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Le conseguenze derivanti dalla mancata comparizione delle parti

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 145-149)

3. Natura camerale e specialità del procedimento

4.3. Le conseguenze derivanti dalla mancata comparizione delle parti

Il nuovo comma 10 dell’art. 207 CCII testualmente dispone che “Se nessuna delle parti costituite compare alla prima udienza, il giudice provvede ai sensi dell’art. 309 del codice di procedura civile. Provvede allo stesso modo anche se non compare il ricorrente costituito.”

La ratio sottesa a tale intervento normativo va rinvenuta nell’ottica acceleratoria che ha ispirato il legislatore della riforma, come risulta dalla legge delega emanata il 19 ottobre 2017, n. 155: infatti, il giudice, qualora nessuna delle parti costituite compaia alla prima udienza, provvede ai sensi dell’art. 309 c.p.c. a fissare una nuova udienza nella quale, se parimenti nessuno vi compaia, dichiara l’estinzione del procedimento. Allo stesso modo, qualora non compaia il solo ricorrente e il resistente non chieda che si proceda in sua assenza, il giudice provvede a fissare una nuova udienza e, qualora il ricorrente non vi compaia, provvede a cancellare la causa dal ruolo.

La novella presenta indubbi pregi, ma non è esente da criticità. Quanto ai primi, occorre rilevare come il legislatore abbia, a contrario, confermato la specialità dell’opposizione al passivo. Infatti, prevedere espressamente l’applicazione di una norma del rito ordinario di cognizione testimonia di come l’interprete non possa colmare le lacune normative attraverso il rinvio al codice di rito, potendo procedere in tal modo solo in presenza di un esplicito richiamo. In altri termini, dall’art. 207 CCII emerge che le norme del rito ordinario che risultano applicabili all’opposizione sono solo ed esclusivamente quelle contemplate dal CCII, essendo stato dalla giurisprudenza definito speciale il procedimento di opposizione stesso,378 proprio a voler escludere, quale regola ermeneutica generale, l’applicazione ad esso delle norme disciplinanti il rito di cui agli artt. 163 ss c.p.c.

378 Cass. n. 12116/2016, cit.; Cass., n. 25674/2015, cit.; Cass., n. 7967/2008, cit.; Cass. S.U.., n. 23077/2004, cit. Vd. supra cap. 3 per maggiori approfondimenti.

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In secondo luogo, è stata espressamente prevista l’applicabilità dell’art. 309 c.p.c. anche per il caso della mancata comparizione del solo opponente, così risolvendo un contrasto giurisprudenziale che rendeva incerta la disciplina applicabile.379

Ex adverso, è possibile compiere alcune valutazioni critiche. Se legislatore

della riforma si è mosso nel chiaro intento di incrementare i profili di celerità del procedimento, non è ben chiaro il motivo per il quale abbia espressamente fatto riferimento all’art. 309 c.p.c. Tale norma, infatti, rende a sua volta applicabile l’art. 310 c.p.c., il quale afferma che, in seguito all’avvenuta cancellazione della causa dal ruolo e all’estinzione del processo, non si produce l’estinzione del diritto sostanziale azionato. Molto più coerente con l’intento acceleratorio sarebbe stato riferirsi non all’art. 309, bensì all’art. 348 c.p.c. Tale norma, infatti, disciplina l’improcedibilità dell’appello, ovvero la chiusura in rito del procedimento, sanzione che l’ordinamento ha previsto proprio per il caso della mancata comparizione a due udienze consecutive dell’appellante costituito. Differenti sono i profili che avrebbero reso la norma in esame meritevole di considerazione. Innanzitutto, l’art. 348 c.p.c. non consente la riproposizione dell’impugnazione, anche qualora non fosse ancora decorso il termine fissato dalla legge, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Inoltre, l’espresso riferimento all’art. 348 c.p.c. avrebbe avuto il merito di confermare, a contrario, la non applicabilità al procedimento di opposizione allo stato passivo delle norme inerenti al giudizio di appello in tutti i casi non espressamente previsti dalla legge, in perfetta aderenza agli orientamenti giurisprudenziali affermatisi sotto il vigore della legge fallimentare.

Va, inoltre, considerato che il riferimento all’art. 309 c.p.c. difetta di coerenza laddove si consideri che detta norma riguarda il procedimento ordinario di primo grado. Infatti, se da un lato il legislatore ha confermato la natura impugnatoria dell’opposizione al passivo rendendo ad esso applicabile la disciplina delle impugnazioni incidentali tempestive e tardive, dall’altro lato ha compiuto un passo indietro introducendo una norma inerente al giudizio di primo grado

379 In senso conforme Cass., n. 10086/2019, cit.; Cass., n. 1342/2016, cit.; Cass., n. 19145/2012, cit.: di contrario avviso Cass. 26 febbraio 1994, n. 2009, in Mass. Giur. It., 1994

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laddove avrebbe potuto riferirsi con maggiore uniformità all’art. 348 c.p.c. riguardante il procedimento di gravame.

Ciò che in concreto avrebbe contribuito ad assolvere l’esigenza acceleratoria e deflattiva che ha mosso il legislatore del 2019 sarebbe stata l’introduzione di un “filtro” in opposizione. In altri termini, essendo l’opposizione un giudizio avente carattere impugnatorio, il giudice avrebbe potuto essere onerato di una valutazione officiosa, di tipo probabilistico, avente ad oggetto la possibilità che l’opposizione venisse accolta. Lo strumento processuale attraverso cui realizzare tale obiettivo avrebbe potuto essere analogo a quello di cui all’art. 348 bis c.p.c. o, meglio, a quello previsto dalla ZPO tedesca sub § 522,380 norme che introducono un filtro all’impugnazione di secondo grado, filtro che appare incentrato su una prognosi di non ragionevole fondatezza del ricorso.

Sostanzialmente il legislatore, al fine di agevolare e accelerare la definizione del giudizio, in presenza di un’opposizione che non ha alcuna possibilità di essere accolta nel merito, in quanto manifestamente infondata, avrebbe potuto introdurre uno strumento che consentisse l’immediata definizione del giudizio, senza doversi far ricorso alla trattazione vera e propria della causa e quindi alle forme ordinarie del giudizio impugnatorio. Inoltre, accanto alla manifesta infondatezza nel merito del ricorso in opposizione, il legislatore avrebbe potuto provvedere, attraverso lo strumento dell’inammissibilità del rimedio, per il caso in cui l’opposizione non consentisse, in concreto, al creditore di ottenere attivo fallimentare in misura superiore a quella che otterrebbe se prestasse acquiescenza al decreto di

380 Il § 522, II, ZPO, infatti, prevede un'ordinanza di rigetto dell'appello nel caso in cui: 1) questo non abbia manifestamente alcuna prospettiva di successo; 2) la causa non abbia importanza fondamentale; 3) la decisione del giudice d'appello non sia necessaria all'evoluzione del diritto o alla garanzia di una giurisprudenza unitaria; 4) non sia necessaria una trattazione orale.

Il legislatore tedesco ha introdotto tale filtro di ammissibilità nel 2001 (rivisitandolo nel 2011), nel quadro di una riforma complessiva dei mezzi di impugnazione. A parte la diversa e più precisa foggia letterale che connota tale norma rispetto all’art. 348 bis c.p.c. colpisce come la ZPO sia orientata a permettere la decisione con ordinanza di rigetto quando sussiste una manifesta infondatezza che si verifica non già quando il giudice d'appello consideri (soggettivamente) l'appello infondato, ma quando si controverte dal punto di vista oggettivo in modo non serio sull'esito della lite (GAMBIOLI, L’appello civile (I parte) - Il filtro di cui agli artt.

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esecutività dello stato passivo, secondo un meccanismo per così dire integrativo rispetto a quello disciplinato dall’art. 102 l. fall.

In effetti, la nuova disciplina contiene una testimonianza del fatto che il legislatore abbia cercato di porre un freno ai ricorsi che non presentino sufficienti probabilità di concreto soddisfacimento. Infatti, il D.Lgs. 14/2019 ha previsto in chiusura del medesimo c. 10 che “il curatore, anche se non costituito, partecipa all’udienza di comparizione fissata ai sensi del comma 3, per informare le altre parti ed il giudice in ordine allo stato della procedura e alle concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori concorsuali.” Pertanto, anche laddove decida di non costituirsi in giudizio perché la procedura è priva di attivo o in quanto la controversia verta unicamente su questioni di diritto, con la conseguenza che appaia inutile sostenere i costi della rappresentanza tecnica, il curatore è tenuto ad essere presente personalmente in udienza, in modo da poter fornire al tribunale e alla controparte informazioni circa la situazione della procedura e le possibilità di realizzo. A tal proposito, nella Relazione illustrativa si legge espressamente che l’introduzione di tale previsione si spiega con “finalità deflattive, giacché è possibile che il creditore opponente, informato in modo circonstanziato e tempestivo del fatto che l’attivo della procedura non consentirà il soddisfacimento del suo credito, decida di non coltivare oltre l’impugnazione o che, in ogni caso, il contatto tra le parti agevoli l’individuazione del reale thema decidendum”. Appare evidente, dunque, che l’idea di fondo sia che il fisico incontro tra curatore e creditore o il terzo possa favorire una composizione della controversia, evitando così la prosecuzione del sub-procedimento di impugnazione.

Per quanto pregevole sia stato l’intento che abbia mosso in tale ultimo senso il legislatore, risulta tuttavia non pienamente sufficiente. Infatti, il dovere informativo che grava sul curatore, sebbene sia obbligatorio, tuttavia non è vincolante, ben potendo il creditore ignorarlo e proseguire nell’opposizione. Di maggiore utilità, nell’ottica deflattiva, sarebbe stata la previsione di una declaratoria di improcedibilità “per insufficiente realizzo” conseguente alla valutazione prognostica negativa effettuata dalla curatela. Una valutazione che non sarebbe un mero parere o il semplice assolvimento di un onere informativo,

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bensì un dato oggettivo documentabile, eventualmente accompagnato da un parere del comitato dei creditori.

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