Sommario: 2.1 Il lavoro di cura. – 2.2 Il quadro di riferimento nell’Unione Europea. – 2.2.1 Direttive. – 2.2.2 La Carta di Nizza (in particolare l’art. 33). – 2.3 La giurisprudenza. – 2.3.1 Il caso Kalanke. – 2.3.2 La giurisprudenza di legittimità. – 2.4 Le azioni positive. – 2.4.1 Verso l’uguaglianza sostanziale. – 2.4.2 Il rischio di una discriminazione alla rovescia. – 2.5 Il contributo dell’art. 9 della legge n. 53/ 2000 nel panorama italiano.
2.1 Il lavoro di cura.
Con “lavoro di cura” si intendono tutte quelle attività, prevalentemente compiute nell’ambito domestico, verso soggetti non autosufficienti, ossia bambini, anziani, disabili.
Il lavoro di cura, occupando gran parte della vita privata delle persone, si lega fortemente al tema della conciliazione: avere del tempo da dedicare alla cura dei propri familiari è essenziale, condividerlo potrebbe rivelarsi ottimale anche per gli effetti sul lavoro.
Inoltre, l’argomento è stato da sempre affrontato insieme al tema della parità di genere: la ridistribuzione della cura si rivela essere uno strumento utile al superamento delle diversità e, da qui, si è avuto lo sviluppo di una normativa ad hoc, sia in Europa che nel contesto nazionale.
La cura è rimasta a lungo una questione familiare e modelli prima diffusi, come il
male breadwinner ad esempio, prevedevano una vera e propria divisione di genere
nel lavoro e nella società146.
Tra gli obiettivi vi era quello di superare lo stereotipo della donna che, dedita al lavoro di cura, rinuncia ad avere un’occupazione.
Il superamento sarebbe semplice se ci si convincesse che lavorare a tempo pieno non è l’unica opportunità per poter fare carriera: i datori dovrebbero riporre più
146 M. Naldini, Politiche e pratiche: i confini di genere della cura, in Rassegna italiana di sociologia
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fiducia nelle lavoratrici, rendendo più accessibili determinate posizioni e organizzando meglio gli orari di lavoro, in modo che possano conciliarsi le varie esigenze.
I primi interventi sulla questione, tuttavia, erano principalmente rivolti a chi riceve la cura e non a chi la fornisce, successivamente si ebbero delle innovazioni: l’estensione del lavoro di cura ai padri, gli orari più flessibili, i congedi parentali che permettevano il trasferimento temporaneo del diritto, concepiti nell’ottica della condivisione, hanno contribuito ad aumentare la partecipazione delle madri al mercato del lavoro147.
Di solito le scelte sull’occupazione e sulla ripartizione del lavoro di cura sono fatte, tra i partner, secondo un calcolo di natura familiare piuttosto che individuale148. I primi destinatari delle cure sono certamente i bambini.
Il maggior benessere economico dei figli è sicuramente influenzato dalle capacità di guadagno di entrambi i genitori149: il reddito, tra l’altro, è uno degli indicatori più utilizzati dai ricercatori per comprendere la ridistribuzione del carico di cura nelle coppie; sembrerebbe infatti che a parità di guadagno dei coniugi la ripartizione sia più equa. Queste ricerche però non trovano pieno riscontro nella pratica: in realtà, forti dell‘influenza dalla vecchia visione, si vede un maggior impegno delle donne in tali attività150.
Tradizionalmente, infatti, l’assistenza nel lavoro di cura ha visto il ruolo attivo della donna e ciò ha avuto un’influenza anche sul livello occupazionale. Difatti, le donne hanno preferito scegliere impieghi a tempo parziale per ritagliarsi più tempo da dedicare ai propri familiari.
147 C. Saraceno, Le politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione in Stato e
mercato 2009, fascicolo 1, p. 10.
148 E. Riva, Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio in Autonomie locali e servizi sociali
2010, fascicolo 1, p. 118.
149 C. Saraceno, Mutamenti della famiglia e delle politiche sociali in Italia, Bologna, 2003, p. 73. 150 M. G. Dotti Sani, La divisione del lavoro domestico e delle attività di cura nelle coppie italiane:
un’analisi empirica in Stato e mercato 2012, fascicolo 1, p. 164, riguardo la teoria di Becker nella New Home Economics secondo cui << gli attori allocano il proprio tempo in base ai costi opportunità che affrontano, con l’obiettivo ultimo di massimizzare l’utilità famigliare>>.
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I livelli di occupazione più bassi, per quanto riguarda il lavoro femminile, si riscontrano nella classe d’età compresa tra i 25 e i 54 anni, ossia quella corrispondente per lo più alle donne attive e in età fertile che spesso, pur cercando un impiego, non possono dare la loro piena disponibilità a lavorare151.
Prendendo in considerazione le lavoratrici madri, queste avranno sempre una quota di lavoro domestico da destinare alla famiglia, che può variare in base a diversi fattori come la grandezza del nucleo familiare, l’età dei componenti, il grado di autosufficienza dei membri ed anche i servizi offerti sul territorio che a volte richiedono un ulteriore sforzo di adeguamento (per fasce orarie e modalità di accesso ad esempio)152.
Tuttavia, questo tipo di attività sono spesso percepite dalle donne non come un obbligo, bensì come un lavoro pervaso dall’affettività153 e avere figli piccoli può
portarle facilmente a rinunciare al posto di lavoro alla luce anche di un’organizzazione degli orari spesso sbilanciata e della previsione di congedi troppo corti o troppo poco compensati.
Per quanto riguarda le donne giovani, è importante favorire un equilibrio tra lavoro retribuito e lavoro di cura, ed essere più attenti ai loro bisogni. Questo lo si può fare anche mediante la previsione di canali di accesso più diretti, estesi alle posizioni apicali, che prevedano un alto grado di professionalità e serietà, facilmente raggiungibili grazie a più alti livelli di istruzione, e che permettano il superamento dell’idea che per fare carriera sia necessario dedicarsi al lavoro a tempo pieno. La donna in maternità troppo spesso si trova a dover affrontare sia ostacoli oggettivi, dovuti all’eccessivo carico di lavoro, sia tensioni soggettive, nate dalla consapevolezza di essere divisa sempre tra i due aspetti154.
L’occupazione delle donne, nonostante sia cresciuta, fa leva ancora su lavori precari, a causa del carico delle responsabilità familiari. Questo sicuramente ha
151 E. Riva, Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio in Autonomie locali e servizi sociali
2010, fascicolo 1, p. 118.
152 C. Saraceno, op. cit., 2003, p.74.
153 C. Saraceno, L’assistenza senza il Welfare, in il Mulino 2009, fascicolo 4, p. 554.
154 A proposito di pari opportunità tra uomo e donna: le azioni della Commissione nazionale in
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effetti negativi sulle loro capacità di acquisire e mantenere il posto di lavoro, in quanto, dedicarsi al lavoro di cura può comportare discontinuità della prestazione155.
Sarebbe allora importante la previsione di percorsi lavorativi anche discontinui, ossia la predisposizione di misure che permettano una migliore ridistribuzione dei carichi di cura nel tempo, favorendo le pari opportunità tra uomo e donna: ecco che ad esempio, per quanto riguarda i congedi parentali, il legislatore ha previsto la possibilità di usufruirne in maniera frazionata, consentendo così alle donne di godere di una maggiore flessibilità degli orari di lavoro in virtù delle esigenze familiari e agli uomini di avvicinarsi alle attività di cura, superando i vecchi stereotipi culturali e sociali156 e incentivando così la donna a conservare il proprio posto di lavoro.
In generale, innalzamento dei livelli di istruzione, aumento della domanda di lavoro a tempo parziale e sviluppo del terziario hanno contribuito ad accrescere la presenza delle donne nel mercato del lavoro157.
Tuttavia questo non ha comportato un’automatica diminuzione delle disuguaglianze.
Di solito, si cerca di fornire servizi a favore delle donne e di sviluppare azioni tese a parificare il ruolo di uomini e donne nel contesto lavorativo158.
Un’ulteriore strategia a favore della parità potrebbe essere quella di equilibrare i tempi di lavoro in una coppia: i carichi familiari vengono ridistribuiti in base al tempo messo a disposizione da entrambi i componenti, senza dimenticare che un partner che dedica più tempo al lavoro retribuito sarà meno disponibile ad offrire lavoro di cura159.
155 F. Torelli, La difficile condivisione del lavoro di cura. Spunti sui congedi parentali in Lavoro e
diritto 2010, fascicolo 3, p. 456-457.
156 F. Torelli, op. cit., 2010, p. 456-457.
157 A. Luciano, Modelli di organizzazione del lavoro e politiche di parità in Rassegna italiana di
sociologia 2008, fascicolo 2, p. 248-249.
158 A. Luciano, op. cit., 2008, p. 248-249 .
159 G. M. Dotti Sani., La divisione del lavoro domestico e delle attività di cura nelle coppie italiane:
un’analisi empirica in Stato e mercato 2012, fascicolo 1, p. 163, sulla base delle teorie sul tempo di Hiller (1984), Coverman (1985), England e Farkas (1986).
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Secondo Naldini160, l’organizzazione dei tempi potrebbe presentarsi nelle seguenti forme:
- con autonomia nella parità di genere: la donna può essere presente con continuità nel mercato di lavoro grazie al coordinamento della coppia, in cui i genitori assumono pienamente la responsabilità;
- con autonomia nella disparità: gran parte delle responsabilità familiari gravano sulla donna con una scarsa partecipazione del marito;
- con dipendenza da terzi: la gestione avviene da parte delle madri che organizzano la propria sostituzione con nonni e/o baby-sitter; i padri cono complementari a questi ruoli;
- con dipendenza condivisa: compresenza nelle attività di cura di nonni e genitori. Si può notare che, nelle ultime due possibilità, un ruolo centrale è affidato ai nonni: a causa dei vincoli e degli orari di lavoro, i genitori si trovano spesso a non poter assistere i propri bambini e, da sempre, i nonni hanno rappresentato una grande risorsa, anche se il crescente fenomeno delle coppie instabili può far venire meno talvolta i rapporti intergenerazionali, riducendo il potenziale di cura disponibile161.
Tutto questo oggi ha trovato riscontro nel riconoscimento di diritti di cittadinanza162: nelle attuali politiche si può notare però che le aspettative sembrano essere cambiate. Non si mira più solo ad incrementare l’occupazione femminile, ma si cerca di garantire un’uguaglianza effettiva tra gli uomini e le donne anche in contesti differenti dall’ambiente di lavoro.
Il bisogno di cura accompagna costantemente il corso della vita, ma ci sono due fasi in cui sembra essere maggiore: quella in cui i figli sono piccoli e quella in cui sono i genitori ad essere fragili. Questo inevitabilmente si scontra con i cambiamenti che continuano ad attraversare la nostra società: sempre più donne svolgono lavori di
160 M. Naldini, Politiche e pratiche: i confini di genere della cura in Rassegna italiana di sociologia
2014, fascicolo 3, p. 450-455, sulla base del progetto europeo dal titolo WOUPS (Worker Under Pressure and Social Care) di cui l’autrice ha condotto le ricerche italiane insieme a Barbara Da Roit e Elisabetta Donati, intervistando coppie giovani con figli piccoli.
161 M. Naldini – C. Saraceno, Conciliare famiglia e lavoro. Vecchi e nuovi patti tra sessi e
generazioni, Bologna,2011, p. 195.
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grande responsabilità avendo meno tempo da dedicare alle cure in generale e, con il venir meno del supporto dei rapporti intergenerazionali che da sempre hanno caratterizzato il contesto italiano, si è assistito negli ultimi anni allo sviluppo di un mercato privato del lavoro di cura, alimentato, come si vedrà poi di seguito, dalle nuove ondate migratorie, caratterizzate da una cospicua manodopera femminile che ha favorito l’espansione del fenomeno delle badanti.
Lo sviluppo economico ha contribuito a migliorare l’esistenza: il mutamento delle condizioni alimentari, igienico-sanitarie e reddituali ha accresciuto il benessere delle persone ma, allo stesso tempo, deve fare i conti, negli ultimi decenni, con fenomeni come l’invecchiamento della popolazione e la denatalità.
Sempre più spesso succede che i figli siano generati in età avanzata e si riscontra un vero e proprio divario generazionale. Se la domanda di cura sembra essere tendenzialmente bassa in riferimento ai primi stadi dell’età adulta, aumenta poi progressivamente ma, a differenza dell’assistenza dovuta ai bambini, il fenomeno in questo caso è meno prevedibile in quanto può essere influenzato da vari fattori della vita. Questa scarsa prevedibilità fa sì che anche le misure adottate in questo campo siano ristrette all’erogazione monetaria: nel contesto nazionale si prevede l’indennità di accompagnamento; questa, priva di vincoli, potrebbe generare un uso improprio ed allo stesso tempo potrebbe essere inadeguata a determinate situazioni, lasciando fuori spesso i bisogni di una parte consistente della popolazione. Infatti, tale erogazione è diretta a chi riceve la cura e non a chi la presta, potendo avere delle ripercussioni negative poiché l’assistenza richiesta in questi casi finisce col non essere considerata un vero e proprio lavoro163.
Solitamente, se la situazione sembra essere abbastanza gestibile, si tende a far affidamento alle reti informali e in particolar modo ai rapporti di parentela: capita allora che, oltre ai figli, sia spesso lo stesso coniuge ad occuparsi della persona fragile; nelle circostanze più gravi che richiedono una continua assistenza, invece, non mancano situazioni di convivenza intergenerazionale e, sicuramente, il sacrificio maggiore è sempre quello richiesto alla donna che finisce col farsi carico delle varie esigenze di un nucleo familiare allargato. La scelta di condividere lo
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stesso tetto con i propri genitori, oltre ad essere vantaggiosa in termini economici, risente probabilmente anche dell’influenza del modello solidale, caratterizzato da sempre da intensi legami e collaborazioni tra i familiari, lungo tutto l’arco della vita164; in virtù di questi stretti rapporti intergenerazionali, assistere i propri genitori anziani può essere percepito come un dovere da parte dei figli che, nell’ipotesi di una coabitazione, riuscirebbero così a conciliare meglio il bisogno di assistenza con le relative spese economiche.
Infine, in altri casi, a fronte della difficoltà nel conciliare le diverse esigenze, si ricorre al mercato privato delle badanti165. Questo, alimentato dalle ondate migratorie degli ultimi anni, prevede lo svolgimento del lavoro a domicilio. Oltre ad avere un costo conveniente per i figli, diventa congeniale nel momento in cui, all’aggravarsi della situazione, i rapporti si irrigidiscono e divengono difficili da gestire nell’ambito familiare, specialmente se non si vive nello stesso posto166. Ad
una domanda continuativa di cure, la risposta giunge da queste donne che, provenienti per lo più dall’Est Europa, trovano facilmente lavoro in Italia in quanto hanno padronanza in queste attività, percepite come un vero e proprio bagaglio naturale della donna167. Pur essendo retribuito, l’impegno ricercato è costante e
richiede una grande attenzione. La combinazione tra bisogno di cura, mercato privato e indennità ha portato ad una larga diffusione del fenomeno, caratterizzato da un rilevante sviluppo sociale della figura della badante e portando inevitabilmente anche a delle riflessioni sul piano normativo; tuttavia, le istituzioni sembrano faticare a riconoscere questo servizio come un regolare rapporto di lavoro subordinato, comprensivo di una serie di diritti come le ferie, il riposo settimanale o i congedi. La disciplina più vicina poteva essere quella pensata per gli addetti ai lavori domestici ma, in realtà, regolamentare il lavoro svolto dalle badanti con una
164 M. Naldini, Le politiche sociali e la famiglia nei Paesi mediterranei. Prospettive di analisi
comparata in Stato e mercato, 2002, fascicolo 1, p. 84.
165 M. Naldini, Politiche e pratiche: i confini di genere della cura in Rassegna italiana di sociologia
2014, fascicolo 3, p. 456.
166M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p. 194-195.
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disciplina ad hoc era necessario perché consentiva di individuarne le mansioni specifiche e il trattamento economico168.
Inoltre, la richiesta di cura sembra essere aumentata con riferimento al fenomeno della disabilità: questo sia a fronte dei progressi della medicina, sia per le malattie degenerative diffuse e gli incidenti sempre più frequenti169.
In Italia, ad esempio, oltre all’assegno di accompagnamento, è stata prevista per i genitori, a causa di gravi disabilità dei figli, la possibilità di assentarsi dal lavoro. Tuttavia questo può effettivamente non bastare: le attenzioni richieste in questo caso non guardano solo all’assistenza della disabilità in sé, ma vanno oltre, comprendendo anche la dignità della persona.
Talvolta, infatti, questo tipo di cure richiede uno sforzo continuativo e una grande competenza; inoltre, la mancanza di criteri standardizzati nell’individuare colui che ha diritto all’indennità fa sì che la tutela sia diversificata a seconda delle aree territoriali considerate, non mettendo a diposizione di tutti le medesime risorse; alla luce di queste considerazioni e dell’impegno che questo tipo di assistenza richiede in concreto, appare quasi ingiusto allora comprendere queste attività nei tempi di non lavoro170.
Concludendo, indipendentemente dai ruoli ricoperti, il lavoro di cura sembra essere ancora e in gran parte competenza delle donne. Una recente teoria171 ritiene che, in realtà, il genere determina la divisione del lavoro sulla base della percezione sociale: il lavoro domestico è visto come un’espressione del genere femminile e dunque come una forma di amore e dedizione. Questo fa sì che le donne si sentano maggiormente responsabili del lavoro di cura rispetto agli uomini.
168 T. Caponio, R. Sarti (a cura di) Lavoro domestico e di cura, quali diritti? 2010 in Rassegna italiana
di sociologia 2013, fascicolo 2, p.347.
169M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p. 194-195. 170M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p. 194.
171 G. M. Dotti Sani, La divisione del lavoro domestico e delle attività di cura nelle coppie italiane:
un’analisi empirica, in Stato e mercato 2012, fascicolo 1, p. 165, riscostruita sulla base degli studi che, tra la fine degli anni 80’ e l’inizio degli anni 90’, hanno introdotto il contenuto simbolico del lavoro domestico : << il genere è una costruzione sociale che viene prodotto e riprodotta attraverso l’interazione con gli altri, di conseguenza determina la divisione del lavoro in quanto questa è il risultato di come uomini e donni interpretano i propri ruoli sociali, da qui doing gender >>. In questi termini, la dedizione delle donne ai lavori domestici appare più razionale.
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Preso coscienza di ciò, si può ritenere che uguaglianza di genere non significhi allora garantire solamente le medesime condizioni di lavoro, ma anche condividere col partner l’assunzione delle responsabilità familiari.
È proprio in questo senso che sembrano muoversi le attuali politiche sociali e familiari.
2.2 Il quadro di riferimento dell’Unione Europea. 2.2.1 Direttive.
La parità di genere è stata un tema particolarmente trattato nel diritto internazionale ed europeo. In particolare, le politiche europee di pari opportunità si fondano su un percorso storico-istituzionale, caratterizzato da un intreccio tra istituzioni e diverse culture degli Stati membri.
L’impegno europeo, in questo senso, risale al Trattato istitutivo del 1957 e ha visto un susseguirsi di interventi; la svolta arrivò nel 1996 con l’affermazione del concetto di gender mainstreaming172 che ha contribuito al coinvolgimento di diversi
soggetti: da questo momento, infatti, i principali interlocutori non furono più solamente le associazioni e le organizzazioni femminili.
Il primo passo fu prevedere, all’art. 119 del Trattato CEE173, il precetto della <<
parità di retribuzione per uno stesso lavoro>>.
Da qui, grazie anche agli interventi della corte di Giustizia, si sono susseguite una serie di direttive174.
La direttiva del 10 febbraio 1975 n. 75/117 prevedeva, sulla scorta del suddetto articolo, l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile; in particolare, il concetto di retribuzione era
172 Il gender mainstreaming è un concetto ampio che comprende la valutazione e la pianificazione
delle politiche di genere, sia sul piano nazionale che su quelli europeo e internazionale.
173 Per Trattato CEE si intende il trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE), firmato
a Roma da parte dei sei Paesi fondatori il 25 marzo 1957.
174R. Foglia in Bessone M., Trattato di diritto privato. Il lavoro estratto da Il diritto privato
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qui esteso: a prescindere dal rendimento, si riferiva a prestazioni sia identiche che di medesimo valore, comprendendo ogni vantaggio corrisposto in virtù dell’attività lavorativa. Inoltre, il dispositivo includeva anche le componenti variabili della retribuzione, ammettendo misure volte a facilitare e a compensare eventuali svantaggi del lavoro svolto dalle donne. La retribuzione doveva basarsi su criteri comuni, strutturati in modo tale da evitare ogni possibile forma di discriminazione. Da qui si è formata una cospicua giurisprudenza della Corte di giustizia175 a sostegno del fatto che l’obbligo, pur essendo rivolto ai Paesi, poteva ritenersi direttamente vincolante per i datori poiché riferito a situazioni che, laddove si fossero verificate discriminazioni, potevano essere fatte valere direttamente davanti al giudice.
Successiva è la direttiva del 9 febbraio 1976 n. 76/207; il principio di parità era esteso a tutte le fasi del rapporto di lavoro, dall’accesso al licenziamento, comprendendo anche la formazione, la promozione professionale e le condizioni di lavoro. Pur avendo efficacia verticale, questa direttiva non è direttamente vincolante tra le parti del rapporto: era compito dello Stato dover disapplicare eventualmente una disposizione nazionale in contrasto con il principio di parità.