• Non ci sono risultati.

LO SVILUPPO DEL SOTTOMARINO: ASPETTI TECNICI, OPERATIVI E STRATEGICI DI UN MEZZO UNICO ED INDISPENSABILE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LO SVILUPPO DEL SOTTOMARINO: ASPETTI TECNICI, OPERATIVI E STRATEGICI DI UN MEZZO UNICO ED INDISPENSABILE"

Copied!
151
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DI PISA ACCADEMIA NAVALE

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Marittime e Navali

TESI DI LAUREA

IN SISTEMI DI DIFESA- LOTTA SOTTO LA SUPERFICIE

LO SVILUPPO DEL SOTTOMARINO: ASPETTI TECNICI, OPERATIVI E STRATEGICI DI UN MEZZO UNICO ED INDISPENSABILE

LAUREANDO: GM Giordano Amicarelli

RELATORE CF Leonardo Castiglia

(2)
(3)

3

INDICE:

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO 1: STORIA DEL SOTTOMARINO ... 7

1.1 ELEKTROBOOT: GLI ULTIMI BATTELLI SVILUPPATI NEL SECONDO

CONFLITTO MONDIALE, I PRIMI SOTTOMARINI DELLA STORIA ... 7

1.2 SPERIMENTAZIONI DELLA US NAVY: GUPPY & USS ALBACORE ... 12

1.3 LA “GUERRA FREDDA” ... 20

1.3.1 La propulsione nucleare: SSN ... 22

1.3.2 L’applicazione missilistica ai sottomarini ... 28

1.3.3 La flotta subacquea sovietica ... 32

1.3.4 La flotta subacquea statunitense ... 48

1.3.5 Le nazioni satellite dei due blocchi ... 57

1.3.6 La componente subacquea cinese ... 67

1.3.6 Lo sviluppo della componente subacquea italiana ... 71

1.4 LA GUERRA PER IL CONTROLLO DELLE ISOLE FALKLAND ... 75

1.4.1 Le missioni dei sommergibili de l’Armada de la Republica

Argentina ... 76

1.4.2 Considerazioni sull’impiego dei sottomarini convenzionali nella

marina argentina ... 80

1.4.3 La campagna sottomarina del “Silent Service” ... 82

CAPITOLO 2: CONSIDERAZIONI SULL’UTILIZZO DEL MEZZO

SUBACQUEO RIGUARDO IL CONSEGUIMENTO DI OBBIETTIVI

POLITICI, STRATEGICI ED ECONOMICI NELL’AMBITO DELLA

TUTELA DEGLI INTERESSI NAZIONALI ... 89

2.1 IL POTERE MARITTIMO ... 89

2.2 IL POTERE NAVALE ... 94

2.3 IMPIEGO DEI SOTTOMARINI ... 98

2.4 L’UNDERNET E L’AMBIENTE UNDERWATER ... 105

2.5 IL POTERE SUBACQUEO DEL FUTURO ... 108

CAPITOLO 3: FOCUS SUL PANORAMA SUBACQUEO DEL

MEDITERRANEO ALLARGATO ... 117

3.1 QUADRO STRATEGICO GENERALE ... 117

3.2 AREA MENA ... 119

3.3 LA SPONDA NORD... 124

3.4 LA SPONDA EST ... 129

3.5 LE GRANDI POTENZE NEL MEDITERRANEO ALLARGATO ... 132

CONCLUSIONI ... 143

(4)
(5)

5

INTRODUZIONE

L’analisi dei contenuti raccolti nella presente tesi si pone quale finalità divulgativa quella di illustrare le straordinarie capacità operative ed i molteplici impieghi tattici che fanno del sottomarino un mezzo unico ed indispensabile per poter proiettare, con appropriato vigore, la capacità bellica di una moderna forza armata. Nella circostanza l’elaborato orienterà la propria articolazione verso l’obiettivo di cristallizzare quell’autentico ruolo di “garante degli abissi” che, anche relativamente ai potenziali e futuri interessi nazionali in ambito sottomarino, non può che essere attribuita alla componente subacquea di una flotta.

Nel suo primo capitolo lo scritto tratterà l’evoluzione del sottomarino dal termine del secondo conflitto mondiale sino ai giorni nostri soffermandosi, in particolare, sugli anni della così detta “Guerra Fredda”, contraddistinti da un susseguirsi di importanti innovazioni. In tale contesto se ne analizzerà lo spiccato progresso tecnologico con riguardo a piattaforma, scafo, propulsione ed armamento. Si approfondiranno quindi le tecniche costruttive e le sperimentazioni che hanno portato alla nascita dei primi battelli nucleari, per poi focalizzarsi sull’era del gigantismo subacqueo, caratterizzata dalle unità varate dalla Us Navy e dalla Voenno-Morskoj Flot.

Particolare attenzione sarà devoluta al conflitto anglo-argentino insorto nel 1982 per il controllo delle Isole Falkland, all’interno delle cui vicende hanno fattivamente operato i sottomarini. È solo in questo contesto che, oltre alle specifiche vicende occorse nell’ambito dei due conflitti mondiali, si delinea il primo reale coinvolgimento operativo della componente sottomarina, così da potersi affermare che tale impiego ha proficuamente orientato l’esito della cruenta controversia internazionale.

Il secondo capitolo sarà incentrato sull’analisi del concetto di “Potere Marittimo” considerato nell’ambito dei suoi molteplici aspetti, con particolare riferimento al “Potere Navale” ed alla connessa esigenza di possedere una Marina Militare efficiente e completa. In questo ambito il focus sarà incentrato sulle peculiarità operative che il mezzo sottomarino, unicum tra i numerosi assetti aereonavali, è capace di dispiegare con riguardo alla propria specifica natura nell’ottica di un ruolo di deterrenza strategica. Verrà inoltre sottolineato come il mezzo subacqueo costituisca una risorsa imprescindibile per garantire ottimali risultati alle missioni di raccolta dati, che ad oggi innalzano in maniera evidente la capacità di gestire conflitti ibridi e, all’occorrenza, minacce asimmetriche. Contestualmente il capitolo conterrà anche spunti riflessivi in ordine allo sviluppo di tecnologie subacquee ed alla sempre più spiccata attenzione verso l’ambiente

(6)

6

“Underwater”, ambito verso cui risultano oramai rivolti gli interessi economici su scala planetaria. L’illustrazione delle dottrine d’impiego, che nel prossimo futuro costituiranno il fulcro per il miglior utilizzo del mezzo subacqueo, accompagnerà all’ultimo capitolo dell’elaborato anche con riguardo al citato interesse per le risorse custodite nei fondali marini e per la connessa salvaguardia delle relative infrastrutture.

In tale ultimo contesto verrà proposta una panoramica descrittiva della composizione attuale delle principali flotte subacquee operanti all’interno del cosiddetto “Mediterraneo Allargato”, principale teatro operativo della Marina Militare Italiana; ciò anche alla luce delle problematiche originatesi dal disimpegno dal medesimo contesto della flotta statunitense, cui sono conseguite una moltitudine di dispute inerenti la territorializzazione marittima.

Concluderà il lavoro una disamina riguardante l’attuale profilo geopolitico e geostrategico dell’Italia, con particolare riferimento al potenziale sviluppo di una “Nazione Marittima”, capace di esprimere all’interno della predetta area geografica forme efficaci di Potere Marittimo.

(7)

7

CAPITOLO 1: STORIA DEL SOTTOMARINO

1.1 Elektroboot: gli ultimi battelli sviluppati nel secondo conflitto mondiale, i primi sottomarini della storia

Sommergibili e sommergibilisti sono stati i protagonisti tra i più determinanti della Seconda Guerra Mondiale e mediante le proprie gesta si è determinato un processo evolutivo riguardante aspetti tecnici ed operativi che ha delineato nel tempo gli usi e le differenti tipologie della componente sottomarina.

In particolare, la strategia d’impiego della marina tedesca adottata nel secondo conflitto mondiale aveva riposto grande considerazione nelle capacità dei sommergibili tanto da reputare la letalità dell’arma subacquea un fondamento imprescindibile nelle tattiche della Kriegsmarine. Tale dottrina si attuava attraverso l’utilizzo congiunto di pesanti navi di superficie che in acque isolate davano la caccia alle rotte di traffico nemico, e di folti nuclei di sommergibili preposti a rintracciare ed annientare le unità avversarie, in modo da inibire qualsiasi linea di comunicazione marittima agli Alleati. La guerra in Atlantico, nella quale si perseguiva un estenuante blocco navale nei confronti del Regno Unito e si infliggevano importanti perdite alla US Navy, portò la politica tedesca ad investire copiosamente su un continuo ammodernamento della flotta subacquea. Per la guerra furono prodotti dai cantieri tedeschi quasi duemila U-Boot, schierati simultaneamente per un massimo di trecento unità, i quali, nonostante le rudimentali modalità di navigazione in immersione, furono in grado di affondare più di 2800 bersagli mercantili e militari, per un totale di 15 milioni di tonnellate. L’attestazione del potere offensivo dei sommergibili, dimostrato su scala ridotta durante il primo conflitto mondiale nelle acque antistanti il Regno Unito, venne confermata nelle acque atlantiche mediante la tattica del “Branco di lupi” nei confronti dei convogli dell’Alleanza. La temuta “Wolfsrudeltaktik”, denominazione in tedesco di tale offensiva, si articolava in un attacco notturno comandato via radio da un comando centralizzato che coordinava un gruppo di sommergibili in un attacco al target designato. Oltre a sfruttare l’effetto sorpresa che spesso risultava essere fatale per le sorti avversarie, iniziava immediatamente una caccia ad eventuali unità in fuga ininterrotta sino al mattino seguente1. L’enorme quantitativo di tonnellaggio affondato a fronte delle esigue perdite tedesche, crearono molta apprensione nella coalizione

(8)

8

germanica che assisteva impotente alla compromissione delle vie di rifornimento lungo la direttrice atlantica. L’Ammiragliato britannico incominciò così a chiedere maggiori sforzi alla marina americana nell’ottica di ricevere aiuti diretti al Regno Unito. L’industria navale americana attraverso la costruzione dei cargo modello “Liberty” non solo riuscì a rimpiazzare le perdite subite, ma persino ad implementarne la forza. Inoltre al termine del 1942 la combinazione tra aviazione, sistemi radar più efficienti e sonar di nuova generazione decretò l’effettiva sconfitta della devastante macchina tedesca. Per via di una maggiore valenza operativa riconosciuta all’aviazione di marina, unitamente agli ottimi risultati conseguiti da Intelligence ed Ingegneria britanniche, i sommergibili tedeschi persero la capacità di poter agire indisturbati sia in immersione che in emersione nelle ore notturne. Le speciali macchine calcolatrici operanti a Bletchley Park che intercettavano le comunicazioni degli U-Boot riuscendo a decriptare la messaggistica delle cifranti tedesche “Enigma”, e l’ausilio di “proiettori Leigh” e rilevatori di direzione ad alta frequenza “Huff-Duff”2 ai sistemi radar, decretarono il termine della supremazia subacquea tedesca. Alla luce di questi avvenimenti, dopo anni di continui successi, il 23 maggio 1943 l’Ammiraglio Karl Dönitz, Comandante degli U-Boot, decise di ritirare la flotta dall’Atlantico Settentrionale lasciando così il controllo del mare agli Alleati3

. E’ in questo scenario che si colloca la realizzazione degli Elektroboot della Kriegsmarine, tra i più innovativi della storia, capaci di influenzare per anni le future flotte subacquee e che, se impegnati pienamente nel conflitto mondiale, avrebbero sicuramente messo in discussione il significativo vantaggio alleato e conseguentemente le sorti della guerra. All'inizio del 1943, erano due le direttrici che prefigurarono lo sviluppo dei nuovi sommergibili tedeschi. Da un lato si promuoveva l’evoluzione del già collaudato tipo “VII C”, ampiamente utilizzato in Atlantico ed artefice della Wolfsrudeltaktik, attraverso il miglioramento di qualità nautiche e profondità massime raggiungibili. L'altro progetto prevedeva lo sviluppo di mezzi completamente nuovi denominati “U-Boot XVIII”, sommergibili oceanici dotati di un apparato propulsivo inedito. L’innovativa e performante turbina ideata dall’ingegner Walter, garantiva elevate velocità in immersione e per un limitato intervallo di tempo era addirittura indipendente dall’aria4. Sulla base di ciò all’interno del K II U dell'Hauptamt

2 Rivelatore di direzione ad alta frequenza (HFDF) utilizzato per individuare radioemittenti nemiche in

trasmissione.

3 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, Le scie, Mondadori, 78pp. 32, 33 4

I motori elettrici erano alimentati da una turbina azionata da vapore ad alta temperatura ottenuto da perossido di idrogeno.

(9)

9

Kriegschiffbau5, si diffuse la proposta di installare nello scafo di un sommergibile del tipo Walter XVIII, adatto a conseguire elevate prestazioni in immersione, un apparato motore elettrico potenziato, costituito da una batteria di accumulatori tre volte maggiore rispetto ai più performanti tipo IX C della flotta. In questo modo disponendo anche di una potenza elettrica due volte e mezzo più prestante rispetto ai battelli dell’epoca, motivazione per la quale sono stati denominati Elektroboot, l’industria tedesca realizzò un sommergibile di tipo oceanico noto come tipo XXI, capace di viaggiare per lunghi periodi in immersione alla velocità 17 nodi, superiore a quella che riesce ad esprimere in superficie con i motori diesel. Lungo 77 metri, dieci in più rispetto a quelli del tipo VIIC, con un larghezza di otto metri maggiore, garantiva il doppio della velocità in immersione poteva raggiungere la massima quota di 240 metri. Manifestando una minor indiscrezione acustica. Armato con 6 tubi di lancio e trasportando un massimo di 23 siluri, era capace di lanciare senza dover raggiungere la quota periscopica o realizzare un contatto ottico col bersaglio, rimanendo di fatto invisibile. Grazie ad un’elevata autonomia ed alla navigazione affidata a motori elettrici molto silenziosi e prestanti potevano lasciare la zona di combattimento senza dover temere una reazione delle leggere unità di scorta. I compiti che erano assegnati a queste nuove unità prevedevano il pattugliamento in immersione a 9 nodi sfruttando l’alimentazione elettrica, oppure a quota periscopio a 5 nodi in modalità “snorkeling”. Lo Snorkel6, un sollevamento ideato per aspirare aria dall’esterno del battello e fornirla ai motori diesel per la ricarica delle potenti batterie, permetteva di mantenere un profilo occulto per le necessarie operazioni di carica che erano portate a termine in circa cinque ore. Da questa innovazione che consentiva al mezzo subacqueo di sfruttare appieno la proprie capacità occulte, ne conseguì la possibilità di sfuggire alla sorveglianza aerea anti-sommergibile e di delineare il profilo delle nuove attività sottomarine. L’emersione infatti passò da essere la principale modalità di condotta del mezzo ad una rara procedura attinente i rifornimenti in mare. Fu eliminato l’armamento presente in coperta individuando i siluri come unica capacità offensiva. Le funzionalità dell’impianto lancia siluri furono notevolmente implementate poiché asservito dalla logica “Nibelung”7 che garantiva il funzionamento fino ad una profondità di 50 metri e dall’installazione di un sistema di

5 Sezione dell’Ufficio Centrale delle costruzioni navali di guerra tedesche dedicata ai battelli.

6 Sperimentato con buoni risultati già nel 1925 dalla Marina Militare Italiana grazie all’intuizione del

capitano del Genio Navale Pericle Ferretti, ma di fatto montato per la prima volta in serie sui sommergibili olandesi della classe "O" e successivamente ripreso sugli U-Boot tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

7 Sistema costituito da un idrofono ed un ecogoniometro avente una portata di circa 2 miglia. Attraverso il

sensore passivo si indicava il rilevamento del bersaglio in superficie mentre con gli impulsi di quello attivo, elaborati nel tracciamento di un operatore, si ne determinavano la distanza, la velocità e la rotta.

(10)

10

caricamento idraulico che consentiva il lancio di 18 siluri in meno di 20 minuti. Inoltre la tecnologia di bordo era equipaggiata con meccanismi d’identificazione avanzata come l’idrofono “Balkon”8

ed il TAG, “Torpedo Achtung Gerat”9, dispositivo di allarme siluri10.

Figura 1: Elektroboot tipo XXI

Parallelamente l’Ammiraglio Dönitz approvò anche lo sviluppo di battelli di tipo XXIII, aventi uno scafo simile a quello del tipo XXI ma utili per poter operare in scenari costieri e svolgere operazioni di pattugliamento in mari poco profondi come il Mediterraneo od il Mar Nero. Un requisito imprescindibile dei nuovi scafi consistette nel renderli trasportabili per ferrovia, in modo da poterne concentrare la produzione nelle regioni d’effettivo impiego operativo. Questa caratteristica comportò un limitato armamento, costituito soltanto da due tubi lanciasiluri precaricati ed uno scafo che una volta assemblato fu il

8 Il Balcony Apparatus era una versione migliorata di GHG. Il Group Listening Apparatus, era l’idrofono standard installato sugli U-boat a partire dal 1935. Aveva 24 idrofoni ed era in grado di individuare navi solitarie fino a 10 miglia mentre convogli fino a 50 miglia. Il Balkon aveva 48 idrofoni ed un'elettronica migliorata, che consentivano letture più accurate e triangolazioni più efficaci per i bersagli al traverso.

9 Sistema di allarme rapido per i siluri in arrivo operante mediante un altoparlante all'interno dello scafo

pressurizzato che avrebbe dato segnali acustici in caso di siluro in avvicinamento. Il funzionamento era attinente l’ascolto di alcuni suoni preprogrammati che avrebbero attivato lo stato di allerta.

10

Arthur R. Hezlet, Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle origini all’era atomica, Bologna, Odoya, 2012.

(11)

11

primo nella storia dei sottomarini ad essere completamente saldato. L’albarich, un particolare strato di gomma che avvolgeva lo scafo, fungeva da assorbente acustico e rappresentò la prima accortezza contro i sistemi ASDIC11 alleati per preservare gli Elektroboot dalla riflessione delle onde sonore. Inoltre nella zona prodiera dello scafo leggero era prevista l’installazione di pinne atte a dimezzare le tempistiche della fase d’immersione la cui durata era nell’ordine di nove secondi.

Figura 2: Elektroboot tipo XXIII

Alla fine della guerra, pur essendo per la maggior parte ancora in fase di sperimentazione, i battelli di tipo XXI diedero prova di riuscire ad avvicinarsi sensibilmente ai convogli scortati e di portare a termine attacchi simulati senza essere minimamente individuati. I battelli tipo XXIII furono altresì capaci di affondare sei piroscafi nei pressi delle coste britanniche senza riportare alcuna perdita. Tenuto conto del limitato armamento di quest’ultimi, degli estesi campi minati inglesi piazzati a difesa delle proprie acque e dell'intensa sorveglianza antisommergibile alleata a difesa del Regno Unito, i risultati conseguiti furono un’ulteriore ed indiscutibile conferma delle straordinarie potenzialità di

11 Anti-Submarine Detection Investigation Committe, sistema di concezione britannica che era composto da

un trasduttore, situato sulla chiglia delle navi, impiegato per inviare onde acustiche che tornavano all'origine se riflesse da un oggetto sommerso. Aveva una portata massima di circa 2700 m.

(12)

12

questi sottomarini12.

L’operazione Deadlight cancellò definitivamente le restanti unità subacquee tedesche, tra cui numerosi Elektroboot in attesa di entrare in servizio, affondandole a nord dell’Irlanda tra il 1945 ed il 1946. Tuttavia a distanza di un decennio due sommergibili del tipo XXIII autoaffondati nel Mar del Nord di furono recuperati, riportati in completa efficienza in meno di un anno e sotto il nome di Hai ed Hecht rientrarono in servizio come “battelli-scuola” nella marina della Repubblica Federale Tedesca per altri dieci anni.

È indubbio il fatto che gli Elektroboot siano stati oltre che i precursori dei moderni battelli costieri anche un riferimento che per decenni ha influenzato lo sviluppo delle crescenti flotte subacquee di Stati Uniti ed Unione Sovietica con particolare riferimento alle classi NATO Whiskey, Zulu e Romeo ed ai riammodernamenti GUPPY, l’USS Albacore e la classe Tang.

1.2 Sperimentazioni della US Navy: GUPPY & USS Albacore

Gli studi americani alla base del programma GUPPY “Greater Underwater Propulsion Power”, avanzati al termine del secondo conflitto mondiale per rendere più efficiente e performante la flotta subacquea statunitense, ebbero come punto di riferimento i battelli tipo XXI tedeschi ottenuti come bottino di guerra. L’obbiettivo era rendere idonei i sommergibili già esistenti per combattere la crescente minaccia subacquea sovietica. Non si trattava più di esplicare compiti offensivi contro navi di superficie, bensì i nuovi mezzi dovevano essere concepiti con un ruolo di “caccia-sommergibili”, conosciuti ancora oggi come SSK “hunter killer” delineando un nuovo e ben preciso compito per la componente subacquea. I programmi di ammodernamento necessitarono di grande impegno: coinvolsero la ristrutturazione idrodinamica dello scafo, il ridimensionamento di appendici di carena e false torri, l’installazione di nuove apparecchiature ed un suite di sensori specifica per il nuovo ruolo. Fu incrementata la velocità in immersione e particolare attenzione si dedicò allo sviluppo di siluri destinati a colpire un bersaglio immerso. I sommergibili GUPPY mantenevano dunque la loro forma originale con doppio scafo a sigaro, eliminando o rendendo retrattili le appendici allo scafo leggero, riducendo al

12

Eberhard Rossler, The U-boat: The Evolution and Technical History of German Submarines, Cassell Military Trade Books, 2001, pp 304-306

(13)

13

minimo la resistenza all’avanzamento sott’acqua. La torretta fu ricostruita conferendole una forma chiusa molto più affusolata ed idrodinamica, mentre le superfici di governo rimasero come in origine costituite da timoni orizzontali ripiegabili a prua mentre a poppa rimanevano fissi con un unico timone verticale posizionato posteriormente le eliche di propulsione. L’armamento principale era composto da dieci tubi di lancio per siluri pesanti da 533 millimetri, di cui sei collocati a prora e quattro a poppa. Furono sviluppate nuove apparecchiature per la guida dei siluri come il sistema PUFFS, “Passive Underwater Fire Control Feasibility System”. L’apparato di propulsione, oltre a prevedere un diesel di emergenza, rimase standard, bielica e di tipo diesel-elettrico, ma gli fu maggiorata la potenza e l’autonomia grazie all’installazione di batterie più grandi collocate negli spazi ricavati dalla rimozione di munizioni delle artiglierie. Le prime unità interessate furono appartenenti alle già esistenti classi Gato13, Balao14e Tench15. A causa dello elevato numero di unità presenti al termine della guerra, le autorità statunitensi decisero di cedere il naviglio in eccesso alle nazioni amiche per contrastare l’espansione sovietica nell’ambito del “Mutual Defence Assistance Program”. Venute meno nel 1952 le clausole del trattato di pace che vietavano all’Italia il possesso di mezzi subacquei, già dal 1950 fu impostato un programma di potenziamento navale nel quale si annunciava la ricostituzione della componente subacquea che la Marina Militare Italiana non aveva mai abbandonato, perpetrando l’ardore sommergibilista mediante segrete esercitazioni con i battelli Giada e Vortice. Oltre a questi sommergibili risalenti al periodo bellico e identificati come pontoni ausiliari, con l’ingresso nella NATO16, due unità statunitensi della classe Gato ammodernate secondo gli standard “GUPPY IB”17, furono assegnate all’Italia sotto il nome

13 Battelli statunitensi varati alla fine della Seconda Guerra Mondiale che combatterono nel Pacifico la flotta

Nipponica. Con 2500 tonnellate di dislocamento in immersione, lunghi 95m possedevano una quota operativa di 90m. Avevano 4 diesel-generatori e 2 motori elettrici che garantivano una velocità di 9 nodi in immersione e 21 in superficie. Possedevano 8 tubi lanciasiluri e potevano stivare fino a 24 siluri di tipo Mark

18.

14

Battelli che riportarono enormi successi in guerra tra cui l’affondamento della portaerei Shinano, il più grande bersaglio nella storia affondato da un sommergibile, ad opera dell’USS Archerfish. Questi battelli differivano dalla classe Gato a causa di un acciaio più resistente che garantiva quote operative di 120m e di motori elettrici più potenti ma più rumorosi.

15

Classe impostata nel 1944 per scopi bellici che prevedeva inizialmente 146 unità, delle quali solo 29 furono completate per via del termine della guerra. Erano una versione migliorata delle precedenti classi Gato e Balao in termini di robustezza dello scafo e logistica interna di bordo.

16 North Atlantic Treaty Organization, è un'organizzazione internazionale per la collaborazione nel settore

della difesa, il cui trattato istitutivo fu firmato a Washington nel 1949. Capeggiata dagli Stati Uniti d’America si identificava tra i membri attraverso un’assoluta necessità di garantire la sicurezza del mondo occidentale dalla minaccia comunista e quindi in un'alleanza in cui venivano condivisi gli assetti militari di difesa, di modo da poter reagire unanimemente ad un’eventuale offensiva sovietica.

17

Ammodernamento che prevedeva l’installazione dello “snorkel” e le conseguenti modifiche strutturali alla falsa torre per supportare tale apparato.

(14)

14

di Leonardo Da Vinci ed Enrico Tazzoli. Successivamente nel 1966 i battelli della classe Balao, USS Capitaine, USS Lizardfish e USS Besugo, divennero i sommergibili italiani Alfredo Cappellini, Evangelista Torricelli e Francesco Morosini18, e restarono in servizio sino agli anni ’70 quando poi furono restituiti alla US Navy. Infine tra il 1972 ed il 1974 furono consegnati alla Marina Militare Italiana i sommergibili Gazzana-Priaroggia e Longobardo ammodernati secondo gli standard “GUPPY III”19 in aggiunta alle unità della classe Tang, USS Trigger e USS Harder divenuti in seguito i sottomarini Livio Piomarta e Romeo Romei. Questi battelli, impostati già secondo le rivoluzionarie caratteristiche degli Elektroboot, erano in grado di svolgere una buona navigazione subacquea paragonabile a quella dei battelli tedeschi tipo XXI. Varati a partire dal 1948 secondo le innovative specifiche “DFAS”, Diesel Fast Attack Submarine, costituirono soluzione alternativa alle necessità della flotta subacquea statunitense prima ed italiana poi. Battelli a propulsione tradizionale con tubi lanciasiluri impostati anche per il lancio di siluri Mk3720, sono considerati i genitori della forza nucleare della US Navy. Sviluppati per migliorare le prestazioni in guerra dei sommergibili, erano in grado di mantenere dieci nodi di velocità in modalità snorkel e rimanere per 43 ore continuative in immersione ad una velocità di tre nodi. Attraverso uno scafo ed una vela che meglio si prestavano alla navigazione subacquea potevano raggiungere una profondità di oltre 200 metri e sviluppare una velocità massima di 17,5 nodi grazie ad un doppio asse da 2850 hp ciascuno. Prima di essere ceduti alla marina italiana svolsero importanti compiti di ricerca antisommergibile21 e di addestramento alla lotta sottomarina sia nella flotta dell’Atlantico che in quella del Pacifico.

18

Questi battelli furono ammodernati secondo lo standard “GUPPY Fleet Snorkel” ossia l’implementazione dello snorkel alla classe Balao.

19 Prevedeva una ristrutturazione della vela che fu interamente costruita in GRP, vide l’installazione di un

impianto batteria più performante e di un efficiente sonar passivo tipo “BQG-4 PUFFS”,

Passive Underwater Fire Control Feasibility System, e la sostituzione di un motore diesel con distillatore

d’acqua dolce più capiente.

20 Calibro 480 mm, a propulsione elettrica sono considerati l’armamento standard antisommergibile,

impiegati fino agli anni ’70 sia da sottomarini che da unità di superficie.

21

USS Gudgeon, poi venduto nel 1987 alla Turchia, fu il primo sottomarino ad effettuare la circumnavigazione del globo tra il 1957 ed il 1958.

(15)

15

Figura 3: Sommergibile Leonardo Da Vinci ammodernato agli standard GUPPY IB

(16)

16

Nel 1948, parallelamente ai riammodernamenti GUPPY, iniziò presso il noto bacino “David W. Taylor Model Basin”, in Maryland, un programma di ricerca incentrato sulla resistenza idrodinamica di scafi sottomarini sollecitati ad elevate velocità e quote profonde. Finalizzato alla realizzazione di una nuova tipologia di carena atta a soddisfare specifiche prestazioni, sviluppò lo studio e la realizzazione di una serie sistematica di carene, nota come Serie 58. La forma di tale struttura, approssimabile a quella di un cilindro, era ottenuta mediante la rivoluzione di un solido a goccia allungata detto “tear drop” e riprendeva quella utilizzata in ambito aereonautico per i dirigibili. Nel dicembre 1953 l’iter progettuale venne concretizzato con il varo del USS Albacore, mezzo concepito unicamente come banco sperimentale per la configurazione di nuovi assetti propulsivi e di governo unitamente alla verifica di nuove tecnologie in ambito elettroacustico. Oltre ad impiegare queste “futuristiche” linee strutturali caratterizzate dalla limitazione di appendici e sovrastrutture, per la costruzione dello scafo resistente venne utilizzata una nuova lega d’acciaio chiamata STS, “low carbon steel”, materiale ampiamente utilizzato in futuro nella produzione di sottomarini occidentali, conosciuto come “HY 80”. Grazie all’adozione di questo materiale innovativo ad elevato limite di snervamento, fu possibile sostenere il dislocamento del battello rendendolo idoneo a raggiungere una profondità massima di 180 metri insieme ad un’ottima manovrabilità subacquea. Il sommergibile era inoltre caratterizzato da una lunghezza di 62 metri per una larghezza di 8 metri, un dislocamento di 1500 tonnellate in superficie e di 1850 in immersione. La propulsione di un’elica pentapala era azionata da un motore elettrico da 7500 hp ed un compatto apparato motore di tipo diesel-elettrico corredato da due generatori e due motori radiali da 1000 hp22. Le dimensioni della falsatorre furono notevolmente ridotte, la torretta scomparve del tutto e fu installato un singolo sollevamento, sede di un’antenna multi-funzionale, evitando di impiantare lo snorkel per via della propria natura sperimentale. Il comando operativo si trasferì prettamente all’interno dello scafo resistente ed il governo dei timoni, tradizionalmente basato sull’impiego di tre operatori, fu attuato tramite una cloche ispirata alla navigazione aeronautica correlata al concetto di “one-man control”. Data l’elevata sensibilità necessaria a controllare il movimento delle pale dei timoni, vi fu l’esigenza di sviluppare un software d’ausilio al timoniere in modo da garantire un maggior controllo sulla condotta del battello e limitare bruschi sbandamenti relativi a repentine variazioni di rotta e/o di quota. Gli organi di governo furono oggetto di svariate configurazioni per

22

Roy Burcher e Louis Rydill, Concepts in Submarine Design, Cambridge, New York, Cambridge University Press, 1994.

(17)

17

limitare dissesti e conferire quanta più stabilità alla navigazione. Per quanto riguarda la riduzione dello sbandamento trasversale furono adottate accortezze sia manuali, promuovendo accostate con meno gradi di barra, che costruttive, riducendo la portanza laterale generata dalla falsa torre con l’introduzione di un piccolo timone verticale posteriore. La navigazione in superficie risultava tuttavia alquanto critica a causa della curvatura della parte superiore prodiera che anche in condizioni favorevoli faceva sì che il battello tendeva ad inabissarsi sotto la linea di galleggiamento. Successivamente furono modificate le superfici di governo poppiere che divennero inizialmente di tipo cruciforme e successivamente di tipo “butterfly”, con forma ad “X”.

Figura 5: Timoni ad X dell’USS Albacore Figura 6: USS Albacore

Questa configurazione consentiva il controllo della manovrabilità sia lateralmente che orizzontalmente tramite ogni singola pala e garantiva una doppia ridondanza rispetto alle configurazioni a croce. Le variazioni di quota che dipendevano dai timoni di profondità orizzontali e la rotta che veniva controllata dai timoni di direzione verticali erano ora assoggettate a quattro singole pale. Fu possibile effettuare virate eccezionalmente strette riuscendo a ridurre il diametro di evoluzione a soli 148 m rispetto agli oltre 520 m dei sommergibili tradizionali23. Per ragioni di sicurezza fu però installata una serie di freni idrodinamici per fronteggiare pericolose isteresi ai comandi dei timoni di profondità che si potevano verificare nel corso di immersioni rapide ad alta velocità. Questo comportamento era estremamente pericoloso in quanto in caso di operazioni in profondità vi era il rischio di raggiungere la quota di schiacciamento. Per ovviare a questo inconveniente furono montati su tutta la circonferenza dello scafo, a poppavia della falsatorre, dieci deflettori estendibili che alzandosi a comando avrebbero frenato la discesa del mezzo. Particolare attenzione fu conferita alla riduzione della segnatura acustica del battello. A questo

23

Alberto Marinò — Corso di Mezzi Sottomarini, Evoluzione delle unità subacquee, Università degli Studi di Trieste, Monfalcone 2006

(18)

18

proposito venne montata una nuova elica di diametro maggiore, in grado di fornire la medesima spinta dell’elica originale ma con un minor numero di giri, risultando perciò più silenziosa. Si iniziò inoltre ad aver cura del rumore strutturale irradiato per cui furono applicati supporti in gomma per l’isolamento acustico di macchinari e circuiti, mentre per il rumore generato dalle superfici in libera circolazione, fu predisposto un materiale fonoassorbente per assorbire le vibrazioni strutturali. Il rumore idrodinamico prodotto dalle rapide immersioni imprescindibili per il passato, fu eliminato per mezzo della nuova natura del mezzo subacqueo che operava principalmente in immersione e necessitava di fori unicamente in sovrastruttura e nelle casse zavorra. Un importante processo di trasformazione riguardò il sistema propulsivo che doveva produrre un netto incremento della velocità in immersione in funzione degli ottimi risultati raggiunti per la stabilità e la manovrabilità. Furono così installate due eliche concentriche e controrotanti che erano azionate da due motori elettrici indipendenti i quali erano alimentati da innovative batterie all’argento e zinco che produssero un raddoppiamento di potenza. Il diverso diametro delle due eliche e la distanza tra di esse furono oggetto di un approfondito studio che, impreziosito da dettagliati reportage fotografici per lo studio di fenomeni cavitativi, riuscì a determinare la massima efficienza propulsiva a fronte di una minima segnatura acustica. Con questo nuovo sistema propulsivo, l’USS Albacore fece registrare picchi di velocità che sfioravano i 33 nodi in immersione, e 25 in superficie. Un inedito apparecchio di emergenza, denominato “Subsafe”24, antenato dei moderni “Resus Inga”, testimonia

l’impegno americano che da sempre si è contraddistinto nell’ambito della sicurezza a bordo nei sottomarini. Infine fu sperimentato una specie di aquilone subacqueo a controllo remoto usato per trasportare un’antenna di telecomunicazione appena sotto la superficie dell’acqua al fine di ridurre la possibilità di creare indiscrezione ed essere rintracciati. In questa fase è nota anche la sperimentazione di nuovi tipi di sensori elettroacustici attivi e passivi, tra cui un sensore lineare ad elementi rimorchiati agganciato alla falsa torre ed un sensore sferico a bassa frequenza montato a prora estrema dell’unità25

. Vennero infine rimossi i timoni a X insieme ai freni idrodinamici al fine di ripristinare i timoni cruciformi per ovviare alle grandi difficoltà di manovra in superficie, in fase di ormeggio e per la totale assenza di governo a marcia addietro tipica della configurazione di tipo butterfly.

24 Sistema che era in grado di svuotare le casse zavorra e portare il battello in superficie in pochi secondi. 25

Alberto Marinò — Corso di Mezzi Sottomarini, Evoluzione delle unità subacquee, Università degli Studi di Trieste, Monfalcone 2006

(19)

19

Figura 7: Fasi Evolutive dell’USS Albacore

È da sottolineare come questa geometria dei timoni non sia stata utilizzata dalla US Navy sino ai nostri giorni. Infatti visto l’impiego sempre più crescente nelle flotte subacquee e le prestazioni molto performanti raggiunte da questa tecnologia, gli X Rudder saranno equipaggiati sulla nuova Columbia-class di sottomarini nucleari lanciamissili per la prima volta dal 1968 dopo le sperimentazioni svolte sull’USS Albacore. Rimasto in servizio fino al 1972, sempre come mezzo sperimentale, dal 1985 è esposto al pubblico come nave museo a Portsmouth, la stessa località dove era stato costruito trentadue anni prima.26

Figura 8: USS Albacore

26

Norman Polmar e Kenneth J. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and

(20)

20

1.3 La “Guerra Fredda”

Nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, si delineò un assetto planetario geopolitico destinato a rimanere immutato per circa un quarantennio e caratterizzato da una relativa stabilità strategica. A ciò va però contrapposto una rilevante dinamicità tecnologica riguardante una corsa globale agli armamenti che portò alla nascita di due blocchi contrapposti. L’espansionismo ideologico e materiale dell’Unione Sovietica portò gli Stati Uniti ad organizzare militarmente una coalizione in funzione antisovietica. L’organizzazione della NATO fu la diretta conseguenza di come la politica americana avesse necessità di possedere una capacità aeroterrestre in Europa continentale per far fronte in prima istanza ad un’eventuale avanzata di Mosca. In secondo luogo, come tra l’altro avvenuto durante la guerra appena conclusasi, gli Alleati avrebbero atteso rinforzi ed approvvigionamenti da oltreoceano. Tra i compiti delle forze aereonavali della NATO, c’era quindi anche il compito di proteggere la direttrice che collegava le Americhe alle coste europee da eventuali attacchi avversari. La leadership sovietica, che fino alla metà degli anni Cinquanta prediligeva atteggiamenti difensivi, consapevole che i limiti industriali nazionali non avrebbero consentito di sviluppare in breve tempo una Marina con capacità equivalenti a quelle alleate, decise di dare priorità alla creazione di una potente forza subacquea in grado di minacciare seriamente le linee di comunicazione marittime avversarie unitamente al contrasto di eventuali operazioni anfibie contro il territorio sovietico. Fu così che grazie alle preziose risorse provenienti dai tipo XXI tedeschi furono realizzati 250 battelli la cui dottrina d’impiego si basava sulla lotta al traffico navale ed al contrasto di gruppi portaerei, divenuti insieme ai battelli il mezzo deterrente per eccellenza. Consapevoli della superiorità navale alleata, i vertici della Marina Russa idearono una dottrina di contrasto alle portaerei americane con lo sviluppo del missile da crociera antinave con traiettoria guidata da un battello a propulsione nucleare, SSGN. Operando attraverso la strategia dei “bastioni” gli SSN o SSK sovietici, battelli a propulsione nucleare o convenzionale schierati a supporto dell’intero dispositivo, operavano in difesa degli SSBN, battelli nucleari armati di missili balistici con testate nucleari, che erano in grado di colpire obbiettivi statunitensi terrestri con traiettorie prefissate direttamente dalle acque dell’Oceano Artico, del Mar di Barents o del Pacifico nordoccidentale. D’altra parte gli SSN occidentali avevano compiti ben definiti. Il più delicato, affidato espressamente a battelli americani e britannici prevedeva attacchi mirati ai bastioni sovietici, mentre il supporto francese garantiva un vasto dispositivo di difesa antisommergibile in Atlantico ed

(21)

21

in particolare in corrispondenza del “GIUK gap”27, oltre alla protezione da minacce di superficie per SSBN e gruppi portaerei occidentali. I battelli a propulsione convenzionale furono impiegati invece a ridosso delle acque metropolitane, in corrispondenza dei numerosi passaggi obbligati esistenti in tutto il teatro marittimo europeo. In quest’ottica furono inquadrati i battelli appartenenti alla Marina Militare italiana unitamente a compiti di supporto a portaerei operanti nel Mediterraneo destinate a operazioni di strike contro obbiettivi nell’URSS meridionale28

. È bene sottolineare come dal 1961 la US Navy era in grado di monitorare gli spostamenti dei sottomarini sovietici nei pressi del “GIUK gap” tramite il “Sound Surveillance System”, l’insieme di numerose postazioni subacquee costituite da idrofoni e sensori adibite al rilevamento e alla determinazione della posizione di mezzi subacquei.

L’introduzione dell’energia nucleare per la propulsione di mezzi marittimi servì a rivoluzionare completamente dapprima le tattiche e le procedure operative e successivamente anche le strategie d’impiego delle forze aeronavali. Il concetto di deterrenza, divenuto centrale nel mantenere in equilibrio la disputa tra i due “blocchi”, può essere esplicitato come una rivoluzionaria concezione dell’impiego della forza volto a prevenire qualsiasi forma d’aggressione. Con l’introduzione di innovativi sistemi missilistici a lungo raggio, l’impiego del mezzo subacqueo assunse una funzione deterrente di primissimo piano e determinò un esteso periodo di progressi tecnico-costruttivi ed evoluzioni tecnologiche degli armamenti, dai quali discende l’oggettivo riconoscimento del sottomarino come assoluto protagonista della Guerra Fredda. L’ingente mole di risorse impiegate per riuscire ad ottenere un significativo vantaggio nei confronti dello schieramento avversario portò ad un susseguirsi di progressivi miglioramenti di prestazioni e capacità con un conseguente aumento delle dimensioni e del tonnellaggio tali da avviare l’era del gigantismo subacqueo che riguarderà i battelli varati dalla fine degli anni ’70 in poi.

27 Area dell’oceano Atlantico settentrionale nei pressi di Groenlandia, Islanda e Regno Unito. 28

Cosentino Michele, “Sotto gli Oceani: Evoluzione e Sviluppo delle Unità Subacquee”, Rivista Marittima, Supplemento Ottobre 2001, pp. 62-68

(22)

22

1.3.1 La propulsione nucleare: SSN

Figura 9: Schema semplificato di un impianto di propulsione nucleare

Un reattore nucleare è un sistema tecnologico complesso che è basato su una reazione a catena innescata dalla fissione di atomi di uranio in seguito al bombardamento di neutroni. La reazione è fortemente esotermica a causa della rottura dell’atomo di uranio che produce un’elevata quantità di calore, la quale è poi asportata da un fluido termovettore che successivamente produrrà vapore volto ad azionare una coppia di turbine. Un reattore nucleare non necessitando di comburente convenzionale e non producendo gas di scarico, ben si presta all’applicazione subacquea, tanto da essere stata la prima applicazione in ambito navale. Vi sono differenti tipologie di reattori che si distinguono in base alla natura del fluido utilizzato come vettore per trasferire il calore per la produzione di energia. La US Navy ha da sempre utilizzato i PWR, Pressurized Water Reactor, in cui è utilizzata acqua leggera per raffreddare il reattore e moderare i neutroni. La peculiarità di tale apparato risiede in un doppio circuito per il raffreddamento del nocciolo che avviene mediante acqua attiva, in stato di sotto raffreddamento e a circa 160 atm di pressione. Quella che costituisce il circuito primario è mantenuta ad una temperatura di vaporizzazione di circa 315°C (invece che 345°C) grazie all’azione di pompe dedicate che evitano il raggiungimento del punto critico, che qualora dovesse essere superato darebbe il via all’evaporazione dell’acqua annullandone la capacità mitigatrice. In questo modo, arrivando al punto di saturazione voluto, si trasferisce calore all’acqua del circuito secondario che avvolge l’intero sistema. Il vapore prodotto in questa fase è quello che

(23)

23

effettivamente aziona la turbina e si convoglia nel condensatore completando il ciclo detto “di Rankine”29. L’energia prodotta è sfruttata per muovere l’elica, con velocità fino a 35

nodi in immersione, e per asservire tutti i servizi di bordo per un tempo illimitato. Se paragonata ad un battello tedesco tipo XXI, la propulsione nucleare garantisce un’autonomia maggiore di circa 500 volte, essendo in grado di espletare missioni di una durata complessiva anche di sei mesi. Nonostante ciò, il reattore è molto rumoroso specialmente a piena potenza e la quota operativa necessita di essere relativamente elevata per sfuggire ad eventuali sensori acustici. Alle basse velocità inoltre è ugualmente rumoroso poiché non potendo arrestare il funzionamento del reattore si è obbligati a condensare ed espellere il vapore prodotto, by-passando la turbina, rilasciando per giunta una scia termica rilevabile dai sensori ad infrarosso. Sebbene i sottomarini nucleari siano caratterizzati da un peso significante, è dimostrato, da leggi che studiano le carene in funzione della resistenza al moto e alle onde, che in immersione è sufficiente metà della potenza, rispetto ad un’unità di superficie, per raggiungere una determinata velocità a parità di dislocamento. Questa importante qualità conferisce ai sottomarini nucleari sia di mantenersi al di fuori della portata dell’armamento “ASW” sia di avere spunti più performanti rispetto alle unità di superfice. Una prerogativa unica appartenente a questa tipologia di battelli è quella di poter navigare al di sotto della calotta polare, lì dove nessuna nave di superficie sarebbe in grado di operare. Il primo sottomarino nucleare a compiere un’intera navigazione attraverso l’Oceano Glaciale Artico fu l’USS Nautilus, che nel 1958 ultimò il trasferimento di 330.000 miglia dalle Hawaii alla Gran Bretagna attraverso il Polo Nord, di cui 255.000 in immersione. A testimonianza dell’importanza dell’impresa appena conclusa, non appena il battello riemerse nei pressi dell’Islanda, il Comandante Anderson fu immediatamente prelevato da un elicottero e successivamente trasportato in aereo a Washington, dove, oltre a riferire in merito alla missione, fu decorato personalmente dal Presidente Eisenhower.

Il sottomarino aveva uno scafo di forme tradizionali, ed un dislocamento di 4040 tonnellate e anche se in un primo tempo si pensò di non dotarlo di alcun tipo di armamento, successivamente si decise di armarlo con sei tubi lanciasiluri prodieri da 533 millimetri in modo da poter effettuare prove di valutazione complessive riguardanti la piattaforma, il sistema d’arma e l’apparato motore. Quest’ultimo, composto dal reattore e dallo scambiatore di calore per fornire vapore alle turbine, aveva un diesel-generatore ausiliario

(24)

24

con l’unica funzione di assicurare un rientro d’emergenza ad una velocità massima di 2-3 nodi qualora il sistema di propulsione nucleare fosse andato in avaria.Il battello aveva però anche un grande difetto dovuto alle vibrazioni ed al rumore prodotto principalmente dal riduttore ad ingranaggi delle turbine unitamente alle varie pompe di raffreddamento per reattore e scambiatore di calore.

Figura 10: USS Nautilus raggiunge il Polo Nord

(25)

25

È importante riportare le considerazioni del Contrammiraglio Frank Watkins, Comandante delle forze sottomarine statunitensi dell’Atlantico, che così si espresse nel 1955: “Le vibrazioni e il rumore prodotto dalle sovrastrutture impediscono una normale conversazione nel compartimento siluri a velocità superiori agli 8 nodi. E’ necessario gridare per farsi sentire nello stesso compartimento quando il battello raggiunge i 15 nodi. Il rumore rende inoltre inutilizzabili tutti i sonar imbarcati, attivi e passivi”.

Anche dopo che furono effettuate significative modifiche dello scafo con l’intento di ridurre al minimo le vibrazioni, il sottomarino rimase rumoroso, quindi facile da individuare e poco capace di scoprire presenze estranee nelle vicinanze. Nonostante ciò, grazie anche alle ricerche sperimentali che venivano condotte parallelamente col sommergibile USS Albacore, l’operato dell’USS Nautilus consentì di centrare pienamente l’obiettivo per cui era stato concepito, dimostrando la praticabilità della propulsione nucleare per le unità subacquee e decretando l’effettiva alba degli SSN. Tale traguardo fu raggiunto grazie all’estenuante determinazione dell’allora Comandante H.G. Rickower, Padre della Marina Nucleare, il quale riuscì a vincere le tenaci opposizioni dello Stato Maggiore della US Navy riguardo l’installazione dell’energia nucleare a bordo dei sottomarini, sensibilizzando l’opinione pubblica sull’ingente minaccia subacquea sovietica. Le numerose sperimentazioni che hanno portato alla realizzazione di questa tecnologia sono sempre state contraddistinte da una precisa ed attenta predisposizione alla sicurezza. Se sono noti ben 14 incidenti nell’applicazione di reattori russi, è da sottolineare come la dedizione statunitense al continuo controllo dei parametri di qualità e sicurezza sia nella fase sperimentale che nell’effettivo esercizio dei reattori non abbia mai causato incidenti. Anche in tale frangente, l’obbiettivo è stato perseguito grazie allo scrupoloso rigore trasmesso dall’Ammiraglio Hyman Rickover ai vari team di ricerca e produzione. Egli raggiunse l’ambito grado di Ammiraglio a quattro stelle e fu decorato per ben due volte con il più alto riconoscimento civile conferito dagli Stati Uniti: la “Congressional Gold Medal”. La sua leadership risultò determinante oltre che nella concezione del primo reattore ad acqua pressurizzata S1W che nel 1954 alimentò energeticamente l’USS Nautilus, nello sviluppo della propulsione nucleare adoperata dalla US Navy fino agli inizi degli anni ’80.

(26)

26

Figura 12: L’ammiraglio Rickover riceve la 4° stella Figura 13: L’Ammiraglio Rickover presiede

dal presidente Nixon il 3 Dicembre 1973 l’inaugurazione dell’USS Los Angeles alla presenza del presidente Carter

Durante la Guerra Fredda possedere questa tipologia di battelli rappresentava un enorme vantaggio per gli Stati Uniti, i quali godevano del primato nella corsa al mezzo nucleare rispetto alla marina militare sovietica30.

D’altra parte l’URSS, duramente colpita dalla seconda guerra mondiale, non potendo eguagliare la flotta di superficie degli Stati Uniti, con l’impulso di Stalin e dell’Ammiraglio Kuznetsov attuò un importante rinnovamento della flotta sottomarina per contrastare il dominio marittimo statunitense. La visione dell’Ammiraglio Kusnetsov riprendeva l’applicazione che la Marina tedesca aveva conferito agli U-Boot durante l’ultima guerra con la convinzione che se avesse aumentato il numero di unità avrebbe potuto contrastare e vincere il potere marittimo statunitense. L’industria navale russa perciò perseguiva la filosofia della quantità a dispetto della qualità. La classe Whiskey ad esempio, impostata nei primi anni della Guerra Fredda, consistette nella più numerosa classe di sottomarini mai costruita da un solo Paese in tempo di pace, e comprendeva ben 236 esemplari. Modificati in un gran numero di varianti ed utilizzati per svolgere

30

Tom Clancy e John Gresham, Submarine: A Guided Tour Inside a Nuclear Warship, New York, Berkley Books, 1993.

(27)

27

molteplici test per lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma, rimasero in servizio fino al 1993. Pur riprendendo le caratteristiche degli U-Boot tipo XXI manifestavano prestazioni inferiori, adatte prettamente a missioni di sorveglianza costiera. Essi erano caratterizzati da un doppio scafo, una propulsione diesel-elettrica con particolare attenzione a navigazioni silenziose attraverso l’installazione di superfici fono assorbenti. L’armamento comprendeva sei tubi lanciasiluri da 533 mm e a dispetto delle classi precedenti erano decisamente più versatili tanto da essere varati anche in versioni lanciamissili tramite soluzioni tecniche riprese poi nei successivi SSG.

Per colmare il divario creatosi con il raggiungimento statunitense della propulsione nucleare, Mosca nel 1952 avviò il “Progetto 627” che aveva la specifica iniziale di varare un mezzo in grado di effettuare un attacco atomico alle città costiere americane. Il primo classe November, nomenclatura NATO conferita a questa categoria di unità, fu il K-3 Leninskij Komsomol, varato nel 1957. Il programma volto alla realizzazione di un reattore nucleare idoneo ad essere equipaggiato a bordo del sottomarino fu tormentato da molteplici incertezze e controversie fondate sull’effettivo impiego dell’apparato a causa dell’assoluta segretezza che si celava dietro l’applicazione di questa tecnologia. Persino l’ingegner Vladimir Barantsev, incaricato di sviluppare il reattore atomico, concepì la reale ubicazione del reattore soltanto dopo aver consultato i disegni del mezzo e le dimensioni dell’asse tipiche di un sottomarino31

. Lo scafo di questi battelli era in acciaio, diviso in nove compartimenti ma non erano presenti schermature per i reattori nucleari che, pur sviluppando ottime velocità subacquee, sarebbero stati la causa di terribili conseguenze per la salute dell’equipaggio, la cui vita a bordo si protraeva anche per 60 giorni consecutivi.

Figura 14: Unità della classe November, Project 627

31

Norman Polmar e Kenneth j. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and

(28)

28

1.3.2 L’applicazione missilistica ai sottomarini

Il prototipo di sottomarino moderno fu raggiunto con il varo dell’USS Skipjack, primo rappresentante dei sottomarini d’attacco americani che combinavano reattori ad acqua pressurizzata e scafi a goccia allungata. Questo progetto accomunava tutti i progressi ottenuti attraverso le sperimentazioni con l’USS Nautilus nel campo della propulsione nucleare a quelli dell’USS Albacore nel campo della ottimizzazione della carena subacquea. Impostato nel 1956 ed entrò in servizio nell’aprile del 1959. Esso aveva un dislocamento in superficie di 3075 tonnellate ed in immersione di 3513 tonnellate. Sviluppava una velocità in superficie di 16 nodi e superava i 30 in immersione. Aveva una configurazione a scafo singolo con propulsione su un unico asse e timoni di profondità sistemati sulla vela. Con l’USS Skipjack il sottomarino aveva assunto tutte quelle caratteristiche che ancora oggi contraddistinguono una moderna unità subacquea. Tuttavia con il raggiungimento della tecnologia atomica finalizzata alla realizzazione e all’impiego di ordigni nucleari, il mondo sovietico aveva prepotentemente ristabilito una situazione di parità con l’Occidente che fino al 1953 deteneva il predominio assoluto sul globo, forte dell’esclusiva distruzione atomica dimostrata ad Hiroshima, Nagasaki e continuamente testata nell’Atollo di Bikini. In questa situazione politica era verosimile una guerra nucleare. Divenne perciò indispensabile reperire un’arma definita di seconda ondata che fosse in grado di sopravvivere al primo attacco e successivamente capace di ribattere efficacemente rispondendo all’attacco subito. È in quest’ottica che si delineava lo sviluppo di un sottomarino lanciamissili. Meno vulnerabile di mezzi terrestri o aereonavali, il sottomarino unisce la singolare qualità di essere strategicamente mobile ed occulto a capacità di lancio con gittate molto ampie caratterizzate dal potere distruttivo nucleare. Queste qualità uniche, oltretutto semplificative di complesse problematiche riguardanti il tiro balistico, erano impreziosite dalla certezza che un attacco condotto in maniera occulta sarebbe inevitabilmente andato a segno per la mancanza di contromisure tempestive. La difesa da un attacco sottomarino risulta molto complessa e probabilmente inefficace considerando che il funzionamento di un sistema missilistico difensivo è programmato contro armi a lungo raggio per fermare missili lanciati da basi terrestri localizzate e distanti. In funzione del trasferimento verso il bersaglio è possibile distinguere diverse tipologie di missili: quella balistica e quella da crociera. La traiettoria balistica è composta

(29)

29

da tre fasi: inizialmente è il motore a fornire la spinta necessaria a far raggiungere la quota suborbitale in cui non è più necessaria una spinta; la seconda fase detta di volo libero sfrutta una specifica zona dell’atmosfera per consentire elevate portate; la fase di rientro consiste nell’ultimo tratto, discendente, in cui il missile punta e colpisce il target. Un’altra tipologia missilistica è quella da crociera che ha portate considerevoli ma molto minori rispetto a quelli balistici, la conduzione avviene direttamente sull’obbiettivo ed è espletata attraverso differenti modalità di guida. Possono essere entrambi equipaggiati con testate nucleari ed in funzione del sistema installato distinguiamo le tipologie di sottomarini SSBN, balistici nucleari, da quelli SSGN, con missili guidati e a propulsione nucleare. Nel 1955 ha inizio lo sviluppo di un’implementazione missilistica a bordo di unità subacquee in occasione dell’approvazione di un progetto elaborato da un alto comitato tecnico-scientifico da parte dei vertici del Congresso, del Pentagono ed in particolare dal Capo di Stato maggiore della Marina, l’Ammiraglio Arleigh Burke. La sfida era molto complicata: occorreva creare un missile adatto a funzionare sia in acqua che nell’atmosfera, idoneo ad essere imbarcato e stivato a bordo di sottomarini, ma soprattutto in grado di risolvere problematiche inerenti il tiro da una piattaforma instabile ed immersa negli oceani. Dopo cinque anni di sforzi congiunti tra marina ed esercito, fu sviluppato il Polaris I, missile dotato di una velocità di 16.000 km orari con un raggio d’azione di 2.250 km, in grado di attraversare l’Oceano Atlantico. Il lancio avveniva mediante un piccolo razzo che immetteva gas ad altissima temperatura dentro una camera contenente acqua che vaporizzava; il missile veniva espulso dal tubo mediante una sovrappressione creata dal vapore e gas di scarico; in questo modo l’arma assumeva una traiettoria verticale attraverso un sistema di guida inerziale che ne correggeva la rotta. Al termine della combustione del propellente il missile doveva raggiungere una velocità nell’ordine dei 12.000 km orari con la testata che procedeva balisticamente sulla traiettoria assegnata32. Questo progetto bloccò lo sviluppo di unità armate con il sistema di lancio di missili guidati “Regolus33” che sin dal dopo guerra aveva adattato la versione statunitense del missile tedesco V-1. L’unico SSGN della US Navy che impiegò questo sistema fu l’USS Halibut che nel 1960 fu il primo sottomarino nucleare a lanciare con successo un missile guidato e restò in servizio

32 Ghetti Walter, “Storia Mondiale del Sommergibile: dalle Origini al Sottomarino Atomico” Milano,

Giovanni De Vecchi Editore, 1975, pp 236-238

33 La propulsione era generata da un pulsoreattore nel quale l’esplosione dei gas propellenti avviene in

maniera intermittente tra le 40 e le 250 volte al secondo, a differenza degli statoreattori in cui il processo è continuativo. Aveva un gittata di circa 50 miglia ma usando un secondo sottomarino come “relay” poteva arrivare anche a 135 miglia totali. Il missile poteva essere armato con testate nucleari ma doveva essere lanciato in emersione.

(30)

30

fino al 1976. Nel 1959 l’USS George Washington, battello identico alla classe Skipjack adattato a stivare e lanciare armamento di tipologia PolarisA-1, fu il primo battello a propulsione nucleare ad essere equipaggiato con missili balistici a testata atomica. Questo evento aumentò esponenzialmente il potere deterrente statunitense che poté contare su unità di tipo hunter-killer con capacità di occultamento tali da essere invisibili per mesi e con un’enorme potenza di fuoco. Questa serie di avvenimenti segnò la nascita di un’epoca improntata all’armamento preventivo in cui la politica della persuasione, attuata mediante armamenti dissuasivi, dominava i piani offensivi dei due blocchi celandone le vulnerabilità.

Figura 15: Varo de USS George Washington il 9 Giugno 1959

Il primo sistema d’arma missilistico sottomarino sovietico era stato realizzato nel 1957 ma era implementato su unità a propulsione convenzionale appartenenti alla classe Zulu, appositamente riammodernate per il sistema di lancio degli “R-11FM”, la prima versione navale di missili balistici ispirati ai “V-2” tedeschi, però caratterizzata da una corta gittata che rischiava di mettere in pericolo il sottomarino stesso. Il sistema di gestione era in grado di registrare le coordinate di volo in modo automatico, riducendo notevolmente il tempo di

(31)

31

preparazione del lancio. La fase preparatoria era svolta in immersione e richiedeva un’ora, mentre il lancio vero e proprio poteva essere effettuato soltanto in emersione. Più avanzato e potenziato era invece l’armamento dei ventuno sottomarini della classe Golf, che potevano trasportare fino a tre missili del tipo “R-13” caratterizzati da una gittata di 650 chilometri, utili per opporsi alla preponderanza aeronavale occidentale ma pur sempre limitati dalla propulsione convenzionale dei propri battelli. I primi veri SSBN furono i battelli della classe Hotel, che nel 1962 vennero dotati di missili tipo “R-21” con una portata di 1400 chilometri.

Figura 16: Unità della classe Hotel che ha appena lanciato un missile “R-21”

La cantieristica sovietica era sempre all’inseguimento di quella statunitense e denotava una carenza nello sviluppo di una propria cultura navale avendo il solo obbiettivo di imitare e superare le prestazioni avversarie. Una dimostrazione evidente fu fornita dalla predisposizione negli SSBN sovietici di soli tre missili balistici, a fronte dei 16 imbarcati sulla classe George Washington in servizio negli stessi anni, evidenziando come ancora non si sapevano sfruttare al meglio le potenzialità offerte dal nucleare.

(32)

32

1.3.3 La flotta subacquea sovietica

All’origine l’ingegneria cantieristica sovietica non si curò della natura propria delle unità subacquee, concentrandosi su armamento, velocità e corazzatura fino a raggiungere risultati superiori a quelli statunitensi in queste caratteristiche, ma disinteressandosi della rumorosità dei sottomarini che venivano costruiti. Nel corso degli anni Sessanta l’attenzione dei progettisti sovietici si concentrò sulle prestazioni velocistiche dei battelli e sulla capacità di immergersi a profondità elevate. La conferma avvenne nel mezzo del Pacifico nel 1968 quando la portaerei nucleare USS Enterprise identificando un battello classe November appurò che il sottomarino manteneva il contatto anche avendo impostato 31 nodi alle macchine34. Per un sottomarino la corazzatura ha una valenza differente da quella relativa alle unità di superficie, poiché avente l’unica funzione di resistere alla pressione idrostatica in relazione alla quota, mentre la suddivisione del battello in compartimenti stagni consente di avere una ridondanza tale da essere l’unica accortezza difensiva strutturale verso l’offesa di colpi avversari. Questa strada fu ampiamente sviluppata dai sovietici tanto da arrivare a frazionare i sottomarini in un più che elevato numero di compartimenti. Un ambito nel quale i russi mantennero un primato costante fu quello delle unità progettate per l’impiego dei missili da crociera, ai quali, come abbiamo visto, i nordamericani rinunciarono in modo radicale a favore dei missili balistici, fino alla fine degli anni Settanta, quando fu sviluppato il modello Tomahawk35. Tuttavia in questo contesto gli statunitensi disponevano di un vantaggio notevole per via dell’impiego di combustibile solido, diversamente da quello liquido preferito dai sovietici, più capace di erogare potenza ma meno stabile e inoltre di complessa manutenzione, dato che i missili andavano riforniti subito prima del lancio. Alla base delle valutazioni tattiche sovietiche, i missili da crociera erano ritenuti le armi più adatte ad attaccare le gigantesche portaerei che rappresentavano uno dei più efficaci strumenti di intervento locale, in qualunque area del pianeta, di cui gli Stati Uniti disponessero. Una diffusa sfiducia e un comprensibile timore per l’efficienza dei reattori atomici forniti alla flotta contribuì ad incentivare la costruzione di unità a propulsione diesel-elettrica che come analizzato in seguito produrrà risultati ingegneristici di notevole livello36.

A partire dagli anni sessanta furono varate numerose classi di battelli sovietici aventi

34 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, Le scie, Mondadori, pp. 65, 66.

35 Missili da crociera sviluppati dal 1972 ed entrati in servizio nel 1983 con una gittata di 2500 km ed una

velocità di 880 km/h.

(33)

33

caratteristiche comuni come un doppio scafo resistente frazionato in numerosi compartimenti stagni, una propulsione basata su due reattori con un doppio asse, una notevole riserva di galleggiabilità e spiccate doti di resistenza alla pressione per raggiungere quote profonde. La classe Echo derivante dal “Progetto 659” e “Progetto 675”, fu impiegata nella Flotta del Pacifico ed in parte nella Flotta del Nord, rimanendo in servizio sino agli anni novanta. Le unità avevano un dislocamento di 4.500 tonnellate in emersione e 5.500 in immersione. La propulsione era assicurata da due reattori nucleari ad acqua pressurizzata, che erogavano una potenza di 25.000 hp spingendo il sottomarino a venti nodi in superficie e venticinque in immersione. Erano imbarcati otto missili antinave del tipo “SS-N-3” che potevano essere equipaggiati sia con una testata nucleare che convenzionale ed avevano una gittata tra i 450 ed i 750 chilometri. A causa del numero maggiore di missili imbarcati fu necessario un aumento delle dimensioni rispetto ai sottomarini convenzionali. Il lancio avveniva in superficie, i tubi venivano sollevati ed occorrevano circa venti minuti per lanciare tutti gli otto missili. A prora erano presenti sei tubi lanciasiluri da 533 mm a e due da 406 mm a poppa.

Riferimenti

Documenti correlati

Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che

FACSIMILE DI LETTERA PER INCARICO DI REVISIONE LEGALE DA PARTE DI UN COLLEGIO SINDACALE – LINEE GUIDA SINDACI/REVISORI APP. SOLO

196/2003 i dati inviati dai partecipanti verranno trattati dalla scuola ricevente esclusivamente per gli atti relativi allo svolgimento della gara di Trasporti e Logistica

La psicologia dell’emergenza (meglio definita nell’espressione psicologia “in situazioni” di emergenza 1 ) fa riferimento a quell’ambito di intervento pro- fessionale, così

09,50 - Gli strumenti operativi per la scelta dei paesi e il posizionamento dell'offerta Antony Genova, Google (in collegamento video). 10,30 - Il sito e-commerce per il

alla meta si a di Heidegger) e se ondo me  e proprio la validit a di questa riti-. a he spiega l'ostra ismo al neopositivismo, da parte dei ir oli loso

Tra gli scopi dell'Associazione vi è quello di concorrere alla promozione e utilizzazione della fonte eolica in un rapporto equilibrato tra insediamenti e natura, nonché quello

Bagnasco, nella sua visita a Lampedusa, invitava non solo quella gente «ad essere un segno di speranza per tutti», ma anche a pregare «per noi, per coloro che giungono da lontano,