• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3: FOCUS SUL PANORAMA SUBACQUEO DEL

3.5 LE GRANDI POTENZE NEL MEDITERRANEO ALLARGATO

Stati Uniti, Russia e Cina costituiscono il vero ago della bilancia della stabilità e sicurezza di un Mediterraneo Allargato in cui si affacciano molteplici interessi discordanti, sia sopra che sotto la superficie. A differenza della deterrenza subacquea inglese e francese, le tre super-potenze si distinguono per la possibilità di poter impiegare oltre ai mezzi residenti nelle varie aree del globo, anche di forze “di riserva” che in breve tempo sono in grado di raggiungere qualsiasi teatro operativo, a supporto del contingente impegnato. La mobilità strategica delle grandi potenze marittime è un fattore di primaria importanza in ambito geostrategico, in quanto garantisce di poter gestire situazioni di crisi su più continenti, essendo in grado di poter bilanciare lo sforzo da compiere in ragione degli effetti che si vogliono conseguire. Le capacità delle piattaforme subacquee della US Navy concepite durante la Guerra Fredda si rifanno ad una dottrina incentrata sul contrasto del naviglio sovietico, alla protezione delle unità subacquee lanciamissili balistiche, o su operazioni di proiezione di forza mediante l’impiego di missili balistici o da crociera, e sono tutte riconducibili ad una natura denominata “blue water navy”, cioè impiegabili nelle acque oceaniche e non in prossimità delle coste. Il crescente bisogno di poter operare in contesti di littoral warfare, dove è necessario saper affrontare agevolmente missioni su bassi fondali, ha portato i vertici statunitensi a riconsiderare la messa in servizio di unità subacquee in grado di potersi confrontare con la “brown-water navy”. Il primo accorgimento in tal senso è riscontrabile nel sottomarino USS Jimmy Carter, terzo ed ultimo esemplare della classe Seawolf , entrato in servizio nel 2005 e scelto come capostipite del “Multi-Mission Project, una serie di missioni innovative e di scelte tecniche proposte dal Defence Science Board113 e da uno specifico studio della National Defense

Industrial Association114. Questo programma era costituito da una serie di test volti a studiare l’evoluzione delle missioni dei sottomarini nel ventunesimo secolo. Il battello servì a supportare attività di “RDT&E115” classificate per future “NSW mission116”, sorveglianza tattica subacquea e innovativi concetti di guerra subacquea. Lo scafo fu allungato di circa 20 metri, in modo tale da consentire l’inserzione di un compartimento stagno, denominato Ocean Interface, e delle sistemazioni per una squadra di incursori. Nonostante questa modifica implicò una riduzione di un nodo della massima velocità, i

113 Comitato di esperti civili incaricato di consigliare il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti su

questioni scientifiche e tecniche.

114 Associazione di riferimento dell’insieme delle industrie della difesa statunitensi. 115

Research, Development, Test, and Evaluation

133

benefici operativi risultarono evidenti poiché il suo supporto risultò decisivo circa lo sviluppo di tattiche, procedure, tecniche e requisiti di manovra subacquei. Infatti fu previsto un motore ausiliario orientabile a 360° che fosse capace di esaltare le capacità di manovra dell’unità in acque ristrette e quindi in aree dove è maggiormente prevedibile un impiego di forze speciali. L’attuate classe di sottomarini nucleari d’attacco statunitensi risiede negli SSN Virgina, che man mano stanno sostituendo i classe Los Angeles. Progettate nei primi anni 2000, saranno completate per l’anno 2043 ben 48 unità la cui vita operativa si potrà protrarre sino al 2070. Attualmente sono in servizio tredici sottomarini e sei sono in via di sviluppo. Concepiti per operare in ambienti littoral a sostegno delle forze terrestri, possono svolgere attività tradizionali come la lotta antisommergibile, antinave e la raccolta d’informazione in ambiente ostile, e sono strutturati come piattaforme multiruolo grazie a degli specifici requisiti tecnico-operativi che garantiscono una elevata capacità di carico ampiamente variabile in termini di pesi, volumi e configurazioni. Invece di essere dotati di un insieme altamente integrato di sensori, processori ed armi specializzate, sono stati concepiti in modo da poter essere configurati a seconda delle esigenze. È stato fermamente deciso di contenere le dimensioni, 115 metri di lunghezza, 10 di diametro per 7,800 tonnellate di dislocamento in immersione, a fronte della riduzione di velocità intorno ai 28 nodi, comunque idonea a consentire la conduzione di operazione congiunte con naviglio di superficie. Il reattore nucleare tipo “S9G”, evoluzione di quello presente sulla classe Ohio, permette di raggiungere elevati gradi di discrezionalità subacquea senza ricorrere a complesse strutture dello scafo ed un risparmio di impianti ausiliari notoriamente rumorosi come pompe, valvole e tubolature. Come propulsore è stato scelto un idrogetto alimentato da un sistema elettrico che sfrutti al massimo l’energia generata dal reattore nucleare. Per raggiungere la massima discrezionalità acustica è impiegato un apposito modulo “MIDS117”. L’armamento è articolato su quattro tubi di lancio da 533

millimetri impiegabili sia per un munizionamento di 38 armi tradizionali come siluri o missili antinave, oppure per l’espulsione di mezzi subacquei unmanned, e da dodici pozzi per il lancio verticale di missili da crociera Tomahawk. Vi sono inoltre 14 lanciatori esterni da 152 millimetri ed uno da ricaricabile da 76 millimetri che sono adibiti al lancio di contromisure acustiche118.

In Mediterraneo allargato la Marina americana è il tradizionale player di maggior peso

117 Modular Isolated Deck Structure, metodo che associa la costruzione modulare e l’isolamento acustico di

macchinari, basamenti e ponti sottostanti.

118

Cosentino Michele, “Sotto gli Oceani: Evoluzione e Sviluppo delle Unità Subacquee”, Rivista Marittima, Supplemento Ottobre 2001, pp 244-246

134

politico e operativo le cui operazioni abbracciano tutti gli spazi marittimi essendo in grado di potervi operare grazie alle sue più recenti unità subacquee d’attacco classe Virginia, ma anche con gli SSGN Ohio, SSN Los Angeles. La Task Force 69, assegnata alla VI flotta, ha la responsabilità di operare con riguardo alla guerra sottomarina ed è composta da sottomarini d’attacco e lanciamissili guidati che sono capaci di distruggere naviglio di superficie e sottomarini. Meno noto è invece il loro ruolo di “sentinella” delle attività marittime che si svolgono tra Gibilterra e lo stretto di Hormuz, in particolare riguardo la presenza sottomarina russa.

Figura 63: Battello della classe Virgina

Nel corso dell’ultimo quinquennio infatti, la Russia ha rafforzato in maniera consistente la propria componente subacquea residente nel Mediterraneo allargato, destinando nel 2015 ben sei unità appartenenti alla terza versione della classe Kilo, “Project 636”, denominati Varshavyanka alla flotta del Mar Nero, in funzione della riattivazione nel 2013 dello Squadrone operativo erede della “V Eskadra119” della Guerra fredda. Questi battelli di propulsione diesel-elettrica, appositamente costruiti per operare nel Mediterraneo, sono i

135

sottomarini russi convenzionali più silenziosi, hanno un dislocamento di 4.000 tonnellate in immersione, possono raggiungere 20 nodi di velocità e fino a 45 giorni d’autonomia in operazioni. Sono equipaggiati con missili Kalibr, disponibili in versioni antinave e per attacco terrestre, hanno un gittata di 2600 chilometri, sono vettori modulari che utilizzano booster convenzionali. L’arma ha avuto il suo debutto operativo l’8 dicembre 2015 con un lancio multiplo da parte del battello Rostov-on-Don su obiettivi terrestri in territorio siriano, divenuto il primo sottomarino russo ad aver utilizzato un missile da crociera in un contesto operativo. Le basi di appoggio sono quelle in Mar Nero ed, in particolare da Gennaio 2017, il porto siriano di Tartus, divenuto un avamposto navale russo, e classificato come centro di supporto logistico. Questo sito, oltre a essere impiegato per il supporto a sostegno di Bashar al-Assad, permette ai sottomarini russi di poter prolungare in maniera consistente la propria presenza nel Levante mediterraneo, anche in ragione del sempre più flebile rispetto del Trattato di Montreaux che regola l’attraversamento dei Dardanelli120.

Figura 64: Missili Kalibr lanciati dal sottomarino russo Rostov-on-Don contro la Siria

Non è quindi da escludere come in un prossimo futuro la componente subacquea venga ampliata attraverso le unità d’attacco classe Lada, “Project 677”, eredi della classe Kilo con un dislocamento in immersione inferiore, pari a 2.700 tonnellate, un quota operativa fino a 300 metri, una velocità di 21 nodi in immersione e un armamento composto da sei tubi di lancio da 533 millimetri per un totale di 18 armi tra missili antinave, antisom o

120

Minuto Manuel Moreno, Rizzi Giuseppe “Mediterraneo allargato e sottomarini Quadro strategico di situazione”, Rivista Marittima Ottobre 2020, pp 69

136

siluri. È probabile sia implementata l’integrazione fra sensori, armi e contromisure. Il sonar di rimorchiato ad elementi lineari ed il sensore elettroacustico poppiero sono integrati, mentre un’altra novità è rappresentata da un albero optronico. Questi battelli vennero impostati negli anni ’90 ma l’unico battello attualmente in servizio è stato varato nel 2010 dopo tredici anni di costruzione. La Russia inoltre è ancora alla ricerca di un tecnologia a fuel cell AIP system per questi sottomarini.

Figura 65: Battello della classe Lada

L’ultimo attore geostrategico dell’area in ordine d’apparizione è la Cina, con la sempre più influente flotta dell’Esercito di liberazione nazionale. La Marina di Pechino è presente in Mediterraneo allargato da circa un decennio, con sempre maggior costanza e reattività, come testimonia la corposa evacuazione di connazionali dalla Libia nel 2011. La componente subacquea cinese è ormai composta da 4 SSBN, 11 SSN e circa 50 SSK a propulsione convenzionale, ma con capacità missilistiche. Un complesso così imponente di mezzi non è stato ovviamente pensato per operare esclusivamente nelle acque del Mar Cinese Meridionale e ci sono evidenti segnali dal 2015, come le attività addestrative in Pakistan, di un progressivo ma inarrestabile avvicinamento alle acque del Mediterraneo e del Mar Arabico. Un’importante evoluzione tecnico-produttiva dell’industria cinese portò negli anni ’90 allo sviluppo di due nuove classi di sottomarini nucleari: la classe Shang, “Type 093”, di battelli d’attacco e i “Type 094” o classe Jin per la NATO, inerente la produzione di SSBN. La differenza rispetto al passato è rappresentata dal fatto che i 2

137

progetti si sarebbero poi sviluppati nel corso del tempo con maggiori differenze, pur cercando di fare affidamento su parti e sistemi in comune. Si stima che i “Type 093” siano in totale dieci e che a fronte della progettazione iniziata nel 1994 siano entrati in servizio dal 2002. Questa classe dal punto di vista delle prestazioni è molto simile ai battelli russi della classe Victor III. Essa è in grado di raggiungere i trenta nodi e la quota operativa di 700 metri. Ha una lunghezza di 110 metri, un dislocamento in immersione di circa 7.700 tonnellate e per la propulsione conta su due reattori ad acqua pressurizzata, un asse e un’elica a sette pale. L’armamento è composto da sei tubi per siluri tipo “Yu-6”, mentre una versione ha capacità di lanciare missili da crociera “YJ-18” di capacità anti-navi oppure YJ-86 con capacità di attacco terrestre. Un rapporto della US Navy, sebbene le autorità cinesi l’abbia catalogata più silenziosa della classe Los Angeles ed alla pari degli Akula russi, in realtà considera la classe Shang più rumosa addirittura della classe Victor III.

Figura 66: Battello della classe Shang

Lo sviluppo dei “Type 094” incominciò nel 1999 differentemente da quanto ipotizzato da diversi esperti occidentali che credevano potesse essere iniziata nel corso degli anni ’80. Per ciò che riguarda le caratteristiche generali e quelle tecniche, per il primo aspetto risulta evidente il ricorso a un disegno di base complessivamente simile ai precedenti Type 092.

138

La prima unità è entrata in servizio nel 2010, da ricerche effettuate tramite osservazioni satellitari si può affermare che quattro erano operative nel 2015, e si ipotizza che tale forza sia raddoppiata in vista del 2020. Alquanto complicata si presenta la disanima tecnica, con informazioni scarse e talvolta discordanti. Le dimensioni si aggirano intoro ai 135 metri di lunghezza per 12,5 di larghezza. Analoghe difficoltà si riscontrano sulla definizione del dislocamento, di circa 8.000 tonnellate in superficie e di circa 11.000 in immersione. Non è dato sapere con esattezza cosa si celi all’interno dei loro scafi, ma tra le versioni circolate con più insistenza vi è anche quella del ricorso a 2 reattori nucleari, sempre del tipo PWR, di cui ognuno generante una potenza stimata di 150 MW termici, il cui vapore alimenta 2 turboalternatori che generano una potenza di poco inferiore ai 30 MW su di un singolo asse dotato di un’elica a 7 pale falcate. A questi elementi corrisponde un quadro delle prestazioni che per la velocità massima in immersione restituisce quale dato più realistico oltre 22 nodi, in leggero miglioramento rispetto allo Xia, ma ancora indietro rispetto alle più moderne realizzazioni sottomarine. Nessuna novità di rilievo infine rispetto alla profondità massima raggiungibile, ragionevolmente ipotizzabile intorno ai 300 metri. In virtù delle maggiori dimensioni della piattaforma, in crescita rispetto al “Type 092” dovrebbe essere anche il numero degli uomini di equipaggio, indicativamente si parla di valori compresi fra 120 e 140 unità, peraltro con livelli di confort che vengono segnalati in crescita rispetto a precedenti piattaforme, il tutto per un’autonomia operativa stimata tra i 60 e i 90 giorni. Esiste poi una certa uniformità di opinioni rispetto alla presenza sui “Type 094” non solo della stessa suite sonar per la ricerca e l’attacco “SQZ-262B”, presente anche sullo stesso Xia dopo l’aggiornamento, ma anche dell’apparato “SQC-207” per il tracciamento passivo mediante tre “arrays” posti su ciascun lato del sottomarino, prodotto per la prima volta in Cina. Infine la presenza di un “rigonfiamento” su una pinna di coda fa pensare che il parco sonar sia completato da un sensore passivo rimorchiato. La piattaforma è inoltre provvista di un sistema di lancio di “decoy” per l’inganno dei siluri avversari. L’armamento della classe Jin comprende 6 tubi lanciasiluri da 533 mm adibiti al lancio dei più moderni “Yu-6”, caratterizzati da prestazioni superiori e impiegabili sia in contesti “ASW” sia “ASuW”. Notevole infine il passo in avanti sul fronte dei missili balistici imbarcati: nei 12 pozzi di lancio sono infatti caricati altrettanti SLBM del tipo “JL-2”, definiti “CSS-N-14” in ambito Nato, ognuno dei quali trasporta tre MIRV, ha una portata di 7,400 chilometri e genera una quantità di energia di 90 kT. Sono missili a tre stadi e a propellente solido, con sistema di guida inerziale e un “CEP”, “Circular Error Probable”, compreso tra i 300 ed i 500 metri. Valori molto migliori rispetto a quelli del

139

“JL-1”. Nell’ambito del continuo processo di evoluzione delle piattaforme subacquee della PLAN121, in tempi più recenti sono emerse delle immagini che fanno concludere come a partire dalla terza unità siano state introdotte delle modifiche, dando così origine ai “Type 094A”. La vela presenta una forma più arrotondata nella sua parte superiore, priva di finestrature ed è raccordata in maniera diversa con lo scafo, mentre la sezione ospitante i missili presenta delle modifiche volte a rendere più morbidi i raccordi fra le varie superfici, alle quali si aggiunge la scomparsa delle aperture poste sullo scafo in corrispondenza di tale sezione. Queste modifiche insieme ad altri interventi concentrati sull’impiego di supporti elastici dei macchinari, maggiore isolamento dei locali interni, miglioramenti sulla linea d’asse e affinamenti dei passaggi d’acqua a scafo, sono state attuate nell’ottica di abbattere il rumore generato in navigazione. Proprio il tema del rumore ci conduce direttamente alla questione della valutazione complessiva su queste stesse piattaforme. Nonostante le migliorie apportate, le stime formulate dall’intelligence americana classificano infatti i “Type 094” nella categoria dei “noisy submarines”, con valori di rumorosità pari ad almeno 140 decibel, mentre per la versione migliorata è ipotizzabile un abbattimento fino a 120. Per avere un termine di riferimento, pur sempre approssimato, il rumore di fondo degli oceani è di 90 decibel, mentre quello generato da un classe Virginia si aggira intorno ai 95 decibel. Una differenza all’apparenza modesta ma che, data la natura logaritmica nella scala di misurazione dei suoni, si traduce in un livello di rumorosità perfino doppio rispetto ai battelli americani. Gli studi che si fanno per comprendere al meglio le potenzialità della Marina Cinese parlano del fatto che nonostante i battelli siano in servizio ormai da diversi anni non si può dire che essi siano davvero in grado di assicurare su base regolare attività di pattugliamento strategico. Tuttavia, secondo le informazioni fornite dal Pentagono, già nel dicembre del 2015, sarebbe stata rilevata un’operazione genericamente definita di “patrol” della durata di 95 giorni da parte di un Jin. L’ipotesi a questo punto più probabile è che le attività operative siano in realtà iniziate ma ancora in maniera sporadica e, soprattutto, rimanendo all’interno della cosiddetta “first island chain”, ossia senza avventurarsi nell’Oceano Pacifico. Tuttavia la presenza di una terza potenza subacquea globale nel Mare nostrum è ormai solo una questione di tempo e opportunità strategica.

140

Figura 67: Battello della classe Jin

Un’importante variabile di cui si deve tener conto è costituita dai piani di sviluppo futuri della PLAN che in funzione di una più ampia politica estera espansionista, potrebbe minare il primato a livello marittimo della US Navy. Il vero salto in avanti sarebbe però dato dall’abbattimento dei livelli di rumorosità rispetto alle precedenti piattaforme oltre all’adozione di specifici rivestimenti anecoici e al solito lavoro di insonorizzazione dei macchinari. Un notevole e ulteriore contributo dovrebbe poi venire dall’introduzione di nuovi e avanzati sistemi di propulsione secondo la tecnologia “rim-driven thruster”. L’altro elemento di grande importanza sarebbe costituito dai pozzi di lancio che sarebbero in aumento fino al numero compreso tra 16 e 24, che andranno a ospitare i nuovi SLBM di tipo “JL-3”, missili caratterizzati da un notevole incremento della gittata rispetto ai predecessori, capaci di viaggiare per 10.000 chilometri e trasportare ognuno 10 MIRV. Qualora fossero confermate queste stime, questi ordigni potrebbero colpire l’intero territorio continentale degli Stati Uniti essendo lanciati da sottomarini operanti nei Mari Cinesi. Nel frattempo si segnala la certa espansione delle strutture produttive presso il cantiere BSHIC di Huladao, con l’ipotesi che si stiano realizzando contemporaneamente più battelli come i Type 096 e i nuovi SSN Type 095.

141

Figura 68: Lancio di un missile JL 2 da un SSBN cinese

La strategia d’impiego degli SSBN cinesi è comunque legata alla dottrina del “No-First Use” la quale ha più volte ribadito che l’eventuale impiego di armamenti nucleari è contemplato solo in caso di risposta a un eventuale attacco verso la Cina stessa. Pechino ha affidato la gestione degli assetti strategici alla “PLARF”, People’s Liberation Army Rocket Force, una struttura che si occupa di tutte le componenti dell’arsenale nucleare strategico basato a terra allo scopo di rafforzare il ruolo della Commissione Centrale Militare quale massimo organismo di controllo e della sua presa su tali armi. Comunque non è dato sapere se questa “Forza” abbia il controllo diretto degli assetti della PLAN o se sia quest’ultima ad avere la piena autorità sui propri sottomarini e, soprattutto, sui missili imbarcati.

143

CONCLUSIONI

Lo studio della sicurezza nel Mediterraneo costituisce un valido spunto per procedere all’analisi di quei fattori attraverso i quali può intendersi esercitata una valida forma di Potere Marittimo. Al particolare e variegato assortimento delle tipologie di Stati che si affacciano ovvero esercitano “forme di interesse” nel Mare Mediterraneo, bacino caratterizzato da vivaci dinamiche economiche frutto di delicati accordi maturati in ambito politico-diplomatico, corrisponde l’esigenza di pervenire alla definizione di criteri e modalità che, anche mediante la predisposizione e l’esercizio di strumenti dissuasivi navali, consentano la reale e concreta affermazione del Potere Marittimo. Sulla scorta di tale presupposto appare oggi necessario provvedere ad un’attualizzazione di quei concetti espressi da Alfred T. Mahan in ordine all’individuazione degli elementi indispensabili per l’esercizio di tale potere poiché, alla luce del secolo trascorso, appare necessario tener conto dei mutati scenari di riferimento caratterizzati da nuove realtà di crisi e da difformi influenze geopolitiche e geostrategiche, sulle cui direttrici si tessono le attuali relazioni internazionali.

Ne consegue che per quanto attiene la collocazione della condizione italiana in tale scenario, risulta opportuno osservare come al concetto di Geopolitica venga oggi ricondotta una disciplina capace di approfondire tematiche inerenti problemi di politica

Documenti correlati