• Non ci sono risultati.

4.1 Lastre

Nonostante l'estrema varietà di materiale che può essere definito genericamente “lastra”1

, si è deciso di dedicare un paragrafo a quella che è forse la classe monumentale più trasversale ed eclettica. Seguendo il criterio stabilito dal Di Stefano Manzella, sono state tuttavia incluse solo quelle epigrafi la cui, per così dire, originaria identità di lastra sia certa e non monumenti che siano stati ridotti a lastra a motivo del reimpiego. Come criterio generale per distinguere una lastra da altre tipologie di supporti se ne è osservato lo spessore, solitamente ridotto, e in alcuni casi lo sviluppo orizzontale; notevole peso nel riconoscimento ha avuto, soprattutto nel caso delle lastre a destinazione onoraria, il contenuto del testo iscritto.

Tutte le lastre qui considerate, ognuna in un diverso contesto espositivo a seconda della propria destinazione, svolgevano una funzione di “arredo parietale”: si trovavano cioè murate o appese con chiodi e ramponi alle pareti esterne e interne degli edifici, o ancora incassate in apposite nicchie ricavate nel prospetto frontale di basi e are2. Ventisette sono le lastre

funerarie restituite dalla città e dall'ager di Mediolanum, per le quali si può immaginare ora una collocazione a chiusura di una sepoltura, come sembrerebbe testimoniato per la lastra di

Vibia Innocentia (la.46), ritrovata in situ; ora l'applicazione a monumenti funerari di una certa

imponenza, come ipotizza Furio Sacchi per due lastre decorate da un fregio fitomorfo (la.27, la.49), che dovevano rivestire «il prospetto di un monumento in forma di altare con nucleo interno realizzato in opera cementizia o laterizi» o ancora trovarsi «inserite nel prospetto di un monumento a corpo quadrangolare»3

. Per tre lastre, una cittadina e due dall'ager, si riconosce chiaramente la funzione votiva4

: mentre una di esse poteva forse trovarsi incassata in un'ara o

1 Si veda a proposito DI STEFANO MANZELLA 1987, pp. 80-82. Le lastre, che l'autore tratta nel più ampio

contesto degli elementi architettonici iscritti, sono divise in sei sottocategorie: lastre di arredo parietale, di arredo podiale, di arredo pavimentale, di rivestimento, di struttura e di copertura. Esiste anche un settimo gruppo, comprendente le cosiddette «lastre di reimpiego», frutto della riduzione a lastra del prospetto di un diverso manufatto (sarcofago, ara, base); in tal caso, tuttavia, il reperto è stato catalogato secondo la sua natura originaria.

2 Questo avveniva quando la materia prima della base o dell'ara non era congeniale alla scrittura, per cui il testo dell'iscrizione veniva inciso su una lastra, generalmente di marmo, poi applicata al supporto.

3 SACCHI 2003, pp. 134-136.

4 Viene esclusa da questa trattazione la lastra di Ulbius Gaianus (CIL V, 5797), la quale trova un parallelo perfetto in una lastra da Virunum, nel Norico (CIL III, 4802), talmente perfetto da far pensare che si tratti dello stesso pezzo, trovato Oltralpe e trasportato a Milano intorno alla metà del XIX secolo (SARTORI 2014b,

in una base (la.04), le altre due erano più probabilmente collegate a un edificio di culto (la.05, la.20). Sei sono le lastre onorarie che dovevano andare applicate a basi di statue di imperatori, mentre altre sei appartenevano verosimilmente a statue di privati; per due di esse, poste in onore di personaggi che donarono alla comunità strutture di uso pubblico, rimane il dubbio se non si trovassero piuttosto, per quanto sembri poco probabile, affisse all'edificio stesso (la.01, la.31). Tre lastre, invece, avevano sicuramente una collocazione architettonica, due sugli architravi di templi cittadini (la.48, la.62), una venendo probabilmente applicata a un edificio donato dai curatores di un imprecisato collegium nel quarantesimo anno dalla sua fondazione (la.06)1

; per la scarsa rappresentatività di questo materiale, in larga parte frammentario, si è preferito darne notizia in questa sede ed escluderlo dalla seguente trattazione. In sedici casi, infine, le condizioni fortemente compromesse del materiale hanno reso impossibile determinarne l'esatta destinazione; fanno parzialmente eccezione quattro lastre che conservano soltanto un nome proprio al dativo e che dunque oscillano tra una funzione funeraria e una onoraria (la.21, la.22, la.32, la.41), e una lastra in pietra d'Angera dall'assai discussa interpretazione (la.33)2

, che ricordava forse la devozione di un senatore a Diana

Nemorensis, con l'erezione di una statua della dea e la costruzione di portici in un ignoto

complesso sacro mediolaniense.

4.1.1 Lastre funerarie

Le lastre da applicare a monumenti funerari rappresentano senza dubbio la maggioranza delle lastre mediolaniensi: diciassette erano probabilmente collocate nelle necropoli cittadine3

, mentre dieci si trovavano esposte nell'ager, appartenendo per lo più a sepolcreti familiari di un certo pregio. Delle cittadine la lastra di Vibia Innocentia (la.46) è stata ritrovata ancora in situ presso una sepoltura femminile scavata nel 1906 in via S. Valeria4

.

1 Si segue per tale epigrafe l'interpretazione di BOSCOLO 2004.

2 L'epigrafe è edita per la prima volta da ROSSI 1971, il quale, in base ad essa, ipotizza la presenza a

Mediolanum di un non altrimenti attestato tempio di Diana Nemorensis, al cui interno l'ignoto dedicante avrebbe espresso la sua devozione; per LEGLAY 1987, invece, le dedica di una statua della dea e di porticus

sarebbe avvenuta direttamente nel santuario di Nemi, nel Lazio, venendo poi ricordata a Mediolanum. Più vicina all'idea del Rossi è quella di SARTORI 1994a, p. 59, nr. P29 il quale propone di leggere nell'accusativo Dianam Nemorensem la dedica di una statua della dea a Mediolanum, per quanto all'interno di un più generico santuario di Diana.

3 Un problema interessante è rappresentato da la.17, che – secondo il Mommsen (CIL V, 5863) – si trovava collocata nella chiesa di S. Stefano a Milano, donde sarebbe poi passata nella collezione Archinto. Il catalogo di tale raccolta (CIL V, pp. 629-630) ricorderebbe la presenza, sul retro della lastra, di una seconda iscrizione, la quale in seguito sarebbe stata segata; la medesima notizia è in SELETTI 1901, nr. 211, il quale parla di un'iscrizione – una dedica a Iuppiter Optimus Maximus da parte di una Caesia Publi filia il cui cognomen non si è conservato – ormai perduta e non riportata neppure dal Mommsen.

4 Nel 1906, al civico 7 di via S. Valeria a Milano, durante lavori di posa dei tubi della fognatura, venne alla luce una sepoltura femminile a cassetta formata da lastroni di marmo bianco, coperta da una lastra funeraria iscritta dedicata a Vibia Innocentia, da identificare con la giovane donna lì sepolta. Nello stesso contesto si

Cronologicamente questa tipologia epigrafica si trova attestata dall'età augustea, cui è possibile far risalire – in base all'analisi congiunta di onomastica e scrittura – una lastra ritrovata ad Arsago Seprio (la.03)1

, al pieno IV secolo d.C., cui viene attribuita almeno un'epigrafe (la.34).

Età augustea la.03 I secolo d.C. la.24, la.45

I-II secolo d.C. la.16, la.18, la.19, la.53 II-III secolo d.C. la.02

Fine II-III secolo d.C. la.23, la.38

III-IV secolo d.C. la.07, la.46, la.50, la.60 IV secolo d.C. la.34

Tabella 30: La datazione delle lastre funerarie mediolaniensi.

A prevalere sono lastre rettangolari a sviluppo orizzontale, in due casi superiormente configurate a timpano con acroteri (la.07, la.38), verosimilmente sul modello delle stele pseudotimpanate; pochi sono gli esempi di sicuro sviluppo verticale (la.16, la.24). Il materiale preferito è il marmo, tanto locale quanto d'importazione, ma sono impiegati anche calcari (la.03, la.17, la.19, la.49) e graniti (la.39, la.40). In due casi, l'uno in marmo bianco, l'altro in calcare, lo specchio epigrafico è sormontato da un fregio fitomorfo (la.27, la.49), mentre una lastra dell'ager, pure in marmo, è chiusa inferiormente da un analogo fregio che si svolge tra due cornici a kymation lesbio (la.37). Un apparato iconografico è presente solo su altre due lastre, l'una che porta graffita, entro il timpano, una corona di alloro con nastri affiancata da rami di palma (la.38), l'altra che mostra, al di sotto del testo, un riquadro ribassato con una lupa a rilievo (la.24)2

.

L'iscrizione è nella maggior parte dei casi a campo aperto. Otto lastre hanno uno specchio ribassato e corniciato a gola rovescia, due uno specchio ribassato e corniciato a listello; in un caso, una lastra in granito, lo specchio è solo ribassato (la.60), mentre l'iscrizione di Albucia

Magiana è contenuta entro una tabula ansata dalle anse curve (la.15). Il testo prende sempre

avvio nella parte alta dello specchio e tende a occupare più della metà della superficie potenzialmente iscrivibile; per quattro iscrizioni l'occupazione è totale (la.03, la.07, la.38,

rinvenne anche una doppia sepoltura infantile protetta da tegoloni a doppio spiovente, che doveva verosimilmente interessare i figli di Vibia Innocentia e Valerius Faustinianus. Si veda a proposito DE MARCHI

1907, pp. 1139-1141 e, per la più ampia area cimiteriale di riferimento, BOLLA 1988, pp. 137-138. 1 Per cui si veda, da ultimo, SARTORI 2014a, pp. 160-163, nr. 71-VIII.

la.46). L'impaginazione è interamente centrata in otto casi, paragrafata in due (la.10, la.16), allineata a sinistra in uno (la.40). Numerosi sono gli esempi di impaginazione a mista: ora viene centrata soltanto la l.1, contenente di solito la formula di dedica agli Dei Mani o alla Memoria, e il resto del testo è allineato a sinistra (la.02, la.34, la.38, la.46, la.50); ora il testo iscritto è in parte centrato, in parte allineato a destra, ma la frammentarietà del monumento non permette di identificare la ragione di tale scelta (la.23); ora a essere centrato è semplicemente l'a capo finale, mentre il testo che precede viene allineato a sinistra (la.24) oppure paragrafato (la.03). In due casi si dà rilievo all'iscrizione lasciando un ampio spazio anepigrafe sui fianchi (la.23, la.34), mentre una lastra conservata ad Agliate (la.07), dopo aver centrato l'iniziale D(is) M(anibus), dispone il testo su due colonne, una per ogni defunto. L'evidenza dei sintagmi è il più delle volte decrescente, così da mettere in rilievo ora la formula iniziale (la.02, la.07, la.38, la.46, la.50), ora il solo gentilizio del defunto (la.16), ora il suo nome completo (la.15, la.18). In un caso un'evidenza crescente dà, forse indipendentemente dalla volontà del lapicida, maggior peso al nome del terzo defunto (la.45); in un altro l'evidenza è esplosa (la.09) e a risaltare sono, alla l.1, il gentilizio del titolare del sepolcro e, alla l.5, il toponimo Mogontiaci, città nella quale Caius Sertorius Tertullus fu

curator civium Romanorum; in un terzo un'evidenza accentrata mette in risalto tanto il cognomen del defunto quanto la sua carica di seviro (la.19). Tre sono infine i casi in cui

l'evidenza dei sintagmi è uniforme (la.03, la.10, la.60). Per quanto riguarda, invece, l'interlinea, si notano da un lato una, per quanto minima, prevalenza di un'interlinea compatta su un'interlinea ariosa, dall'altro una buona coincidenza dell'evidenza dei sintagmi e di quella dell'interlinea: decrescente (la.02, la.07, la.15, la.46), crescente (la.45), esplosa (la.09), accentrata (la.19). Sull'epigrafe dei Terentii ritrovata ad Arsago Seprio (la.03) a un'evidenza dei sintagmi uniforme corrisponde un'interlinea decrescente, forse dovuta allo scarso spazio a disposizione del lapicida. Una lastra piuttosto tarda dalla basilica milanese di S. Nazaro, il cui testo ha un'evidenza dei sintagmi decrescente, aumenta leggermente l'interlinea a partire dalla l.2 (la.50), mentre a una difficoltà tecnica del lapicida si deve forse la variazione nell'interlinea di un'epigrafe inedita conservata nei depositi delle Civiche Raccolte d'Arte di Milano (la.60). Una delle lastre ritrovate negli scavi dell'Università Cattolica abbina un'evidenza dell'interlinea uniforme a un'evidenza dei sintagmi decrescente (la.38). In tre casi, infine, l'evidenza dell'interlinea è alternata (la.16, la.18, la.53): sebbene nel primo caso l'interlinea aumenti in corrispondenza del passaggio da un paragrafo all'altro, si tratta in generale di variazioni minime che non sembra di poter ascrivere a una precisa volontà del lapicida.

Da un punto di vista sintattico uno schema di tipo A ricorre solamente in due occasioni (A2a: la.16; A2b: la.02), la prima datata al I-II secolo d.C., la seconda al II-III secolo d.C. Ben più diffusa è una sintassi di tipo B, in particolare B1a (la.19, la.45), B2a (la.03, la.18) e B2b (la.07, la.34); una lastra cittadina frammentaria ha uno schema sintattico di tipo B1b/B2b (la.25), mentre per altre due si ricostruisce una generica sintassi B2 (la.23, la.53). Da un punto di vista cronologico, gli schemi B1a e B2a sono qui attestati entro il II secolo d.C., mentre lo schema B2b sembrerebbe comparire alla fine del II secolo d.C. Due lastre datate a partire dal III secolo d.C. hanno uno schema B2b/C2b, la cui indeterminabilità dipende dalla presenza di un nome femminile, mentre adotta sicuramente lo schema sintattico C2b una lastra cittadina di III-IV secolo d.C. (la.50). Il formulario vede in una sola occasione (la.02), peraltro apparentemente tarda, l'intestazione v(ivus) f(ecit); su una seconda epigrafe, datata al III-IV secolo d.C., compare forse, per esteso, vivus posuit (la.60). La dedica Dis Manibus viene adottata, sempre ridotta a sigla, in quattro iscrizioni (la.07, la.25, la.34, la.38): in un caso si trova collocata negli pseudoacroteri tracciati sulla lastra ed è unita da et alla dedica Memoriae (la.07); in un altro caso è seguita dall'aggettivo s(acrum) (la.25). Diffusa su questo tipo di epigrafe è anche la dedica alla Memoria, sia nella forma estesa Memoriae (la.07, la.24), sia in quella abbreviata M(e)m(oriae) (la.46, la.50); in un caso si ha b(onae) M(emoriae) (la.60). Tanto la dedica agli Dei Mani quanto quella alla Memoria non compaiono mai, su questa tipologia epigrafica, prima della fine del II secolo d.C. La formula biometrica compare in quattro casi (la.07, la.34, la.46, la.50), mentre sull'epigrafe della moglie Flavius Ianuarius ricorda gli anni di matrimonio (la.38). Due iscrizioni, l'una datata al III-IV secolo d.C., l'altra a partire dalla fine del II secolo d.C., sono chiuse dalla formula contra votum (la.38, la.46), mentre una delle due lastre conservate ad Arsago Seprio è forse conclusa da f(ecit) p(ro)

m(eritis) (la.40). In un solo caso viene indicata la pedatura del recinto funerario (la.53).

La scrittura adottata è in cinque occasioni, tutte datate dal III secolo d.C., la capitale rustica; in un caso (la.02) la capitale quadrata mostra leggere interferenze della rustica (A, G), mentre in un altro le prime due linee, contenenti il nome della titolare del monumento e di colui sotto la cui cura ella istituisce un legatus, sono in capitale quadrata, mentre il testo del legatus viene riportato in capitale rustica (la.15). Alcune iscrizioni, soprattutto dell'ager, mostrano una capitale quadrata fortemente semplificata, come suggerito dalla forma a tettuccio della M (la.39, la.40, la.52, la.60). Sulla lastra dell'Università Cattolica (la.38), invece, il ductus di M varia dalla dedica iniziale D(is) M(anibus), dove i montanti di M sono verticali, al corpo del testo, dove la lettera assume una forma più vicine alla rustica: si può forse pensare a un preconfezionamento dell'epigrafe, proposta all'acquirente già completa dell'instestazione.

Documenti correlati