• Non ci sono risultati.

Il tratto della Nazionale 2 tra Vila Real e Viseu è uno dei più belli. Curve e precipizi, terrazze di vigneti, ruscelli cristallini, monti verdeggianti con case bianche, pinete e sentieri di pietre spoglie. Oltre Santa Marta de Penaguião, passando sul vecchio ponte di ferro di Régua sopra il Douro, si raggiunge uno dei luoghi più suggestivi della EN2. Poi la strada prosegue più esuberante fino a Lamego e, verso sud, ancora più clandestina fino a Castro Daire attraverso pianure costellate di asteroidi di granito.

A un certo punto, dopo la deviazione per Colo do Pito e prima di Mezio e della deviazione verso Moura Morta, il panorama somiglia a una tundra. Ci sono capre e pecore al pascolo e donne piegate su sé stesse con una zappa in mano.

Tuttavia già da là si scorge la A24, che scorre altezzosa su un viadotto slanciato. Tutti i cartelli stradali puntano a lei, come se la EN2 fosse finita o diventasse troppo indegna, e ci volessero separare da lei ad ogni costo. All’uscita di Lamego è quasi impossibile individuarla. Alle rotonde i cartelli indicano “Viseu-IP3” o “Vila Real-A24” o “Bragança-IP4”. Le città si vergognano di questa via sinuosa e umile che gli ricorda la loro troppo recente miseria. Soltanto in piena A24 un’uscita per Bigorne riporta a lettere minuscole e tra parentesi: “(EN2)”. E nonostante tutto è là, lungo l’antica strada, che la

31

vita continua, nella sua potente e atavica realtà, seppur relegata tra parentesi dall’arroganza delle autostrade.

*

Tra Magueija e Bigorne, alla deviazione per Lazarim, una strada prosegue fino a Lalim e poi sale verso Mazes. Da qua fino al villaggio di Anta si prosegue solo con un fuoristrada. Non c’è una strada e non ce n’è bisogno: da decenni nessuno vive ad Anta.

Di certo nessuno sa quando è stata abbandonata o se è stata abbandonata o se è mai stata abitata. Un centinaio scarso di case con le pareti in granito e i tetti di paglia sparpagliate sulla cima e sul declivio di un monte, affacciate su un’immensità di vette azzurrognole e placide come onde. Il silenzio e la quiete sono interrotti appena dal mormorio della brezza.

In gran parte le case sono illese. Sono fatte di blocchi di pietra di dimensioni e forme irregolari, ma perfettamente incastrati uno con l’altro in una struttura solida e completa come la stessa montagna circostante.

Sono edifici massicci, quasi privi di finestre, ma così in armonia con la Natura da sembrare trasparenti.

Anche per questo risulta così difficile spiegarsi l’abbandono. Qui la vita dev’essere stata incessante, ma al tempo stesso armoniosa e semplice.

Viene voglia di recuperare quella realtà delle comunità arcaiche che immaginiamo essenziale e onesta. È quello che ha tentato di fare Michael Paulo Zino, imprenditore di Madeira di origine britannica, che, con il supporto di un architetto, si è proposto di ripopolare il villaggio di Anta. Ha cominciato acquistando alcune case con l’intenzione di ristrutturarle e convertirle in un caseificio tradizionale, un panificio con forno a legna e altre botteghe. Gli artigiani sarebbero stati invitati a trasferirsi in alcune case del villaggio; altre sarebbero state affittate a turisti attratti dall’opportunità di assaporare la purezza genuina della vita campestre.

Il progetto resta, non si sa se verrà mai realizzato. Ci sono vari ostacoli, tra cui il fatto che…il villaggio non è completamente abbandonato.

Nei vicoli lastricati tra le case ci sono escrementi freschi di animali. Anta si trova lungo il tragitto dei pastori; da sempre, secondo gli etnologi. Le case sono utilizzate come ricovero per il bestiame, di tanto in tanto in estate come rifugio per i pastori. Tutt’ora è così, come cinquant’anni fa.

32

Dovuto alla posizione e al clima, Anta è praticamente inabitabile durante l’inverno. Per questo, secondo alcune monografie, nessuno ha mai vissuto là per tutto l’anno. Cosa che non sembra logica. Quanto meno dal Medioevo, è mai esistito un villaggio di non più di una cinquantina di case usate solo per la transumanza?

Gli abitanti dei paesini limitrofi assicurano che Anta è stata abitata. In seguito, con la graduale riduzione della popolazione, la gente si è riunita intorno ai centri meno inospitali. Gli abitanti di Anta hanno iniziato a trasferirsi a Várzea da Serra, Vale Abrigoso o Mazes, a un’altitudine inferiore, tenendo le vecchie case per il pascolo nella stagione calda.

“Sessanta anni fa c’era ancora molta gente ad Anta”, dicono i più anziani a Mazes. “Dopo si sono spostati qui. Soltanto una donna è rimasta a vivere là”.

Una donna visse da sola, per quasi vent’anni, nel villaggio di Anta. Si chiama Joaquina, è ancora viva. “Abita là, nell’ultima casa di quella via in salita”, spiega qualcuno al bar di Mazes. “È la Joaquina dall’Anta”.

*

Le donne sono sedute in gruppo davanti a casa a prendere il sole. Hanno tutte più di 70 anni e indossano vestiti scuri. “Joaquina è lei”. Joaquina Brígida, 84 anni, gonna nera e fazzoletto blu in testa. Occhi chiarissimi, costantemente lucidi, come se non smettesse mai di piangere. Non si ricorda con precisione in che anno è venuta a vivere a Mazes. Fa due conti con l’aiuto delle altre donne. “Quando è nata mia nipote, nel 1966, stavo già qua”. Venne quarant’anni fa. E prima? “Vivevo ad Anta”. Da sola? Joaquina lancia uno sguardo alle altre. Una risponde: “Lei non aveva casa qua giù. È per quello che è rimasta là”.

Tutti trovarono casa a Mazes con l’aiuto dei familiari. Joaquina no. “Lei non aveva nessuno”. Non aveva una famiglia? “No. Era sola. Beh, aveva sua figlia. Ma era piccola, rimase là con lei”.

Poco a poco, Joaquina e le altre donne raccontano la storia. Alcune frasi hanno senso, altre no. A tratti sembra che rivelino un certo tono sprezzante, se non addirittura beffardo un po’ dissimulato.

“Era molto dura la vita da sola là in cima”, racconta Joaquina. “Faceva freddo d’inverno. Mi ricordo di una volta, nel mese di gennaio, nevicò addirittura una dozzina di volte”. Ad Anta non è mai arrivata l’elettricità ed era difficile mantenere la legna

33

asciutta in inverno. “Raccoglievo la legna e la tenevo con me, a volte anche nel letto. Poi mi accendevo un fuoco, da sola, e mi riscaldavo così. Ma avevo molta paura”.

Paura di cosa? “Dei lupi e dei ladri”. Joaquina non aveva bestiame che i lupi potessero cacciare, né averi che i ladri potessero desiderare. Di cosa aveva paura? “I ladri potevano venire a chiedermi dov’era il bestiame di buona qualità. E farmi del male”.

Vent’anni da sola. Con una figlia piccola. E il marito? Cos’è successo al marito? “Non ho mai avuto un marito”. Ora le donne sogghignano apertamente. “No, un marito non ce l’ha mai avuto”.

I genitori di Joaquina venivano da altri villaggi. Quando si sposarono, andarono ad abitare ad Anta. Morirono là. Ebbero molti figli, tra i quali Joaquina che, ancora giovane, rimase incinta.

Non cercò mai più un marito. Rimase a vivere nel villaggio con la figlia. Quando la permanenza ad Anta divenne per tutti sempre più stagionale, Joaquina rimase. Nessuno la aiutò a venire a Mazes. La chiamavano Joaquina dall’Anta.

Le donne ridono con una strana aria trionfante. Forse il fatto che Joaquina abbia 84 anni e sia ammalata le tranquillizza. “Faccio fatica a camminare”, si lamenta. “È già un anno che non vado ad Anta”.

Le donne ridono, Joaquina, con i suoi occhi acquosi sempre aperti, senza un battito di ciglia, è molto seria: “Preferivo vivere là che qua. Solo non mi piaceva stare da sola”.

Quando sua figlia andò a vivere in Alentejo, Joaquina rimase comunque ad Anta. Per vent’anni il villaggio sperduto sulle montagne servì per pascolare il bestiame e per tenere Joaquina lontana dalla comunità.

Solo a 45 anni compiuti le trovarono una casa e la portarono a Mazes. Perché? Perché non lasciarono la donna perduta nel villaggio sperduto? Un uomo di passaggio in quel momento risponde prontamente: “Perché sarebbe molto più difficile portarla giù da morta”. È Joaquina, con gli occhi acquosi, che ride di più della battuta.

6. Da Serra de Leomil a Viseu