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Par.2 Il lavoro domestico maschile in Italia: quadro storico e statistico del fenomeno.

La presenza maschile all'interno del settore del lavoro domestico salariato appare oggi, nonostante le cifre in merito non siano trascurabili, come un fenomeno marginale e circoscritto all'esclusiva presenza immigrata. Effettivamente è un dato di fatto come la grande maggioranza degli addetti al settore sia rappresentata da donne, e che la restante percentuale sia composta per la quasi totalità da uomini immigrati. Il quadro attuale è ben chiaro nella percezione comune, anche perché frutto di ruoli e configurazioni sociali e di genere ormai ben consolidati. Un'analisi più accurata ci mostra però che non è sempre stato così. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, nelle società pre- industriali era forte la componente maschile all'interno del settore domestico. Questo principalmente per tre motivi: innanzitutto nella cultura comune l'impiego di un uomo in mansioni simili non era all'epoca visto allo stesso modo con cui è visto oggi. Era normale per chi proveniva da classi meno abbienti entrare alle dipendenze di un Signore e restarvi per periodi spesso consistenti. In secondo luogo, bisogna precisare come fino a poco meno di un secolo fa il settore

domestico comprendeva un insieme molto folto e variegato di mansioni, alcune delle quali viste ancora oggi come tipicamente maschili. I Signori appartenenti alle classi più agiate potevano permettersi infatti di assumere personale privato anche per quanto riguarda professioni come il giardiniere, il barbiere, l'autista (o cocchiere), il cuoco, ecc...Infine, come si è già detto, prima delle rivoluzioni industriali erano decisamente più scarse le possibilità lavorative per gli individui di sesso maschile, ai quali spesso rimanevano poche alternative all'impiego nell'area dei servizi domestici privati.

La ragione principale per cui il lavoro domestico è sempre stato percepito, e lo è tuttora, per quanto qualche barriera sia stata abbattuta, come lavoro prettamente femminile è esplicabile attraverso il ricorso alla cosiddetta teoria del "modello delle sfere separate". In accordo con questa teoria, ha un valore economico e sociale soltanto il lavoro salariato, inserito nella categoria di "lavoro produttivo", e collegato al genere maschile. Tale modello non prende in considerazione invece il "lavoro riproduttivo", dotato anch'esso di un importante valore economico e sociale, e inquadrato come tipicamente femminile. Ricadono nel lavoro riproduttivo le attività di assistenza e di cura. Si suole distinguere all'interno di queste attività tra il ruolo occupato dall'uomo, soggetto economicamente attivo e lavoratore, che svolge mansioni simili esclusivamente in ambito professionale, e quello occupato dalla donna, soggetto inattivo economicamente e non lavoratore, che le svolge anche al di fuori dell'ambito professionale147. A conferma di ciò vengono due ricerche effettuate da Rachel

Parreñas nel 2005 e Bettina Haidinge nel 2010, che hanno studiato rispettivamente il comportamento degli uomini filippini e ucraini nel momento in cui le loro mogli sono emigrate in cerca di fortuna, lasciando di fatto i lavori domestici in mano a loro. Nella maggior parte dei casi gli uomini intervistati hanno a loro volta assunto una donna per occuparsi di tali faccende, delegando così ulteriormente la pratica148.

Detto questo, possiamo ora tracciare, a partire dall'avvento del ventesimo secolo, un breve quadro storico del fenomeno, ricordando gli avvenimenti più importanti avvenuti in Italia a riguardo. Per fare ciò, è risultato indispensabile il supporto fornito dalle ricerche in merito eseguite da Raffaella Sarti come

147 Aurea Silvesri, Immigrazione e mercato del lavoro in Spagna: le straniere nel servizio domestico, tesi discussa presso l'Università di Pisa, anno accademico 2007, 2008, pp. 138-139.

sviluppo del "Servant Project", la quale, oltre ad aver analizzato i risvolti sociologici e psicologici indotti dalla presenza di lavoratori immigrati di sesso maschile nel mondo del lavoro domestico, ha concentrato la sua attenzione anche su alcuni avvenimenti storici utili a comprenderne al meglio l'evoluzione.

A inizio novecento infatti si assistette in Italia ad alcune forme di protesta da parte di cocchieri, palafrenieri e affini a difesa della loro identità maschile. La protesta si fece manifesta quando, nel 1907 a Torino, venne stampata la prima copia del giornale intitolato "Il Domestico", "Numero unico dell'Unione miglioramento domestici-cocchieri-palafrenieri e affini", come aggiunto dal sottotitolo. Il giornale diede voce alle proteste dei lavoratori domestici, che si lamentavano in particolare di una precisa imposizione cui erano sottoposti. Era infatti loro vietato di farsi crescere barba e baffi. L'intero primo numero de "Il Domestico" trattava questa faccenda. Tale impedizione, sostenevano gli addetti, minava alla base la loro mascolinità, e li umiliava e intaccava nel profondo la loro dignità di uomini adulti e lavoratori. Come scritto nel giornale:

"Essi [=i domestici, i cocchieri, i palafrenieri] avrebbero, forse, altre ragioni di malessere e di lagnanza, ma mettono innanzi una questione morale. Una questione che tocca da vicino la loro dignità di uomini e di cittadini: non vogliono più portar nel viso un marchio professionale, un avanzo di servitù, un'impronta di inferiorità" 149

La motivazione di un simile divieto va ricercata volgendo lo sguardo all'età risorgimentale, quando portare barba e baffi era visto come segno di modernità e liberalismo, se non addirittura di carbonarismo. Non sorprende dunque che nel regno dei Savoia certe etichette fossero ancora vive e influenzassero a tal punto la mentalità del padronato. Inoltre all'epoca in Italia come in Francia il vero uomo era il cittadino comune, che mai avrebbe scelto volontariamente di mettersi al servizio di un padrone. I domestici invece, de-virilizzati e privi di una loro dignità di uomini e di cittadini, non erano visti come degni di portare barba e baffi, in quanto segno distintivo dell'uomo.

Il giornale "Il Domestico" puntò dunque forte sulla protesta dei lavoratori per una questione all'apparenza secondaria, ma di fatto moralmente di primo rilievo, in quanto portatrice per loro di un vero e proprio marchio di inferiorità

149 R. Sarti, La costruzione dell'identità di genere nei lavoratori domestici, in Badanti & Co: il lavoro domestico straniero in Italia, Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 61.

sociale. Come possiamo apprendere dalle successive edizioni de "Il Domestico", prosegue Sarti, le proteste dei lavoratori torinesi non restarono inascoltate. Nel 1907 il sindaco della città piemontese permise infatti ai valletti del municipio di farsi crescere i baffi. Galvanizzati dai risultati ottenuti, i domestici locali provarono ad allargare la protesta, organizzando una raccolta di firme per inoltrare la petizione in Parlamento.

L'analisi di Raffaella Sarti passa ora a ripercorrere, con l'ausilio dei dati censitari, la storia recente dell'impiego maschile all'interno del settore domestico. Le cifre mostrano come l'andamento della presenza di individui di sesso maschile nel mondo del lavoro domestico abbia avuto a partire dal finire del diciannovesimo secolo ad oggi un andamento discontinuo e altalenante.

In base a dati censitari infatti vi è stata tra 1881 e 1901 una drastica riduzione del servizio domestico maschile, che ha visto il numero di addetti scendere dalle 200.000 alle 80.000 unità (in termini percentuali si è passati dal 32,9% al 16,8% degli addetti). Nel primo decennio del novecento si assistette a una ripresa dell'occupazione maschile, con un aumento della quota di uomini sul totale di addetti al settore del 2,4%. Il principale fattore di questa inversione è probabilmente da ricercarsi più nella crisi economica iniziata nel 1907 che nei risultati delle proteste dei domestici avvenute in quegli anni.

In ogni caso la tendenza positiva era destinata ad interrompersi presto, visto che nel quarantennio successivo si assistette a un inesorabile calo dell'occupazione maschile tra il personale domestico. Nel '51 la percentuale di uomini sul totale di addetti era scesa al 4%. Le cause di ciò sono un intreccio di fattori quali cambiamenti di mentalità, dell'organizzazione familiare e della divisione di genere del lavoro.

Il modello che andava imponendosi, denominato breadwinner, prevedeva un modello di mascolinità in forte contrasto con la possibilità di impiego nel lavoro domestico salariato. Già a partire dagli anni venti, a livello culturale come a livello legale, certi mestieri cessarono di essere catalogati tra i mestieri domestici, e acquisirono implicitamente una diversa valenza e una maggiore dignità. Tra le occupazioni così "emancipate" vi furono quelle di impiegati privati, intendenti, maggiordomi e portieri, per i quali il regime fascista si sforzò in particolar maniera.

visto nei capitoli precedenti, il boom economico e la possibilità di trovare sbocco occupazionale nel settore industriale ha costituito il principale fattore della crisi del settore in questo periodo. Durante il trentennio considerato la presenza maschile rimase debole e costante. L'inversione di tendenza giunse negli anni '80, con l'arrivo in Italia dei primi consistenti flussi migratori, e con la crescita sempre più marcata della domanda di lavoro proveniente dalle famiglie italiane.

I dati in nostro possesso possono essere indicativi, anche se non del tutto esaustivi, poiché non tengono conto degli ampi strati di lavoro sommerso, e prendono in considerazione invece molti immigrati che hanno approfittato delle prime regolarizzazioni per poter ricadere nella sanatoria come lavoratore domestico, senza in realtà svolgere tale attività, o avendola svolta soltanto per un periodo di tempo funzionale allo scopo. In ogni caso i dati Inps registrano un aumento degli uomini tra i domestici avvenuto tra il 1985 e il 1996 che ha fatto balzare la percentuale di addetti sul totale da 2,8% al 17,3%., fino ad arrivare in seguito a picchi di quote superiori al 30%. Come detto in precedenza, è bene ricordare l'influenza che ha avuto su queste cifre la sanatoria del '96150.

A partire da quella data, la percentuale di uomini impiegati nel settore domestico ha iniziato nuovamente a calare, anche se i numeri in termini assoluti di occupati sono restati considerevoli. Se le cifre in merito fornite dalle regolarizzazioni collegate alle sanatorie possono a volte essere ingannevoli, a conferma della costante quantità di uomini impiegati nel settore vengono i dati relativi ad alcune iniziative regionali e comunali in merito alla formazione dei lavoratori domestici e al sostegno alle famiglie. Ad esempio, un dato interessante è scaturito dai corsi per assistenti privati organizzati dalla regione Veneto, nei quali è emerso come molte richieste di iscrizione, circa la metà, siano arrivate da italiani, tra i quali è presente una quota piuttosto considerevole di uomini. Tra gli stranieri iscritti ai corsi la quota di domestici maschi è stata leggermente meno rilevante (circa uno su otto), ma comunque numericamente non trascurabile, a controprova del fatto che tutt'oggi il mercato del settore non sia affatto un mercato caratterizzato dalla esclusiva presenza femminile.

C'è da dire che la scelta di adottare una strategia di ingresso nel mercato del lavoro che parta o passi dal settore domestico, in particolare durante la prima metà degli anni ottanta, ovvero un periodo nel quale le porte del settore

sembravano ormai chiuse per gli impiegati maschi, è stata una scelta coraggiosa e in controtendenza da parte degli immigrati di sesso maschile, per quanto in alcuni casi quasi obbligata. Probabilmente in parte è su di essa ha influito la convinzione secondo cui per gli uomini resti più semplice uscire dal settore e trovare un posto in altre aree occupazionali

Nella figura sottostante (Fig. 6) è possibile osservare l'andamento negli anni della quota di uomini sul totale dei lavoratori domestici dal 1861 al 1981, ovvero alle soglie dell'avvento della popolazione immigrata e del loro ingresso in massa nel settore. I dati sono stati presi dalle indagini censitarie dell'epoca.

Fig. 6 Percentuale di uomini sul totale dei lavoratori domestici.

Fonte: Elaborazioni sui censimenti della popolazione.

Andando a sezionare i dati illustrati nel grafico, è possibile osservare come, all'interno dell'insieme dei lavoratori domestici italiani, maschi e femmine, la quota di uomini abbia oscillato negli ultimi anni tra il 2,4% e il 3,8%. Ciò dimostra come, per quanto le donne siano in larghissima maggioranza, anche limitandoci alla presenza degli autoctoni, il settore domestico non è ancora prerogativa esclusiva femminile. La stessa statistica per quanto concerne esclusivamente i lavoratori domestici stranieri mostra come la quota di uomini sul totale tra 1991 e 2001 non sia mai scesa sotto il 20%.

Per quanto riguarda la composizione etnica dei flussi entrati nel settore domestico, è evidente come nel corso degli anni la principale componente del

1861 1881 1901 1911 1931 1941 1951 1981 0 5 10 15 20 25 30 35 40

lavoro domestico salariato maschile sia stata rappresentata da cittadini di origine asiatica. Questo dato avalla in parte l'ipotesi della predisposizione culturale, e in parte l'ipotesi sulla strutturalità dei flussi, visto che nella maggior parte dei casi gli immigrati provenienti dai Paesi asiatici entrano nel nostro mercato del lavoro consapevoli fin da subito di poter trovare un'occupazione nell'area dei servizi domestici privati. In parziale controtendenza rispetto a ciò sono alcuni dati emersi negli ultimi anni, che mostrano come sia calata la percentuale di immigrati di origine asiatica e sia aumentata quella di uomini provenienti da altri Paesi. Nonostante ciò, come si può notare dalla tabella sottostante, restano Paesi come le Filippine, il Bangladesh e lo Sri Lanka a fornire le più ampie quote di uomini impiegati nel lavoro domestico.

Tab.7 Percentuale di uomini tra i lavoratori domestici di diversa origine

impiegati regolarmente in Italia nel 1991, 1998 e 2005151

Area 1991 1998 2005

America del Nord 8 10.5 19.8

America Centrale 7.6 7.6 5.6

America del Sud 8.7 13.8 9.6

Europa Occidentale 16 10.7 13.4

Europa dell'Est 14.9 17 5

Africa del Nord 13.4 17.1 17.2

Africa Centrale e

Sud Africa 19.2 12.4 16.6

Medio Oriente 30.2 29.6 14.8

Filippine 25.5 27.1 25.2

Asia: altre arre 62.6 54.8 50.6

Oceania 0 15.8 14.3

Totale 24.8 23.3 12.6

L'analisi statistica di Raffaella Sarti si conclude con i dati di un'indagine svolta nell'ambito si un progetto Prin, che da un campione di 682 immigrati impiegati nel lavoro domestico, ha coinvolto tra gli altri 84 lavoratori di sesso maschile (il 12,3% del totale). Tra gli intervistati maschi, è emerso come la maggioranza di essi svolga il mestiere di colf (comprendente anche i ruoli di

aiuto-cuoco, commesso, barista e uomo delle pulizie in un locale), mentre al secondo posto in questa graduatoria si classifica l'occupazione da badante. Tra gli altri impieghi troviamo quello di domestico, giardiniere e cuoco152.