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Il titolo di questa sezione si presta a introdurre la questione della plausibilità di ag- ganciare l'attributo “tecnico” ai fenomeni di malfunzionamento che sono stati oggetto

di trattazione nei resoconti dei soggetti interpellati. Riteniamo che nel corso di questo capitolo sia emerso a più riprese un elemento che costituisce la pietra angolare del nostro tentativo di corroborare la tesi della reciproca ibridazione di tecnologia e so- cietà, di umani e non umani. Qualcuno potrebbe asserire che si tratta di una tesi scon- tata e in qualche modo teleologica nella misura in cui si consideri la tecnologia come un prodotto dell'uomo almeno quanto lo è ciò che chiamiamo “sociale”. A un appun- to di questo genere si potrebbe rispondere con un cenno di sostanziale accordo, se non fosse per il fatto che il tema non sarebbe affatto risolto dal momento che la conti- nua (ri)produzione di riflessioni, rappresentazioni e pratiche imperniate sulla conce- zione dualista del rapporto tra tecnologia e società significa chiaramente che forse in tale rapporto vi è qualcosa di diversamente dato per scontato. Anche questa prospetti- va tende tuttavia a semplificare eccessivamente la questione e a ridurla ai suoi mini- mi termini. In realtà il contenuto di questo capitolo ci sembra aver messo in luce come il carattere integrale del sistema sociotecnico, emerso con il guasto, si palesi su diversi piani.

Un primo piano è quello riferibile alle unità discorsive. Tutte le interviste sono ca- ratterizzate da una compresenza inestricabile di discorsi sugli artefatti tecnici (e su quelli computerizzati in particolare) e di discorsi riguardanti l'umano. Il guasto è un pre-testo nel vero senso del termine, in quanto non rende possibile parlare della rottu- ra di un dispositivo senza affrontare il tema degli stati d'animo degli attori coinvolti, delle prassi innescate dal fenomeno di avarìa, dei significati attribuiti all'evento, delle loro relazioni, dei vincoli di bilancio imposti da Regione e Stato, delle reazioni dei pazienti, delle strategie di management, dell'etica del lavoro e via dicendo. Nello stesso tempo, tuttavia, si registra anche l'impossibilità inversa: nessun intervistato riesce a sganciare qualsiasi riflessione sulla propria attività quotidiana da un costante, ma altrettanto variopinto, riferimento ad aspetti tipicamente tecnici o a specifici arte- fatti. L'unica persona intervistata che ha dichiarato apertamente di non essere partico- larmente scaltra con il PC e di avere con esso un rapporto di tipo esclusivamente uti- litaristico ha in compenso utilizzato ripetutamente il termine “interfacciarsi”, che di solito caratterizza le descrizioni dell'interazione uomo-macchina, per rappresentare il proprio quotidiano rapporto con i colleghi umani. E comunque, in generale, ogni di-

scorso sugli umani e sulla loro attività quotidiana viene sempre completato dall'intro- missione di non-umani e viceversa.

Un secondo piano su cui è possibile rinvenire quanto tecnologia e società costitui- scano un tutt'uno è invece ascrivibile all'ambito che potremmo chiamare della “logica del discorso”, cioè al senso del collegamento tra le unità discorsive emerse dai reso- conti. Per essere più precisi intendo riferirmi al carattere altalenante delle interpreta- zioni che emergono in sede d'intervista: si parla ora di umani, ora di non-umani, ma quando se ne parla si è ben disponibili a considerare come predominante ora l'in- fluenza dei primi e ora quella dei secondi. Ecco per esempio salire in cattedra la spie- gazione tecnica, con l'hardware o il software messi sul banco degli imputati per il malfunzionamento, spiegazione subito dopo scalzata da una chiarimento in cui la causa dei malfunzionamenti è prontamente ricondotta a scelte politiche o a fattori or- ganizzativi. Quindi ecco di nuovo fare capolino la tesi della motivazione squisita- mente tecnica, che richiama l'attenzione sul funzionamento della rete informatica o sulla scarsa capacità dei diversi applicativi di cooperare tra loro. Ma non c'è tempo di riorganizzare le idee che anche queste giustificazioni sono messe da parte per attri- buire ogni responsabilità dell'accaduto alla scarsa intraprendenza di alcuni operatori o alla loro scarsa dimestichezza con gli apparati informatici, limitazione che tira in ballo la più generale questione del digital divide su base generazionale. Avanti di questo passo vi è addirittura chi descrive diversi aspetti dell'avarìa, testimoniandone l'effettiva insorgenza, per poi chiarire che sì, il guasto c'è stato ma in realtà si tratte- rebbe più che altro di un “caso montato”, vale a dire del frutto di una costruzione so- ciale in cui giocherebbero un ruolo determinante il provincialismo di Ferrara, contra- sti personali o di matrice politico-sindacale, la ricerca di scoop da parte delle testate giornalistiche locali. Come dire: il guasto c'è stato, ma non c'è stato. Questo anda- mento schizoide rinvenibile nelle interviste sembra rispecchiare assai bene diversi tratti del rapporto tra scienza e natura messi in luce da Latour (1991) nella sua artico- lata riflessione sulla modernità. L'Autore francese mette infatti in risalto come uno degli aspetti maggiormente caratteristici della nostra epoca sia costituito dalla costan- te tendenza a cercare una collocazione precisa per ogni fatto, riconducendolo in defi- nitiva a una o all'altra di due sfere a cui si pretende di riconoscere uno statuto di esi- stenza autonomo: da una parte la sfera scientifica, dall'altra quella culturale. Se per

lungo tempo la modernità ha potuto contare proprio sulla presenza di questi due com- partimenti stagni per riprodursi, uno dei suoi effetti principali è stato quello di favori- re la proliferazione di entità dal carattere intrinsecamente ambivalente, quando non addirittura ambiguo, e difficilmente incasellabili nell'una o nell'altra stanza.

Questo aspetto appare forse con più evidenza quando si analizzi una discussione su artefatti particolari: nel dibattito sui preparati anticoncezionali al mifrepistone, meglio noto come pillola RU-486, chi non ricorda la costante contrapposizione tra le argomentazioni scientifiche e quelle etiche, politiche e culturali, come se si trattasse di parlare di cose diverse e separate? Tuttavia non occorre riferirsi soltanto a esempi così eclatanti: si tratta di un fenomeno che prende forma anche nel nostro caso circo- scritto ai dispositivi in funzione (o non in funzione) presso l'Ospedale. Così, accanto alla preventiva dichiarazione che molti intervistati fanno circa l'impossibilità di stabi- lire le reali cause tecniche del guasto, per il fatto di non possedere le competenze ne- cessarie per svolgere una corretta analisi dell'avvenimento, ecco palesarsi una pro- pensione altrettanto costante a riproporre considerazioni di ordine non tecnico per spiegare l'accaduto. In questo mix inestricabile di considerazioni tecniche e conside- razioni psicologiche, sociali, politiche, economiche e culturali, il guasto stesso perde il suo diritto a essere connotato come “tecnico” per diventare tutt'al più un guasto an­

che tecnico. Il malfunzionamento quindi da tutta l'impressione di non essere mai esi-

stito in termini esclusivi di tipo tecnico ma piuttosto come fenomeno complessivo e integrale: anche il guasto, in definitiva, è un ibrido a tutti gli effetti, come l'organiz- zazione del Sant'Anna e i suoi addetti.

Capitolo 7

Pensare tecnologia e società come un insieme: il

terreno esemplare del processo di innovazione

7.1 Il tema del malfunzionamento come occasione per