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Le eccezioni introdotte da certi Stati riguardanti la

3. Direttive regolanti la tematica del fine-vita

3.3. Le eccezioni introdotte da certi Stati riguardanti la

alcuni soggetti particolari

Rispetto ai principali tratti salienti che caratterizzano la disciplina di ciascuno dei Paesi citati, Belgio, Olanda e Svizzera hanno introdotto delle eccezioni circa i destinatari dei trattamenti di fine-vita.

La Svizzera si presenta come l’unico Stato, tra quelli che concedono l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito, ad elargire tali pratiche ad individui che non abbiano la cittadinanza.

Belgio ed Olanda invece hanno notevolmente allargato le maglie degli aventi diritto a richiedere di essere sottoposti a tali procedure includendo minorenni e casi psicosociali.

3.3.1. “Il turismo della buona morte” in Svizzera

Le pratiche dispensate appena al confine del nostro Paese hanno suscitato l’interesse della popolazione mondiale proprio perché riservate anche a coloro che non fanno parte del sistema sanitario nazionale.

La Svizzera dispone di luoghi di cura ove è possibili concedere il suicidio medicalmente assistito a pazienti la cui malattia sia stata clinicamente accertata e non presenti possibilità di cura.

Una volta che la richiesta del paziente sarà accolta, il medico potrà consegnargli una sostanza letale, generalmente il “Penthotal”, che

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potrà essere ingerita o somministrata mediante apposito marchingegno.

Il servizio offerto da queste cliniche ha spinto coloro ai quali non è consentito dai rispettivi Governi di usufruire dei trattamenti mortiferi di recarsi in Svizzera e sottoporsi all’iter procedurale finalizzato a stabilire l’idoneità o meno del paziente a ricevere la pratica di fine- vita.

Tuttavia beneficiare della prestazione a riguardo non è poi così semplice per noi cittadini italiani poiché il nostro Codice penale punisce ai sensi dell’art. 580 coloro che istigano al suicidio.

Anche se la pratica di suicidio medicalmente assistito viene eseguita all’estero, l’Italia punisce la condotta di chi si adoperi ad accompagnare un individuo a ricevere il trattamento mortifero con una pena che varia dai 5 ai 12 anni di reclusione.

A causa di ciò i pazienti sono costretti a partire in solitudine, senza l’appoggio o l’affetto dei propri cari.

Non è un caso che le statistiche redatte da “Dignitas”, un’associazione svizzera per il suicidio assistito, riportano che nemmeno la metà dei richiedenti procede poi a sottoporsi alla pratica di fine-vita143.

Inoltre i pazienti che vogliono usufruire del servizio dovranno adoperarsi ad esborsare un’ingente somma di denaro che potrà variare dai 10.000 ai 13.000 euro144: questo sistema ha dato origine ad un vero e proprio “Business della morte”.

Se consideriamo isolatamente la scelta della Svizzera di elargire questo servizio anche ad individui privi di cittadinanza possiamo coglierne il significato in termini di possibilità di scelta per soggetti

143 Cfr., L.Mastrodonato, “Morire in esilio in Svizzera: i migranti italiani del suicidio

assistito”, in “www.Vice News Italia.com”, 2015

144 Cfr., G.Galeazzi, “Duecento italiani l’anno in fuga in Svizzera per scegliere di

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gravemente malati che, da ogni dove potranno scegliere di metter fine alle proprie sofferenze.

Tuttavia non essendo prevista copertura sanitaria per gli stranieri il risultato è la richiesta di una cospicua somma di denaro che crea una classe di privilegiati: coloro che hanno la disponibilità economica sufficiente ad usufruire del servizio e coloro che non ce l’hanno. Inoltre c’è da considerare che i notevoli interessi economici in gioco imporrebbero una minuzia e un’attenzione da parte degli organi di controllo che, come abbiamo già detto, talvolta manca.

L’abbattimento delle frontiere internazionali in favore di tutti i cittadini del mondo che, straziati dalle rispettive malattie richiedano un trattamento di fine-vita, si manifesta come l’implicito riconoscimento che ad ognuno dovrebbe essere garantita una morte dignitosa.

Affinché questo principio sia valido sono a maggior ragione necessarie le opportune cautele che impediscano che il movente economico prevalga sui diritti fondamentali del paziente.

3.3.2. “Insopportabile sofferenza” patita dal paziente

psicosociale

Olanda e Belgio hanno dato un’interpretazione di “insopportabile sofferenza” molto particolare riconducendo in essa anche il patimento psicologico.

Si aprono dunque le porte delle pratiche eutanasiche anche per coloro che soffrono di malesseri emotivi, solitudine o vecchiaia.

Attualmente i Paesi Bassi hanno palesato la loro intensione di realizzare un progetto di legge che possa consentire anche a coloro che

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non soffrono di alcuna patologia ma sono semplicemente anziani di usufruire del suicidio medicalmente assistito.

Nel 2015 l’associazione per il diritto di morire (Nvve) ha proposto la commercializzazione della “Kill Pill”, la pillola eutanasica che consentirebbe a persone che abbiano compiuto il settantesimo anno di età di poter usufruire gratuitamente della pasticca della “buona morte”. Nonostante il proposito della Nvve di regolare quanto più possibile la compravendita della “Kill Pill”, in modo da evitarne potenziali abusi che potrebbero sfociare in suicidi, o peggio in omicidi, le perplessità non possono che essere molte.

Potrebbe essere condivisibile la scelta di un soggetto in età avanzata, che presentando disfunzionalità fisiche gravi e non potendo più provvedere a se stesso, scegliesse di ricorrere ad un metodo “dolce” per giungere alla morte, ma questo dovrebbe essere consentito solo dopo un accurato percorso psicologico che attesti la fondatezza delle richieste mosse dall’individuo in questione e dietro prescrizione medica.

La concessione di un farmaco di una simile portata, fondata sul solo dato dell’età appare azzardato, quasi a voler alludere che la vecchiaia sia una realtà di cui liberarsi145.

La ministra della Salute olandese Edith Schippers ha comunque confermato che il Governo si adopererà entro la fine del 2017 a ideare un disegno di legge in questione avvalendosi dell’ausilio di medici ed esperti in bioetica146.

Quanto alla concessione delle pratiche eutanasiche per soggetti affetti da disturbi mentali, emblematico è stato il caso di una ragazza, la quale

145 Cfr., L.Grotti, “Olanda, eutanasia per tutti. Ecco la Kill Pill per chi compie 70

anni”, in “www.Tempi.it”, 2015

146 Cfr., Redazione, “I Paesi Bassi vogliono introdurre il suicidio assistito per gli

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dopo dieci anni consecutivi di abusi sessuali subiti fra le mura domestiche, da quando la stessa aveva 5 anni, ha chiesto e ottenuto all’età di 20 l’eutanasia.

I medici curanti definirono i disturbi post-traumatici della paziente insostenibili: depressione, anoressia, allucinazioni erano il prodotto di un decennio di abusi che, come sostenuto dal medico curante, non davano segnali di ripresa. Nonostante l’estrema drammaticità della situazione si ritiene che concedere l’eutanasia a soggetti versanti in condizioni post-traumatiche svilisca la ragion d’essere stessa della pratica qui trattata, nata per alleviare patimenti fisici insostenibili ai quali non può essere posto rimedio.

<<Non esistono casi incurabili, si parla soprattutto di un trauma

profondo che viene provocato dalla violenza e che impedisce un normale processo di sviluppo anche rispetto all’età. Ci sono vari fattori che possono accentuare il danno, ovvero l’età in cui si subiscono gli abusi, ma anche la relazione stessa con l’aggressore>>147.

Come dichiarato dalla dott.ssa Mariotti, le vittime di abusi sessuali riportano traumi psicologici di ingente portata, ma concedere loro l’eutanasia, sarebbe come riconoscere implicitamente che una donna non possa guarire dalle ferite interiori che un’esperienza tragica come lo stupro può lasciare.

Far uso dell’eutanasia in questi termini svilisce il valore della vita, favorendo la concezione che la morte è un’alternativa facile e immediata a qualsivoglia problematica che l’esistenza di un individuo può presentare, incoraggiando il prosperare di una generazione di persone deboli e incapaci di far fronte alle avversità che la vita potrebbe presentare.

147 Cit., A.Arcolaci, “Olanda, violentata per 10 anni, concessa l’eutanasia”, in

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3.3.3. “Minori maturi” richiedenti la pratica eutanasica

Olanda e Belgio sono gli unici Paesi al mondo che permettono a minorenni di richiedere un trattamento di fine-vita.

In particolare il Governo olandese ha stabilito che ragazzi in età compresa tra i 16 e 17 anni potranno scegliere autonomamente di addivenire all’eutanasia dopo aver sentito genitori, parenti o tutori, invece ragazzi compresi tra i 12 e 15 anni avranno bisogno del permesso dei genitori senza i quali il medico non potrebbe procedere. Il Belgio da parte sua nel Febbraio del 2014 ha aggiornato la propria disciplina estendendola anche ai minori dotati di capacità di discernimento e coscienti al momento della domanda.

La legge prevede dunque che in presenza di forti patimenti fisici, costanti e insopportabili che non possono essere attenuati, dovuti ad una condizione accidentale o patologica grave che presto condurrà alla morte il paziente minorenne, di cui la legge non precisa l’età, possa chiedere l’eutanasia.

A seguito di tale richiesta il medico curante dovrà sentire il parere di uno psicologo e uno psichiatra infantile, i quali attraverso la consultazione delle cartelle cliniche dovranno verificare la condizione psicologia del minore, accertarne la capacità di discernimento e attestarla per iscritto.

Il medico somministrante l’eutanasia dovrà ottenere l’assenso dei rappresentanti legali del paziente minorenne prima di procedere. Tra le varie critiche mosse alla riforma, emblematica è stata la lettera aperta da parte di pediatri di tutto il Belgio sul quotidiano “Libre

Belgique”, intitolata “Fine-vita dei bambini: una legge inutile e precipitosa”.

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I pediatri evidenziarono la superfluità della suddetta legge data la allora totale assenza di domanda di eutanasia minorile, ma soprattutto ne sottolinearono la pericolosità, dovuta all’influenzabilità a cui ragazzi così giovani possono essere soggetti.

Può verificarsi il caso in cui un bambino percepisca una sorta di dovere verso i genitori a metter fine alla propria vita, al fine di liberarli dalla sofferenza dagli stessi provata nel vedere il proprio figlio malato148.

E’ stato poi ribadita la poca cura del Belgio nel promuovere e sensibilizzare i pazienti all’uso di palliativi.

“L’Association pour la promotion des soins palliatifs en pèdiatrie”, impegnata nella diffusione delle cure palliative in Francia e nel mondo, ha reso noto che a suo avviso, il Belgio non ha mai promosso seriamente l’uso di questi medicinali. Questo dato è aggravato ancor di più dal fatto che gli esperti riscontrano che la somministrazione di palliativi ai bambini riduce del 99-100% le loro sofferenze.

Il tutto è contrario a quanto previsto dalla raccomandazione n.1419 del 1999 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa149.

Simili scelte richiedono capacità di discernimento e saggezza, elementi che si acquisiscono con l’esperienza di cui dunque un ragazzo non può compiutamente disporre.

E’ difficile credere che un bambino possa comprendere la portata di una simile decisione, nonostante ciò sarebbe ingiusto negargli il diritto ad una morte dignitosa.

La legge belga parla di “malattie allo stadio terminale”, dunque condizioni che condurranno inesorabilmente e prossimamente alla

148 Cfr., G.Razzano, “Dignità nel morire, eutanasia e…” cit. pag. 211 149 Cfr., ibidem

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morte, e garantisce un’attenta analisi del caso di specie che ci si prepara a trattare.

Ogni volta che ci si appresta ad affrontare temi ove i minori sono i diretti interessati non è mai facile estrapolare un principio o una regola universalmente validi, questo perché la loro condizione è estremamente delicata e fragile.

Per questo si ritiene che la soluzione migliore alla questione sia considerare il solo benessere del ragazzo, capire quanto possa essere preferibile negargli l’eutanasia, condannandolo ad una morte dolorosa, o concedergliela, permettendogli almeno di alleviare le atroci sofferenze fisiche a cui nessuno, specialmente un bambino, dovrebbe mai essere sottoposto.

In proposito è stato proprio il Belgio che nel Settembre 2016 è divenuto il primo paese nella storia a concedere l’eutanasia ad un minore giunto allo stadio terminale della malattia150.

Il fatto è avvenuto nelle Fiandre, su un ragazzo o ragazza (non è stato specificato) diciassettenne costretto a soffrire dolori fisici insopportabili.

La “Bbc” ha riportato che al ragazzo versante allo stadio terminale della malattia sono stati somministrati sedativi che lo hanno indotto in un coma profondo, il tutto <<nel silenzio e nella discrezione più

assoluta>>, come riportato dal quotidiano fiammingo “ Het

Nieuwsblad”151.

150 Cfr., M.Rovelli, “Eutanasia, in Belgio il primo caso su un minore”, in

“www.Corriere della sera.it”, 2016

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Conclusioni

In considerazione delle problematiche applicative che in Italia il vuoto legislativo in tema di eutanasia tutt’ora comporta, mi sono proposta col presente lavoro di offrire soluzioni che pur non risolvendo completamente i dubbi inerenti la materia consentirebbero in talune circostanze di addivenire ad una certa forma di tutela a beneficio di coloro che invocano il diritto ad una morte dignitosa.

Attraverso l’esame dei principi di rango sovranazionale europeo inerenti gli atti di disposizione del corpo, della lettura del disposto costituzionale a tutela del diritto all’autodeterminazione, dell’ormai superato significato ricondotto all’art.5 del Codice civile, ed in ossequio all’attuale considerazione dell’esistenza umana in termini qualitativi anziché quantitativi, ho ipotizzato una soluzione cui le forze politiche potrebbero ispirarsi per la realizzazione di un ipotetico progetto di legge che si concretizza nella legalizzazione delle procedure di eutanasia attiva e passiva, e di suicidio medicalmente assistito.

Requisiti imprescindibili che dovrebbero determinare la legittimità della richiesta alle pratiche di fine-vita sono la capacità di intendere e di volere del diretto interessato, il quale dovrà necessariamente essere convenzionato al Sistema sanitario nazionale, accompagnate dalla diagnosi di una patologia fisica grave ed incurabile.

Suggerirei che i protagonisti di siffatta disciplina siano i pazienti, coscienti e non, ed i medici curanti.

Si propone che il paziente cosciente che soddisfi le prerogative soprarichiamate possa domandare la somministrazione di farmaci letali ad effetto rapido ed indolore da compiere personalmente o tramite intervento medico, o l’interruzione del trattamento terapeutico salvavita solo dopo aver prestato il suo consenso informato, istituto di apprezzabile considerazione poiché più che esentare il medico da

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responsabilità, consente a ciascun soggetto di conoscere perfettamente la propria condizione di salute: in considerazione delle informazioni ricevute dallo specialista, il paziente potrà scegliere di curarsi o meno, pur tenendo presente la possibilità di ricorrere a trattamenti palliativi che lo specialista dovrà obbligatoriamente prospettare.

Alla base di un consenso che sia realmente informato dovrebbe essere istituito l’obbligo di ciascuna struttura ospedaliera di incoraggiare la collaborazione medico-paziente attraverso un dialogo costruttivo che potrà culminare in una pianificazione delle cure che sia la più confacente ai valori etico-morali del malato, oppure in un rifiuto di qualsiasi prospettiva terapeutica in modo da addivenire nel minor tempo possibile al momento della morte.

Tuttavia non possiamo prescindere dal prendere atto dell’ipotesi in cui il paziente non sia effettivamente capace di esprimersi a causa della condizione patologica grave da cui è affetto.

In relazione a queste particolari circostanze l’individuo ha comunque diritto a ricevere un adeguato margine di tutela che riteniamo gli potrà essere garantito attraverso l’istituto del testamento biologico, unico documento realmente in grado di rappresentare la volontà di ciascuno in merito alla sottoposizione a trattamenti di fine-vita, e sollevare il medico da responsabilità penale: personalmente ritengo che la “pianificazione anticipata delle cure” , la quale ha l’unico scopo di predisporre un iter terapeutico anticipatamente al sopravvenire della malattia, non sia uno strumento che riproduca le effettive volontà del paziente poiché non prende in considerazione la possibilità che l’individuo potrebbe non volere essere curato

Credo inoltre che la redazione del testamento biologico dovrebbe essere permessa non solo a soggetti gravemente malati, ma anche ad individui sani, capaci di intendere e di volere che pur beneficiando di

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una condizione di salute ottimale vogliono scongiurare il rischio di subire un giorno cure non gradite.

Attenendomi alle generali indicazioni forniteci a livello europeo il testamento biologico potrà al più contenere richieste eutanasiche di tipo passivo, ed acquisire valore legale solo se redatto da soggetto malato.

Diversamente nell’ipotesi in cui sia stilato da individuo sano, è stato generalmente prescritto che il documento avrà la funzione di orientare il medico nella predisposizione di un piano curativo il più possibile confacente alle convinzioni dell’interessato, ma non potrà avere efficacia vincolante a causa della sua anteriorità rispetto al sopraggiungere della malattia.

In proposito reputo che una differenziazione di trattamento fondata sulla presenza o meno di una condizione patologica attuale crei un’eccessiva discriminazione che lede il diritto di chi invece pur godendo di un buono stato di salute vuole evitare di essere costretto un giorno in una condizione fisica che consideri degradante per la propria dignità: per questo auspicherei la validità legale del testamento biologico anche qualora il documento venga redatto da individui sani. Ad avere la priorità dovrebbe essere in ogni caso la volontà del paziente da attestare in forme solenni e ufficiali mediante documento scritto la cui efficacia dovrebbe essere vincolata alla imprescindibile esigenza di ricevere convalida da parte del notaio, alla presenza di due testimoni.

Prima di ciò consiglierei di introdurre l’obbligo per il diretto interessato di recarsi presso una struttura ospedaliera ove un medico erudito sulla materia avrebbe il compito di verificare la consapevolezza che l’individuo ha circa la condizione esistenziale in cui versano pazienti terminali e in stato vegetativo persistente, e solo in caso di esito positivo rilasciare un’apposita certificazione che

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asserisca l’idoneità a che la dichiarazione anticipata di trattamento sia formalizzata.

Solo successivamente potrebbe consentirsi al soggetto interessato di presentare al notaio l’atto che testimonia il benestare dello specialista, e permettere così di andare avanti col percorso volto a dare valore legale al testamento biologico: in questo modo dovrebbe essere possibile scongiurare il rischio che la realizzazione di suddetto documento sia fondata su informazioni errate.

Con riguardo al fondamentale diritto dell’individuo all’autodeterminazione, proporrei la libertà di modifica delle dichiarazioni anticipate in qualsiasi momento, in modo che queste possano sempre risultare attuali

Eticamente più problematica è la condizione del paziente che non abbia più coscienza del mondo esterno e abbia trascurato di redigere l’atto che attesti le sue volontà.

In proposito facendo riferimento anche a noti casi giurisprudenziali italiani ed esteri che hanno visto il coinvolgimento della magistratura, si potrebbe pensare ad un intervento dell’autorità giudiziaria finalizzata ad individuare i principi riconducibili alla sfera etica del paziente.

Attraverso il reperimento delle testimonianze di familiari e amici intimi, e il giudizio reso dallo specialista circa la gravità dello stato di salute in cui versa il paziente sarebbe consentito addivenire ad un esito che fosse il più rispettoso possibile dei precetti morali appartenenti al malato.

Reputerei opportuno a riguardo garantire che nel caso in cui le indagini non riuscissero a far luce su quelle che sarebbero le volontà del paziente circa la propria sopravvivenza, lo specialista dovrebbe essere chiamato sempre a prediligere la vita alla morte.

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Considerando la figura del medico, credo che qualsiasi forma di regolamentazione della materia non dovrebbe prescindere dallo stabilire fondamentali regole di diligenza cui lo specialista sarebbe chiamato ad attenersi: innanzitutto riterrei opportuno imporre al professionista di prospettare al paziente cosciente la somministrazione di cure palliative sulle quali il medico dovrebbe ricevere una precisa formazione, vietando inoltre che questo possa incoraggiare il malato ad optare per la somministrazione di pratiche mortifere, la cui richiesta necessiterebbe di provenire unicamente dal paziente; a parer mio dovrebbero essere istituite pratiche volte all’accertamento dello stato fisico-patologico del paziente prevedendo che questo risulti necessariamente grave ed incurabile, e proporrei inoltre il divieto di mettere in atto procedure di fine-vita laddove lo specialista intuisca che l’individuo non sia fermamente convinto della propria decisione. Diversamente nell’ipotesi di paziente non cosciente ritengo che le regole di diligenza dovrebbero prescrivere al medico il dovere di attenersi a quanto disposto nel testamento biologico; in mancanza di tale documento invece lo specialista sarebbe obbligato ad invitare l’autorità giudiziaria che attraverso il suo intervento potrebbe reperire

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