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Work-life balance e genitorialità: la figura del padre lavoratore.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Work-life balance e genitorialità: la figura del padre lavoratore.

Relatore:

Prof. Albi Pasqualino

Candidato:

Mancini Eleonora

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Ai miei genitori, a mio fratello,

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3

Capitolo I

Tempi di vita e tempi di lavoro: perché conciliare?

1.1 Work-life balance. p. 5

1.2 Politiche europee. p.11

1.2.1 Vita famigliare e professionale. p. 11

1.2.2 Prospettiva comparata. p. 19

1.3 Misure family friendly. p. 30

1.4 Il quadro italiano. p. 38

1.4.1 Premessa. p. 38

1.4.2 Gli strumenti adottati: 1. Il welfare aziendale. p. 44 1.4.3 Gli strumenti adottati: 2. Gli incentivi. p. 47

Capitolo II

Lavoro di cura: oltre la diversità di genere

.

2.1 Il lavoro di cura. p. 51

2.2 Il quadro di riferimento nell’Unione Europea. p. 59

2.2.1 Direttive. p. 59

2.2.2 La Carta di Nizza (in particolare l’art. 33). p. 64

2.3 La giurisprudenza. p. 69

2.3.1 Il caso Kalanke. p. 69

2.3.2 La giurisprudenza di legittimità. p. 72

2.4 Le azioni positive. p. 76

2.4.1Verso l’uguaglianza sostanziale. p. 76 2.4.2 Il rischio di una discriminazione alla rovescia. p. 80

2.5 Il contributo dell’art. 9 della legge n. 53/2000 nel panorama italiano.

p. 84

Capitolo III

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3.1 Il padre lavoratore. p. 90

3.1.1 Dalla famiglia patriarcale al congedo di paternità. p. 90 3.1.2 L’evoluzione verso la condivisione della responsabilità. p. 94

3.2 La direttiva 96/34/CEE. p. 98

3.3 I congedi e il padre lavoratore. p. 102 3.3.1 Dall’astensione facoltativa al congedo parentale. p. 102

3.3.2 La legge n. 53/2000. p. 106

3.3.3 Il T.U. n. 151/2001. p. 112

3.3.4 Genitori adottivi e affidatari. p. 117 3.4 Gli interventi più recenti. p. 121

3.4.1La riforma Fornero. p. 121

3.4.2 I voucher baby sitting. p. 123

3.4.3 Il Jobs Act. p. 125

3.5 La giurisprudenza comunitaria. p. 128 3.6 I padri lavoratori autonomi e liberi professionisti. p. 132

Conclusioni.

p. 140

Bibliografia.

p. 147

Sentenze.

p. 152

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CAPITOLO PRIMO

TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO: PERCHÉ

CONCILIARE?

Sommario: 1.1 Work-life balance. - 1.2 Politiche europee. – 1.2.1 Vita famigliare e professionale. – 1.2.2 Prospettiva comparata. - 1.3 Misure family friendly. – 1.4 Il quadro italiano. – 1.4.1 Premessa. - 1.4.2 Gli strumenti adottati: 1. Il welfare aziendale – 1.4.3 Gli strumenti adottati: 2. Gli incentivi.

1.1 Work-life balance.

Il work-life balance è un concetto ampio e dinamico che esprime la possibilità di poter bilanciare esigenze di vita e di lavoro, permettendo la crescita del benessere della persona.

Le politiche di conciliazione hanno conosciuto una forte espansione soprattutto nell’ultimo ventennio grazie ad una serie di interventi che non solo hanno definito modalità e tempi di lavoro, ma hanno cominciato a spostare la loro attenzione anche sul tempo di non lavoro.

Il tempo libero, seppur sin dalle origini legato al lavoro, aveva goduto fino a questo momento di un ruolo quasi marginale. Ma cosa si intende per tempo di non lavoro? I primi studi sul tempo libero si svilupparono negli USA a partire dagli anni 20’ e fu Dumazedier a darne una prima definizione affermando che <<il tempo libero suppone il lavoro>>1.

Partendo da questo assunto, è chiaro il forte legame con il diritto del lavoro. Si fa strada così la necessità di dover ridurre l’orario di lavoro per consentire una migliore organizzazione della vita dell’individuo. Il tempo libero non deve infatti essere confuso con l’ozio o lo svago, ma dovrebbe essere inteso anche come il tempo che la persona può utilizzare per far fronte ai propri bisogni ed interessi. Appare chiaro allora che è un concetto che non comprende soltanto il tempo da dedicare al riposo ma anche quello da dedicare ad attività domestiche e di cura

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familiare2: famiglia, vita privata e lavoro si contemperano permettendo all’individuo di essere appagato. È proprio qui che si innesta il concetto di conciliazione, consentendo la possibilità di poter trovare un equilibrio tra la realizzazione professionale e famigliare.

Parlare di lavoro domestico o di cura rimanda, un po’ per tradizione e un po’ per il suo ruolo naturale, alla figura della donna lavoratrice; questa visione è frutto della vecchia impostazione fordista che ha contribuito ad evidenziare le differenze di genere nel mercato del lavoro3. Tali differenze potrebbero essere superate più agevolmente adottando politiche di conciliazione.

La famiglia infatti, pur essendo uno dei pilastri su cui si basano le politiche di conciliazione, non è la sola esigenza cui l’individuo si trova a far fronte nel corso della vita. La conciliazione tra la vita e il lavoro diviene allora un’esigenza sia per gli uomini che per le donne anche se, oggettivamente, il tasso di occupazione femminile risulta essere più basso rispetto a quello maschile. A tal proposito, nel rapporto sull’uguaglianza tra uomini e donne del 2005, la Commissione Europea affermò che << le donne fanno la maggior parte dei lavori domestici e hanno meno tempo da dedicare al lavoro retribuito >>. Il tempo è così lo strumento utile che sembra poter favorire una parità di accesso al mercato del lavoro ed assicurare un’adeguata qualità della vita famigliare. Questa consapevolezza ha portato all’introduzione di misure di welfare aziendale, favorendo il contemperamento tra le esigenze del datore di lavoro e del lavoratore. Affinché la flessibilità dell’uno non diventi la rigidità dell’altro, si sono affermate varie pratiche negoziali che permettono di non penalizzare nessuna delle parti: una contrattazione che permetta una revisione dell’orario di lavoro e una maggiore flessibilità a vantaggio dei servizi di cura ed anche una crescente condivisione delle responsabilità familiari.

Lo stesso Consiglio Europeo, nella modifica alla direttiva 2003/88, ha stabilito che gli Stati dovranno incoraggiare la stipulazione di accordi finalizzati a garantire una maggiore collaborazione e flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro4.

2 L. Calafà, op. cit., 2004, p. 18-20.

3 E. Riva, Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio, in Autonomie locali e servizi sociali

2010, fascicolo 1, p.122.

4A. R. Tinti, Conciliazione e misure di sostegno. Sulle azioni positive di cui all’art. 9 della legge n.

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Flessibilità ribadita poi nella successiva Risoluzione del Parlamento Europeo del 2008 e che potrà essere sacrificata solo per inconvenienti organizzativi5.

Nonostante però queste precise indicazioni dall’Unione Europea, quando si affronta il tema nel contesto legislativo, è facile notare come tendenzialmente il punto di partenza è l’obbligazione di lavoro (con i suoi limiti) e non la tutela degli interessi del lavoratore; il tempo di lavoro va così inevitabilmente a scandire i tempi di vita della persona tant’è che sarebbe meglio parlare di tempo “liberato” che trova tutela nel lavoro e non al di fuori di esso6.

La riscoperta dell’individuo e della propria autonomia permette, a questo punto, di poter superare l’accantonamento della vita privata e di poter adempiere all’obbligazione lavorativa con appositi strumenti. Da qui, la diffusione di politiche di conciliazione che sta prendendo piede in Europa e nel nostro Paese e che muove i primi passi ricercando nuovi tipi contrattuali, favorendo una migliore organizzazione aziendale ed una maggiore collaborazione tra le parti del rapporto; il tempo libero non può essere ridotto alle ferie o al riposo settimanale ma deve ricomprendere anche le scelte individuali che accompagnano costantemente l’esistenza, mosse non solo dai bisogni ma anche da interessi ed inclinazioni. Ed è proprio la possibilità di scegliere che va a rafforzare la posizione autonoma del lavoratore nel rapporto di lavoro, trovando riscontro nelle nuove misure più flessibili. In genere, il contratto è il principale strumento usato per poter definire la modalità di esecuzione della prestazione mentre il consenso del lavoratore, al contrario, è utile a poter favorire un bilanciamento di quelli che sono gli interessi contrapposti. Non sempre le strategie di conciliazione che un’azienda vuole adottare vanno a coincidere con quelle auspicate dal lavoratore. L’ottimizzazione della produzione è infatti la principale esigenza delle aziende e, quando sul mercato si verifica un incremento della domanda, strumenti come il lavoro straordinario, ad esempio, possono rendere precario il conseguimento di un equilibrio tra i tempi di vita e di lavoro: un potenziale aumento del salario potrebbe così indurre il lavoratore a dedicare più tempo al lavoro a scapito della propria vita privata, esprimendo il proprio dissenso solo nei casi in cui la prestazione richieda un sacrificio eccessivo.

5A. R. Tinti, op. cit,2009, p. 182.

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Questo rifiuto, seppur legittimo, sembra non trovare particolare riscontro nella disciplina legislativa; ad esempio, l’art. 5 del d.lgs. 66/2003, stabilisce che il ricorso a prestazioni eccedenti il normale orario di lavoro deve essere contenuto. Se si porta invece l’esempio del lavoro part time, viene subito alla luce come l’insufficiente integrazione contrattuale in tema di trasformazione di rapporto di lavoro, con delle clausole più elastiche, può comportare un effettivo sacrificio del consenso individuale del lavoratore e delle sue esigenze.Per quanto concerne l’elasticità e la flessibilità del rapporto, ulteriore strumento utile alla conciliazione potrebbe essere il preavviso che presuppone una maggiore collaborazione tra le parti7; laddove questa situazione ottimale dovesse realizzarsi, tale strumento sarebbe comunque inidoneo al fine poiché ha una portata scarsamente garantista. Adottare politiche di conciliazione nelle imprese, riconoscere gli interessi dei lavoratori ed aumentare il loro benessere non potrà far altro che contribuire ad un miglioramento della produzione stessa.

Tuttavia, gli atteggiamenti e le preferenze della persona possono variare nel corso della vita in base alle esperienze ed alle circostanze. Basti pensare al rapporto famiglia- lavoro che non può basarsi solo sulle opportunità, sui vincoli che nascono dai contratti o dai sistemi adottati nei vari Paesi, ma deve basarsi anche su scelte individuali influenzate da altri fattori come la retribuzione, l’orario di lavoro, la distanza del luogo di lavoro, le esigenze di cura, le risorse messe a disposizione8. Programmare diviene non solo una priorità, ma dà alla persona la possibilità di effettuare scelte che consentano una migliore organizzazione della propria esistenza, comprendendo sia i tempi di vita che i tempi di lavoro. Prendere atto di quelle che sono le proprie esigenze ed assumere un atteggiamento coerente con queste è fondamentale sia per il singolo che per le coppie, poiché contribuisce ad individuare un opportuno sistema famiglia-lavoro in base ai propri bisogni. Col tempo, grazie all’introduzione di strumenti che incentivano la conciliazione, c’è stato uno spostamento nelle preferenze dei soggetti. Un esempio lampante di ciò è l’incremento della condivisione delle responsabilità genitoriali che ha portato ad una divisione più egualitaria nelle coppie, dando un effettivo contributo al

7 A. Niccolai, op. cit. 2009, p. 246-252.

8 M. Naldini - C. Saraceno, Conciliare famiglia e lavoro. Vecchi e nuovi patti tra sessi e generazioni,

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consolidamento dell’idea che non può essere solo un lavoro da donne anche se, quest’ultime, tendono ancora a preferire occupazioni a tempo parziale in presenza di bambini in età prescolare. Quest’ultimo aspetto è molto diffuso in realtà come quella italiana dove, ancora oggi, resiste la concezione che la famiglia sia la principale responsabile dei servizi di cura, non superando così del tutto le disuguaglianze di genere ed allontanandosi dall’idea che una migliore riconciliazione tra la vita e il lavoro potrebbe comportare una maggior produzione del reddito oltre che aumentare il benessere della famiglia stessa9. Il comportamento sia degli uomini che delle donne è fortemente influenzato dalla disponibilità del tempo. Lo status occupazionale va a ridimensionare il tempo che si ha a disposizione; ad esempio, una donna occupata ha sicuramente meno tempo da poter dedicare alle faccende domestiche e ai servizi di cura rispetto ad una casalinga. Diversi studi, nell’ultimo decennio, si sono occupati de “l’omogamia” in termini di occupazione e di livello di istruzione nelle coppie; i risultati evidenziano che nelle coppie in cui entrambi i coniugi lavorano c’è una minore disparità nel tempo che questi dedicano ad attività domestiche e di cura e che, questo stesso tempo, risulta essere invece maggiormente limitato e suddiviso in maniera più equa nelle coppie in cui entrambi i coniugi godono di un elevato titolo di studio10.

Una maggiore disponibilità del tempo dovrebbe allora contribuire al miglioramento del welfare familiare.

Lavoro di cura e attività domestiche sono tutt’ora legati fortemente alla sfera femminile e, pur essendo un lavoro concreto vero e proprio, finiscono con l’essere assimilati genericamente ai tempi di non lavoro. Non è detto che la persona nel tempo libero si dedichi solo a questo tipo di attività e, dunque, introdurre clausole contrattuali a sostegno di un orario di lavoro flessibile e ridotto può fornire un’ulteriore tutela per queste esigenze.

Un valido contributo in questo senso arriva dalla legge n. 53/2000 che, non solo prevede una maggiore flessibilità degli orari di lavoro ma, nonostante un eventuale aumento dei carichi familiari, incoraggia le donne a non rinunciare al lavoro e rivaluta l’utilizzo dei congedi.

9 G. M. Dotti Sani, La divisione del lavoro domestico e delle attività di cura nelle coppie italiane:

un’analisi empirica, in Stato e mercato, 2012, fascicolo 1, p. 162.

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È evidente che la famiglia, pur essendo semplicemente uno degli aspetti della conciliazione, rappresenta un tema centrale per il conseguimento dell’equilibrio tra vita e lavoro.

La realtà familiare negli ultimi anni è molto cambiata, sarebbe impensabile oggi riferire il termine “famiglia” solo a quella tradizionale, cosa che invece sembrava essere diffusa nel diritto del lavoro, almeno fino ai primi anni 2000. L’interesse tutelato dal diritto del lavoro, contrapposto a quello del datore, è stato proprio quello del “bene” famiglia; questo ha contribuito ad attribuire al lavoratore diritti come permessi, congedi, flessibilità, riduzioni di orario e gli ha consentito di godere di maggior tempo ed energie da dedicare alla propria famiglia11.

Rimanendo però nell’ottica per cui le responsabilità familiari erano considerate “affari da donne”, sembrava così rafforzarsi l’idea che lavori di scarso impegno professionale o a tempo parziale potessero comportare un minor sacrificio di questo “bene”.

Lo stesso concetto di work- life balance, ormai diffuso nel panorama italiano, nasce in realtà agli inizi degli anni 2000 in sostituzione dell’espressione work-family

balance12: questo passaggio permette di comprendere che le attuali clausole contrattuali , garanti oggi di una maggiore flessibilità e una riduzione dell’orario di lavoro, sono state pensate sicuramente per tutelare il benessere familiare ma possono effettivamente estendere la loro tutela al concetto più ampio di conciliazione che comprende anche altri aspetti della vita privata, come altre relazioni interpersonali che superano i confini della famiglia.

In generale, le politiche a sostegno della famiglia consentono alla persona di ritagliarsi un maggior tempo da destinare al lavoro di cura.

La legislazione, in questo caso, ha messo al centro del dibattito principalmente l’assistenza da destinare ai figli, trascurando il fatto che il lavoro di cura è un concetto che si estende anche ad altri soggetti come ad esempio gli anziani. Questo non è un aspetto da sottovalutare, in quanto le condizioni di vita sono migliorate e, di conseguenza, nella nostra società è presente un numero maggiore di anziani

11 M. V. Ballestero, La conciliazione tra lavoro e famiglia. Brevi considerazioni introduttive, in Lav.

e Dir., 2009, fascicolo 2, p. 162-165.

12 R. Trifiletti, la conciliazione vita/lavoro, un genus ambiguo delle politiche sociali, in particolare

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rispetto al passato. Inoltre, se si guarda all’ occupazione delle donne nel mondo del lavoro, la sensazione è che queste possano dedicarsi al lavoro di cura avvalendosi di impieghi prevalentemente a tempo parziale e, se così non fosse, possano indirettamente essere indotte a scegliere tra il perseguire una carriera soddisfacente e il costruire una famiglia; non dovremmo allora stupirci di fenomeni come la denatalità , crescente ormai anche a causa della crisi economica, che ci condurrà ad avere ben presto una società più agée.

Il benessere e il miglioramento delle condizioni dell’esistenza portano inevitabilmente ad un allungamento della vita. All’aumentare dei tempi di vita aumentano anche le esigenze della persona che finiranno così con l’essere diversificate.

Ecco allora che la conciliazione dovrebbe saper farvi fronte ricercando un concreto equilibrio anche in virtù di tali bisogni. Le trasformazioni che hanno attraversato la nostra società negli ultimi decenni influenzano fortemente il diritto del lavoro. Se le prime politiche di conciliazione adottate cercavano di aumentare l’occupazione delle donne nel mondo del lavoro, favorendo anche il superamento dei confini di genere di stampo fordista, oggi queste sembrano essere maggiormente incentrate alla promozione del modello dell’adult worker13. Questo modello non mette al

centro l’uomo o la donna in quanto tali, ma tende a promuovere misure a favore della piena occupazione e della titolarità dei diritti sociali in capo alla persona valutata nella sua individualità e neutralità. La conciliazione dovrebbe allora riguardare la vita della persona nella sua interezza e migliorarla.

1.2 Politiche europee.

1.2.1 Vita famigliare e professionale.

La famiglia, come ho già anticipato, rappresenta uno dei punti cardine della conciliazione. Si può affermare che gran parte delle misure di conciliazione adottate nel diritto del lavoro sono state pensate proprio al fine di migliorare il benessere familiare e, in un secondo momento, si sono estese all’individualità della persona.

13 M. Cannito, Quando il congedo è maschile? Vincoli e opportunità nell’uso dei congedi parentali

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Se inizialmente si agiva in un’ottica di parità tra i due sessi, oggi forse sarebbe più opportuno parlare di riconciliazione e di condivisione delle responsabilità. La natura di questi interventi non è limitata solamente alla disciplina lavoristica, ma va a toccare anche l’ambito delle politiche sociali, prendendo in considerazione sia i bisogni di chi lavora sia quelli dei suoi familiari14.

Il nucleo familiare da sempre è stato oggetto di interventi legislativi in vari ambiti del diritto e l’obiettivo di conciliare vita famigliare e professionale ha trovato la giusta attenzione nell’ Unione Europea.

Per quanto riguarda il diritto del lavoro, i primi passi in tal senso sono stati mossi nel riconoscimento di congedi pensati per la figura della donna lavoratrice e madre. Questi primi interventi non solo hanno contribuito all’affermazione della parità di genere e ad incrementare l’occupazione femminile, ma permettono alla donna di non rinunciare al lavoro e, allo stesso tempo, di poter costruire una famiglia. La scelta avviene dunque in maniera consapevole e, oltre ad incrementare la presenza femminile nel mondo del lavoro, permette una migliore distribuzione delle responsabilità familiari nelle coppie e non solo.

Lo stesso concetto di famiglia ha subito negli anni una vera e propria evoluzione: non si può più guardare alla sola famiglia tradizionale ed alla filiazione naturale, l’attenzione deve spostarsi anche verso le coppie di fatto e verso i genitori adottivi ed affidatari, senza dimenticare il lavoro di cura verso altri familiari non autosufficienti. Nelle emanazioni di queste politiche non bisognerebbe soffermarsi solo sul lavoratore ma anche su chi riceve la cura; ad esempio, quando si parla dei bambini come i principali destinatari, non bisogna dimenticare che questi saranno il capitale umano del futuro15.

È interessante vedere come le politiche di conciliazione siano state negli anni quasi sempre concentrate sulla genitorialità (in particolar modo sulla cura nei primi anni di vita dei figli) e che altri aspetti siano stati trascurati. Con questo mi riferisco in particolare alle responsabilità nei confronti di soggetti non autosufficienti e degli anziani che finiscono così con l’essere esiliati nella sfera di un problema

14 S. Borelli, Famiglie e lavori. Le misure a sostegno del reddito come strumento di soddisfazione

dei bisogni di riconciliazione, in Lav. e Dir. 2009, fascicolo 2, p. 203.

15 M. NALDINI - C. SARACENO, Conciliare famiglia e lavoro. Vecchi e nuovi patti tra sessi e

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prettamente familiare; come ho evidenziato precedentemente, si sta registrando un evidente calo delle nascite che, col tempo, potrebbe portare a un deficit di cura nei confronti di questi16.

Non deve stupire allora il fatto che, nell’incontro di revisione della strategia di Lisbona del 200517, la conciliazione europea si apre verso il sostegno alla fecondità, in una visione di investimento sociale teso allo sviluppo della famiglia ed ovviamente al futuro18. L’età di accesso al mondo del lavoro coincide tendenzialmente con l’età in cui le donne affrontano le gravidanze.

L’uguaglianza allora non dovrebbe guardare solo alla parità tra uomini e donne ma, piuttosto, dovrebbe essere estesa anche a coloro che sono destinatari del lavoro di cura, prevedendo adeguati strumenti di tutela. Sarebbe opportuno allora rivalutare i vari tipi di relazione tra gli individui per una più giusta definizione dei diritti sociali. Essere però troppo improntati sull’aspetto sociale significa poter cadere facilmente in contraddizione19, ovvero finire col tutelare eccessivamente alcuni

aspetti a discapito di altri. Ecco perché sarebbe bene affiancare tali misure ad una evoluzione istituzionale, rafforzandone i diritti sottesi: attraverso una più attenta regolamentazione del lavoro di cura, la tutela potrebbe così estendersi anche nei confronti di chi lo offre, avvicinando sempre di più tali attività alla sfera del lavoro retribuito.

Investire nelle politiche che riguardano la famiglia significa concretamente voler contribuire all’innalzamento del welfare: in quest’ottica famiglia e mercato del lavoro si influenzano reciprocamente. La volontà europea è quella di superare il

16 M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p.21.

17 Si tratta dell’audizione pubblica "La valutazione della strategia di Lisbona in considerazione della

specificità di genere", tenutasi al Parlamento europeo nel 2005. Esperti di vari Stati membri, amministrazioni, associazioni e parti sociali si ritrovarono a discutere degli obiettivi fissati dalla precedente Strategia di Lisbona del 2000 che mirava a un rinnovamento economico, sociale e ambientale nell’Unione Europea. Dal punto di vista sociale, per quanto riguarda la parità di genere, i risultati sembravano essere piuttosto insoddisfacenti. Dunque, la dimensione di genere doveva esser presa maggiormente in considerazione, soprattutto nelle politiche nazionali e, proprio con l’incontro di revisione, furono individuati nuovi obiettivi volti a superare l’effettiva disparità tra uomini e donne: l’incremento occupazionale, il superamento del divario di remunerazione tra donne e uomini, l’accesso all’istruzione e alla formazione lungo l’arco della vita, i servizi di custodia per i bambini, la promozione di nuove forme di lavoro, una migliore organizzazione del lavoro e una maggiore divisione delle responsabilità familiari.

www.europarl.europa.eu

18 M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p. 81.

19 R. Trifiletti, La conciliazione vita/lavoro, un genus ambiguo delle politiche sociali, in particolare

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modello male breadwinner in cui il lavoro retribuito sembrerebbe spettare all’uomo e quello di cura alla donna20.

Una politica di conciliazione efficace dovrebbe invece soffermarsi proprio sulla relazione che intercorre tra il lavoro retribuito e quello non retribuito. La conciliazione, in questo, comporta anche una rivalutazione del welfare state che non è più incentrato esclusivamente su politiche di protezione sociale, assistenza e previdenza, ma sposta l’analisi sulla distribuzione del lavoro di cura.

Per poter parlare di welfare a livello europeo non è sufficiente adottare politiche sociali, ma bisognerebbe tendere ad un‘armonizzazione tra gli Stati membri, anche se il recepimento sembra essere piuttosto differenziato.

I recenti tagli alle spese e agli investimenti sociali rendono infatti arduo questo compito21. Quest’ultimo fenomeno ha riguardato soprattutto i Paesi sudeuropei e non ha risparmiato le politiche del lavoro; nei Paesi scandinavi, invece, si sono conservate le politiche sociali rafforzando così i servizi di cura per anziani e bambini.

L’approccio dell’Unione Europea alle politiche di conciliazione si basa principalmente sull’utilizzo di strumenti come congedi, assegni, servizi per l’infanzia e misure che possano rendere più flessibile il rapporto di lavoro. Trovare un equilibrio tra attività professionale e vita familiare, oltre a permettere il superamento delle differenze di genere e affrontare i cambiamenti demografici, contribuisce anche a migliorare la qualità del lavoro stesso.

Il contributo europeo in tal senso proviene da22:

- la direttiva 96/34/CEE che ha dato l’apporto più concreto definendo il congedo parentale, poi rivista e sostituita dalla direttiva 2010/18/CEE; - la Risoluzione del 29 giugno del 2000 che evidenzia il legame tra la

conciliazione e l’uguaglianza di genere, prevedendo una partecipazione equilibrata di uomini e donne sia alla vita familiare che professionale; - la Carta di Nizza che, all’art. 33, introduce strumenti utili alla conciliazione

prevedendo << la tutela contro il licenziamento per un motivo legato alla

20 M. Naldini, Le politiche sociali e la famiglia nei Paesi mediterranei. Prospettive di analisi

comparata, in Stato e mercato 2002, fascicolo 1, p. 84-85.

21 D. Natali, Politiche sociali sostenibili per l’Europa, in il Mulino settembre- ottobre 2012, fascicolo

5, p. 830.

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maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio>>;

- la direttiva 2006/54/CEE che, combattendo le discriminazioni di genere sul lavoro, prevede siano le parti sociali ad << introdurre disposizioni lavorative flessibili intese a facilitare l’armonizzazione della vita professionale con la vita privata>>;

- la decisione del Consiglio europeo del 2007 che allarga la visuale affermando di voler << promuovere un approccio al lavoro basato sul ciclo della vita>>, offrendo strumenti per la << migliore armonizzazione lavoro- vita privata>> e << strutture accessibili e abbordabili di assistenza all’infanzia e ad altre persone a carico>>

- la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 che riconosce la conciliazione come un diritto di tutti, svincolato dalla genitorialità, e invita gli Stati ad adottare misure di welfare aziendale che lo rispettino; inoltre promuove un accesso universale ai servizi, auspicando al superamento delle differenze di genere nel lavoro retribuito e non retribuito e promuovendo l’equa condivisione delle responsabilità23.

È facile notare come in Europa, in una sorta di processo evolutivo, la conciliazione non si limita più all’affermazione di una genitorialità priva di distinzioni di genere, ma si estende alla vita privata nel suo complesso.

Allo stesso tempo, guardare alla successione di fonti nel tempo significa poter prendere in considerazione almeno due teorie24 della conciliazione:

- “La teoria della conciliazione dei ruoli” che nasce dal fatto che negli anni 60’ e 70’ conciliare significava per la donna trovare un equilibrio tra l’essere madre e l’essere lavoratrice.

- “La teoria della conciliazione condivisa o della riconciliazione” che, muovendosi sulla logica dell’uguaglianza, ha come obiettivo la condivisione dei diritti e delle responsabilità eliminando ogni forma di discriminazione.

23 www.alleyoop.ilsole24ore.com

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Il primo strumento utilizzato è il congedo25: la direttiva 96/34 prima e la direttiva 2010/18 poi, attribuiscono ai lavoratori un diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un figlio; è possibile così occuparsi dei propri figli fino ad una certa età, non superiore agli otto anni, definita dallo Stato o dalle parti sociali. Ad oggi è possibile usufruire di tale congedo per un periodo minimo di quattro mesi (prima erano tre), di cui almeno uno è attribuito in maniera trasferibile; anche la definizione delle modalità di trasferimento di questo diritto sono lasciate, a livello nazionale, alla contrattazione collettiva e alle leggi in vigore nello Stato di riferimento.

Sono stati poi introdotti congedi di paternità, congedi o permessi per la malattia dei figli o di altri familiari, attraverso l’introduzione nei vari Paesi di pacchetti a sostegno dei genitori che lavorano.

Il secondo strumento utilizzato è l’introduzione nei rapporti contrattuali delle clausole più elastiche e flessibili che potremmo individuare in tre gruppi26:

- clausole che consentono al lavoratore di ottenere una flessibilità in entrata e in uscita dell’orario di lavoro a fronte di esigenze familiari; tuttavia, non essendo questo riconosciuto come un diritto, la richiesta potrebbe essere respinta;

- clausole che vedono nell‘esigenza di conciliazione il riconoscimento di un diritto ad un’aspettativa legittima del lavoratore a causa di una mancata flessibilità della prestazione;

- clausole che permettono al lavoratore, in caso di gravi esigenze, di richiedere la possibilità di fruire di ore da lui accantonate precedentemente. Si diffondono allora discipline contrattuali in materia di part-time, job sharing, job

on call e telelavoro. Il terzo gruppo di clausole, in particolare, ha trovato un’ampia

diffusione nel nostro Paese, prevedendo dal 2005 non solo la possibilità di poter fruire delle ore precedentemente accumulate, ma di ottenere durante il congedo anche una liquidazione monetaria come sostegno economico.

25 M. Marino, La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro: una <<policy>> per le donne e per gli

uomini in una prospettiva di maggiore occupazione per tutti, in Riv. Giur. Del Mezzogiorno 2012, n. 1-2, p. 299.

26 S. Costantini, Contrattazione collettiva nazionale e conciliazione fra lavoro e vita familiare: un

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Il terzo strumento previsto è quello dei servizi di cura; questo permette di oltrepassare i confini della famiglia, alleggerendo il carico delle responsabilità che potrà così essere distribuito in apposite strutture pubbliche. Il problema è che, nonostante ci sia stata una forte attenzione nei confronti dei figli in età prescolare e si siano trascurate le fasi successive della vita, l’adozione di questi servizi sembra essere ancora scarsa in alcune aree geografiche oltre che fortemente limitata dalle risorse che lo stato mette a disposizione.

Seppur l’Unione Europea ha cercato di adottare uniformi misure di conciliazione, la loro applicazione varia a seconda dello stato e dei suoi vincoli.

Il recepimento di tali misure non è avvenuto infatti in maniera omogenea: a distanza di anni, si registrano ottimi risultati nei Paesi del Nord Europa dove le politiche di conciliazione si sono ampiamente affermate e sono state “metabolizzate” dalla popolazione, tant’è che gli strumenti messi a disposizione sono usati concretamente sia dagli uomini che dalle donne, comportando un’ottimale ridistribuzione dei ruoli familiari e innalzando inevitabilmente i livelli di welfare; nei Paesi Mediterranei l’approccio sembra essere più restìo e, nonostante l’adozione di misure volte a consolidare la conciliazione, siamo in realtà ancora lontani da un’effettiva condivisione delle responsabilità familiari. Lontananza che forse è frutto di un’inadeguata informazione e di un essere ancora legati alla tradizionale visione secondo cui la cura dei figli rientra quasi esclusivamente nei compiti della madre27. Gli Stati membri sono chiamati a rispondere alle politiche di conciliazione europea offrendo dei servizi diffusi sul territorio, organizzati in maniera tale da poter soddisfare le diverse esigenze dei nuclei familiari.

Nella maggior parte dei Paesi, comunque, si sono ormai adottati strumenti come assegni periodici, assegni alla nascita, assegni per particolati bisogni del bambino (disabilità e non solo), congedi e relative indennità28; le eventuali differenze possono riguardare i criteri di accesso che possono risultare più o meno selettivi. Nonostante questo, non si è ancora realizzata una uniforme revisione dell’ideologia

27 M. Cannito, op. cit., 2015, p. 334.

28 C. Saraceno, Le politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione, in Stato e

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di genere nel mercato del lavoro29. La risposta degli Stati sembra muoversi lungo tre linee30:

- la defamilizzazione, diffusa nei Paesi che pongono a disposizione delle famiglie servizi di cura, sollevandole in parte dalle responsabilità;

- il familismo sostenuto che prevede congedi e il trasferimento di altre indennità, consentendo alle famiglie di dedicarsi al lavoro di cura;

- il familismo di default che sottolinea la difficoltà di alcuni Stati di muoversi verso uno dei sistemi sopracitati, comportando sia un forte ricorso al mercato per l’accesso ai servizi, sia che le responsabilità familiari diventino una questione da risolvere internamente coinvolgendo la parentela.

Tale diversità è il frutto delle diverse scelte di investimento compiute dagli Stati e del loro tessuto istituzionale.

Un ulteriore apporto proviene dal Patto europeo 2011-2020 che, per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020, ribadisce che colmare i divari di genere nell’occupazione, nell’istruzione e promuovere l’inclusione sociale, sia fondamentale per una prospettiva di crescita complessiva.

La conciliazione ha allora un ruolo importante in quanto, andando a favorire una maggior partecipazione dei soggetti al mondo del lavoro, contribuisce allo sviluppo economico e culturale31.

Pur rimanendo la parità di genere un obiettivo e un valido alleato delle politiche di conciliazione europee, oggi si tende all’affermazione del modello dual- earner in cui si sviluppano diritti sociali di tipo individuale32.

Tutto questo è frutto anche di un cambiamento del numero e del tipo di attori coinvolti in queste politiche che ha portato all’utilizzazione di espressioni più neutre: sempre più spesso infatti, il termine famiglia è sostituito33 dal termine vita, esercitando così una sorta di attrazione verso gli uomini che sono spinti ad assumere

29 E. Riva, Le politiche di conciliazione: un sistema a rischio, in Autonomie locali e servizi sociali

2010, fascicolo 1, p. 112.

30 M. Naldini - C. Saraceno, op. cit., p. 71-73. 31 M. Marino, op. cit., 2010, p. 314.

32M. Naldini, Le politiche sociali e la famiglia nei Paesi mediterranei. Prospettive di analisi

comparata, in Stato e mercato 2002, fascicolo 1, p. 77- 78.

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maggiori responsabilità familiari e contribuiscono ad accrescere il fenomeno della condivisione.

1.2.2 Prospettiva comparata.

Nonostante le indicazioni e gli inviti dell’Unione Europea ad adottare politiche pro conciliazione e famiglia, la risposta degli Stati è stata ed è tutt’ora piuttosto variegata.

Osservando e confrontando le politiche adottate nelle varie realtà europee, viene subito all’occhio una forte disparità percepibile soprattutto tra i sistemi adottati nei Paesi scandinavi e quelli invece adottati nei Paesi sudeuropei.

Proprio quest’ultimi, negli studi sociologici e di welfare, vengono definiti “familisti”, originando quello che è un vero e proprio paradosso34:

seppur in tali aree la famiglia è spesso al centro dei dibatti politici e delle analisi di welfare, le politiche familiari si collocano in un sistema piuttosto debole e scarno in cui, pur adottando congedi, permessi, assegni e servizi per i nuclei familiari, si registra un’esigua generosità da parte degli stati.

La diversificazione delle politiche probabilmente è anche frutto di una diversa concezione e concettualizzazione35 istituzionale della famiglia.

In Paesi come l’Italia ad esempio, il termine famiglia finisce con l’essere spesso utilizzato nella sua accezione più ampia, anche nel dibattito politico, non conoscendo confini ben precisi; finiscono così con l’essere assimilati alla famiglia le relazioni affettive e di parentela, la coabitazione e, dunque, per poter agire in maniera più efficiente, sarebbe utile distinguere nei vari interventi il soggetto destinatario delle misure.

Tale problema, invece, sembra non presentarsi nei Paesi anglosassoni o francofoni dove rispettivamente si distinguono i termini family and household e famille et

ménage36.

34 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 73. 35 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 73- 74. 36 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 74.

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L’approccio comparativo ai Paesi europei, oltre ad individuare le differenze nelle politiche familiari adottate, ci permette in questo caso di poter riscontrare diversi modelli di welfare state.

Tradizionalmente, il welfare era principalmente improntato su misure previdenziali e assistenziali, su schemi di sicurezza sociale, sulle coperture assicurative e sulla sanità, occupandosi di meno delle responsabilità familiari e delle relative politiche. Eppure il benessere della persona è condizionato dalle relazioni di interdipendenza familiari. Preso coscienza di ciò, è chiara l’influenza della famiglia nella società; la sua importanza trova riscontro anche nelle politiche di welfare sempre più attente alla vita privata della persona.

Ridurre però la prospettiva comparativa ai soli modelli male breadwinner e dual-

earner37 è effettivamente riduttivo a fronte della realtà composita che si presenta oggi in Europa e, ben presto, nell’ambito degli studi, si è introdotta una classificazione che si avvale dei seguenti parametri38:

- le divisioni di genere e la famiglia nella società

- le definizioni legali delle relazioni familiari e/o parentali - le politiche adottate concretamente

- il modello di famiglia idealizzato e sostenuto

Ecco allora che, a fronte di tali valutazioni, si aggiunge un terzo modello definito delle << solidarietà familiari e parentali>>39. Volendo riassumere le caratteristiche di questi modelli si può affermare che:

1) il modello male breadwinner40 ha un approccio settoriale alla famiglia distinguendo nettamente il ruolo dell’uomo e della donna; quest’ ultima, mentre l’uomo diviene la principale fonte di reddito della famiglia, finisce così con l’essere confinata allo svolgere il lavoro di cura e ad assumersi gran parte delle responsabilità familiari in quanto i servizi offerti sono piuttosto scarsi. La famiglia viene così ad essere concepita nel suo nucleo semplice, prevedendo una serie di obbligazioni legali reciproche nella coppia e nel

37 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 80-81. 38 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 81. 39 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 84. 40 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 81.

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rapporto verticale tra genitori e figli, dando poca rilevanza alle relazioni di parentela che sono al di fuori di esso.

2) il modello dual earner41, al contrario, punta alla piena occupazione sia maschile che femminile comportando così una più equa divisione sia del lavoro retribuito che del lavoro non retribuito. Diffuso maggiormente nei Paesi nordici, come la Danimarca ad esempio, si caratterizza per riconoscere scarsa rilevanza all’istituto matrimoniale e per una più ampia diffusione delle forme di convivenza. Di conseguenza, non esistono obbligazioni di mantenimento in quanto si riscontra una forte individualizzazione dei diritti. 3) Il modello solidale42 prevede invece una concezione di famiglia allargata che poggia ancora tanto sui legami di parentela. Questo evidentemente nasce dalle precarie condizioni occupazionali: l’uomo non è pienamente occupato e l’intervento della donna nel mondo del lavoro è sussidiario a fronte di una “emergenza” reddituale. Si intensificano i rapporti parentali e le diverse generazioni si trovano a convivere per lunghi periodi. In più, il matrimonio è una vera e propria istituzione e sono diffuse largamente le obbligazioni legali di mantenimento. Questo ad esempio è il modello diffuso in Italia.

Tali modelli, ovviamente, sulla base del paese e del tessuto istituzionale di riferimento, non si sono mai presentati in forma pura.

Soprattutto in Nord Europa si sono registrati nel tempo passaggi da un modello ad un altro.

Sulla base di queste considerazioni e delle misure concretamente adottate nei Paesi, si possono individuare quattro sistemi43 di welfare europeo:

- Liberale - Social- democratico - Conservatore - Mediterraneo WELFARE LIBERALE

41 M. Naldini, op. cit.,2002, p. 84. 42 M. Naldini, op. cit.,2002, p. 84- 85. 43 www.afi-ipl.org

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Il welfare liberale è tipico dei Paesi anglosassoni ed è principalmente di natura assistenziale, cioè cerca di ridurre la povertà e la diffusione di fenomeni come l’esclusione sociale. Non si riscontra un’universalità degli interventi che, di solito, risultano essere rivolti a specifiche categorie di soggetti44. L’attore principale nelle politiche di welfare continua comunque ad essere il mercato. Tuttavia questo criterio selettivo viene meno con l’erogazione di assegni sociali il cui accesso, sia in Irlanda che nel Regno Unito, non sembra essere legato a particolari vincoli45.

Nonostante questo, il Regno Unito è uno dei paesi in cui si registra un alto tasso di povertà minorile. È possibile allora dedurre che, a dispetto della loro importanza, i finanziamenti da soli sono insufficienti al sostegno di tali politiche per la famiglia. Sono abbastanza diffusi i servizi per l’infanzia ma, in particolare quelli per i bambini compresi tra 0 e 3 anni, offrono una copertura limitata alla mezza giornata46. Minor attenzione si presta alla famiglia mono-genitoriale.

REGNO UNITO

Le politiche inglesi a sostegno della famiglia prevedono innanzitutto dei Child

Benefit47, ovvero assegni familiari ad erogazione settimanale, con ammontare inversamente proporzionale al numero dei figli, fruibili tendenzialmente senza alcun criterio selettivo48. Inoltre, si prevedono i Child Tax Credit49 (credito di imposta) a favore di chi si occupa del bambino e i Working Tax Credit50 a sostegno dei lavoratori che percepiscono salari bassi, comprensivi anche dei rimborsi alle spese di cura sostenute dai genitori che lavorano, facendo così risultare più conveniente il lavoro femminile (eventualmente anche a bassa retribuzione).

44 www.afi-ipl.org

45 C. Saraceno, Le politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione, in Stato e

mercato 2009, fascicolo 1, p. 7.

46 C. Saraceno, op. cit., 2009, p. 10-12.

47 V. Viale – R. Zucaro, I congedi a tutela della genitorialità nell’ Unione Europea. Un quadro

comparato per rileggere il Jobs Act in www.bollettinoadapt.it , basato sugli studi di Eurofound del 2015 , p. 16.

48 C. Saraceno, op. cit.,2009, p. 7. 49 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 16. 50 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 16.

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In materia di congedi è previsto l’ordinary maternity leave51 che riconosce alle lavoratrici dipendenti un congedo di maternità di ventisei settimane e, a quelle che hanno lavorato presso lo stesso datore di lavoro per almeno ventisei settimane, dimostrabili, un diritto ad una maternità supplementare, sempre di ventisei settimane, chiamato additional maternity leave52. Questo congedo può essere goduto fino ai 5 anni di età del bambino.

Lo Shared parental leave, introdotto nel 2012, è invece un congedo “bigenitoriale”53, innovativo poiché se ne prevede un utilizzo quasi paritario

tra i genitori, sia consecutivamente che contemporaneamente, purché non si superi il tempo totale messo a disposizione per la coppia. Può essere goduto anche in modo discontinuo a patto che sia concordato con il datore di lavoro e non si tratti di periodi superiori ad una settimana.

Dal 2015 si prevede che, dopo le due settimane obbligatoriamente godute dalla madre a seguito della nascita del figlio, le restanti cinquanta possano essere godute da entrambi i genitori. È stato previsto anche un congedo di paternità pari a due settimane, usufruibili in tranche di una settimana, con un’indennità fissa o pari al 90% del reddito medio settimanale, entro otto settimane dalla nascita del figlio.

WELFARE SOCIAL-DEMOCRATICO

Il welfare social-democratico54, tipico dei Paesi scandinavi, adotta politiche ispirate al principio dell’universalismo, cercando di accrescere il benessere di tutti e riconoscendo diritti alla persona nella sua individualità. Il mercato qui esercita un’influenza minore.

Sono i Paesi che hanno raggiunto i miglior risultati in termini di condivisione: l’estensione ai padri dei congedi è avvenuta in anticipo rispetto al resto dell’Europa e in maniera semplice, eliminando ogni riferimento ai sessi nella normativa. Per i servizi di cura agli anziani, si tende generalmente a destinare

51 V. Viale – R. Zucaro, op. cit. p. 16. 52 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 16. 53 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 17. 54www.afi-ipl.org

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finanziamenti a quelli che sono servizi formali ossia a servizi e lavoratori certificati.

DANIMARCA

In Danimarca per i congedi si prevede una retribuzione del 100%.

Il congedo di maternità è pari a diciotto settimane di cui sono obbligatorie le due successive al parto; il congedo di paternità comprende un totale di due settimane, può essere goduto nelle quattordici settimane dopo la nascita ma è un diritto che spetta solo ai lavoratori dipendenti55.

Il congedo parentale invece è pari a trentadue settimane condivisibili (in continuazione a quello di maternità, di paternità o di altro congedo parentale di cui sta usufruendo l’altro genitore), può essere goduto fino ai 9 anni del bambino ed è retribuito sia dal datore di lavoro, sia a livello statale, così come il congedo di maternità. In più, è consentito aggiungere un ulteriore diritto ad otto settimane non retribuite.

Alla disciplina ha contribuito fortemente anche la contrattazione collettiva aziendale56, consentendo inoltre la possibilità di concordare il lavoro part-time con il proprio datore per tutto il congedo o solo per alcuni periodi. È prevista anche l’erogazione di assegni con criteri d’accesso meno vincolanti a partire dal secondo figlio57.

Ottima è l’offerta dei servizi per l’infanzia che hanno qui raggiunto livelli tali da sovrapporsi ai congedi, rappresentandone una valida alternativa.

NORVEGIA.

Nel sistema norvegese non esiste un termine comune58 di congedo ma si individua:

- il “congedo di gravidanza”, riferito al periodo che precede la nascita; - il “congedo per nascita”, riferito alle sei settimane successive al parto.

55 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 11. 56 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 12.

57 C. Saraceno, Le politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione, in Stato e

mercato 2009, fascicolo 1, p. 7.

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Il congedo parentale copre invece il restante periodo, secondo il modello gender

neutral59.

Complessivamente, il congedo ha una durata massima di cinquantaquattro settimane, nove per la madre (assimilabili al congedo di maternità) e sei per il padre. Entrambi i genitori hanno poi il diritto di utilizzare le restanti trentanove settimane.

Dal 2007 il congedo di paternità è divenuto più flessibile: può essere goduto con gradualità e combinato con il lavoro part-time, fino ai tre anni di età del bambino; l’indennità è stabilita dai contratti collettivi di lavoro.

SVEZIA

La Svezia presenta un quadro interessante in materia di congedi. Ad entrambi i genitori è riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro per un totale di 480 giorni, di cui sessanta vanno garantiti obbligatoriamente alla madre o al padre. Dal 2014 il congedo può essere goduto fino ai 12 anni del bambino (prima fino agli 8), anche frazionato. La copertura è dell’80% per sessantacinque settimane, mentre per i rimanenti novanta giorni è previsto un importo forfettario.

È stato introdotto il Gender Equality bonus60, un incentivo economico che viene corrisposto ai genitori che si suddividono equamente il congedo parentale. Questo bonus oltre ad incoraggiare entrambi i genitori a prendere il congedo, assicura un’equa divisione del lavoro di cura. La generosità dimostrata verso tali misure, fa sì che i padri svedesi scelgano di usufruire del congedo nella misura del 90%. Sono inoltre previste compensazioni economiche home care

allowances61 che, per breve periodo, consentono ai genitori di ritardare il ritorno nel mondo del lavoro.

Per la madre non è previsto un congedo vero e proprio ma l’obbligo di prendere due settimane prima e dopo il parto. Il padre, alla nascita del figlio, ha invece diritto ad un congedo pari a dieci giorni, fruibili in concomitanza con la madre.

59 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 14. 60 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 18.

61 R. Trifiletti, La conciliazione vita/ lavoro, un genus ambiguo delle politiche sociali, in particolare

nell’approccio degli investimenti sociali, in Autonomie locali e servizi sociali 2017, fascicolo 2, p. 351.

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WELFARE CONSERVATORE

Il welfare conservatore, diffuso in Germania, Francia, Austria e Olanda, è orientato verso una maggiore protezione del lavoratore e della famiglia da eventuali rischi, con particolare attenzione alla relazione tra prestazione sociale e lavorativa. Il principio qui operante è quello della sussidiarietà62: si prevedono diversi servizi solo a fronte di un’incapacità della famiglia di provvedere ai bisogni dei suoi componenti. La dipendenza dal mercato risulta essere piuttosto bassa.

FRANCIA

I primi interventi di politica rivolti alla famiglia francese si registrano intorno agli anni ’70; questi avevano lo scopo di aumentare il tasso di natalità e coprire i costi che le famiglie sopportavano per i figli. I servizi di cura messi a disposizione sono utilizzati in relazione alla situazione lavorativa dei genitori e al reddito del nucleo familiare, con la tendenza a destinare principalmente i finanziamenti ai servizi formali.

Nel 2014, la Loi pour l'égalité réelle entre les femmes et les hommes63, con un testo normativo molto ampio, ha previsto oltre che la protezione delle donne da qualsiasi forma di violenza, la condivisione equilibrata del lavoro di cura all’interno della coppia. In più, è stato introdotto un congedo parentale per il primo figlio pari ad un anno (prima era di sei mesi), a condizione che esso sia fruito da entrambi genitori fino ai tre anni del bambino. Dal secondo figlio in poi, la durata massima del congedo è di trentasei mesi. Questo fa sì che il massimo previsto per ciascun genitore sia di ventiquattro mesi.

Nel caso in cui uno dei genitori usufruisca del congedo per ventiquattro mesi, i dodici restanti spetteranno al secondo genitore, ai fini del beneficio della durata massima. Il congedo non è trasferibile.

Per quanto riguarda il congedo di maternità, invece, questo è obbligatorio ed ha una durata di sedici settimane. Il congedo di paternità è di undici giorni, fruibile entro quattro mesi dalla nascita del bambino.

62 www.afi-ipl.org

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PAESI BASSI

L’evoluzione delle politiche familiari nei Paesi Bassi può essere riassunta nella seguente linea temporale:

- anni 80’ con l’introduzione del concetto di “work and care”64;

- 2001 con il Dutch Work and Care Act65 del 2011 che regola i congedi di maternità, paternità, di breve e lunga durata, il congedo parentale, i congedi per emergenza e per adozione o affidamento.

- 2005 con l’introduzione di un sistema di credito d’imposta a favore del lavoratore e l’incorporazione dei congedi di cura per lunghi periodi in quelli parentali;

- 2009 con l’introduzione di un congedo parentale raddoppiato da tredici a ventisei settimane.

Il congedo di maternità è obbligatorio ed è pari a sedici settimane, di cui dieci possono essere utilizzate dopo il parto.

Il padre lavoratore ha diritto invece a due giorni di congedo, fruibili entro quattro settimane dalla nascita.

Il congedo parentale, considerato un diritto individuale e non trasferibile, comprende 26 settimane da godere part-time nei primi otto anni di vita del bambino. Può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori. Fino al 2015, i genitori che utilizzavano il congedo parentale avevano diritto a una tassazione agevolata.

GERMANIA

Dal 2007, il sistema tedesco dei congedi sembra potersi definire gender equal66, su ispirazione svedese. Tipicamente male breadwinner, il mutamento fu avviato nel 2000 attraverso il riconoscimento del diritto a richiedere un orario ridotto al proprio datore e prevedendo poi, dal 2007, congedi parentali lunghi e ben compensati, aperti anche ai padri.

64 V. Viale –R. Zucaro, op. cit., p. 16. 65 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 15.

66 R. Trifiletti, La conciliazione vita/lavoro, un genus ambiguo delle politiche sociali, in particolare

nell’ approccio degli investimenti sociali, in Autonomie locali e servizi sociali 2017, fascicolo 2, p. 351.

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Inoltre non mancarono gli investimenti sia nella scuola per l’infanzia (l’offerta copre tendenzialmente mezza giornata), sia negli asili nido, riconoscendo anche l’uso dei mini-jobs domestici67. Fino a tre anni dalla nascita del bambino, il

diritto ad usufruire del congedo parentale è riconosciuto ad entrambi i genitori (156 settimane). In più, è possibile che questo possa essere esteso dalla contrattazione collettiva, o comunque nel settore pubblico, fino ai 12 anni e addirittura fino ai 18 dal secondo figlio in poi.

Il congedo può essere utilizzato dai genitori anche contemporaneamente: ciascuno di essi ha diritto a ricevere un’indennità pagata dallo stato federale pari al 67%. Dal 2013 si prevedono invece indennità rivolte ai genitori che scelgono di non usufruire dei servizi di cura pubblici, i cui figli sono nati dopo il 30 luglio 2012.

La durata del congedo di maternità è complessivamente di quattordici settimane e, vista l’estensione dei congedi parentali, non è previsto un congedo di paternità. Infine, è stato istituito, come in Italia, un congedo di cura nei confronti di familiari non autosufficienti, privo di compensazione68.

WELFARE MEDITERRANEO

Il welfare mediterraneo è il modello adottato dal nostro Paese e da Spagna, Grecia, Portogallo.

Questi Paesi condividono il medesimo sistema di valori, sulla base di una forte influenza religiosa radicata nel tempo69. La Chiesa, infatti, ricopre in queste aree un ruolo così importante da poter esercitare una vera e propria influenza sulle politiche sociali e familiari, incoraggiando la solidarietà familiare a discapito degli interventi pubblici.

Inoltre, questi Paesi sono stati caratterizzati da sempre dalla mancanza di una piena occupazione maschile che ha comportato flussi migratori e diffusione del lavoro nero, oltre che uno sviluppo economico tardivo e caratterizzato da

67 R. Trifiletti, op. cit., 2017, p. 351.

68 C. Saraceno, L’assistenza senza il welfare, in il Mulino luglio-agosto 2009, fascicolo 4, p.

558-559.

69 M. Naldini, Le politiche sociali e la famiglia nei Paesi mediterranei. Prospettive di analisi

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evidenti disuguaglianze territoriali70. Il lavoro di cura è qui ancora una questione prettamente femminile e parentale: l’accesso della donna al mondo del lavoro, non essendo supportato da efficienti servizi pubblici, si poggia ancora molto sulla rete familiare e sui rapporti intergenerazionali71.

Sono allora nati in questi Paesi strumenti di sostegno economico come gli assegni familiari e i premi di natalità, principalmente rivolti al sostentamento dei figli. Se in passato tali assegni sono stati utilizzati ai fini di un incremento demografico, successivamente hanno cominciato a sostenere le responsabilità di mantenimento dell’uomo verso la moglie e i figli, comprendendo in alcuni casi anche gli altri rapporti di parentela72.

Ad oggi la loro natura è per lo più assistenziale per le famiglie a basso reddito.

SPAGNA

La Spagna prevede sia il congedo di maternità che di paternità: il primo è di sedici settimane, il secondo è di quindici giorni consecutivi (cui sono aggiunti due giorni in caso di nascite multiple), entrambi con retribuzione del 100%. Inoltre, in alterativa alla madre, si riconosce ai padri la possibilità di godere di dieci settimane di congedo materno.

Il congedo parentale può invece essere utilizzato da entrambi i genitori fino ai 3 anni del bambino, per un massimo di 156 settimane, privo di una vera e propria indennità poiché è soggetto a normative che variano di regione in regione73. Fino ai 6 anni del bambino è possibile usufruire del part-time in alternativa al congedo, con una riduzione della giornata lavorativa compresa tra il 30 e il 50%.

Il quadro cambia se guardiamo ai Paesi esteuropei: memori del regime sovietico, hanno sempre visto le donne partecipare attivamente al mondo del lavoro e, allo stesso tempo, dedicarsi al lavoro di cura74.

70 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 88. 71 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 87-89. 72 M. Naldini, op. cit., 2002, p. 89. 73 V. Viale – R. Zucaro, op. cit., p. 18.

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Attualmente si fa ancora molto affidamento ai rapporti di parentela: l’offerta dei servizi pubblici è piuttosto scarsa mentre sembrano ormai essersi affermati i congedi, principalmente quelli di maternità75. L’opzione di godere di più tempo per prendersi cura dei figli è totalmente a carico dei genitori76 e, infatti, in paesi come la Repubblica Ceca, la maternità ha ancora un impatto negativo. Inoltre, alcuni Stati hanno previsto anche l’erogazione di assegni il cui ammontare può crescere o decrescere all’aumentare del numero dei figli.

Da questa comparazione, si può notare che lo strumento maggiormente utilizzato e disciplinato in tutta Europa è il congedo; quello di maternità, in particolare, offre ormai tutela a tutte le figure di donne lavoratrici.

Eventuali differenze della disciplina si rintracciano nella durata, nell’estensione al padre lavoratore e nel grado di compensazione77.

1.3 Misure family friendly.

Le misure family friendly comprendono l’insieme di interventi pubblici e privati a sostegno della famiglia. Lo sforzo congiunto di istituzioni pubbliche e sociali può infatti essere uno strumento concreto a sostegno della condivisione, garantendo una maggiore qualità dell’ambiente di lavoro e un miglior livello di benessere generale78.

Per fare questo, concretamente, non ci si può affidare semplicemente alle misure adottate dallo stato su indicazione dell’Unione Europea, ma, serve una collaborazione efficiente che coinvolga anche le imprese, assicurando un’effettiva tutela delle varie posizioni.

75 C. Saraceno, Le politiche della famiglia in Europa: tra convergenza e diversificazione, in Stato e

mercato 2009, fascicolo 1, p. 10-14.

76 M. Naldini – C. Saraceno, op. cit., p. 84-86. 77 C. Saraceno, op. cit., 2009, p. 10-14.

78 V. Pasquarella, Work – life balance: esiste un modello italiano di conciliazione condivisa dopo il

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Queste politiche sono infatti tese sia a riconoscere rilevanza positiva all’assunzione di responsabilità intergenerazionali, sia a fornire dei modelli che consentano una più equa divisione del lavoro di cura79.

Da qui la diffusione di discipline contrattuali a sostegno della conciliazione: cominciano a diffondersi clausole che tendono a proporre soluzioni innovative a favore di un orario di lavoro più flessibile, fornendo una normativa utile all’organizzazione aziendale e permettendo un ritorno semplificato alla mansione dopo il periodo di congedo.

Accanto alla contrattazione collettiva, sono anche diffuse buone prassi.

Queste, oltre a favorire l’incremento dell’occupazione femminile, si rivelano valide alleate della condivisione delle responsabilità familiari grazie all’utilizzo di alcune strategie già sperimentate con successo (anche in altri ambiti)80. Le buone prassi, a differenza del contratto, non prevedono comportamenti obbligatori ma permettono una riorganizzazione degli strumenti di conciliazione.

L’ obbligazione contrattuale può essere così superata ma, affinché questo succeda, è necessaria una manifestazione di volontà da parte dei datori.

Tuttavia, lasciare troppo spazio alle buone prassi potrebbe risultare rischioso e, cioè, si potrebbe assistere ad una progressiva deregolamentazione di istituti prima disciplinati e garantiti. In realtà, come già detto, le buone prassi si applicano a seguito di riscontro positivo e, quando questo si verifica, potrebbero esser soggette a regolamentazione.

Apportare cambiamenti di lunga durata, soprattutto nell’organizzazione aziendale, non è facile anche se, col tempo, il quadro delineato sta dimostrando che il sostegno ai dipendenti nelle pratiche di cura si rivela vincente ai fini dei risultati economici dell’impresa81.

Non si può trascurare il fatto che, nel corso della vita, l’individuo può ricoprire vari ruoli e intrecciare diverse relazioni: è opportuno sviluppare una “cultura” attenta a queste esigenze che vada oltra la semplice organizzazione del lavoro.

79 C. Saraceno, Politiche del lavoro e politiche della famiglia: un’alleanza lunga e problematica, in

Lav. e Dir. 2001, fascicolo 1, p. 51.

80 L. Calafà, Paternità e lavoro, Bologna, 2007, p. 75.

81 A. Luciano, Modelli di organizzazione del lavoro e politiche di parità, in Rassegna italiana di

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Infatti, se si guarda alle aziende, si riscontra un generale potenziamento dei servizi che però risulta ancora essere “forzato” e non radicato82.

Si può affermare che sicuramente le misure in tal senso sono indispensabili ai fini del welfare ma, nell’ottica dello stato, in tempo di crisi, potrebbero finire con l’essere addirittura percepite come obiettivi di lusso83, vendendo così

penalizzate e sacrificate.

Al tutto contribuisce anche la tendenza all’affermazione di una responsabilità sociale dell’impresa, frutto sempre di uno sforzo volitivo da parte del datore piuttosto che dall’accordo collettivo84.

Proprio l’atteggiamento restìo del datore di lavoro, unito alle restrizioni di bilancio che spesso caratterizzano l’azienda, rende la questione problematica alimentando la mancanza di un pieno consenso su un argomento che appare tutt’ora controverso85.

Sfera pubblica e sfera privata devono così contemperarsi in modo da poter comprendere efficacemente la portata dei carichi familiari e personali del soggetto86.

Se guardiamo al nostro Paese, il lavoratore oggi ha più opzioni di scelta a fronte delle proprie esigenze e, se genitore, può godere di vari strumenti come il congedo parentale, i voucher baby sitting o i servizi per l’infanzia (sia pubblici che privati).87

Generalmente sono quattro le aree di intervento delle misure family friendly88: - Orari di lavoro

- Congedi e altre forme di protezione sociale

- Servizi di cura per l’infanzia e le persone non autosufficienti

82 A. R. Tinti, Conciliazione e misure di sostegno. Sulle azioni positive di cui all’art. 9 della legge

n. 53/2000, in LD 2009, fascicolo 2 p. 186

83 A. R. Tinti, op. cit. 2009, fascicolo 2 p. 178.

84 L. Calafà, Paternità e lavoro. Normativa e buone prassi in Europa, in Progetto “More Than One

Day Daddy”, 2005.

85 C. Saraceno, Politiche del lavoro e politiche della famiglia: un’alleanza lunga e problematica, in

Lav. e Dir., 2001, fascicolo 1, p. 51-52.

86 M. Marino, La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro: una <<policy>> per le donne e per gli

uomini in una prospettiva di maggiore occupazione per tutti, in Riv. Giur. Del Mezzogiorno 2012, n. 1-2, p. 301-302.

87 V. Pasquarella, op. cit., 2017, p. 41 e ss.

88 P. Donati – R. Prandini (a cura di), Conciliazione famiglia-lavoro nelle piccole e medie imprese,

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- Altre misure adottate da istituzioni pubbliche.

GLI ORARI DI LAVORO

La regolazione degli orari di lavoro avviene quasi sempre tramite il contratto che mette a disposizione del lavoratore strumenti come il part-time, le banche delle ore, il job-sharing e il telelavoro.

PART - TIME.

Il part time nasce come uno strumento utile al lavoratore per ridurre i tempi di lavoro in alcune fasi della vita. Fin dall’inizio fu percepito come un beneficio da concedere maggiormente alle donne (a fronte della maternità ad esempio).

Affinché possa essere un veicolo di buone prassi, tuttavia, è necessario questo sia valido, disciplinato dal contratto, reversibile, svincolato dal genere ed esteso ai percorsi formativi aziendali con un’adeguata copertura previdenziale89.

Tutto questo ha un costo e, talvolta, non viene sostenuto dai sindacati che finiscono per ritenerlo una prova della disparità ancora esistente nell’ambiente di lavoro tra uomo e donna. Nonostante ciò, è abbastanza diffuso.

Solitamente vi sono due tipi di part-time:

- breve con una riduzione oltre il 50-60 % del full time - lungo con una riduzione del 10-30 %.

Nella possibilità di poter svolgere un lavoro a tempo parziale, proprio per la tipologia della prestazione, le esigenze possono far sì che il lavoratore vanti un diritto di precedenza alla trasformazione di un rapporto a tempo pieno in uno a

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