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Eutanasia. Presupposti giuridici per l'introduzione di una disciplina sistematica

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INDICE

pag.

INTRODUZONE

5

PRECISAZIONI METODOLOGICHE

7

CAPITOLO I

Processo evolutivo del diritto alla salute e degli atti di

disposizione del proprio corpo all’interno del contesto

italiano e internazionale

9

1. Analisi dell’articolo 32 della Costituzione 9 1.1. Multidimensionalità del diritto alla salute: profilo

soggettivo 11

1.1.2. Multidimensionalità del diritto alla salute: profilo

oggettivo 14

1.1.2.1. Differenza tra rifiuto, rinuncia e richiesta di

morire del paziente cosciente 20 1.1.3. Inviolabilità del diritto alla salute in relazione

agli articoli 2 e 3 della Costituzione 21 1.2. Diritto alla salute fisica e psichica collegato

agli atti di disposizione del corpo 23 1.2.1. Le fonti che regolano gli atti di disposizione

del corpo 25

1.2.1.1. Complicazioni interpretative in caso

di contrasto tra integrità fisica e autodeterminazione 27 1.2.2. Riflessioni circa l’articolo 5 del Codice civile 29 1.2.2.1. Una disposizione non più attuale 29

(2)

2

pag. 1.2.2.2. Le limitazioni previste per gli atti

di disposizione del corpo 32 1.2.2.3. Eutanasia: un fenomeno di difficile

regolamentazione 33

1.3. Attitudine del livello sovranazionale

europeo a trattare il tema dell’autodeterminazione 40 1.3.1. La Convenzione europea per la salvaguardia

dei diritti dell’uomo 40

1.3.2. La Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea 41

1.3.3. I documenti europei a tutela dei diritti del paziente 42 1.3.3.1. La raccomandazione n.1418\1999 42 1.3.3.2. I principi cardine della Convenzione di Oviedo 44

1.3.3.3. Risoluzione n.1859\2012 47

1.3.3.4. Guida sulle decisioni del fine-vita 49 1.3.3.5. Considerazioni inerenti la prassi generalmente

accolta dall’Unione europea in tema di eutanasia 51 1.3.4. Giurisprudenza della Corte di Strasburgo 52 1.3.4.1. Il caso Pretty c. Regno Unito 53

1.3.4.2. Il caso Lambert 55

CAPITOLO II

Considerazioni giuridiche inerenti la

materia eutanasica

62

2. L’affermazione del concetto di eutanasia

nel corso dei secoli 63

(3)

3

2.1. Qualificazione della dignità umana

collegata al diritto all’autodeterminazione 65 2.1.1. Qualificazione della dignità umana

come caratteristica imprescindibile dell’individuo 68

2.2. Eutanasia a scopo pietoso 70

2.3. I profili costituzionali dell’eutanasia 71

2.4. Concetto giuridico di morte 73

2.5. Eutanasia attiva 75

2.5.1. Eutanasia attiva consensuale e

suicidio medicalmente assistito 76

2.6. Eutanasia passiva 79

2.6.1. Eutanasia passiva consensuale 80 2.7. Molteplici chiavi di lettura del Codice penale

italiano in relazione alla tutela del bene “vita” 82 2.7.1. Il disegno di legge n. 2224 interpretato

come possibile soluzione alla responsabilità penale

medica inerente la problematica dell’eutanasia 84 2.8. L’importanza ricoperta dall’alleanza terapeutica 87 2.8.1. Necessità della pianificazione delle cure

e regolamentazione del testamento biologico 90 2.8.1.1. Efficacia del testamento biologico 95 2.8.2. Pianificazione anticipata delle scelte terapeutiche 97 2.9. Rinforzo tra medicina intensiva e palliativa 99 2.10. Condizione del paziente in stato vegetativo

persistente 100

(4)

4

pag.

CAPITOLO III

Spunti di riflessione attraverso l’esame

di esperienze estere

111

3. Direttive regolanti la tematica del fine-vita 111

3.1. Elementi consolidati in ciascuna delle discipline trattate 113

3.2. Problematiche etiche e procedurali derivanti dall’attuazione dei disposti normativi 116

3.2.1. Violazione dei parametri di diligenza richiamati nelle leggi 117

3.2.2. Scarsa vigilanza da parte delle Commissioni di controllo nazionali 118

3.3. Le eccezioni introdotte da certi Stati riguardanti la somministrazione delle pratiche mortifere su alcuni soggetti particolari 120

3.3.1. “Il turismo della buona morte” in Svizzera 120

3.3.2. “Insopportabile sofferenza” patita dal paziente psicosociale 122

3.3.3. “Minori maturi” richiedenti la pratica eutanasica 125

CONCLUSIONI

128

(5)

5

Introduzione

Vivere o decidere di morire: scelte personalissime ed entrambe rispettabili.

La pratica eutanasica è un fenomeno che già nelle civiltà passate veniva eseguita, anche se mossa da ragioni diverse da quella della “pietas”.

Nel corso dei secoli la questione sul fine-vita ha assunto molteplici sfumature suscitando le diverse reazioni di chi fosse favorevole o meno a tollerare che un soggetto potesse chiedere ad un altro di essere aiutato a morire.

I nuovi valori etici e le recenti scoperte in ambito scientifico hanno reso il compito degli esperti in bioetica piuttosto complicato nel fornire una risposta razionale al tema dell’eutanasia, che porta quasi inevitabilmente ad una riflessione su elementi etici e religiosi, oltre che prettamente giuridici.

Nonostante la facoltà riconosciuta a ciascuno di potersi ispirare a diversi precetti morali e culti, condivisibili ma non imponibili, esiste un’unica Costituzione che resta valida per tutti.

L’indagine che ci accingiamo ad esporre tenta di cogliere gli elementi presenti nel nostro ordinamento che permetterebbero l’introduzione di una normativa in tema di eutanasia, lasciando poi ai singoli il diritto di scegliere se avvalersene o meno.

Ci concentreremo nel dare una definizione del diritto all’autodeterminazione, condizionato dalla percezione che ciascun individuo ha del concetto di “dignità personale”, per poi giungere all’ individuazione degli istituti concernenti la materia eutanasica, osservando nello specifico come sono stati applicati in altri Paesi. Esistono malattie e condizioni patologiche gravi che allo stato attuale delle tecniche mediche non possono essere guarite: sta allo Stato

(6)

6

fissare le basi per consentire a ciascun cittadino il diritto di scegliere per se stesso, soprattutto quando la richiesta provenga da individui adulti capaci di intendere e di volere, pur sempre nel rispetto di requisiti fondamentali che dovrebbero essere pattuiti in modo da scongiurare il rischio di abusi.

In ossequio al pluralismo etico che gli Stati Occidentali hanno eretto a principio fondamentale, esaudire la richiesta di morte di coloro che sono affetti da malattie tanto devastanti da rendere l’esistenza un supplizio o che sono costretti ad una condizione di vita vegetativa considerata avvilente, si presenterebbe come un’alta manifestazione di democraticità coerente col principio di autodeterminazione protetto dall’ordinamento.

(7)

7

Precisazioni metodologiche

Lo scopo del presente lavoro è quello di dimostrare l’opportunità di adottare un corpo legislativo che consenta la regolazione della questione eutanasica in Italia, delineando altresì quelli che debbano essere gli elementi fondamentali di una disciplina in materia.

A tal fine si è ritenuto confacente adottare la seguente metodologia. In apertura non si è potuto prescindere dall’analisi delle disposizioni fondamentali che nel nostro Paese regolano la questione inerente il diritto all’autodeterminazione e gli atti di disposizione del proprio corpo, ossia la normativa europea, la Costituzione e il Codice civile. Nello specifico è stato esaminato il combinato disposto degli artt. 2, 13 e 32 comma II della Costituzione e dell’art. 5 del Codice civile, affrontando di quest’ultimo le complicazioni interpretative attraverso le quali è stato possibile dedurre l’imprescindibile necessità di un suo aggiornamento in conseguenza del progresso scientifico e culturale che ha investito la società moderna.

Si è poi proseguito nell’esposizione della legislazione europea sul tema riportando le disposizioni più rilevanti, con particolare attenzione all’esame di quelle che si occupano dell’eutanasia e con costante riferimento alla loro applicazione nella prassi giurisprudenziale, richiamando i più significativi casi definiti dalla “Corte di Strasburgo”. Effettuate queste premesse di carattere normativo si è proceduto nel secondo capitolo ad un’analisi più dettagliata di quella che è la materia eutanasica sin dalle sue origini, riportando le diverse posizioni assunte nel corso degli anni da vari pensatori e svariate dottrine che hanno specificato le ragioni delle rispettive ideologie in relazione alla possibilità di anticipare il momento della morte.

Abbiamo reputato essenziale affrontare le modalità tramite le quali l’eutanasia viene attuata e come viene trattata dal Codice penale,

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8

inoltrandoci poi nell’analisi dei tratti salienti riguardanti la disciplina come le fondamentali regole che dovrebbero caratterizzare il rapporto medico-paziente, sottolineando l’importanza che le dichiarazioni di morte anticipata potrebbero assumere a riguardo.

Si è infine concluso il capitolo analizzando la condizione del paziente in “stato vegetativo persistente” riferendoci al “Caso Englaro” considerato emblematico per poter definire lo status di salute in cui versa il degente e le problematiche che l’assenza di una disciplina in materia ha comportato.

Prima di accingerci verso la conclusione, ove ci prefissiamo lo scopo di proporre una legislazione omogenea che regoli la materia, è stato indispensabile osservare le discipline attualmente vigenti negli Stati che più dettagliatamente trattano la tematica, nello specifico i paesi del Benelux, Svizzera, Usa e Canada, dai quali si evincono gli elementi utili e condivisibili ai fini della realizzazione di un eventuale progetto di legge, ma anche le problematiche che talvolta hanno comportato. In particolare si è ritenuto opportuno soffermarci su casi eccezionali che caratterizzano alcuni ordinamenti, i quali consentono la formulazione di richieste eutanasiche da parte di minorenni, pazienti psicosociali e soggetti privi della cittadinanza del luogo presso il quale hanno fatto domanda.

Proprio attraverso la considerazione degli istituti analizzati e le esperienze riportate è stato possibile estrapolare le soluzioni normative che abbiamo reputato più confacenti per la disciplina della questione eutanasica alla luce delle difficoltà applicative e di ordine etico-morale che taluni Stati esteri hanno riscontrato.

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9

Capitolo Primo

Processo evolutivo del diritto alla salute e degli atti di

disposizione del proprio corpo all’interno del contesto

italiano e internazionale

Con la presente analisi ci proponiamo di esporre come i principi attinenti la sfera fisica dell’uomo si sono sviluppati nel corso degli anni allo scopo di ottenere una visuale nitida che consenta la definizione degli atti di disposizione del corpo cui ciascun individuo può avvalersi.

1. Analisi dell’articolo 32 della Costituzione

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto

della persona umana.1

L’articolo 32 della Costituzione entrato in vigore il 1 Gennaio del 1948 si presenta come il prodotto di un articolato percorso storico giunto al suo apice con l’affermazione dei diritti sociali, tra i quali vi rientra anche il diritto alla salute.

Coloro che maggiormente sentirono la necessità di introdurre un disposto costituzionale a tutela della salute furono gli esponenti del gruppo parlamentare medico, che posero alla base delle loro argomentazioni l’esigenza di garantire un diritto fondato sul principio

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10

di uguaglianza e solidarietà, in grado di risolvere le problematiche attinenti ai profili bioetici quali autodeterminazione e dignità umana da connettere ai principi fondamentali sui quali la Repubblica è fondata, riconoscendo inoltre la libertà del paziente al rifiuto delle cure mediche.

Successivamente in occasione dell’”Assemblea Costituente” la posizione dei costituenti comunisti, i quali erano favorevoli alla costituzionalizzazione del diritto alla salute, vinse su quella dei costituenti liberali che si espressero invece a sfavore a causa degli oneri che ne sarebbero derivati.

Il concetto di “salute”, ispirato ai principi soprarichiamati, che andò a delinearsi presupponeva un livello minimo di mantenimento in vita, assenza di malattia o di infermità e uno stato di completo benessere fisico e mentale.

L’articolo 32 della Costituzione approvato dall’”Assemblea Costituente” il 24 Aprile 1947 e riconosciuto come diritto fondamentale si presenta a causa della laboriosità del tema trattato e la varietà degli interessi in gioco come un articolo a “fattispecie complessa” dunque difficilmente delineabile: è proprio in ragione della moltitudine di significati attribuibili al termine “salute” che il nostro ordinamento ha accolto il concetto di “multidimensionalità del diritto alla salute” che si esplica nel suo ambito soggettivo e oggettivo.

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1.1 . Multidimensionalità del diritto alla salute: profilo

soggettivo

 “La Repubblica tutela la salute…”

Con questo assunto vengono individuati come soggetti attivi del diritto alla salute tutti i soggetti pubblici, ossia tutti gli enti pubblici funzionali e territoriali i quali hanno il dovere di vigilare affinché il diritto alla salute non venga violato e di attivarsi nell’assicurare a tutti i consociati la corretta fruizione delle prestazioni sanitarie.

Tale ruolo viene reso più in esplicito dalle disposizioni costituzionali degli artt. 5 e 114 e ai principi fondamentali relativi agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Sulla base di diverse interpretazioni del concetto di “Repubblica” c’è stato chi ha asserito che tra i soggetti coinvolti nella tutela del diritto alla salute vi si potessero inserire anche gli enti privati quali le associazioni: <<…secondo una lettura in origine riconducibile a

Costantino Mortati, nella nozione di “Repubblica” rientrerebbe, almeno in alcune disposizioni costituzionali (tra cui quella in esame), anche l’insieme dell’associazionismo con finalità di ordine generale>>2.

Il disposto costituzionale dell’art. 32 rimane tuttavia vago nell’indicare con precisione i soggetti incaricati di attivare le garanzie in esame e nel definire le caratteristiche che il sistema sanitario dovrebbe possedere: tale tematica fu particolarmente sentita in “Assemblea Costituente” in relazione al rapporto Costituzione-legge.

2 Cit., R. Balduzzi e D. Servetti, “La garanzia costituzionale del diritto alla salute e

la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale” in “Manuale di diritto sanitario”, Bologna, il Mulino, 2013, pag. 50

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In particolare da un lato c’erano coloro che proponevano un’organizzazione costituzionale del sistema sanitario basata su un organo centrale e autonomo che coordinasse le istituzioni competenti in ambito di prevenzione e assistenza, dall’altro vi erano invece coloro che rimarcavano la competenza della legge nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni.

Alla fine prevalse la tendenza a non introdurre alcuna indicazione di tipo organizzativo lasciando al legislatore il compito di interpretare il concetto di “Repubblica”.

Per quanto attiene il ruolo dei soggetti privati e pubblici nella tutela della salute il D.Lgs 229\1999, modificativo del D.Lgs 502\1992, ha definito i rapporti tra “Sistema sanitario nazionale” ed operatori privati precisando il ruolo fondamentale che la Repubblica, intesa come insieme di soggetti pubblici, ricopre nell’erogazione di prestazioni sanitarie tale da consentire alla stessa, nei casi di ragionevole esigenza, di impedire ai privati la libera iniziativa in ambito sanitario.

 “..come fondamentale diritto dell’individuo…”

Destinatario del diritto alla salute è dunque l’individuo in quanto essere umano indipendentemente dalle sue condizioni sociali: ciò significa che, come disposto dal comma II del suddetto articolo, la legge deve agire sempre nel pieno interesse del prossimo limitando eventuali trattamenti invasivi della sfera personale quali i trattamenti sanitari obbligatori, e <<non può in nessun caso violare i limiti imposti

dal rispetto della persona umana>>.

L’utilizzo della termine “individuo” è strettamente collegato al concetto di “fondamentale” che ha la caratteristica di qualificare il diritto alla salute: godere di un buono status di salute è condizione essenziale per poter beneficiare degli altri diritti connessi alla persona. E’ opportuno sottolineare il fatto che l’art. 32 non presenta alcun riferimento al concetto di cittadinanza: ciò indica che soggetto titolare

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del fondamentale diritto è appunto l’individuo, a prescindere dal fatto che questo sia o meno cittadino italiano.

 “…e della collettività”

Come già specificato il diritto alla salute è riferito all’individuo in quanto persona umana, tuttavia ogni volta che i problemi di salute individuale si diffondono ecco che entra in gioco l’interesse alla salvaguardia della salute collettiva, per la cui tutela è prevista la preordinazione di pratiche preventive, e laddove occorra anche la predisposizione di trattamenti sanitari obbligatori verso soggetti pericolosi.

 “…e garantisce le cure gratuite agli indigenti”

Quest’ultima parte del comma I dell’art. 32 che assicura la fruizione del diritto alla salute anche da parte di soggetti economicamente svantaggiati fu oggetto di un acceso dibattito in “Assemblea Costituente” per il timore di non riuscire a contenere le spese che avrebbe richiesto.

In proposito il compromesso per una completa applicazione del disposto costituzionale che potesse andare a beneficio di qualunque individuo fu quello di precisare la condizione di indigente.

In aggiunta i costituenti optarono per una definizione di siffatta garanzia in forma precettiva in modo che i pubblici poteri fossero effettivamente obbligati ad assicurare il diritto alla salute anche a “soggetti deboli”.

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1.1.2. Multidimensionalità del diritto alla salute: profilo

oggettivo

A causa della complessità degli aspetti caratterizzanti il diritto alla salute assistiamo all’intrecciarsi di varie situazioni giuridiche soggettive (diritto, interesse, libertà).

 Il diritto alla tutela della salute in senso stretto

L’art. 32 dà all’individuo la facoltà di pretendere che la Repubblica garantisca la tutela della salute in quanto principio fondamentale del nostro ordinamento.

Tale posizione di privilegio, riconducibile all’accezione negativa del profilo oggettivo del diritto alla salute, può attuarsi in due forme di tutela: una passiva che garantisce che nessuna attività pubblica o privata possa danneggiare il diritto alla salute, e una attiva che si concretizza nella pretesa del titolare del diritto a fruire dei servizi sanitari.

A) Tutela Passiva

L’ordinamento deve predisporre i mezzi adeguati a scongiurare danni alla salute predisponendo allo scopo una politica di prevenzione e promuovendo stili di vita e condizioni ambientali salubri: quello che si prospetta è un diritto tipicamente negativo a garanzia dell’integrità psicofisica che grazie ad un adeguato processo evolutivo giurisprudenziale e dottrinale ha trasformato la lesione del diritto alla salute in un “danno biologico”, che si differenzia rispetto a quanto avveniva in passato ove il danno era necessariamente reddituale. La qualifica del danno alla salute come danno biologico ne ha consentito la risarcibilità ex art. 32 in qualunque caso di offesa al bene salute non solo nella fattispecie in cui si prospetti un danno patrimoniale, ma anche quando non lo è.

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Si concretizza nella pretesa di ciascun individuo ad esigere un comportamento attivo da parte dei pubblici poteri affinché questi garantiscano la corretta erogazione delle prestazioni sanitarie: il diritto alla salute è dunque un diritto universale, espressione di una forma di Stato sociale che assicura a chiunque il diritto alle cure.

Essendo allora il diritto alla salute un diritto sociale volto ad assicurare <<un completo stato di benessere della persona>>3, diviene decisivo determinare che cosa la Repubblica debba fornire all’individuo, ed a questo proposito i pubblici poteri non possono attenersi esclusivamente a quanto è possibile ricavare dall’art. 32.

La lettura estensiva del suddetto articolo come diritto ad ottenere tutte le prestazioni sanitarie necessarie al fine di assicurare il buono stato di salute, introdotto con la legge 833/1978 istitutiva del “Sistema sanitario nazionale”, si scontrava col problema della scarsità delle risorse e del costo che le azioni di tutela avrebbero comportato; per questo fu essenziale definire con precisione le prestazioni necessarie da quelle che non lo erano.

La legge finanziaria del 1998 sviluppò la nozione di “livelli essenziali delle prestazioni sanitarie” qualificando <<essenziali i livelli di

assistenza che, in quanto necessari…. e appropriati…, devono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale e all’intera collettività, tenendo conto delle differenze nella distribuzione delle necessità assistenziali e dei rischi per la salute>>4.

 La libertà di cura

“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario

se non per disposizione di legge”. (Art.32 comma II)

3 Cit. ibidem, pag.30 4 Cit., ibidem, pag. 33

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Nell’accezione positiva del profilo oggettivo del diritto alla salute individuiamo la “libertà di cura”.

Rispetto al dettato del comma I che riconosce all’individuo il diritto ad essere curato, il comma II dichiara un altro diritto che si esplica nella libertà di decidere come curarsi, e laddove lo si voglia a chiedere di non essere curato: a tal proposito distinguiamo una “libertà di cura positiva” e una “libertà di cura negativa” le quali non sono assolute ma limitate dalle norme costituzionali.

Libertà negativa: rifiuto dei trattamenti sanitari

Ciascun individuo può palesare la propria volontà a non essere curato ed ha diritto a che la sua scelta venga rispettata.

Tuttavia possono sussistere delle ipotesi ove l’applicazione di trattamenti sanitari sia obbligatoria perché giustificata da esigenze di tutela collettiva, anche se è pur sempre necessaria la presenza di una norma di legge che autorizzi la compressione della sfera individuale altrui, senza mai tralasciare il rispetto del nucleo dei diritti fondamentali che attengono alla persona umana.

In coincidenza al diritto di rifiutare la somministrazione di una certa cura il consenso informato ricopre un ruolo fondamentale. Quello che nasce come strumento di difesa che permetteva al professionista sanitario di esimersi dalla responsabilità medica, è divenuto oggi un diritto di massima importanza per il paziente giacche il suo esercizio prevede la completa consapevolezza di chi vuole avvalersene: il paziente deve conoscere le cure a cui vuol sottoporsi, gli eventuali effetti collaterali ed ogni altra informazione utile, e solo dopo potrà decidere se aderirvi o rifiutare.

La mancanza di un valido consenso all’esecuzione di un trattamento terapeutico o chirurgico è stata dichiarata dalla giurisprudenza di legittimità una violazione tanto dell’art.32 comma II, quanto

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dell’art.13 della Costituzione a tutela dell’inviolabilità della libertà personale5.

Il diritto del paziente al rifiuto delle cure può dunque spingersi fino alla morte6: tale giurisprudenza sembra discostarsi dal disposto dell’art.5 del Codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo <<quando cagionino una diminuzione permanente della

propria integrità fisica>>.

Pur dovendo considerare la possibilità che un individuo possa essere coattivamente sottoposto ad un trattamento sanitario a causa di esigenze di salute pubblica non si può prescindere dal fatto che in condizioni di “normalità” l’inosservanza da parte del medico delle volontà espresse dal paziente, il quale rifiuti consapevolmente la sua sottoposizione ad un trattamento medico, configuri un’ipotesi di violenza privata.

Il diritto del paziente a prestare consenso ad un intervento solo dopo essere stato adeguatamente informato dal medico rappresenta un precetto universalmente riconosciuto da tutti gli Stati moderni. Lo stesso “Codice di deontologia medica” riporta all’art.35 che <<Il

medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e\o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato dal paziente o in presenza di dissenso informato>>.

Di seguito all’art.36 viene ribadito che <<Il medico assicura

l’assistenza indispensabile, in condizioni d’urgenza e di emergenza, nel rispetto delle volontà espresse o tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se manifestate>>.

Il nuovo “Codice di deontologia medica” all’art.17 “Atti finalizzati a provocare la morte”, ci tiene inoltre a precisare che:

5 Cfr.,” Cass. civ., sez. III, 2006, n.5444; Cass.civ, 2004, n.14638”

6 Cfr., G.Razzano, “Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva

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<<Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né

favorire atti finalizzati a provocare la morte>>.

In proposito è necessario ricordare che il medico è comunque obbligato ad incoraggiare il paziente a curarsi, tant’è che in nessun caso il malato potrebbe far valere un presunto diritto al suicidio assistito.

Le problematiche del consenso informato non concernono solo le modalità con cui vengono date le informazioni al paziente e il modo con cui esso lo esprime, ma anche le ipotesi in cui l’autorizzazione alle pratiche sanitarie non possa essere manifestata.

Si fa in proposito riferimento al caso di soggetti affetti da particolari patologie o incapaci di esprimere il loro assenso a pratiche salvavita (es: vittime di un terremoto), oppure a circostanze ove il consenso debba essere espresso da soggetti incapaci di agire (interdetti, inabilitati e minorenni).

In quest’ottica appare necessario determinare i confini tra diritto alla salute e diritto alla vita: <<..può la libertà di non essere curati arrivare

a provocare la morte della persona? In dottrina si è parlato oltre che di un “diritto ad essere malati” anche, con espressione

provocatoriamente impropria, di un “diritto a morire”>>7.

Quando l’interesse in gioco non prevede un pericolo per gli interessi della collettività il rifiuto a ricevere cure può spingersi fino al prevalere della malattia e alla morte dell’organismo, invece quando ad essere in gioco sono interessi irrinunciabili collegati alla persona umana l’esercizio della “liberà negativa” trova il limite della Costituzione.

A) Libertà positiva

7 Cit., R.Balduzzi e D.Servetti, “La garanzia costituzionale del diritto alla salute…”

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L’individuo ha diritto a scegliere come curarsi dichiarandolo al medico nel rispetto della garanzia del consenso informato il quale risulterà valido non solo per decidere il “se”, ma anche il “come”. Tale decisione può tuttavia essere limitata da interessi economico-finanziari e di ordine programmatico.

Il problema più antico attiene alla libertà di scelta del medico di famiglia che è libera ma limitata dall’elenco dei medici convenzionati al “Servizio sanitario nazionale”, oppure alla facoltà di scegliere se farsi curare in una struttura pubblica o in una privata purché entrambe convenzionate col “Servizio pubblico nazionale” e dietro prescrizione del medico di famiglia.

L’individuo è libero nel determinare i trattamenti a cui sottoporsi, a patto che questi siano ricompresi all’interno dei limiti essenziali di assistenza e che disponga della prescrizione medica senza la quale non potrebbe usufruire di alcune pratiche.

Oltre a queste prestazioni ne esistono alcune che sono vietate perché considerate dannose, altre definite inappropriate ma non vietate (per questo interamente a spese del paziente) e per ultime vi sono le prestazioni innovative sottoposte a processo di sperimentazione delle quali la Corte Costituzionale ha disposto l’accesso in forma gratuita in favore di tutti quei soggetti economicamente svantaggiati per i quali la terapia costituisce l’ultima chance per sopravvivere.

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1.1.2.1. Differenza tra rifiuto, rinuncia e richiesta di morire del paziente cosciente

Per accertare la responsabilità penale del medico è fondamentale stabilire << il rapporto di causalità diretta, immediata e necessaria

tra l’atto e il comportamento dell’operatore sanitario e l’evento morte>>8.

Oltre a tenere ben presente la distinzione tra paziente cosciente e non è allo stesso modo necessario distinguere l’ipotesi in cui il paziente cosciente “rifiuti” il trattamento consigliatogli dal medico, da quella in cui “richieda” espressamente al medico l’adozione di una condotta commissiva o omissiva volta ad anticipare il momento della morte. Nel primo caso il paziente assumendosi l’intera responsabilità della sua decisione interrompe la relazione col medico decidendo di addivenire al suo decesso in modo naturale, tutt’altra situazione è invece quella in cui il paziente chieda al medico di mettere in atto una condotta di “assistenza al suicidio”, sia che questa consista in un’azione, un’omissione, o nella rimozione di un presidio “lifesustaining”9.

L’elemento che principalmente differenzia queste due ipotesi è la relazionalità tra medico-paziente.

Quando l’individuo degente rifiuta di sottoporsi ad una cura nonostante le raccomandazioni del medico, il dialogo medico-paziente viene meno poiché il malato con la sua scelta lo interrompe; diversa situazione è invece quella del paziente che richieda assistenza al suicidio poiché in questo caso si suppone necessario che il medico intervenga.

8 Cit., G.Razzano, “Dignità nel morire, eutanasia e…” cit. pag.94

9 Cfr., F.Mantovani, “Biodiritto e problematiche di fine vita”, in riv. “Criminalia”,

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Dunque quest’ultima circostanza non può essere considerata affare privato ma bensì una questione relazionale che implica la collaborazione tra le due figure soprarichiamate.

Ogni qual volta un individuo rivendichi un diritto vi è sempre un corrispondente dovere di ottemperarvi: in questo specifico caso si configurerebbe il dovere da parte del medico di soddisfare la richiesta di morte che le sia stata rivolta attraverso un suo diretto intervento. La somministrazione di un farmaco letale non può essere paragonata al rifiuto espresso del paziente di essere sottoposto ad un intervento di amputazione, trasfusione, o ad altro trattamento che si configuri come accanimento perché sproporzionato e non più efficace ai fini della protezione della vita10: in proposito non possiamo parlare di “rifiuto” ma bensì di “rinuncia” ad un trattamento divenuto inefficace.

Poiché l’ordinamento giuridico italiano esclude che si possa addivenire ad un rapporto giuridico che presupponga la morte, pare chiaro che tale precetto valga ancor di più nel rapporto tra medico-paziente11.

1.1.3. Inviolabilità del diritto alla salute in relazione

agli articoli 2 e 3 della Costituzione

Essendo il diritto alla salute un diritto a fattispecie complessa, esso intrattiene rapporti con varie norme costituzionali tra le quali citiamo gli articoli 2 e 3 della Costituzione.

 Articolo 2

L’articolo 2 della Costituzione esprime la tutela dei diritti inviolabili i quali sono diretti a conservare e migliorare la dignità dell’uomo: per

10 Cfr., L.Eusebi, “Autodeterminazione: profili etici e biogiuridici”, in “Scritti in

onore di Franco Coppi”, II, Torino, Giappichelli, 2011, pag.961

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questa ragione sono considerati “non rivedibili” cioè intangibili nel loro nucleo di situazioni soggettive di cui ogni individuo deve godere. Fra i diritti compresi nell’art. 2 vi rientra anche il diritto alla salute per la sua stretta relazione con la dignità umana.

Il diritto alla tutela della salute prevede tutta una serie di prestazioni mediche che non possono essere negate alla collettività in quanto condizioni necessarie per la sopravvivenza, a testimonianza dello stretto legame che intercorre tra questo e i doveri di solidarietà.

 Articolo 3

Quanto al collegamento fra gli artt. 3 e 32 della Costituzione evidenziamo che esso si esprime in primo luogo nel concetto di “uguaglianza formale” riportata nel comma I dell’articolo 32 che postula l’eguale godimento del diritto da parte di tutti gli individui, precetto che ha persuaso ad ispirare il “Sistema sanitario nazionale” a principi di universalità e accessibilità.

In proposito il nesso tra gli artt. 3 e 32 è concretizzato dall’art. 117 della Costituzione comma II, lettera “m”, che attribuisce allo Stato potestà legislativa esclusiva sulla <<determinazione dei livelli

essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che

devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale>>12 assicurando

a tutti gli individui di poter beneficiare dei livelli essenziali delle prestazioni in qualsiasi parte del territorio italiano.

Sempre all’art. 3, il comma II reca un esempio di “uguaglianza sostanziale” quando richiama il compito della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che potrebbero inficiare la libertà e l’uguaglianza di ciascun individuo: garantire il diritto alla salute significa anche assicurare il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale tra tutti i

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soggetti, i quali come abbiamo già detto, senza un buono stato di salute potrebbero veder compromesso il godimento di tutti gli altri diritti. Infine il legame col art. 3 è testimoniato dal fatto che il Sistema sanitario è pubblico e per giunta capace di garantire l’equo godimento del diritto indipendentemente dalle condizioni socio-economiche di ciascun individuo13.

1.2. Diritto alla salute fisica e psichica collegato agli atti

di disposizione del corpo

Il recente sviluppo tecnologico e scientifico che essenzialmente caratterizza la nostra epoca ha indotto studiosi e giuristi ad interessarsi alle ripercussioni innescate sulle pratiche biomediche, in particolare sulle problematiche inerenti “gli atti di disposizione del corpo”. Ad oggi il corpo è oggetto di attività finalizzate ad integrarlo, salvarlo, talvolta anche a modificarlo: la sua considerazione odierna si presenta in forma “parcellizzata” consentendo interventi di manipolazione mirati su ciascuna parte di esso che talvolta sono a vantaggio della persona interessata, come nel caso del transessualismo, ed altre volte a vantaggio di terzi, come nell’ipotesi di utero in affitto.

La nuova frontiera raggiunta dalla medicina ha causato dunque non poche preoccupazioni circa le conseguenze che potrebbero derivare da tale predisposizione quali problematiche di identità e incompatibilità con le norme costituzionali, e circa l’uso che i privati potrebbero fare del proprio corpo.

E’ doveroso dunque puntualizzare fino a che punto è concesso disporre del proprio corpo definendo con precisione i limiti entro i quali

13Cfr., R.Balduzzi e D.Servetti, “La garanzia costituzionale del diritto alla salute e

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24

alienare singole parti di esso: <<conciliare il bisogno di progresso con

l’esigenza di tutelare i fondamentali diritti dell’individuo>>14.

La libertà di autodeterminazione riconosciuta dalla Costituzione all’individuo necessita di condizioni che disciplinino i termini di esercizio di tale diritto.

In proposito non è possibile individuare una soluzione unitaria ma sarà necessario operare un bilanciamento dei valori coinvolti nel singolo atto di disposizione, e nonostante ciò in talune circostanze riscontreremo che anche attraverso l’interpretazione dei valori costituzionali implicati potrà verificarsi che in relazione ad uno stesso evento siano date definizioni diverse.

Per tutto ciò che attiene alla vita umana spiccano visioni etiche contrapposte che rendono ancor più complicato giungere ad una soluzione unanime di temi tanto delicati: in materia eutanasica, per esempio, si nota la contrapposizione tra il diritto alla vita e l’invocazione ad una morte dignitosa.

Ciò che accomuna teorici e studiosi della materia è l’ideologia sostenuta da giurisprudenza e dottrina secondo le quali l’integrità psicofisica sia irrinunciabile ed è dunque fatto divieto di rendere il corpo umano protagonista di vincoli contrattuali: sottoporre il proprio corpo a contratto significherebbe infatti ledere la dignità umana in funzione di interessi economici.

14 Cit., L.Chieffi, “Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanzie

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1.2.1. Le fonti che regolano gli atti di disposizione del

corpo

Al centro della normativa regolatrice degli atti di disposizione del corpo incontriamo l’articolo 5 del Codice civile il quale fa specifico divieto di disporre del proprio corpo quando tale condotta cagioni una diminuzione permanente dell’integrità fisica o sia contraria alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

Nonostante la centralità occupata dall’art.5 nel ordinamento italiano, non si può prescindere dall’effettuare una lettura congiunta dello stesso con gli artt.2,3,13 e 32 della Costituzione in moda da stabilire la portata della libertà di disposizione del proprio corpo, e verificare se questa possa includere anche gli atti di disposizione “estrema” del corpo.

L’art. 2 assicura la libertà di autodeterminazione garantendo all’individuo, sia come singolo che nelle formazioni sociali, il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo.

Con tale norma i costituenti hanno voluto affermare i fondamentali principi di uguaglianza e dignità della persona i quali devono essere supportati, come riportato dall’art. 3 comma II della Costituzione, da un intervento attivo della Repubblica che dovrà rimuovere gli ostacoli di ordine socio-economico che potrebbero ledere siffatto diritto. L’art. 13 della Costituzione individua il corpo come ambito di espressione di ciascun soggetto, come entità sulla quale sono ammesse pratiche che rendono effettiva tale facoltà e dunque danno la possibilità a ciascun soggetto di rivelare se stesso: in considerazione dell’odierna affermazione dei diritti civili, il corpo diviene il mezzo per esprimere idee, emozioni e desideri.

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Si ammette dunque che tale potere si esplichi anche nell’ammissibilità di scelte inerenti la propria vita sessuale e procreativa (es: sterilizzazione volontaria).

Infine l’art. 32 contempla il diritto alla salute fisica e psichica nella tutela del benessere e delle condizioni di vita degli individui quali valori passibili di conservazione e promozione per il pieno sviluppo della persona.

L’affermazione della libertà personale, del diritto alla salute e della dignità della persona testimoniano che il Legislatore costituente si è espresso in senso positivo in riferimento alla libertà di disposizione del corpo: a sostegno di questa tesi si presentano varie pronunce giurisprudenziali che hanno confermato tale inclinazione, nonché l’interpretazione data all’articolo 5 del c.c. che vieta gli atti di disposizione solo quando questi possano causare una diminuzione permanente delle capacità fisiche dell’individuo.

Quanto alla valutazione della possibilità di porre in essere atti di disposizione estrema, i quali potrebbero spingersi fino al compimento di azioni come la morte, asseriamo che la risoluzione del problema richiede un’attenta valutazione dei principi costituzionali in gioco. Ne discende la generale legittimità di disporre della propria vita in coincidenza del diritto alla salute attraverso la scelta delle cure che ciascun individuo ritiene più adeguate per se stesso o optando eventualmente per non essere curato affatto15.

Tuttavia è da sottolineare che, nonostante quanto appena affermato, l’individuo non potrà essere considerato completamente libero nel prendere decisioni inerenti la propria sfera fisica poiché esistono principi costituzionali che talvolta collidono col diritto all’autodeterminazione.

15 Cfr., M.C Venuti, “Gli atti di disposizione del corpo”, Milano, Giuffrè, 2002,

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27

Preciseremo più avanti quali sono i principi contrapposti al diritto all’autodeterminazione.

1.2.1.1 Complicazioni interpretative in caso di contrasto tra integrità fisica e autodeterminazione

Integrità fisica e autodeterminazione sono valori costituzionalmente tutelati suscettibili a mutamento nel tempo.

La garanzia dell’integrità fisica dall’aggressione da parte di terzi è sancita dall’art.32 della Costituzione comma I, mentre la libertà di decidere in ordine agli atti di disposizione del proprio corpo viene tutelata dagli artt. 13 e 32 comma II della Costituzione rispettivamente nella sua accezione positiva e negativa.

Proprio in considerazione del rango costituzionale riconosciuto alla libertà di autodeterminazione una parte della dottrina ha denunciato l’illegittimità dell’art.5 c.c. perché limitativo del diritto alla salute e della libertà di disporre del proprio corpo.

In proposito due sono le teorie che si sono affermate sulla questione: la prima riconosce la libertà di autodeterminarsi come principio generale al quale possono essere addotte delle eccezioni, la seconda invece riconosce come principio-base l’indisponibilità dell’integrità fisica salvo deroghe espressamente riconosciute.

Particolarmente problematico risulta essere il bilanciamento tra integrità fisica e autodeterminazione qualora queste fossero concretamente in contrasto tra di loro.

Nessun dubbio sorgerebbe allorché entrambe fossero perseguibili, tutt’altra questione sarebbe il caso in cui l’atto volto a soddisfare uno di questi due principi vada a collidere col altro.

Per stabilire quale dei due valori debba avere la precedenza sarà necessario apprestarci ad eseguire una valutazione del caso di specie,

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distinguendo l’ipotesi in cui l’atto di disposizione venga personalmente eseguito dal soggetto destinatario dei suoi effetti, da quella in cui gli effetti dell’atto abbiano ripercussioni su soggetti terzi. Con riguardo alla prima ipotesi è pacifica la predisposizione a consentire al soggetto di garantire la sua libertà indipendentemente dal caso concreto in quanto una diversa soluzione potrebbe essere accettabile solo qualora il nostro ordinamento avesse accolto il principio utilitaristico, in base al quale la persona è vista come soggetto necessario alla realizzazione degli obiettivi fissati dallo Stato. Data l’adozione del principio personalista fondato sulla massima realizzazione dell’individuo a cui lo Stato deve volgere, è compito delle istituzioni garantire il principio di autodeterminazione dell’individuo che non potrebbe aversi qualora la libertà di disporre del proprio corpo non prevalesse sull’integrità fisica.

Questione totalmente diversa e molto più complicata riguarda l’ipotesi in cui l’atto di disposizione vada ad incidere sulla sfera personale di soggetti terzi, o perché richieda di essere eseguito da personale medico, oppure perché realizzato a beneficio altrui.

In questa circostanza lo Stato è obbligato a scongiurare la lesione dell’integrità fisica ad opera di terzi anche qualora il soggetto destinatario dell’atto lo consenta. Il caso di specie dovrà essere esaminato alla luce dei fini generali posti dall’ordinamento16.

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1.2.2. Riflessioni circa l’articolo 5 del Codice

civile

<<Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando

cagionino una diminuzione permanente delle integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume>>. (Art.5 Codice civile)

1.2.2.1. Una disposizione non più attuale

L’articolo che ci accingiamo ad esaminare, il quale è collocato presso le disposizioni del titolo primo del I° libro del Codice civile, si presenta come il riecheggio di un tempo passato contrassegnato dall’ideologia fascista ove lo Stato richiedeva ai propri uomini di adempiere alle fondamentali funzioni di difesa della patria, di riprodurre la propria stirpe, occuparsi della famiglia, di essere lavoratori ed individui impegnati nello sviluppo demografico del proprio paese17.

Di conseguenza si consentiva di poter disporre del proprio corpo ad esclusione dell’ipotesi in cui si potessero verificare menomazioni permanenti e irreversibili dell’integrità fisica tali da non permettere di perseguire i fini e svolgere le funzioni che lo Stato giudicava come essenziali.

L’occasio legis della norma risale al caso di un ricco signore originario di Napoli che stipulò un contratto con un giovane studente per ricevere, dietro corrispettivo, una ghiandola sessuale che gli avrebbe permesso di recuperare la virilità ormai sfiorita con l’avanzare della vecchiaia.

17 Cfr., M.Forino, “Le diseguaglianze per natura e le risposte del diritto: il problema

dei limiti alla autodeterminazione dei soggetti”, in “Atti di disposizione del proprio corpo”, a cura di R.Romboli, Pisa, Plus, 2007, pag.31

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Tale questione che al tempo suscitò scalpore pose problematiche quali la responsabilità penale del medico che si adoperò ad eseguire l’operazione di trapianto e il valore scriminante del consenso prestato dal ragazzo18.

Fu proprio la necessità di regolare gli atti di disposizione del corpo compiuti in favore di terzi che indusse il legislatore del “39 ad adottare un dettato legislativo in grado di normare la materia.

La disposizione in esame oltre ad essere di difficile interpretazione in riferimento al significato dei concetti “atto di disposizione”, “diminuzione permanente”, e “integrità fisica”, appare in considerazione del progresso scientifico e tecnologico attuale <<superata e priva di qualsiasi reale significato, inadeguata a

risolvere i problemi posti e sollevati da alcune più recenti disposizioni del proprio corpo, arretrata e ormai non più recuperabile neppure

attraverso un’interpretazione estensiva e evolutiva>>19.

Lo status fisico della persona che il legislatore intendeva rappresentare col concetto di “integrità fisica” ad oggi viene più compiutamente espresso attraverso il concetto di salute, permeato tanto da elementi materiali quanto psicologici20.

Nel rapporto tra l’individuo ed il proprio corpo, quest’ultimo viene concepito <<non come elemento inscindibile della persona umana, ma

come oggetto autonomo e separato da essa su cui esercitare i propri poteri e i diritti reali e personali>>21.

In proposito alcuni importanti studiosi della materia asseriscono dunque che non si debba più parlare di “potere di disposizione del

18 Cfr., ibidem, pag.225 ss.

19 Cit., R.Romboli, “ La libertà di disporre del proprio corpo”, Bologna, Zanichelli,

1989, pag.225

20 Cfr., M.Forino, “Le diseguaglianze per natura e le risposte del diritto…” cit.

pag.31

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31

proprio corpo” ma bensì di “libertà” circa azioni e attività che hanno incidenza su di esso, sia che queste siano perpetrate dal diretto interessato, sia tramite terzi.

La disposizione in esame enuncia un principio di carattere generale valido per qualsiasi attività concernente la sfera fisica: tale posizione limitativa del principio di autodeterminazione è stata talvolta di ostacolo alla possibilità di realizzare interventi medici e chirurgici in grado di migliorare la condizione di salute degli individui.

A ragione di ciò l’art.5 è stato oggetto di modifiche tacite che hanno comportato notevoli trasformazioni.

Innanzitutto si rese forte la necessità di includere nella nozione di “integrità fisica”, intesa come qualcosa di esteriore che doveva essere conservato, anche quella di salute psichica in modo da consentire una valutazione unitaria della persona; successivamente anche il limite della “diminuzione permanente” subì delle eccezioni quando la lesione, seppur permanente, avesse proprio lo scopo di salvare la salute e l’integrità della persona: è il caso ad esempio dell’amputazione di un arto che abbia lo scopo di impedire che la cancrena si diffonda in tutto il corpo.

La dottrina invero ha sempre asserito che l’art.5 non dovesse essere applicato alle pratiche chirurgiche, nonostante ciò il prof.re Roberto Romboli non ritiene che tale conclusione sia così ovvia poiché l’articolo in esame, come già detto, è da ritenersi un principio di generale applicazione22.

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1.2.2.2. Le limitazioni previste per gli atti di disposizione del corpo

La nozione di “diminuzione permanente dell’integrità fisica” è stata usata dal legislatore del “39 quale limite speciale alla facoltà di disporre del proprio corpo.

In relazione a tale concetto si sono affermate due diverse correnti interpretative.

Una parte della dottrina asserisce che la valutazione della lesione debba essere svolta alla luce di parametri quantitativi e anatomici, mentre la dottrina maggioritaria tende a darne una valutazione in termini qualitativi considerando il soggetto nei rapporti intrattenuti con i suoi simili, parlando dunque di <<danno che modifica realmente

e sostanzialmente il modo di essere dell’individuo, sotto il profilo dell’integrità funzionale o anche sotto il solo profilo dell’integrità anatomica nel caso di modificazioni peggiorative del complesso fisiognomico, che alterano il modo di essere dell’individuo in rapporto all’ambiente, diminuendone le sue risorse caratterizzanti e in definitiva la sua capacità di vita di relazione>>23.

Accanto alla limitazione di ordine speciale possiamo individuare anche limitazioni di ordine generale che l’art.5 presenta nell’ordine della contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Il concetto di ordine pubblico richiama i principi fondamentali dell’ordinamento citati nella Costituzione che come tali non sono superabili.

La nozione di buon costume è tanto labile da essere suscettibile di continue mutazioni, non solo da un’epoca storica all’altra, ma anche di persona in persona con evidenti conseguenze discriminatorie.

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Data dunque la sua genericità, il concetto di buon costume è stato oggetto di una duplice interpretazione: da una parte vi è la tesi penalistica secondo cui nella nozione di buon costume debba rientrarvi solo la sfera sessuale, dall’altra la tesi costituzionalistica in base alla quale il concetto dovrebbe avere una portata più ampia rapportabile alla comune coscienza morale.

Alla luce di ciò è possibile affermare che il limite dell’ordine pubblico si impone al limite speciale della diminuzione permanente dell’integrità fisica proprio per il richiamo ai valori costituzionali, e quello del buon costume invece ha valenza residuale nel senso che potrà essere preso in considerazione quando verrà accertato che non vi sia stata una diminuzione permanente dell’integrità fisica: solo in quest’ultimo caso potremo allora affermare che l’atto sarà illecito se contrario al buon costume, viceversa se l’atto avrà effettivamente causato una diminuzione permanente il suo rapporto con esso sarà superfluo24.

1.2.2.3. Eutanasia: un fenomeno di difficile regolamentazione

Nonostante le proposte di legge presentate nel corso degli anni la materia eutanasica non ha ancora trovato regolamentazione nel nostro paese.

I valori costituzionali che concernono la questione sul fine-vita sono il principio di solidarietà, rispetto della dignità della persona e della realizzazione della personalità umana, libertà di autodeterminazione, dignità nel morire, sacralità e indisponibilità della vita.

Si definisce “eutanasia passiva” la condotta di chi si astiene dal somministrare cure o trattamenti di idratazione e alimentazione artificiali, mentre si indica col concetto di “eutanasia attiva” l’azione

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commissiva di chi mette in atto un comportamento che ha come scopo quello di porre fine alla vita.

In riferimento alla prima assistiamo allo scontro tra diritto alla vita, che giustifica la sanzione verso qualsiasi forma di eutanasia, e il diritto a vivere una “vita naturale” in rigetto di un’esistenza divenuta ormai esclusivamente artificiale, in affermazione del principio della dignità della persona.

L’opinione pubblica sembrerebbe orientata a legalizzare l’eutanasia passiva, tant’è che nella prassi ospedaliera è comunemente accolta la pratica di procedure di eutanasia passiva come la dimissione del paziente in stato terminale dal luogo di cura, il quale verrà trasferito nella propria abitazione ove non potrà usufruire dei trattamenti che invece potrebbe ricevere all’interno dell’ospedale.

Appare invece più delicata la questione attinente l’ammissibilità della procedura attiva rispetto alla quale una buona parte dell’opinione pubblica e di esperti in bioetica non approva che il valore dell’indisponibilità della vita umana sia surclassato da sentimenti di pietà e solidarietà.

Negli anni dottrina e forze politiche hanno tentato di elaborare proposte che potessero addolcire l’eccessivo rigore che ruota attorno alla materia sviluppando alcune risposte al problema.

Alcuni proposero di ammettere l’istituto della “grazia” in modo che il disvalore del fatto potesse essere bilanciato con la coscienza popolare: tale soluzione, che da alcuni fu definita un <<volgare ripiego>>25, venne rigettata perché considerata appunto inefficace ai fini della risoluzione della questione.

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Altri proposero l’introduzione della fattispecie di reato de “omicidio per pietà”, o la previsione dell’attenuante della “pietà” in riferimento all’art.579 c.p. per “omicidio del consenziente”26.

Nonostante i fallimenti passati diversi furono gli sforzi per dare forma ad un progetto regolante la disciplina sul fine-vita.

Il primo importante disegno di legge in materia fu presentato nel 1985 dall’onorevole Loris Fortuna il quale si propose di normare il fenomeno dell’eutanasia passiva.

Il progetto si ispirava in parte al “Natural Death Act” approvato nel 1976 in California allo scopo di contrastare l’accanimento terapeutico. Il disegno di legge avrebbe consentito al medico di non sottoporre i pazienti a terapie di sostentamento oppure di sospenderle quando fossero divenute inefficaci, ad esclusione dell’ipotesi in cui l’individuo non avesse espresso volontà contraria.

Lo specialista avrebbe potuto applicare la procedura sopra richiamata solo a seguito del nulla osta di un collegio medico che avrebbe avuto il dovere di accertare lo stato terminale del degente e successivamente comunicare l’avvio del procedimento ai conviventi dello stesso purché di età non inferiore a 16 anni, o in mancanza ad un ministro di culto cui l’infermo avrebbe potuto appartenere.

Quest’ultima ipotesi è stata formulata in relazione a vittime di incidenti stradali, o soggetti che vivevano da soli, per i quali si sarebbe fatto riferimento ad una presunzione di appartenenza ad un certo culto che non sempre sarebbe stato possibile stabilire.

I soggetti conviventi col paziente, unitamente ad ascendenti e discendenti in linea diretta ed ai parenti collaterali entro il secondo grado dell’infermo di età non inferiore a 16 anni, avrebbero potuto opporsi al Presidente del Tribunale presso la circoscrizione ove il

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paziente fosse stato ricoverato in modo da poter autorizzare l’interruzione della procedura27.

La proposta di legge successiva arrivò dopo 15 anni quando il deputato di “Rifondazione comunista” Giuliano Pisapia presentò un testo intitolato “Interruzione volontaria della sopravvivenza”28.

Il progetto di legge Pisapia si componeva di 3 articoli: al primo articolo si riconosceva il diritto della persona in fase terminale della malattia ad optare per la morte anticipata, al secondo si richiedeva la compilazione di un documento ove il paziente avrebbe potuto rilasciare le proprie volontà, e al terzo si sollecitava la depenalizzazione del reato di eutanasia attuando la non punibilità per i delitti previsti ex artt. 579 e 580 del Codice penale29.

Dal 2000 ad oggi le proposte di legge a riguardo sono state numerose. Esponenti di vari partiti politici hanno tentato di normare l’eutanasia, il testamento biologico, il consenso informato e l’accanimento terapeutico.

Nel 2006 in coincidenza del “Caso Welby” furono depositate ben 8 proposte di legge, nessuna delle quali riuscì a passare oltre le commissioni “Giustizia e Affari Sociali” cui furono affidate.

Nel 2009 si è invece assistito alla discussione in Parlamento del decreto “salva- Eluana” avente lo scopo di impedire che i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiali fossero sospesi alla sig.ra Englaro.

Infatti dopo che la Corte di Appello di Milano riconobbe al sig. Beppino Englaro, padre di Eluana, il diritto di interrompere i trattamenti che tenevano in vita la figlia, il Consiglio dei Ministri si

27 Cfr., ibidem, pag. 308 ss.

28 Cfr., A.Soldo, “Una legge sull’eutanasia: un percorso lungo trent’anni”, in

rubrica “Fai notizia”, www.radioradicale.it, 2013

29 Cfr., T.Scandroglio, “Augias, Pisapia, e l’eutanasia”, in

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37

mobilitò con la redazione di provvedimenti che potessero impedire l’interruzione dei trattamenti di sostentamento vitale.

In un primo momento fu concepito un decreto che venne poi bocciato dal Presidente della Repubblica a causa della presenza di vizi di incostituzionalità.

Successivamente fu realizzato un progetto di legge che in breve tempo arrivò al Senato.

Durante la discussione in sessione straordinaria al Senato del decreto “salva-Eluana” arrivò la notizia che la sig.ra Englaro era deceduta, così il progetto di legge fu ritirato nell’attesa di addivenire ad un testo maggiormente articolato ed esaustivo del tema trattato30.

Concepito al fine di vietare tutte le procedure mortifere, nel 2009 fu discusso al Senato il disegno di legge Calabrò, “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato, e dichiarazioni anticipate di trattamento”, pensato come testo base per la regolamentazione del testamento biologico.

Tuttavia la fine anticipata della legislatura ne impedì la definitiva approvazione.

Il progetto di legge che si componeva in toto di 10 articoli, disponeva ai primi 3 l’inviolabilità della vita umana e la tutela della salute come fondamentale diritto del cittadino, in particolare gli artt. 2 e 3 vietavano l’eutanasia attiva e il suicidio assistito.

L’art. 4 andava a disciplinare il consenso informato, mentre il 5 regolava i contenuti delle dichiarazioni anticipate sottolineando l’assoluto divieto di fare richiesta di eutanasia attiva, e l’impossibilità di rifiutare i trattamenti di idratazione e alimentazione artificiale in quanto forme di sostegno vitale.

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Gli artt. 6,7, e 8 richiedevano che le dichiarazioni di volontà anticipate fossero redatte in forma scritta da soggetti maggiorenni capaci di intendere e di volere alla presenza di un notaio.

Tali dichiarazioni avrebbero potuto essere modificate in qualsiasi momento ed avrebbero avuto una validità triennale dopodiché avrebbero dovuto essere rinnovate.

Si prevedeva inoltre la nomina di un fiduciario la cui eventuale testimonianza discordante rispetto alle volontà anticipate rilasciate dal diretto interessato avrebbe consentito al medico di non osservare quanto riportato nelle dichiarazioni, il quale avrebbe dovuto motivare la sua scelta nella cartella clinica del paziente.

In caso di disaccordo tra le due parti la questione sarebbe dovuta essere portata all’attenzione di un collegio di medici della struttura in cui il paziente fosse stato ricoverato in modo da addivenire ad una soluzione della diatriba.

Infine gli artt. 9 e 10 disciplinavano eventuali contrasti tra soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario per un soggetto terzo: la decisione sarebbe stata assunta dal giudice tutelare su richiesta del pubblico ministero.

Nelle disposizioni finali veniva fatto accenno ad un registro unico nazionale contenente le dichiarazione anticipate consultabile in via telematica da notai, dall’autorità giudiziaria, dai dirigenti sanitari, e dai medici responsabili del trattamento sanitario in caso di incapacità del paziente31.

Attualmente le commissioni “Affari Sociali e Giustizia” di Montecitorio si stanno occupando di alcune proposte di legge inerenti la tematica dell’eutanasia.

31 Cfr., Disegno di legge “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso

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Il primo progetto è quello ad iniziativa popolare risalente al 2013 per il quale sono state raccolte quasi centomila firme.

Promosso dall’associazione Luca Coscioni insieme alle associazioni “Exit” e “Uaar”32, il disegno di legge consta di 4 articoli ove in

apertura si ricordano noti casi di accanimento terapeutico avvenuti nel nostro paese (Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, ecc...), per poi riconoscere il diritto di ogni cittadino a rifiutare o sospendere i trattamenti vitali.

Si richiedono requisiti fondamentali per poter formulare simili richieste quali la maggiore età, la capacità di intendere e di volere, il patimento di gravi sofferenze dovute ad una malattia incurabile che condurrà il paziente alla morte nel tempo massimo di 18 mesi.

E’ necessario che il paziente sia stato adeguatamente informato circa le proprie condizioni cliniche e delle possibili alternative mediche esistenti.

Inoltre il progetto di legge richiama il personale medico e sanitario al rispetto delle volontà manifestate dal paziente, in caso contrario i soggetti soprarichiamati saranno suscettibile di responsabilità penale e civile e obbligati al risarcimento del danno morale e materiale provocato dal loro comportamento.

Un’altra proposta è stata depositata da “Sinistra Italiana”, la quale consta di 12 articoli dal contenuto paradossalmente simile alla proposta popolare, con l’aggiunta che in questo caso viene ancor più valorizzato il dialogo medico-paziente e l’importanza di richiedere il parere di un altro specialista circa le condizioni cliniche del soggetto malato.

32 “Exit Svizzera italiana”: associazione che si propone di assistere tutti i cittadini

affetti da patologie gravi e irreversibili per garantire loro tutte le cure palliative necessarie ed eventualmente assisterli ed accompagnarli alla Morte Volontaria Assistita secondo quanto predisposto dalle norme vigenti in Svizzera.

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Le dichiarazioni redatte dal paziente avranno valenza quinquennale e potranno essere revocate in ogni momento.

Altro progetto è stato avanzato dal partito “Alternativa Libera-possibile” che con un unico articolo richiama il dovere del medico al rispetto delle volontà espresse dal paziente senza che questo possa dichiarare obiezione di coscienza33.

1.3. Attitudine del livello sovranazionale europeo a

trattare il tema dell’autodeterminazione

Le norme costituzionali e codicistiche devono essere lette alla luce di principi superiori di rango internazionale che riservano alla disciplina dei diritti dell’uomo e della sua corporeità una significativa attenzione.

1.3.1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell’uomo

La “Convenzione europea per i diritti dell’uomo” redatta nell’ambito del Consiglio europeo e siglata a Roma nel Novembre del 1950 da 12 Stati membri, per poi entrare in vigore nel 1953 si pone l’obiettivo di proteggere i diritti fondamentali dell’essere umano.

Ai fini dell’analisi da noi svolta sarà necessario soffermarci sull’art.2 della Cedu il quale si colloca a protezione della vita umana.

In relazione al suddetto articolo i giudici della Corte di Strasburgo hanno affermato con decisione il dovere da parte degli Stati membri di emettere norme a protezione della vita, soprattutto in funzione di soggetti vulnerabili che potrebbero subire abusi ad opera di

33 Cfr., G.Velardi, “Eutanasia, il Parlamento si muove: a Montecitorio inizia la

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organizzazioni che si occupano di fornire assistenza al suicidio perpetrato in ambito medico.

Nonostante la precedente asserzione la Corte Edu concede agli Stati la facoltà di valutare attentamente i rischi che potrebbe comportare un’attenuazione del divieto al suicidio assistito o la creazione di eccezioni alla tutela della vita34.

1.3.2. La Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea

La “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” siglata a Nizza dal Consiglio europeo nel 2000, dedica al corpo l’articolo 3 che riconosce a ogni individuo il diritto all’integrità fisica e psichica, in particolare in coincidenza di pratiche mediche dispone l’obbligatorietà del consenso libero ed informato, il divieto di rendere il corpo uno strumento per ottenere vantaggi economici, il divieto di praticare la clonazione umana, nonché il divieto di pratiche eugenetiche che abbiano lo scopo di selezionare la persona35.

34 Cfr., G.Razzano, “Dignità nel morire, eutanasia, e…” cit. pag. 104 35 Cfr., ibidem, pag.11 ss.

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