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LE ORIGINI DELL'INDUSTRIA TESSILE IN PIEMONTE

l/indu strìa serica

Dire « organzino piemontese » significò per molti secoli, in Europa, garanzia, pregio e valore.

Tra le varie attività tessili quella della seta supe-rava ogni altra e non solo prospesupe-rava in Torino; ma, distribuita nelle valli e nelle città di provincia, rappresentò, almeno fino alla seconda metà deH'800, motivo di gloria del popolo piemontese. Lo stato protesse in modo particolare questa industria e dopo Carlo Emanuele II (1638), fino alla fine del secolo XVIII, si contano ben 534 f r a editti, notificanze, istruzioni dirette a provvedere all'arte e al com-mercio serico.

La piantagione dei gelsi, la introduzione dei primi filugelli e i primi tentativi, condotti probabilmente solo nelle case principesche, compaiono alla fine del secolo XTTT. Da un documento del 1299 risulta che Sibilla di Baugé, consorte di Amedeo V, dal castello del Borghetto mandò un incaricato a Ginevra in quell'anno e nella settimana successiva alla festa degli Apostoli Pietro e Paolo, per avere dei «bigatti» e che « ipsa septimane » furono pagati venti danari. Con ciò non si vuol confermare che poco dopo prosperasse l'arte serica, tuttavia, nel secolo XIV già troviamo nelle vicinanze di Torino, e specialmente a Bacconigi, qualche m a n i f a t t u r a fiorente.

Emanuele Filiberto, che fece venire « diecisette millia piante de moroni per trapiantarle nella pos-sessione della nuova M a r g a r i t a » , presso Tronzano, darà impulso all'industria e commercio serico pro-muovendo nuove colture di gelsi, e da quest'epoca l'azione del governo tutorio si intensifica più che in ogni altro paese. Si proibisce ad esempio di esportare le foglie di gelso all'estero, si vieta l'uscita delle sementi, si ammaestrano gli operai su l'arte di filare i bozzoli, su l'educazione dei bachi, si creano « ispettori dei bachi », si promuovono cen-simenti su le filature, si precisano norme per il corretto uso dei forni (per essicare il baco) e altre se ne dettano per gli operai nonché per le opera-zioni di t r a t t u r a , ordinandosi gli « instromenti con le rodelle » mosse con una corda perpetua per la circolazione interna ed esterna delle sete; verso il 1650 si introduce l'arte della torcitura e da quella data sempre nuove norme sono dirette a miglio-rarla; disposizioni personali si dettano per gli operai torcitori, ci si preoccupa dei periodi stagio-nali di disoccupazione e se ne occupano pubbli-cisti ed accademie; si protegge in tutti i modi il prodotto finito, fino a giungere alla prima metà dell'800, quando al Consiglio di commercio e poi alla Camera di Agricoltura e Commercio di Torino (cessato il primo ente) e poco dopo al Consiglio di Stato sorgono le più vivaci battaglie per la libera esportazione della seta greggia e per eliminare le antiche legislazioni ormai diventate eccessivamente restrittive e impedienti quella sana concorrenza che ormai stava imponendosi in t u t t a Europa.

A mezzo il secolo XIX il numero degli operai a m -montava a circa 56.000, e a Kgr. 746.073 la produ-zione a n n u a di seta greggia, ricavata da u n a media di Kgr. 7.904.254 di bozzoli. La produzione più pre-giata si otteneva fin dal 1600, oltreché nella pro-vincia di Torino, in quelle di Susa, Pinerolo, Sa-luzzo, considerati i migliori centri produttori d'Eu-ropa. Seguivano Mondovì, Alba, Cuneo e Novara (Vigevano) la cui qualità era in concorrenza con quella di Lombardia (Brianza e Bergamo). I n ul-timo, sempre come qualità di seta prodotta, erano noti i centri di Ivrea, Vercelli, Casale, Alessandria e Pallanza. Per cui si può concludere che il merito dei nostri organzini era da attribuirsi: 1) alla qua-litàlità n a t u r a l e dei bozzoli; 2) alla tecnica della t r a t t u r a o «Alaggio» (le filatrici delle Provincie

di Saluzzo, -Susa, Pinerolo e Torino producevano le sete più valutate in tutta Europa); 3) alla tecnica della torcitura (organzinamento).

Il « titolo » della seta che serviva solo per indi-carne pressapoco la qualità e la finezza e il numero dei bozzoli che concorrevano a comporre il filo, era garantito dalla materia prima e dalla politica' go-vernativa.

Fu precisamente questa « polizia industriale » — secondo la terminologia settecentesca •— che con-tribuì a f a r sì che il Piemonte, venuto ultimo fra le regioni italiane a coltivare in grande stile il gelso, presto su ogni altro paese eccellesse.

La Sicilia, Napoli, Lucca, Bologna, Venezia, Mo-dena, Milano, Genova, rispettivamente celebri dal '400 in avanti in questa industria, cedettero il passo al Piemonte che si impose non solo in tutta Italia, ma ben anche in Francia (Lione, mandava le sue sete in Piemonte onde lavorarle), in Svizzera, in Germania, in Inghilterra; fatto particolarmente rilevante quando si pensi che prima del 1613 non si esportavano sete, che ancora nel 1650 non grande era la produzione totale, e che solo col 1670 si introduce il meccanismo per torcere la seta. La proibizione di esportare seta greggia — che nono-stante le critiche favorì la m a n i f a t t u r a piemontese per un secolo e mezzo — data al 1698,

A mezzo il secolo XIX quando ima nuova politica di libertà commerciale si stava, come detto, gene-ralmente imponendo, si fabbricavano ancora nel paese da 1.200.000 a 2.000.000 di libbre di organzino che calcolato alla media di L. 15-25 la libbra (lib-bra = Kgr. 0,368), rendeva dai 25 ai 40 milioni di lire annualmente. U pareggio della bilancia com-merciale dovevasi a questa gloriosa industria. E nonostante la crisi che già incombeva e dalla quale più tardi nel secolo XX l'arte non potrà più risol-levarsi — a fronte dei nuovi costumi e nuove ten-denze della moda — nel 1850 esistevano ancora 844 filande di seta, 156 torcitoi, 38 tessiture e 39.000 operai filatori, 11.000 operai torcitori e 6000 operai tessitori.

L ' i n d u s t r i a l a n i e r a

La produzione laniera, che troverà nel Biellese le origini del massimo sviluppo, soprattutto per il f a t t o che le industrie servivano inizialmeme quasi esclusivamente le truppe accasermate nella regione, fu, dopo la seta, una delle glorie del vecchio Pie-monte. Si hanno notizie delle sue origini fin dal 1431, ad opera degli S t a t i Generali e nel 1449 ad opera del duca Lodovico. Nel 1852 privilegi vengono concessi a quest'arte nel Pinerolese e qualche anno prima nel Vercellese. Ma già all'inizio del secolo si h a n n o notizie, nel Vigevanese, del prosperare di questa arte.

M a ben più remote sono le origini nel biellese, del cui centro meglio diremo in seguito, se già Quintino Sella trascrive, nelle sue accurate ricerche, gli statuti dei drapperi del 1243.

A mezzo il '500 il Villars, visitando Biella, la trova «pleine d'artisans et des gens adonnés à toute sorte de t r a f i c » . Ma non solo a Biella pullulano gli artigiani lanieri, chè a Giaveno, a Chieri, a Mondovì l'arte inizia fin dalla fine del secolo XVI le sue prospere fortune,

Nel 1688 Vittorio Amedeo n dà incentivo non solo alla seta m a anche alla lana. Dieci anni dopo a Torino il Duca fonda u n a fabbrica di panni fini che passerà ben presto (1702) — ricorda il P r a t o — all'iniziativa privata, segno questo di una nuova tendenza che stava vittoriosamente imponendosi, esempio seguito a Villanova di Mondovì. Le forni-ture militari incoraggiano la nuova arte (nuova nei confronti della più anziana serica). Ormai

l'in-dustria laniera piemontese h a sostituito quella glo-riosissima sorta nel trecento a Firenze ove tren-tamila operai, sorretti dalle due famose corpora-zioni di Calimala e della lana, tingevano e rifini-vano i panni inviati dalla Francia, Germania e In-ghilterra. Ma anche in Lombardia poco dopo 70.000 persone erano addette a quest'arte introdotta dagli umilati e i commerci con Venezia e Padova — pur essa forte produttrice — confermano l'altezza rag-giunta da quest'arte.

Ma col trascorrere dei decenni e dei secoli quelle regioni perdono l'antico predominio e solo il Pie-monte rimarrà alla fine del '700 incontrastato do-minatore.

Fin dal 1720 Cornelio Wanderrich fiammingo, introduce in Piemonte la m a n i f a t t u r a delle coperte di lana, e l'olandese Giovanni Paul fonda in Torino uno stabilimento- di tessitura, follone e tintoria. ' Esempio seguito da Natale Bascour in Saluzzo e a Mondovì da P. G. Botta. Nel 1723 — a parte quelli biellesi — esistono già in Piemonte venti lanifici, più trentacinque folloni separati.

iSi producono dapprima generi ordinari e poi via via più fini, con una produzione di 13.931 m. di stoffe varie, quali roibon, gamelotti, ratine, tournon, frison, saglie, barracani, droghetti, mezzi panni, mezze lane alphetic, pirlate, ecc.

La politica economica di governo è diretta verso un severo protezionismo che favorì lo sviluppo l'arte. Privilegi, concessioni, prestiti commende del-l'ufficio del soldo, contribuiscono all'incremento continuo della produzione.

iSenonchè u n a grave crisi colpisce queste mani-f a t t u r e poco prima della metà del secolo XVIII. Torino in particolare viene a soffrire la dolorosa congiuntura. Se n e incolpa la concorrenza sorta, nel campo della mano d'opera, con l'industria serica,

sicché al fine di ridistribuire le varie m a n i f a t t u r e onde s f r u t t a r e meglio la mano d'opera, si ordina lo sfollamento dei lanifici nelle regioni circonvicine a Torino in base a minute notizie sulle condizioni economiche, demografiche, agricole, industriali, commerciali e igieniche di detti luoghi. E il prov-vedimento curioso, che per la prima volta m i r a a raggiungere una m a t u r i t à topografica delle aziende, f a emigrare i lanifici a Dronero, a Saivigliano, a Fossano, a Moretta, a Saluzzo, a Mondovì, a Ormea, a Rivoli e a Moncalieri. A Torino rimangono solo i lanifìci dell'Ospedale di Carità e dell'Albergo di Virtù, Il f a t t o che nell'ottocento gran parte dei lanifici (a parte il Biellese) si trovino in queste regioni devesi a quel provvedimento governativo del 1732.

Alle fiere di Susa, Bussoleno e Pinerolo conver-gono i prodotti della piccola industria di Pragelato, Usseaux, Mentoulles, Roure.

Opifìci di un certo rilievo trovavansi a Fossano e a Entraque, i cui p a n n i - l a n a vittoriosamente concorrevano già coi drappi di Colmar.

Anche a Gassino, Rivoli e Caselle, centri vicini a Torino, prospera l'industria laniera: ma partico-lare rilievo devesi al lanificio di Ormea che già nel 1753 impiegava 300 operai.

Le difficoltà che gli industriali subalpini dovet-tero incontrare soprattutto nel '700 per imporre i loro articoli furono certamente superiori a quelle dei colleghi Setaioli, sia per le difficoltà di approv-vigionamento della materia prima, sia per u n a poli-tica vincolispoli-tica che, diretta al fine di proteggerne le sortì, spesso risultò assai d a n n o s a come rilevasi dalla storia n o n solo di questi lanifici m a soprat-tutto di quelli ben più gloriosi del biellese. Supe-r a t a la cSupe-risi che duSupe-reSupe-rà fino agli inizi dell'800, a mezzo del secolo si contano in Piemonte ben 220 fabbriche di tessitura e filatura controllanti 3484

operai filatori e 13.000 circa operai tessitori. Anche oggi il Piemonte è in testa ad ogni altra regione italiana come numero di pettinatrici, di fusi e di telai meccanici.

L'industria laniera nel Biellese

Scriveva il Machiavelli che « l'arte della lana per essere potentissima è la prima per autorità di tutte, con la industria sua la maggior parte del popolo minuto pasceva e pasce ». Se tanto poteva dirsi per la Firenze del trecento e quattrocento, altrettanto può trovar conferma per quel centro meraviglioso di attività e iniziative private che fu ed è Biella.

Originata l'industria vera e propria a mezzo del '200, attraverso varie congiunture, raggiunse un primato che, secondo i dati statistici precedenti alla guerra, lascia ben indietro ogni altra regione. Il 35 % dei telai di t u t t a Italia trovasi infatti con-centrato nel biellese.

I tessitori di Valle Mosso ottengono fin dal 1589 importanti privilegi che permettono loro di supe-rare le crisi del tempo e quelle successive che col-pirono invece duramente le altre regioni piemontesi e italiane. Mentre infatti in alcuni centri italiani come Ferrara, Fabriano, Venezia la crisi distrusse, si può dire totalmente, gli antichi opifici, nel biel-lese vengono proprio in quel tempo (1581) pubbli-cati gli statuti dei lanaioli segno della attività della regione.

Quando Carlo Emanuele II ristora le sorti eco-nomiche dello Stato ecco rifiorire le manifatture di Occhieppo Superiore, di Mosso, di Sordevolo, di Biella. Sotto il successore i centri più importanti già li troviamo a Croce Mosso, con 70 telai, a Santa Maria di Mosso con 110, a Occhieppo Superiore con 103, a Portula con 170, a Sordevolo con 91, a Tri-vero con 160, a Valle Mosso con 77, e le stoffe erano di varia specie, dalle alphetic alle mezze lane, dalle pirlate alle ambrosette. Si importa la materia prima soprattutto dal Bergamasco e nel 1742 il costo della lana introdotta raggiungeva la somma di L. 228.800. E per un rapporto di stru-mentalità e complementarietà altre industrie si svi-luppano nel distretto come quella dei cappelli che inizia vittoriosa concorrenza alle manifatture lio-nesì. A Camandona, a Pettinengo prospera l'indu-stria dei calzetti di l a n a : se ne produce nella sola Camandona 1500 paia al giorno. I contadini di Pollone ricavano annualmente 16.000 lire dal lavoro di ripassatura e intrecciatura delle lane per le fabbriche.

I pettinati biellesi (non in senso moderno chè il primo impianto di pettinatura risale al 1850) — il cui prodotto pare abbia dato origine al nome del comune di Pettinengo — si esportavano già a Ve-nezia, Milano, Genova e attraverso la classica strada per Berma, Salussola, Santhià, Saluggia, Ohivasso, Torino, Valle Susa, Cenisio Moriana e Savoia raggiungevano Lione.

La famiglia Sella — nome che si collega al cele-bre Pietro che nel 1816 introdurrà le macchine di filatura — già compare nel 1585 (Jacopo Sella, desunto da una pietra di una baita nell'Alpe del Maccagno ove i Sella antichissimi drappieri invia-vano i loro greggi) e caratterizza un'epoca di go-verno patriarcale che solo la rivoluzione industriale agli inizi del secolo XIX dovrà f a r scomparire.

Accanto all'arte del lanaiolo sorge e si sviluppa nel biellese nel '600 l'arte del tintore e altri nomi di famiglie poi celebri segnano il formarsi di casate industriali, come quelle degli Ambrosetti che si accaparrarono le forniture militari di Carlo Emanuele II.

Alla fine del seicento le finissime saglie già soste-nevano vittoriosamente il raffronto con le similari francesi e inglesi, mentre Borgosesia, favorita nei confronti di Biella da migliori condizioni geo-grafiche, diventava mercato laniero di grande ri-lievo in sostituzione di Lione.

Dopo i tristi eventi piemontesi che portarono all'assedio di Torino (1706) e infine alla vittoria sui francesi, Biella risente dolorosamente la crisi economica: m a le energie di ricupero non t a r -dano a farsi sentire e l'industria rinasce. Nuovi privilegi vengono concessi ai tessili, notevole quello dell'uso della t i n t u r a in bleu verde e rosso di cui

il tintore Francesco Svarz di Torino aveva otte-nuto nel 1749 la privativa. Il rinnovamento del-l'arte della lana, che ridistribuì i lanifici piemon-tesi, non toccò le sedi biellesi, anzi le nuove con-cessioni di privativa di fabbricazione delle saglie sopraffine, fine e ordinarie, ne incrementarono la produzione, e severe norme vennero dettate per la scelta delle lane nonché per la filatura, ordi-tura, tessitura e finitura.

Si crea intanto un centro raccolta lane in Biella e nuove aziende sorgono e si sviluppano. Nove-centotrentasette telai <su 1434 esistenti nello Stato) esistevano nel Biellese a mezzo il se-colo XVIII e circa altrettanti per la lavorazione delle tele su 10.332.

Pochi anni dopo si contavano già in tutto iJ Biellese 63 fabbriche di pannilana contro 15 nel resto del Piemonte occupanti 5000 persone (4274 nelle altre Provincie).

Nel 1773 nuovi regolamenti e privilegi vengono emanati (destando invidie nel restante Stato) e vari biellesi impiantano industrie laniere fuori confine specialmente in Savoia.

Verso la fine del secolo undici lanifici occupavano più di 100 operai ciascuno e la più completa li-bertà di produzione governava l'arte che stava ormai imponendosi vittoriosa su ogni altra.

Ma intanto nuovi eventi stavano m a t u r a n d o : la rivoluzione industriale inglese, che con le sue mac-chine s'imponeva anche in Francia e nelle re-gioni fiamminghe. L'industria tessile doveva evol-versi anche in Piemonte o morire.

La rivoluzione francese poi dilatata anche in Piemonte, e la conseguente svalutazione della mo-neta piemontese, determinarono grave crisi all'in-dustria biellese.

Ne risollevò le sorti Pietro Sella che nel 1816 introduce le prime macchine tessili e su nuove basi riordinò il lanificio ereditato dagli avi, ini-ziandosi così quel complesso di grandi industrie che formeranno il potente insieme della produ-zione tessile subalpina.

'Poco dopo Quintino Sella e il fratello Maurizio precorrono l'applicazione della chimica alla tin-tura, nuovi stabilimenti potenti sorgono e Gio-vanni Piacenza introduce negli stabilimenti di Pollone la fabbricazione di stoffe a disegni, che aveva visto adottare dalla moda di Parigi.

Si adottano le prime «mule-yenny» di quat-trocento fusi e a mezzo il secolo XIX, si contano nel solo Biellese 15.240 fusi, 816 telai e 79 lanifici.

I Sella, i Piacenza, gli Ambrosetti, i Vercellone, i Bozzalla, i Borgnana-Picco, i Golzio gettano così le basi della grande industria laniera piemontese. L'antica regione artigiana e pastorale è ormai una fucina sola ove migliaia di operai producono mi-lioni di metri di tessuto. La « Manchester d'Ita-lia » h a ben meritato l'appellativo: l'Associazione Italiana Laniera sorgerà nel 1877 con sede a Biella, i suoi prodotti conquisteranno il mondo.

Le altre Industrie tessili: cotone, lino, c a n a p a .

Non così gloriosa, per tradizione antica, come la seta e la lana, si presenta l'industria del co-tone. Tuttavia se più tardi quest'arte si affaccia all'orizzonte essa seppe esser degna delle conso-relle. Il centro più antico era quello di Chieri e, secondo il Prato, esistono documenti che f a n n o menzione di quest'arte fin dal secolo XV. I mer-canti di fustagni chieresi ottennero innumerevoli privilegi nei secoli seguenti (specie alla fine del '500 e fine '600). All'inizio del '700, si contavano 379 telai e 2000 operai. Nel 1795 il numero dei telai sale a 500 con una produzione a n n u a di 45.240 pezze. Nel 1713 si fonda a Vercelli ima fabbrica di filo e cotone (ad opera di F. A. Fo-gliano d'Ivrea), che nel 1757 conta 60 telai e 200 operai. La produzione si esitava in tutto il Pie-monte e già ne usciva oltre confine. Nuove

priva-tive intanto vengono concesse nel 1759 a (Tasteg-gio, nel 1761 a Moncalvo, nel 1768 a Pieve del Cairo, nel 1769 a Intra, nel 1778 a S. Salvatore nel 1779 a Lumello, nel 1780 a Tortona, nel 1781 a Novara e Borgo Ticino, nel 1784 a Oleggio nel 1790 a Voghera, nel 1794 a Romagnano.

Ma sovra tutte dovrà eccellere la Manifattura di Annecy e Pont, la quale, come osservava C. I. Giulio relatore dell'Esposizione di Torino del 1844, superò in progresso ogni altra fabbrica, ed è pervenuta ad escludere dai nostri mercati molti tessuti esteri, sostituendovi i suoi eguali o migliori e a prezzi più tenui. Le due filature contavano 22.000 fusi, 410 telai meccanici, fabbricava già 100.000 pezze di tessuti all'anno e occupava 3000 operai. Particolarmente ricercate in Italia e al-l'estero le sue produzioni di Indiane e le

Sarce-nettes.

Alla metà dell'Ottocento le fabbriche di filatura e tessitura di cotone sommavano in Piemonte a 320 e gli operai tra filatori e tessitori a 26.000. I Laclair, i Peyrat, i Malan e Ceriani, i Fratelli Rey, i Mazzonis, i Chiesa, i Turin e tanti altri, superando infinite difficoltà, impongono agli inizi della seconda metà del secolo XIX il prodotto in Italia e all'estero.

E se nei decenni successivi una grave crisi in-combe su tutta la produzione italiana — e non solo piemontese — la protezione che godrà a par-tire dal 1878 ne ecciterà nuovamente l'espansione, sicché il Sella potrà riconoscere che anche in questo campo ci si era avviati verso la grande industria con risultati tanto felici da soddisfare la metà del fabbisogno di tutta Italia. Cinquan-t a n n i dopo si conCinquan-tavano in PiemonCinquan-te 27.645 Cinquan-telai meccanici e il 25 % dei fusi esistenti in Italia si trovavano in Piemonte!

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Discreta importanza assumono altresì le produ-zioni di tele di canapa e lino.

I lini dei piani di Poirino vengono sperimentati dal conte Bailly di Parigi, il quale aprì, sotto Carlo Emanuele II, una fabbrica di telerie a Sa-vigliano. Ma già a Dronero, a Lanzo, a Biella tale industria prosperava.

Un po' ovunque in Piemonte quest'arte si svolge, ridistribuita generalmente nelle campagne. Nel Monferrato godono particolare reputazione i tes-sitori di Camagna, di Casorzo, di Moncalvo (tele da parato); così pure nel Canavese (specie ad Alice). Nel Pinerolese si tende già nel '700 all'ac-centramento. Nel Biellese si mira alla specializ-zazione e le fabbriche si concentrano a Pray, a Sordevolo, a Coggiola, a Tavigliano, a Tollegno. a Torrazzo.

Ma dove la fabbricazione delle telerie assume già c a r a t t e r e di grande industria è a Torino, Susa e Cuneo. Nella provincia di Torino, a Riva, a Corio, a S. Giorgio, a Trofarello, a Borgaro, a Volpiano, a Verolengo, a Rondissone, a Coassolo prosperano industrie e centinaia di telai (600 nella sola Corio), mentre in provincia di Susa godono antico pregio le tele di Coazze (400 telai), di Gia-veno e Rubiana. Nel Cuneese la produzione si concentra (sempre nel secolo XVIII > nella valle di Limone e Val di Maira ove si fabbricano le

dronere.

F r a le Case commerciali con sede a Torino che

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