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Lacune nel quadro normativo

Grazie ai passi avanti compiuti nell’ultimo decennio, la partecipazione pubblica nella pianificazione ambientale gode di uno status giuridico abbastanza definito ed è riconosciuta come un diritto fondamentale dei cittadini. Ciononostante, l’attuale legislazione per certi aspetti è ancora incompleta, e ciò inevitabilmente crea delle complicazioni nel sistema. In un certo senso questa può essere considerata la fonte primaria – più o meno diretta - di molti problemi di cui si andrà a trattare nel corso di questo capitolo.

Se ci si sofferma ad esaminare i contenuti delle leggi che sono state prodotte su questa materia, ci si accorgerà subito di diverse lacune: innanzitutto, mentre si trovano riferimenti al diritto alla partecipazione pubblica, all’accesso alle informazioni e simili, da nessuna parte viene citato il diritto sostanziale a vivere in un ambiente sano. L’integrazione di questo diritto nella legislazione cinese darebbe un ulteriore impulso allo sviluppo della partecipazione pubblica nei processi decisionali relativi alle politiche ambientali. Va sottolineato comunque che il problema non riguarda solo il caso cinese, perché la maggior parte delle convenzioni sui diritti umani siglate dagli altri paesi del mondo non fa menzione di questo diritto.97

In secondo luogo, un altro aspetto che andrebbe migliorato è quello dei meccanismi sanzionatori e dei rimedi giurisdizionali. Questi ultimi costituiscono l’ultima possibilità che ogni cittadino ha per difendere il proprio diritto a prendere parte ai processi decisionali in modo appropriato e in conformità con la legge. La legislazione cinese punisce i proponenti dei piani/progetti (规划编制机关, guīhuà biānzhì jīguān) che commettono frodi o contravvengono ai propri doveri nell’organizzazione della valutazione d’impatto ambientale (art. 29 Legge VIA). Prevede inoltre che, qualora un’istituzione incaricata di condurre la VIA commetta atti illeciti, l’ufficio di protezione ambientale può ritirarle la licenza, imporle una multa o perfino comminarle una sanzione penale (art. 33 Legge VIA). Ciononostante, nessuna legge fa riferimento a sanzioni per comportamenti illeciti commessi durante l’organizzazione della partecipazione pubblica, il che significa che non sono previsti neanche canali diretti ed efficaci attraverso cui i partecipanti possano ottenere una tutela personale. Il problema è che in assenza di pene severe è più facile che vengano commesse infrazioni della legge.

Un altro fattore critico riguarda l’incongruenza tra la tecnica di consultazione e di partecipazione e il tipo di impatto ambientale previsto. La normativa di riferimento prevede che la prima venga scelta tenendo in considerazione l’entità del secondo. In particolare, nelle zone che potrebbero risentire fortemente degli impatti negativi di una determinata attività, devono essere predisposti canali il più inclusivi e democratici possibile per offrire ad ogni singolo individuo l’opportunità di esprimere la propria opinione e di essere ascoltato; nelle aree che potrebbero subire un impatto meno diretto e

97 L

ANG Huanlin, Public participation in environmental decision-making in China: Towards an ecosystem

quindi meno forte, devono essere selezionati dei membri della comunità affinché si riuniscano per discutere del piano/progetto e si facciano portavoce dell’interesse di coloro che rappresentano; nei territori meno esposti agli impatti, gli abitanti possono decidere se esprimere le proprie idee o meno, ma comunque anche per loro devono essere predisposti dei canali e delle misure per partecipare. Tuttavia, poiché la scelta spetta a chi propone il progetto e alle istituzioni di valutazione d’impatto ambientale, è verosimile che spesso vengano adottate tecniche che prevedono il minor grado di partecipazione possibile, e i

case study presentati nel corso di questa tesi lo confermano. Il metodo più utilizzato è

infatti quello del questionario, la cui unica funzione è quella di raccogliere opinioni. Naturalmente, coloro che gestiscono la valutazione d’impatto ambientale, assieme ai proponenti del progetto, hanno il compito di tenere in considerazione i risultati della consultazione, ma poiché sono loro a raccoglierli, analizzarli e riportarli alle autorità ambientali, non è escluso che i dati vengano manipolati in favore del piano/progetto. Inoltre, i confini tra le zone più “interessate” e quelle meno non vengono definiti con precisione, e così sovente tutti gli abitanti dispongono degli stessi canali partecipativi a prescindere da dove risiedono. Questo non è del tutto giusto, perché in teoria coloro che si prevede risentano maggiormente degli impatti di una determinata attività umana dovrebbero poter avvalersi di canali più semplici, veloci e inclusivi rispetto agli altri, per manifestare dubbi o dissenso.

Infine, non vi è una sufficiente imparzialità da parte di coloro che organizzano le attività di partecipazione pubblica. Questo è un problema che riguarda prevalentemente i progetti per la costruzione di edifici o grandi opere. In questi casi, come si è già detto, l’impresa edile che propone e finanzia il progetto, commissiona l’analisi VIA ad un’istituzione o agenzia autorizzata, che si presuppone debba essere imparziale e oggettiva nella valutazione. Tuttavia, poiché l’obiettivo di queste istituzioni o agenzie – dal cui conseguimento traggono anche un guadagno - è quello di “soddisfare” i propri clienti, è difficile che prendano decisioni contrarie al volere di chi le ha incaricate. Per garantire una maggiore imparzialità nella loro condotta andrebbe spezzato il legame diretto che hanno con l’impresa, per esempio riservando agli uffici ambientali la scelta dell’istituzione che condurrà l’analisi VIA e imponendo che il pagamento avvenga per mezzo di un intermediario, in modo da garantire trasparenza ed evitare comportamenti illeciti.

dei progetti, le istituzioni di VIA/VAS e il pubblico. Il risultato è che i proponenti dei piani/progetti possono sfruttare a proprio favore le lacune in seno alla legislazione e “bypassare” la fase della consultazione con il pubblico. Non è chiaro se questa sia una pratica diffusa o se si tratti di eventi sporadici, ma il caso che segue è senz’altro un campanello d’allarme.

3.1.1 Un caso di falsificazione della partecipazione pubblica in un rapporto VIA

Nel 2009 l’amministrazione di Qinhuangdao, una città che si trova sulla costa della provincia dello Hebei, e la Zhejiang Mingwei Environment Protection Company annunciarono la costruzione di un inceneritore di rifiuti, suscitando una forte opposizione da parte degli abitanti del posto. Tuttavia, prima ancora che l’Ufficio di protezione ambientale dello Hebei approvasse il report VIA, la cui preparazione era stata affidata alla

China Academy of Meteorological Sciences (CAMS), i lavori furono avviati. Nell’agosto

del 2010 i residenti dell’area interessata si mobilitarono richiedendo al Ministero della protezione ambientale di rivalutare il caso e annullare l’approvazione del report VIA perché, al contrario di quanto era scritto al suo interno, non c’era stato nessun tipo di consultazione con il pubblico, il che significava che il capitolo sulla partecipazione pubblica era stato interamente falsificato. Stando ai contenuti del report, la consultazione si era svolta nel febbraio e nel marzo del 2009, durante i quali non solo sarebbero state divulgate tutte le informazioni relative al progetto, ma sarebbero stati distribuiti anche cento questionari in quattro villaggi che si trovavano nel territorio interessato. I residenti affermarono che nulla di tutto questo si era mai verificato, aggiungendo inoltre che dei cento individui che secondo il report avevano compilato il questionario, sessantacinque non lo avevano neanche visto. Gli altri quarantacinque erano nomi di persone a loro completamente sconosciute o trasferitesi altrove ormai da anni. Emerso perfino che qualcuno avesse compilato il questionario due volte.

Nel gennaio 2011 l’EPB dello Hebei ritirò la sua approvazione del rapporto basandosi proprio sul fatto che una sua parte era stata falsificata, e ordinò l’interruzione dei lavori fino a che non ne fosse stato preparato uno nuovo. Nel frattempo intervennero anche le ONG, che richiesero al MEP di sottrarre la licenza (vedi capitolo I, sezione 1.2.1) di redigere rapporti VIA alla China Academy of Meteorological Sciences, date le diverse

accuse di falsificazione di cui era oggetto. I lavori ripresero nel 2012 e ad oggi il caso rimane irrisolto.

L’aspetto più significativo della vicenda è il fatto che sia l’impresa che avrebbe costruito l’inceneritore che la CAMS erano consapevoli che nessuno avrebbe mai dato il proprio consenso alla realizzazione di un progetto di questa portata nei pressi della propria abitazione, e quindi decisero di “aggirare il sistema” falsificando tutto ciò che concerneva la consultazione degli stakeholder. Inoltre, nonostante il MEP sapesse perfettamente che era stata compiuta una manipolazione e che ad essa era seguita una grave lesione dei diritti individuali, nessuno era stato accusato di operazione illecita.

Questa vicenda – anche se si tratta di un caso piuttosto estremo - dimostra che per aumentare l’efficacia della partecipazione pubblica sarebbe utile:

• incrementare l’uso di tecniche di partecipazione che implichino un confronto più diretto e una maggiore interattività tra il pubblico, gli esperti e le istituzioni, riducendo così il rischio che i risultati della consultazione vengano manipolati;

• comminare pene ancora più severe che fungano da deterrente.

3.2 Divergenza tra disposizioni del governo centrale e compliance a