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Serra da Lousã La matta di Trevim

Sulla Nazionale 2 si guida alla vecchia maniera. La polizia raramente passa di qui e non mi risulta che ci siano autovelox. Si fanno le curve in mezzo alla strada, in contromano, i sorpassi sono calcolati al millimetro, con le auto nell’altra corsia e la linea continua. Una ragazza con i capelli al vento su una Mazda cabrio rossa mette la terza mentre slitta sul ciglio della curva opposta, una Ford Capri del 1970 con un ferro di cavallo lucente inchiodato alla griglia frontale, si innalza senza frenare e si lancia stridendo e disegnando un angolo retto verso lo strapiombo sulla sinistra.

In mezzo alla strada dei corvi si alzano in volo, delle lepri, molto fiduciose, attraversano la strada in diagonale, dei cani randagi corrono giù dai declivi scoscesi verso il suicidio sull’asfalto rovente e appiccicoso.

La strada danza, avvolgendo i monti, libera come un delfino indiavolato.

A sud di Santa Comba Dão, fino alla valle di Penacova, la EN2 si addentra in un altro mondo. In nessun altro punto della sua sofferta traversata per il paese si avvicina

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tanto alla costa. E allo stesso tempo, in nessun altro punto è così selvaggia, così profonda. Qui, sulla sponda incantata del Mondego e nell’insensatezza selvatica della Serra da Lousã, assomiglia ad un sottopassaggio indegno, una deviazione imbarazzata della vita e del tempo. Probabilmente questa è la zona più povera del paese, nonostante non esistano studi certi su questo lugubre argomento. Altre regioni competono con determinazione per il titolo. Dão-Lafões, Baixo Tâmega, Pinhal Interior Sul. I comuni di Valpaços, Resende, Celorico de Basto. È un insolito campionato, ricco di episodi inquietanti. Gira voce, per esempio, che il sindaco di Celorico de Basto, scoprendo che il suo comune si era piazzato in ultima posizione, dichiarò che avrebbe fatto causa al direttore dell’INE4.

Non curante delle diatribe umane, come se fosse già integrata nella Natura stessa, la strada prosegue lungo il fiume fino a un posto chiamato Libreria del Mondego. Delle lastre di roccia su una rocca affacciata sull’acqua verde e silenziosa, ricordano dei libri su uno scaffale.

Fino a Penacova si intravedono ancora, a tratti, i viadotti della IP3, che in quel punto svolta definitivamente verso Coimbra. Da qui in poi, siamo soli. Non ci saranno altre autostrade né incroci trafficati. Ora e fino all’Algarve, è l’universo della Nazionale 2. Solitario e stralunato come un senzatetto.

Entrando a Penacova un enorme cartellone acquista all’improvviso significato: “Socrate – à metà strada nel nulla”. La strada però prosegue, come il fiume. Su questo lato ci sono deviazioni per i pescatori di lamprede. Sull’altro, piante frondose, un sentore di erbe nell’aria. Case orrende sul bordo della strada, bar con tre sedie all’ingresso, come il bar Gibóia, adatti a pensionati silenziosi, a cui manca un argomento di conversazione. “Quando sono andato a Coimbra a trovare mia figlia, il medico mi ha raccomandato di fare esercizio”, racconta uno.

“Esercizio?” chiede un altro, dopo una lunga pausa. “Dovrei camminare. Beh, se avessi energie per camminare, lavorerei”.

“Beh, certo. Camminare? Perché?” Da queste parti lo sforzo è misurato in funzione di quello che si guadagna. E quello che si guadagna è così poco, che lo spreco di un seppur minimo sforzo è considerato un’idiozia. “Se potessi fare sforzi, andrei a lavorare, per non essere povero, e non camminare gratis”.

4 Istituto Nazionale di Statistica.

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Zone annerite di foresta bruciata, altre, sconfinate, da cui spuntano eucalipti neonati. Una locandina: “Festa nel villaggio di Caracol. Con ballerine e un suonatore di fisarmonica”.

L’ambiente naturale, i nomi dei centri abitati sono echi delle poesie del fado di Coimbra. L’atmosfera familiare e malinconica di una periferia del Jardim da Sereia.

Louredo, Pampilhosa da Serra, Santa Maria, Lombada, Torrel e tante altre terre natie di vanesi dottori universitari, ormai dimenticate.

Oltre Vila Nova de Poiares e prima dell’incrocio per Castelo Branco, entriamo a Góis. Non è possibile evitare questa cittadina. La strada passa sul ponte romano sopra al fiume Ceira, lasciandoci in centro, a ridosso della spiaggia fluviale. È un fulcro vitale. Un’isola artificiale di sabbia bianca crea un insolito contrasto con la tonalità verde intenso dell’acqua. Aggiungi un ponticello di legno, delle rapide e due bar con terrazza sotto gli alberi imponenti, ed ecco fatto un piccolo paradiso. Adolescenti in costume da bagno si immergono verso il fondale, praticano canoa e arrampicata tra una sponda e l’altra, che disteranno al massimo dieci metri.

È un sogno tropicale concentrato, un fiore incantato in mezzo alla montagna che, da qui in poi, non scherza per niente. Diventa impervia, crudele. Toccante nella sua solitudine.

Ora non c’è traffico, i villaggi scarseggiano. Alcuni sono disabitati. Nel villaggio di Caniçal, prima di Amioso do Senhor, esattamente al chilometro 300 della EN2, c’è una casa agibile. Enorme e moderna, con un ingresso a parte verso il garage, terrazze e colonne gialle. È chiusa e vuota. Tutte le altre abitazioni, di scisto, resistono in rovina. Delle piante sbucano dalle finestre, provocando un brivido da storia di streghe. Non c’è niente di più inquietante delle case abbandonate, anche quando sono circondate dalla bellezza.

L’aria è sempre più limpida, il silenzio più nitido. L’infinità si espande gradualmente davanti a noi. Il paesaggio è pura estasi.

La Nazionale 2 si arrampica sui monti perché non ci sono percorsi alternativi da seguire. La Serra da Lousã è la grande barriera, il grande pretesto per l’isolamento, per l’incuria. Sull’altro lato, nella pianura oltre Zêzere, abbiamo la sensazione che gli

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elementi recuperino la clemenza. Ma è troppo tardi. Non c’è nessuno. La strada è larga, ma non ci sono auto.

Gli emigrati ricostruirono i propri villaggi, ma non vennero ad abitarci. Uno si chiama Borgo Cacchio. Un altro, là vicino, si chiama Fallo. Non c’è nessuno. Gli abitanti sono fuggiti dal nome della loro terra natale? Poco dopo lungo la strada, si trova il Bar Ristorante di Fallo. Nel villaggio c’è una vecchia chiesa bianca, ristrutturata, e un palchetto coperto. Sulla porta della chiesa è affisso il resoconto delle spese dell’ultima festa, che dev’essere stata pazzesca, nonostante qui non viva nessuno.

“Totale della festa: 410.000 escudos”, è indicato nel resoconto. “Entrate: lotteria – 103.600 escudos, kermesse – 103.400 escudos, sponsorizzazioni, collette, torneo di briscola, pesca di beneficenza, chioschetti…Totale 1.862.812 escudos”. Ma di seguito ci sono le spese. “Organista e complesso, pasti, polizia, volantini, fiorista, paga del prete, pulizia della veste”.

Di fronte si trova la sede dell’Associazione Culturale e Ricreativa di Fallo. Abbandonata. Al momento giusto, rintoccano le campane, intonatissime, della chiesa di Fallo.

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In alto sulla montagna i centri abitati scompaiono del tutto. Ci sono solamente villaggi arcaici, coinvolti in progetti di recupero. Una deviazione dalla strada ci conduce fino a Tarrastal, Cadafaz, Folgosa. Villaggi fantasma. O quasi. Un’altra deviazione verso Casal Novo, Pavorais, Relvas, Aigra Velha e Aigra Nova, che stanno ricostruendo. Sempre in salita, l’immensità ci avvolge sempre di più. Più vento, più predominio, più capogiro, più sconcerto. Si intravedono tutte le catene montuose, attraverso una nebbia iridescente e fluttuante. Raggiungiamo altopiani inospitali, con una vegetazione scarna, di alta quota. Nel punto più elevato sorge Trevim. Siamo lontani da tutto, più vicino al Cielo che alla Terra.

In un luogo completamente isolato c’è una donna. Da sola, in pantaloncini, con un cane. Sta là, in mezzo al nulla. Non si capisce da dove è venuta, né come. Non ci sono centri abitati nelle vicinanze, non c’è nessun veicolo di qualcuno che avrebbe potuto portarla là. La donna resta immobile a guardare l’auto che si avvicina.

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Il vento sibila tra gli arbusti pieni di spine. Tutto intorno il paesaggio è magnifico, paralizzante. La donna si spiega meglio, con un gesto osceno. È una prostituta. Sta là in attesa di clienti, in un luogo deserto. “Al prete non piacciono per niente queste cose”, lo dice lei. O qualcosa del genere. “Il tempo sta peggiorando”. Le frasi non hanno senso. È matta. Sembra che trovi normale l’arrivo di un’auto, là dove non va nessuno.

“Dai!” Davvero qualcuno sale fino a là per fare sesso con una matta sul monte di Trevim? Da dove è venuta fuori questa donna? “Da là”, risponde, indicando i monti.