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Par 4 Nazionalità, classe e genere: la triplice discriminazione che colpisce i lavoratori domestici.

Il lavoro domestico può essere definito come "l'insieme dei compiti che i membri di una famiglia svolgono, tanto internamente quanto esternamente, per

soddisfare le proprie necessità"89. Per membri della famiglia si intendono le

persone che convivono sotto uno stesso tetto. Quando si parla di servizio domestico, si fornisce alla definizione di lavoro domestico un connotato mercantile e professionale. Il compito viene svolto sulla base di una relazione lavorativa e quindi remunerata. La logica servile alle base di questa relazione è presente già in maniera più marcata e in forme maggiormente umilianti per i lavoratori dai tempi della società pre-capitalista, ma è sopravvissuta fino ad oggi, anche se mutando aspetti e forme. Oggi possiamo notare come il lavoro domestico salariato abbia assunto per certi versi i caratteri del lavoro capitalistico, impregnato di taylorismo. Chi pulisce la propria casa infatti può organizzare il lavoro a seconda della sua volontà, scegliendo da dove iniziare, quali strumenti utilizzare, ecc...se ad esempio una persona fosse acciaccata, potrebbe organizzare il da farsi in maniera tale da evitare o ridurre al minimo lavori che comporterebbero l'assunzione di posture scomode. Nel lavoro dipendente non è così. Come testimoniato da Barbara Ehrenreich e Arlie Russell Hochschild, secondo quanto insegnato nel corso organizzato dalla "The Maids International", impresa operante su scala internazionale nel settore della cura della casa, le pulizie si dividono in quattro meccaniche fasi: spolverare, passare l'aspirapolvere, cucine e bagni. A partire da questo, il lavoro si ripete monotonamente, proprio come se fosse un lavoro in fabbrica da scala di produzione90.

Quando si analizza il mondo del lavoro domestico salariato, è necessario porre l'accento in primo luogo sui progetti e le strategie di adattamento che i neo- arrivati pongono in essere, e sul modo in cui la società di accoglienza reagisce al loro ingresso nel territorio e nel mercato del lavoro, sia da un punto di vista sociologico, sia da un punto di vista prettamente giuridico. Dopo aver descritto ciò, è utile completare l'analisi mettendo luce sugli aspetti più oscuri e complessi della questione, descrivendo le contraddizioni e le ingiustizie ad essa legate. Per fare questo è stato adottato un approccio all'argomento che ha messo per un attimo da parte la descrizione documentaristica, comprendente anche gli aspetti positivi ad esso collegato (lo spirito di iniziativa e di adattamento degli immigrati, le opportunità lavorative da esso concesse, l'integrazione con le famiglie italiane,

89 Colectivo Iosè, Mujer inmigradas y trabajo, in Mujer y migraciòn, in M.Q. Roque, (a cura di) El Mediterraneo occidental: tradiciones culturales y ciudadania, Barcelona, 2000.

ecc...) e si è posta l'attenzione su come e in quali occasioni i lavoratori domestici vengono tutt'oggi discriminati. Il dibattito sul rapporto tra etica e mercato è da sempre motivo di disaccordo tra gli studiosi. Per fornire al lettore un quadro più completo del mondo del lavoro domestico salariato immigrato, è stato adottato l'approccio caratteristico di quelle teorie che, discutendo di un particolare settore del mercato del lavoro, pongono in evidenza gli aspetti etici ad esso correlati, e cercano di distinguere tra ciò che è moralmente giusto e ciò che è sbagliato

Veniamo dunque a definire quella che gli studiosi hanno identificato come la triplice discriminazione che colpisce i lavoratori domestici, la quale agisce in virtù del Paese da cui provengono, della classe sociale cui appartengono, e del loro genere.

La prima delle tre discriminazioni individuate porta dietro di sé secoli di discussioni e di conflitti, e non può non collegarsi direttamente a dibattiti terzomondisti e anti-imperialisti che all'apparenza poco dovrebbero avere a che fare con quello che è uno dei mestieri più diffusi nell'odierna civiltà occidentale (e non solo).

E' evidente d'altra parte come gli immigrati che trovano occupazione in questo settore, e in genere quelli che vengono impiegati nella nostra società per svolgere i lavori più umili, provengano in gran parte dei casi da Paesi poveri, facenti parte dell'area del Terzo Mondo. In molte occasioni, come abbiamo visto nel primo capitolo, sono i Paesi di provenienza stessi ad incentivare la fuga all'estero, in modo da contrastare i problemi occupazionali e di godere delle laute rimesse reinviate in patria.

Nel particolare, all'interno del rapporto interpersonale, le principali manifestazioni in cui si traduce questa discriminazione sono composte dalle varie forme di razzismo, più o meno esplicite e più o meno marcate, che possono andare da insulti o supposizioni di superiorità da parte del datore di lavoro o dell'assistito a fastidiose storpiature del nome. Inoltre la provenienza da un'area geografica piuttosto che un'altra, assieme al credo religioso e ad altre discriminanti razziali possono determinare l'assunzione di un lavoratore piuttosto che di un altro.

Più in generale, il problema si intreccia con le altre due discriminazioni citate. La mancata divisione di genere del lavoro domestico, infatti, porta al

crearsi di vere e proprie catene di lavoratori salariati, che possono accentuare le difficoltà emotive dei suoi protagonisti e le disparità sociali. Per spiegarci meglio, possiamo ricorrere ad un esempio pratico, relativo ad un caso estremo, ma non per questo raro, di catena del lavoro domestico salariato. La famiglia che non ha tempo e modo di prendersi cura, in orario continuato o anche solo per alcune ore della giornata, del proprio figlio o del genitore anziano e non più autosufficiente, delega tale mansione al lavoratore o alla lavoratrice immigrata. Quest'ultimo trasferisce in questo modo le proprie attenzioni e il proprio affetto verso una persona a lui sconosciuta in cambio di una retribuzione, negando così la propria presenza ai cari, spesso rimasti in patria. Già qui possiamo notare la prima disparità sociale, in quanto l'immigrato lascia il suo Paese e i suoi affetti per accontentarsi di svolgere un mestiere spesso pesante dal punto di vista fisico e da quello psicologico, caratterizzato da rapporti a volte di rapporti di subordinazione e in cambio di una retribuzione modesta. La catena di diseguaglianze sociali va ancora avanti, perché non è raro che i lavoratori domestici impiegati in Italia provengano da famiglie della classe medio-alta nel proprio Paese. A loro volta dunque, tali famiglie, private della presenza di uno o più membri, spesso ricorrono anch'esse a personale domestico, reclutato dai ceti inferiori o da altri Paesi. L'immagine con cui è stato descritto il processo illustrato è quella di una catena, ma probabilmente l'allegoria più calzante per rappresentare al meglio le disparità sociali che esso comporta è quella della matrioska. Man mano che ci si addentra in questa serie di deleghe, tutte collegate tra loro, ci si trova di fronte a una miseria sempre maggiore e a disparità collegate a classe, genere e nazionalità sempre più grandi.

La riduzione dei carichi di lavoro casalinghi per le donne maggiormente privilegiate e la sempre più complessa diversificazione sociale e razziale del lavoro domestico sono causate in gran parte dai processi di globalizzazione. L'afflusso di donne, ma anche uomini dal Terzo Mondo verso l'Occidente con l'obiettivo di impiegarsi nel settore del lavoro domestico retribuito è storicamente e strutturalmente da collegare allo sviluppo ineguale dell'economia globale, al retaggio del colonialismo e al crescente indebitamento dei paesi del Terzo Mondo.

In questo modo i Paesi più avanzati, dopo aver attinto da quelli più poveri enormi ricchezze e risorse naturali, vanno a prendere da loro anche le risorse affettive.

Ciò è detto "imperialismo emotivo". Un esempio pratico è fornito dagli studi sul caso delle Filippine, in cui si stima che il 30% dei bambini filippini, circa 8 milioni, vivano in famiglie nelle quali almeno un genitore sia emigrato all'estero91.

Per chiudere l'argomento, possiamo utilizzare una descrizione fornita da Arlie Hochschild, che definisce la catena globale della cura come “una serie di legami

personali, tra persone attraverso il mondo basati sul lavoro di cura pagato e non pagato” , in cui “ si esprime una invisibile ecologia umana della cura, con una lavoratrice della cura che dipende da un’altra e così via. La catena della cura può partire da un Paese povero e finire in un Paese ricco e può collegare le aree rurali e urbane all’interno dello stesso Paese povero”92.

Focalizzandoci ora soltanto sulle disparità di classe, è importante precisare che il settore del lavoro domestico salariato a oggi è caratterizzato da rapporti sociali profondamente mutati dal passato. Un tempo infatti il personale domestico era prerogativa esclusiva dei signori, ovvero di coloro che appartenevano alle classi più agiate. Come affermato in precedenza, vi è stato successivamente un lungo periodo di tempo in cui il servizio domestico sembrava in via di estinzione, e tra i principali motivi del suo declino veniva citata spesso una causa di natura politico-sociale, per cui il settore in questione veniva indicato come fonte di rapporti di lavoro schiavistici e ormai obsoleti. Sembrava che l'istituto del domestico sarebbe stato ormai soltanto un vezzo per qualche signore, ma che ormai la maggioranza dei cittadini avesse preso coscienza delle disparità sociali che esso conteneva in sé. Nel 1973, a riprova di ciò, come affermava Coser "il

ruolo del servo era ormai divenuta cosa obsoleta, estinto dall'inesorabile avanzare della modernità, grazie alla quale si era verificato il passaggio dalla centralità dei ruoli ascritti a quella dei ruoli acquisiti nella definizione delle relazioni sociali"93.

Negli ultimi 20 anni invece abbiamo potuto notare come col tempo abbiano iniziato a ricorrere a lavoratori domestici anche famiglie con reddito più basso. Si è così assottigliata la distanza di reddito tra lavoratore e datore di

91 B. Erenreich, A. Hochscield, op.cit., pp. 28.

92 A. Hochschild, The Nanny Chain, in The American Prospect, vol, 11 n.4, January 3, 2000. traduzione Jessica Ferrero

93 A. Colombo, Il mito del lavoro domestico: struttura e cambiamenti in Italia (1970-2003), Polis, 2005, pp .436.

lavoro. Con essa si è ridotta in particolare anche la distanza in termini di scolarizzazione e qualifica professionale, in quanto può capitare che il datore di lavoro non possieda un titolo di studio, mentre il lavoratore domestico si sia laureato nel proprio paese. Come emerge dal rapporto IRES-FILCAM del 2009, e come possiamo osservare nel grafico sottostante (Fig.4), la maggior parte dei lavoratori possiede un titolo di studio elevato, il 48,3% infatti ha un diploma di scuola media superiore, il 30,8% ha concluso la scuola dell’obbligo mentre il 15% ha conseguito il diploma di laurea. Solo il 6% non possiede nessun titolo di studio94.

Fig. 4. Distribuzione dei lavoratori domestici in Italia in base al titolo di studio

posseduto.

Una delle motivazioni della mancata corrispondenza tra formazione personale e lavoro svolto sta nella complessità dei procedimenti con cui in Italia si riconoscono i titoli di studio esteri. I cambiamenti citati non valgono però per tutte le categorie di lavoro domestico. Più precisamente, sono più evidenti e 94 Rapporto Ires-Filcams,op.cit., pp. 37. 48.4 30.8 15 6 Diploma scuola media superiore scuola dell'obbligo diploma di laurea nessun titolo di studio

hanno inciso maggiormente per alcune categorie, come quelle degli assistenti ad anziani e disabili piuttosto che altre, come colf e babysitter..

A rendere più sottile la distanza sociale tra gli attori in causa, oltre al grado di istruzione, vi è il fatto che la pratica di assumere personale domestico privato sia diventata piuttosto diffusa anche tra le famiglie provenienti da ceti sociali medio-bassi. In questo tipo di rapporti, la dialettica servo-padrone tutt'oggi non è completamente scomparsa, ma continua a permeare certe abitudini e certi schemi relazionali. Come sottolinea Campani, nei Paesi sud europei, dove la moda di assumere un dipendente domestico è relativamente recente, essa rappresenta per molte famiglie anche un mezzo per ostentare prestigio. E' interessante notare come anche in epoca medievale poteva accadere che l'estrazione sociale dei datori di lavoro fosse la stessa che i loro addetti ai servizi domestici occupavano in patria. Questa tendenza si è persa soltanto nell'ottocento, e prende oggi il nome di "degrado" o "proletarizzazione" del servizio domestico95.

Un grande cambiamento nel settore è avvenuto con l'industrializzazione. Da un lato infatti molti vecchi addetti hanno colto le nuove opportunità che venivano loro fornite e sono passati al lavoro operaio in fabbrica, da un lato questo processo ha portato all'emergere di una classe media, e di conseguenza al fatto che essi, pur avendo meno tempo per le faccende domestiche, godessero anche di maggiori disponibilità economiche per assumere qualcuno che se ne occupasse al posto loro, cosa che in precedenza potevano permettersi soltanto gli appartenenti alle classi più agiate. Gli impiegati del settore per la maggior parte non erano ancora stranieri, ma erano generalmente giovani ragazze provenienti da zone rurali limitrofe. Al tempo i rapporti di lavoro venivano negoziati direttamente dalle parti. Non vi era dunque una vera distinzione tra un rapporto legale e uno illegale. Le relazioni che venivano messe in scena prevedevano una dialettica simile a quella del servo-padrone, con il dipendente in posizione di subordinazione. Anche se, come già affermato in precedenza, le cifre dell'impiego restavano contenute, questo mutamento avrebbe avuto una grande influenza rispetto alla rivoluzione che ha stravolto il settore in epoca recente.

Il grande cambiamento che sarebbe avvenuto in seguito, e che avrebbe spianato la strada al formarsi di un mercato del servizio domestico privato così come lo

95 R. Sarti, F. Scrinzi, Introduction to the Special Issue: Men in a Woman's Job, Male Domestic Workers, International Migration and the Globalization of Care, in Men and masculinities,

conosciamo oggi sarebbe stato l'ingresso in massa delle donne delle civiltà occidentali nell'area professionale. Tale fenomeno ha iniziato a manifestarsi proprio nel periodo di cosiddetta “crisi della domesticità”, e ha fortemente contribuito ad alimentare la domanda di forza lavoro da parte delle famiglie italiane.

Alla luce dei processi demografici e sociali che si sono sviluppati, la situazione, a oggi, è diametralmente diversa rispetto ad un secolo fa: coloro che lamentavano o analizzavano la cosiddetta ''crisi della domesticità'' che caratterizzava gli anni successivi al secondo dopoguerra sottolineavano, infatti, la crescente difficoltà di trovare persone interessate o almeno disponibili a lavorare come domestiche, riconducendola ad una pluralità di fattori tra i quali di solito annoveravano il diffondersi e il promulgarsi dell’istruzione obbligatoria, l’aumento dell’alfabetizzazione, la crescente stigmatizzazione della condizione servile, la presa delle idee socialiste, il miglioramento delle condizioni di vita delle classi inferiori e l'emergere del lavoro in fabbrica, che per le migliori condizioni che garantiva, attirava la maggior parte delle energie proletarie. In conclusione, poiché, come si è visto, chi emigra spesso non appartiene ai gruppi più umili della piramide sociale nel Paese di origine, è necessario ribadire, collegandosi nuovamente al discorso fatto in precedenza, che la gerarchia tra società ricche e società povere per molti versi oltrepassa le stratificazioni sociali interne a ciascuna di esse, al punto che una manager asiatica o una donna medico est europea possono trovare vantaggioso, nonostante tutto, lavorare come colf o badanti in Italia. D'altra parte il fatto che i migranti debbano fronteggiare nei loro Paesi alti tassi di disoccupazione e difficili situazioni economiche, politiche e/o umanitarie fa sì che accettino qualsiasi tipo di lavoro venga loro proposto, anche quelli di minor prestigio e a stipendio più basso.

Anche dal punto di vista contrattuale spesso le differenze sociali tra le parti in causa e l'eventuale status di irregolarità del migrante possono portare a trattamenti inequi da parte del datore di lavoro. L'immigrato si trova infatti in una posizione debole al momento della ricerca di un accordo, e non di rado il datore di lavoro ne approfitta per evitare di stipulare un contratto, o in alternativa per stipularlo a condizioni per lui vantaggiose.

La terza discriminazione caratterizzante il mondo del lavoro domestico salariato è quella riguardante il genere degli addetti. Sebbene la maggior parte

delle ricerche si siano concentrate sulle discriminazioni riguardanti le donne, che si riflettono nelle rivendicazioni da decenni perpetuate, ma ancora troppo spesso inascoltate, dall'universo femminista, peculiari sono anche le difficoltà alle quali vanno incontro i lavoratori domestici uomini. Il tema sarà più attentamente analizzato nel corso del successivo capitolo, ci basti ora dire che le difficoltà principali che i domestici uomini debbono affrontare sono legate alla loro identità di genere, minata dallo svolgimento quotidiano di mansioni considerate tipiche dell'altro sesso, e alle possibili discriminazioni, soprattutto al di fuori del mondo lavorativo. Nella società odierna una percezione, un pensiero comune possono contenere dentro di sé una forza straordinaria. In questo caso, il fatto che l'uomo sia comunemente inquadrato in un certo modello, fa sì che chi si discosti da tale schema, in questo caso l'immigrato che svolge il lavoro di cura, rischia di essere da molti visto come una devianza, un'anormalità. E' per questo che, come vedremo nel capitolo successivo, molti immigrati lavoratori domestici adottano delle specifiche strategie per preservare la loro identità maschile, sia per giustificare il proprio mestiere a se stessi, sia, soprattutto, per giustificarlo all'esterno.

La discriminazione femminile agisce invece in maniera differente, e si manifesta già dal fatto che un'altissima percentuale di donne immigrate (quasi la metà) sia segregata fin da subito nel settore domestico. Anche in seguito le possibilità di uscita dal settore sono esigue, a differenza di ciò che accade con gli uomini.

Inoltre, come scrive Campani “Le migrazioni internazionali hanno prodotto

situazioni inedite di confronto tra le donne dei Paesi ricchi e quelle dei Paesi d’emigrazione intorno al lavoro di cura. Il ritorno del servizio domestico nelle famiglie (occupazione esercitata principalmente da donne) ha fatto volare in frantumi la speranza di una divisione del lavoro più equa tra uomini e donne all’interno delle famiglie”96.

In particolare come posto da Ehrenreich e Hochschild, “l’emancipazione delle

donne occidentali sta avvenendo a discapito di quelle del Sud del mondo? Dal punto di vista delle lavoratrici migranti questo comporta infatti la negazione di una reale cittadinanza in quanto spesso impedisce di procedere con la domanda

96 E. Bellè, B. Poggio, G. Selmi, Attraverso i confini del genere.(secondo convegno nazionale del Centro di Studi Interdisciplinari di Genere), Università degli studi di Trento, 2012, pp. 110.

di ricongiungimento familiare o nega di fatto la possibilità di essere madri97".

Il processo in cui il lavoro domestico normalmente non salariato e svolto dalla donna di casa, a causa dell'assenza di quest'ultima, passata a svolgere un lavoro retribuito in altri settori produttivi, viene trasferito verso personale addetto, sotto forma di un vero e proprio mestiere salariato, è definito con il termine anglosassone "commodification of care". In questo senso è risultato particolarmente attuale e azzeccato lo slogan utilizzato nell'ambito della campagna OIL 2008/2009, in occasione dei dieci anni del "Gender Equality Action Plan", che recitava "The way to care is to share"

In aiuto delle donne migranti giungono spesso le associazioni, come

Almaterra di Torino, Nostras di Firenze, Le Mafalde di Prato e Trama di terre di

Imola, che, oltre ad organizzare corsi utili per apprendere meglio il mestiere, si adoperano per emancipare le donne del settore e per trovare loro opportunità occupazionali anche in altre aree lavorative, svolgendo inoltre attività di sostegno e formazione per le migranti che cercano impiego in attività di alta e media qualifica. In particolare tali associazioni hanno realizzato dei percorsi formativi che hanno favorito l’inserimento di donne immigrate in banche e imprese. L’associazione ha inoltre fornito un supporto a quelle donne che desideravano aprire una propria attività commerciale.

Ma l'ambito di intervento di simili associazione non si può limitare all'aspetto lavorativo. Non è questo il contesto ideale per addentrarsi in considerazioni in merito alla visione e al ruolo della donna nelle varie culture del mondo. E' sufficiente affermare che, come ogni altro ambito sociale, anche la