’amore di Dio e la salute delle anime spinse a que- ste lontane terre di America.

La corrispondenza tra i due prelati gira intorno al legame tra Siena, Santa Caterina e le Sorelle dei Pove- ri, e in ultimo l’America Latina, la terra di missione.

Ecco allora che la catena Siena, Santa Caterina, le So- relle dei Poveri, la Chiesa, ci porta direttamente a Sa- vina Petrilli, da cui tutto parte: alla radice attraverso il tronco, all’albero attraverso i frutti.

Savina Petrilli nasce a Siena nel 1851, il 29 agosto, nel Costone, in Fontebranda, da Celso e Matilde Vettu-

rini. È la secondogenita di sette figli (Emilia, Gaetano, Loreto, Gabriello, Vitaliano e Isolina) che moriranno nel tempo prima di lei. Celso è dipendente di Pietro Bacci, un commerciante non ricco, ma benestante che gestisce una rivendita di vino e un laboratorio di pel- lami; Matilde fa la madre a tempo pieno e, quando ce n’è bisogno, aiuta il marito nelle sue attività. Savina non ha una salute ferma, come buona parte della gio- ventù dell’epoca, tanto che la madre chiede e ottiene che la bambina venga cresimata all’età di un anno, nel pieno di una grave crisi, in pericolo di vita. In più la bambina presenta una leggera, ma evidente, meno- mazione ad un piede che contribuirà ulteriormente a metterla in evidenza. Più tardi, la chiameranno “la zoppina”, ma la piccola, probabilmente perché era vero, pare non se ne avesse a male.

L’ambiente familiare è imbevuto di spirito religioso e Savina cresce secondo tale impostazione, mostran- do precocemente segni di vitalità interiore e curiosità intellettuale. La sua formazione si svolge presso le Figlie della Carità, a San Girolamo, che frequenta con passione e assiduità, nonostante la notevole distanza da casa. Qui riceve la prima alfabetizzazione e soprat- tutto l’iniziazione cristiana, apprendendo le formule tradizionali delle devozioni più diffuse all’epoca, sia a livello individuale che comunitario, insieme con i

(26)

51 50

50 51

La vita di Savina Petrilli (1851-1923)

rudimenti della dottrina cattolica. Così scriverà nel 1910, ricordando il suo passato:

Fin dalla mia infanzia ebbi un carattere molto ma molto timido che conservai fino all’età di 25 o 30 anni. Mi credevo e tenevo, quale realmente ero, pove- rella e ignorante, inferiore a tutte. Amavo molto tutte le mie compagne di scuola e soffrivo per vedermi da esse poco curata, specialmente dalle più grandi di me di un anno o poco più, ma non me ne lagnavo né me ne impermalivo.

Il 31 maggio del 1863, a 11 anni, fa la prima Co- munione. Savina stessa, rielaborando nel 1909 il ri- cordo di quel giorno, descrive la particolare commo- zione del momento e riferisce di aver pregato così:

«Gesù caro, ti raccomando tutte le persone che sono al mondo, perché tutti si salvino». Nel 1866, quando la famiglia si è trasferita in via Diacceto, la ragazza lascia San Girolamo e frequenta la parrocchia di San Giovanni, al Duomo, dove si impegna nella prepara- zione delle fanciulle alla prima Comunione: qui è tra le fondatrici dell’“Unione Figlie di Maria”, la pia asso- ciazione che aveva nella purezza e nella fortezza le radici di una devozione alla Madonna e a Sant’Agne- se che saranno sempre presenti nella vita spirituale della senese. Savina ha 15 anni. Nel 1874, diventerà

responsabile dell’organismo, carica che manterrà fino alla morte. Le attività spaziano dagli aspetti devozio- nali e di preghiera a quelli più spiccatamente carita- tevoli: assistenza in primis a fanciulle bisognose. Ma soprattutto la preghiera: in casa aveva ricavato in un anfratto un altarino e la sera pregava anche fino a tardi con la sorella Emilia e con le prime amiche.

Non mancano nella storia dell’infanzia di Savina alcuni dei topoi classici dell’apologetica cattolica del periodo: la conversione dell’ateo, nella persona del datore di lavoro del padre e amico di famiglia, non- ché suo compare di battesimo, Pietro Bacci (in preda ad «una deplorevole confusione, comune a molti, fra idee politiche e religiose»); la conversione della com- pagna pericolosamente vicina ai protestanti («tutto mise in opera per ricondurre la pecorella, che minac- ciava di smarrirsi, al dolce ovile di Cristo!») che poi si farà suora delle “Figlie della Carità” e morirà nel 1873 a Parigi. Fatto sta, comunque, che in lei si fanno sempre più manifesti i segni di una precoce vocazione religiosa forte e decisa, basata sulla pratica di virtù individuali e sulla scelta della povertà e dei poveri.

Si sa che ha letto una non meglio precisata Vita di S.

Caterina alla quale si deve dunque pensare per imma- ginare una fonte significativa per la piccola Savina. In tutti i modi, va registrato anche il voto di verginità che

(27)

53 52

52 53

Savina emette prima in maniera annuale, nel 1868, e che poi diventerà perpetuo il 15 agosto 1869, con il consenso del confessore: aveva 18 anni. Nello stesso anno, in occasione di un viaggio Roma, ha la possibili- tà di andare in udienza da Pio IX. Più tardi, elaboran- do il ricordo dell’incontro, Savina riferirà che il papa licenziandola le aveva detto: «Vai con Santa Caterina, cammina sulle sue orme e seguine gli esempi».

Al Duomo intanto era entrata in contatto con il canonico Francesco Ballati che sarà suo confessore per molti anni. Tramite lui coglie l’importanza del- la fedeltà alla Chiesa, che si espliciterà nel rapporto con l’arcivescovo Bindi, al quale rivelerà presto il suo progetto. La responsabilità dei fratelli che la madre le assegna, dopo che lei è costretta dalle ristrettezze finanziarie della famiglia a dare una mano nella ri- vendita di vino, contribuisce a far maturare in Savina la sensibilità materna che ella di lì a breve esternerà soprattutto nei confronti delle fanciulle povere e bi- sognose. La sensazione è che l’esperienza delle “Figlie di Maria” sia per Savina importante perché le prefigu- ri in qualche modo la vita di una comunità femminile anche se non ancora in vita comune. Nell’estate del 1872, il 15 agosto, nasce il primo nucleo della comu- nità, in maniera semiclandestina e non del tutto sta- bile. In quattro emettono i voti religiosi per un anno.

Con lei ci sono Fortunata Medici, Giuseppina Nicolini ed Ersilia Ghezzi. Alla fine dell’anno Savina presenta al vescovo Bindi la sua proposta: una comunità reli- giosa a scopo di carità con dodici fanciulle povere.

La risposta del vescovo è al tempo stesso chiara e interlocutoria: «tempo, preghiera, consiglio». Proba- bilmente al vescovo appaiono in tutta la loro gravità le difficoltà della cosa e soprattutto la novità: queste ragazze del popolo che decidono di dedicarsi comple- tamente alla carità saltando le tradizionali modalità di assistenza caritatevole, come quelle delle “Figlie di Maria” oppure della San Vincenzo, offrono il fianco a obiezioni di non poco conto se associano anche la ra- dicalità della scelta religiosa. Tuttavia, il tempo lavora a vantaggio del progetto. Nell’agosto del 1873, Savina e le sue amiche (Emilia Barucci, Giuseppa Niccolini, Fortunata Medici, Sofia Cicali, Assunta Alessandri), tornano a sottoporre a Bindi la loro richiesta:

Ad unico oggetto di maggiore bene delle anime nostre e dell’avanzamento in questa via di perfezio- ne che sempre, benché indegne, abbiamo desiderato, ed allo scopo di venire in soccorso di qualcuna delle tante miserie che affliggono l’umana società, le qua- li tutte abbracceremmo volentieri per sollevarle, se ci fosse dato. E perché questo bene vesta un carattere ordinato e sottomesso ai canoni della Divina volon-

(28)

55 54

La vita di Savina Petrilli (1851-1923)

tà che noi riconosciamo nella autorità della E.V.R. alla quale ci protestiamo di voler ubbidire in tutto e senza restrizioni.

Nel dicembre 1873, è lo stesso Bindi a chiedere a Savina e alle sue amiche, che intanto erano in parte cambiate, di cominciare la vita comune in casa Petril- li, anche se le sue indicazioni appaiono piuttosto pru- denti. Bindi, accordando una sorta di permesso alle quattro amiche di continuare a vivere in famiglia, e mostrando di approvare l’iniziativa, indica lo scopo del progetto: «che le vostre opere di carità si dirigano specialmente alla religiosa istruzione della tenera età più bisognosa e più abbandonata, massimamente in ordine a ben ricevere i Sacramenti, e soprattutto a far bene la prima Comunione». Il vescovo sa bene che la cosa non è del tutto normale, ma mostra di aver colto lo spirito nuovo che anima le giovani donne. Dunque, anch’egli manifesta di apprezzare le opere di carità, come detto, ma non dimentica di sottolineare l’altro aspetto:

Acciò che vi sia fra voi stesse un centro di unione, necessario alla pratica unità d’azione, vogliamo che tale tra voi sia costituita la vostra compagna e sorella Savina Petrilli.

La gestazione della prima comunità avveniva dun- que nell’ambiente semplice e sobrio della famiglia Petrilli: le amiche avevano dovuto mentire ai propri genitori dicendo loro che bisognava completare un lavoro di ricamo e che dunque questo le obbligava a restare a casa di Savina. Ben presto le cose vennero allo scoperto, anche perché il numero delle fanciulle in qualche modo contattate dal gruppo aumentava e la situazione logistica diventava non più sufficiente.

Nel maggio del 1874 comincia la ricerca di una nuova casa che alla fine dell’anno viene acquistata e abita- ta in via Baroncelli, grazie all’aiuto determinante del marchese Alessandro Bichi Ruspoli, di cui abbiamo già parlato. Savina aveva conosciuto il Ruspoli trami- te monsignor Ricci Paracciani, allora Cameriere Se- greto del papa e divenuto successivamente Cardinale Protettore dell’Istituto, che glielo aveva segnalato a Roma in occasione della seconda visita di Savina da Pio IX, proprio nel gennaio 1874: questo sia a confer- ma di quelle corsie preferenziali con ambienti curia- li di alcuni esponenti della nobiltà senese, ma anche quale segno che l’idea della giovane senese aveva tro- vato ampio consenso anche a Roma. Al di là di questi aspetti, per così dire, ufficiali, il marchese aveva sin- ceramente preso a cuore le sorti del progetto di Savi- na e appunto le si era messo a fianco con elargizioni

(29)

57 56

56

56 5757

e consigli di tipo più generale. E così egli fu presente quando il 7 settembre ebbe inizio la vita comune tra cinque amiche e 9 fanciulle assistite. Secondo la te- stimonianza di Enrico Petrilli, Savina considerava il 7 settembre 1874

la data di nascita della Congregazione, mentre la data dell’8 dicembre dell’anno precedente la conside- rava la data della concezione del nuovo Istituto e se ne compiaceva dicendomi: Siamo state concepite con la Madonna e nate con la Madonna.

La prima messa venne celebrata nella cappella, rica- vata in una delle stanze, nell’ottobre 1874. I tempi de- gli inizi furono davvero difficili: scarseggiava tutto, dal cibo alle risorse per sostenere le fanciulle, che intanto andavano a vivere in casa. E davvero in questo fu stra- ordinaria la capacità della Petrilli di intrattenere rela- zioni con chi in qualche modo poteva sostenere la sua opera: in questo senso, ella sarà davvero «amica dei ricchi», caratteristica questa molto diffusa in quel tem- po nelle nuove fondazioni religiose e che segnalava, tra l’altro, quel mutamento di prospettiva del tradizio- nale paternalismo delle classi agiate che andava con- cretizzandosi in azioni determinate a favore di coloro che si occupavano dei più poveri. In questo senso, tra i nuovi protettori locali si segnalano anche Luigi Barga-

gli e Luigi Piccolomini. Tra il 1874 e il 1875 Savina, su esplicita richiesta del vescovo Zini e con l’aiuto dei sa- cerdoti vicini all’Istituto, scrive le Regole che il vescovo approverà. In realtà, anche il nuovo vescovo, Pierallini, nel 1876, rivide le Regole e, con qualche variazione, le approvò nel 1879 con riferimento ad «Alcune fanciulle della Città di Siena essendosi volontariamente dedica- te al servizio del Signore servendo i Poverelli».

A questo periodo risale anche la conoscenza e l’amicizia tra la nobile Anna Camaiori, moglie di Alessandro Saracini, e l’Istituto di Savina, mediate dal marchese Ruspoli. Donna religiosa e portata alla carità, secondo il modello tradizionale della nobil- tà cattolica, la Saracini si era avvicinata a Savina e aveva imparato ad apprezzare la sua opera. Vedova dal 1877, strinse con la Madre un’intensa amicizia di carattere spirituale tanto che, nel 1884, concesse all’Istituto una villa di campagna a Fontebecci per far- ne residenza estiva per le Sorelle e le fanciulle, e poi, come vedremo, sostenne l’apertura di una casa delle Sorelle dei Poveri a Castelnuovo Berardenga dove ella risiedeva. Quando morì, nel 1899, la villa di Fontebec- ci, che sarebbe diventata sede del noviziato nel 1906, l’avrebbe lasciata in eredità all’Istituto.

Gli anni dal 1877 al 1880 vedono una crescita continua di vocazioni, la progressiva sistemazione

Riferimenti

Documenti correlati

Il Consiglio Superiore della Magistratura con delibera 17 luglio 1991 ha segnalato ai presidenti delle Corti d'Appello ed ai presidenti dei Tribunali l'opportunità di nominare ai

Il programma per diventare TrainEvolution Coach è più di una metodologia di coaching, è un nuovo modo di intendere la figura dell’allenatore, del Coach, di colui che si occupa di

contenute agli artt.4, 5 e 9, sui tempi della fase istruttoria e della decisione, rendono effettivo, nei procedimenti di riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa

L’offerta dovrà inoltre riportare le generalità complete dell’offerente (nome, cognome, luogo e data di nascita, recapito telefonico, copia di un documento di identità e del

Un viaggio alla scoperta della Spagna più autentica, unitamente ad un tour completo del Marocco.. Un’occasione unica di esplorare, tassello dopo tassello, un angolo di mondo

sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di

Il consumatore è pregato di comunicare al personale di sala la necessità di consumare alimenti privi di determinate

Nel caso in cui l’Azienda intenda recedere dal contratto prima di aver ottenuto il Certificato di Conformità, sarà tenuta al pagamento delle spese già sostenute (es. audit o prove