Capitolo 2. Le misure della qualità istituzionale
2.3. Gli indicatori di qualità istituzionale
2.3.3. Le principali misure di qualità istituzionale
- Freedom House index of civil and political liberties (Freedom House)
Freedom House è un’organizzazione non-governativa statunitense, fondata nel 1941, che conduce attività di ricerca, sensibilizzazione e promozione della democrazia, della libertà politica e dei diritti umani. Dal 1973 elabora annualmente due indici che misurano il grado di libertà politica e civile di una nazione. L’indice di libertà politica considera la regolarità dei processi elettorali, la corretta gestione (assenza di corruzione) del potere esecutivo, il pluralismo politico e la partecipazione ai processi democratici; quello delle libertà civili concerne aspetti come censura, libertà di religione, di organizzazione e il rispetto dei diritti fondamentali. La copertura dei paesi è elevata (204 paesi nel 2012), così come quella temporale (i dati sono disponibili dal 1973). Entrambi gli indici assegnano un punteggio complessivo su una scala che va da 1 (maggiori libertà) a 7 (minori libertà): i paesi che ricevono i punteggi migliori (più bassi) sono caratterizzati da elezioni libere e imparziali in cui si assiste a una reale competizione tra partiti, da una forte dialettica tra maggioranza e opposizione e dalla garanzia per i gruppi di minoranza di non essere estromessi dalla scena politica. Le fonti di questi due indici sono costituiti dalle risposte a 10 domande sulle libertà politiche e a 15 domande sulle libertà civili fornite da soli esperti. La combinazione dei due indici fornisce una classificazione finale che distingue tra paesi ‚liberi‛, ‚parzialmente liberi‛ e ‚non liberi‛. Nella formulazione del giudizio, gli esperti generalmente si avvalgono di fonti giornalistiche, report di ONG, think-tanks e pareri di altri singoli professionisti. Gli esperti non sono residenti, dunque gli indici, non riflettendo le percezioni dei cittadini di un determinato paese, potrebbero non rilevare correttamente il reale godimento dei diritti politici e civili. La costruzione dell’indice, per com’è configurata, implica un’assunzione rilevante: il sistema di attribuzione dei punteggi è basato su una concezione additiva (si potrebbe dire welfaristica) dei diritti, per cui un basso punteggio in un particolare diritto (per esempio quello di associazione) può essere compensato dall’alto punteggio di un altro diritto (per esempio quello di libertà religiosa). Rileva l’UNDP (2007, pag. 21) che una simile
concezione è in contrasto con i principi fondamentali delle norme internazionali in materia di diritti umani. Infine, Freedom House non rilascia informazioni sul processo di codifica delle risposte degli esperti nei rating che danno poi origine all’indicatore finale, impedendone la replicabilità.
Tabella 3. Indici di Freedom House. Scala da 1 (maggiore libertà) a 7 (minore libertà).
Paese Libertà politica Diritti civili Score complessivo Paese Libertà politica Diritti civili Score complessivo
Australia 1 1 Free Singapore 4 4 Partly free
Austria 1 1 Free Iran 6 6 Not free
Belgio 1 1 Free Iraq 6 6 Not free
Canada 1 1 Free Russia 6 5 Not free
Cile 1 1 Free Cuba 7 6 Not free
Italia 2 1 Free Corea del Nord 7 7 Not free
Ungheria 1 2 Free Uzbekistan 7 7 Not free
Fonte: elaborazione su dati Freedom House. Anno 2012.
- International Country Risk Guide (Political Risk Services)
Questo indice è una delle misure di qualità istituzionale più utilizzate in letteratura. I primi dati risalgono al 1984 e sono oggi disponibili per 140 paesi. L’International
Country Risk Guide (ICRG) è prodotto dalla Political Risk Services, una società di
consulenza statunitense che produce rating del rischio politico rivolti principalmente ad aziende interessate a investire all’estero., l'ICRG si basa solamente su valutazioni di esperti. Gli studiosi che in questi anni hanno fatto ricorso all’ICRG hanno utilizzato l’indice complessivo (che misura da 0 a 100 il rischio politico di un paese) o i 4 sub- indici di cui esso si compone: i) rule of law, ii) corruzione, iii) qualità della burocrazia, iv) ingerenze governative sugli investimenti privati (espropriazione, annullamento dei contratti, ecc.).
Tabella 4. International Country Risk Guide. Scala da 0 (peggiori performance) a 1 (migliori performance).
Paese ICRG* Rank Paese ICRG* Rank Paese ICRG* Rank
Finlandia 1 1 Estonia 0.60 35 Argentina 0.51 61
Danimarca 0.97 2 Lettonia 0.60 35 Cina 0.47 75
Svezia 0.97 2 Italia 0.58 46 Brasile 0.39 104
Nuova Zelanda 0.97 2 Lituania 0.57 47 Russia 0.33 117
Lussemburgo 0.94 6 India 0.55 51 Iraq 0.17 137
Austria 0.94 6 Grecia 0.55 51 Haiti 0.17 137
Olanda 0.94 6 Cuba 0.53 58 Congo, RD 0.11 139
Fonte: ICRG, Political Risk Services. Indice ottenuto combinando 3 sub-indici: Corruption, Law and Order, Bureaucratic Quality. Anno 2002, 139 paesi.
Analogamente all'indice di Freedom House, la fonte originaria dei dati è costituita da valutazioni di esperti. Rispetto a quello, l’ICRG si distingue per la dimensione di governance osservata e per il fine prettamente commerciale per cui è prodotto. Essendo prioritariamente rivolto agli investitori esteri, e non agli agenti domestici, se in un paese i problemi delle imprese domestiche sono differenti da quelli affrontati dalle imprese straniere l’indice può riflettere una visione distorta o parziale della qualità istituzionale. Per esempio, all'interno del quarto sub-indice, è valutata l’attitudine del governo nei confronti degli investimenti provenienti dall’estero, mentre l'attenzione verso gli investimenti interni, anch'essa elemento rilevante ai fini del calcolo del rischio politico, è totalmente trascurata. Le finalità commerciali dell’indice, inoltre, si riflettono su due aspetti molto rilevanti ai fini dell’analisi comparativa che stiamo conducendo: il primo concerne la ripartizione delle risorse destinate alla sua costruzione, che vede inevitabilmente privilegiati i paesi più attrattivi in materia di Investimenti Diretti Esteri. Ciò comporta che per i paesi meno sviluppati, il rischio di errori di misurazione sia più alto. Il secondo è legato alla trasparenza del metodo: essendo prodotto da una società di profitto, l’indice non è
così vincolato al rispetto dei requisiti di accessibilità e trasparenza propri del settore accademico, dunque non è replicabile da parte degli altri ricercatori. Infine, la peculiarità dell’indice ICRG è di essere un indicatore di rischio: il rischio è generalmente misurato attraverso una funzione di probabilità che assegna determinate probabilità a ciascuno dei possibili esiti. Un diverso risultato dell’indice finale potrebbe dunque essere determinato da una modifica della funzione di probabilità e non da reali cambiamenti della qualità istituzionale.
- Country Policy and Institutional Assessment (World Bank)
La Banca Mondiale, già dagli anni ’70, ha provveduto a costruire, per uso interno, indici per la valutazione delle performance politiche dei paesi beneficiari dei suoi aiuti. Nel 1998 l’organizzazione ha deciso di aggiungere, alle misure di performance politiche, misure di qualità istituzionale e infine, nel 2005, di rendere questi dati pubblici. Il termine qualità istituzionale, nella visione dell’unità della Banca Mondiale che produce questi indici, si riferisce a un sistema che promuove la riduzione della povertà, la crescita sostenibile e l’utilizzo efficace dei fondi per l’assistenza allo sviluppo. Questa concezione espressiva (focalizzata sui fini) della governance è tuttavia in leggera contraddizione con la natura dell’indice, che combina dati su input e output del settore pubblico.
Il Country Policy and Institutional Assessment (CPIA) assegna un punteggio ai paesi sulla base di 16 criteri-variabili, sui quali lo stato è l’agente dotato di maggior potere, raggruppati in 4 categorie attribuite dello stesso peso: i) gestione economica (che include la politica macroeconomica e le politiche in materia di fisco e debito); ii) politiche strutturali (commercio, settore finanziario e regolazione dell’attività economica); iii) politiche per l’inclusione sociale e l’equità (uguaglianza di genere, equità nella gestione delle risorse pubbliche, welfare, sostenibilità ambientale); iv) gestione del settore pubblico e istituzioni (diritti di proprietà, trasparenza,
accountability, corruzione, qualità della gestione finanziaria e della pubblica
della performance in quel dato anno, non il suo cambiamento in rapporto all’anno precedente. Le valutazioni provengono direttamente da membri dello staff della Banca Mondiale, che basano il loro giudizio su indicatori, osservazioni e pareri sia propri sia di terzi. L’importanza del CPIA è connessa al fatto che l’indice è un criterio ufficiale (assieme al PIL pro-capite) nell’attribuzione dei fondi e dei prestiti erogati dalla Banca Mondiale ai paesi eleggibili nel programma International Development Association (IDA), lo strumento principale con cui la Banca Mondiale supporta i paesi meno sviluppati nella riduzione della povertà e nel raggiungimento dei Millennium Goals. Questo si ripercuote nella scarsa copertura dell’indice, disponibile (pubblicamente) oggi solo per i paesi IDA (81 nel 2012), che ne limita fortemente l’utilizzo in analisi cross-country su paesi con differenti livelli di sviluppo.
Tabella 5. IDA Resource Allocation Index. Scala da 1 (peggiori performance) a 6 (migliori performance).
Paese IDA Rank Paese IDA Rank Paese IDA Rank
Georgia 4.42 1 Nigeria 3.42 37 Afghanistan 2.67 72
Samoa 4.10 2 Cambogia 3.41 38 Congo, RD 2.67 73
Armenia 4.01 3 Niger 3.40 39 Comoros 2.65 74
Capo Verde 4.00 4 Uzbekistan 3.38 40 Chad 2.42 75
Ghana 3.90 5 Laos 3.36 41 Sudan 2.36 76
Bhutan 3.85 6 Tajikistan 3.35 42 Zimbabwe 2.19 77
Ruanda 3.82 7 Maldive 3.32 43 Eritrea 2.16 78
Fonte: World Development Indicators, the World Bank. Anno 2011, 78 paesi.
- Economic Freedom Index (Fraser Institute)
L’Economic Freedom Index (EFI), la cui produzione è curata da Gwartney, Hall e Lawson per conto del Fraser Institute, think-tank canadese di orientamento liberal- conservatore, ha l'obiettivo di misurare quanto le istituzioni e le politiche economiche di un paese siano favorevoli al laissez-faire, ossia quanto tutelino la proprietà privata e
incoraggino la libertà di scelta, di scambio e di competizione. L’indice combina 42 sub- indici raggruppabili per 5 macro-categorie: i) estensione del settore pubblico: spese, tasse e imprese a controllo statale; ii) efficienza del sistema giudiziario e sicurezza dei diritti di proprietà; iii) accesso alla moneta; iv) libertà di commercio internazionale; v) regolazione in materia di credito, lavoro e attività d’impresa.
Tabella 6. Economic Freedom Index. Scala da 0 (economia meno libera) a 10 (economia più libera).
Paese EFI Rank Paese EFI Rank Paese EFI Rank
Hong Kong 8.96 1 Kazakistan 6.82 79 Guinea-Bissau 5.24 138
Singapore 8.76 2 Tunisia 6.82 79 Angola 5.05 139
Nuova Zelanda 8.40 3 Italia 6.81 81 Congo, RD 5.03 140
Svizzera 8.29 4 Grecia 6.79 82 Congo 4.66 141
Canada 8.03 5 Croazia 6.75 83 Myanmar 4.29 142
Australia 8.02 6 Thailandia 6.74 84 Zimbabwe 4.26 143
Bahrain 7.96 7 Moldavia 6.72 85 Venezuela 3.98 144
Fonte: 2012 Economic Freedom Dataset, Fraser Institute. Anno 2010, 144 paesi.
Questo indicatore si fonda su una concezione abbastanza specifica della qualità istituzionale, che si concentra sulla libertà economica con la prospettiva privilegiata del settore privato. Non è dunque una misura di governance nel senso ampio del termine, anzi questa è considerata come un bene di cui l’impresa è il principale consumatore, e lo scopo dell’indice è valutare quanto le istituzioni economiche in vigore in un determinato paese favoriscano, oppure ostacolino, lo svolgimento di attività d’impresa. L'orientamento politico dell'organizzazione che lo produce caratterizza i report annuali di presentazione dell'indice, nelle cui pagine trovano ampi spazi gli elogi all'economia di mercato e all'intervento minimale dello stato. In tal senso, l’utilizzo di questo indice è condizionato al controllo del potenziale bias ideologico. L’indice, inoltre, aggrega indistintamente fonti di governance, come per esempio la tutela dei diritti di proprietà, con prodotti di governance e policy, come la
politica monetaria o il tasso d’inflazione. Uno dei pregi dell’EFI riguarda la trasparenza del processo con cui esso è costruito: il Fraser Institute rende infatti disponibili le fonti e le relative ponderazioni così da permettere a terzi di replicare l’indice o di modificarlo a seconda delle proprie necessità.
- Global Competitiveness Index (World Economic Forum)
L’indicatore del Fraser Institute è uno dei tanti indici prodotti da organizzazioni no- profit con finalità di supporto all’attività di business internazionale. Rientrano in questa tipologia, tra gli altri, l’Institute for Management Development (che produce il
World Competitiveness Yearbook), l’Heritage Foundation (che produce l’Index of Economic Freedom) e la London Business School (che produce il Global Entrepreunership Measure).
Generalmente, l’accezione di governance sottesa all’elaborazione di questi indici è
business-oriented: rispetto alle dimensioni fondamentali della governance proposte nel
paragrafo 2.2, essi trascurano rule of law e democrazia e si focalizzano su efficienza ed efficacia del governo, su corruzione e regolazione dei mercati. Un esempio rilevante di questo genere d’indicatori è il Global Competitiveness Index (GCI), prodotto dal World Economic Forum nell’ambito del suo report sulla competitività globale. Il GCI ha l'obiettivo di misurare la qualità delle istituzioni, dei fattori e delle politiche che permettono di conseguire la prosperità economica sostenibile nel medio periodo. Nella sua ultima edizione, l’indice, che insiste prevalentemente sui driver della produttività individuati dalla letteratura micro e macroeconomica, si compone di dodici pilastri: istituzioni, infrastrutture, macroeconomia, salute ed istruzione primaria, istruzione avanzata e formazione, efficienza del mercato dei beni, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, predisposizione alla tecnologia, dimensione del mercato, sofisticazione dei modelli di business e innovazione. Una caratteristica peculiare del GCI, che non si riscontra in altri indicatori, è legata alla teoria economica degli stadi di sviluppo, che gli autori dell’indice incorporano agendo sulle ponderazioni assegnate ai diversi fattori. Coerentemente all’idea che gli elementi-chiave per la competitività di un paese dipendano dal suo livello di sviluppo economico, i pesi sono differentemente
modulati a seconda che l’economia del paese considerato sia del primo (factor-driven, PIL pro-capite < 2000 $ PPP, maggior peso ai primi 4 pilastri), del secondo (efficiency-
driven, 3000 $ PPP < PIL pro-capite < 8999 $ PPP, maggior peso ai seguenti 6 pilastri),
del terzo stadio (innovation-driven, PIL pro-capite > 17000 $ PPP, maggior peso agli ultimi 2 pilastri), o in transizione tra l’uno e l’altro. Se dal punto di vista della teoria è un aspetto interessante e originale che distingue il GCI da altri indici analoghi, su un piano metodologico ciò significa, però, che l’indice finale è dipendente da una variabile, lo sviluppo economico, di cui la qualità istituzionale è un fattore determinante, compromettendone l’utilizzo in modelli statistici. L’indice composito aggrega più di 120 singole variabili: la maggior parte è prodotta sulle risposte ai questionari somministrati a manager e imprenditori (l’edizione 2012 si è avvalsa di più di 14000 rispondenti, per una media di circa 100 rispondenti per paese), mentre la restante si compone di hard data, che combinano indistintamente variabili di input e di output.
Tabella 7. Global Competitiveness Index. Scala da 1 (minore competitività) a 7 (maggiore competitività).
Paese GCI Rank Paese GCI Rank Paese GCI Rank
Svizzera 5.74 1 Italia 4.43 43 Lesotho 3.26 132
Singapore 5.63 2 Brasile 4.32 53 Burkina Faso 3.25 133
Svezia 5.61 3 India 4.30 56 Mauritania 3.20 134
Finlandia 5.47 4 Iran 4.26 62 Yemen 3.06 135
Stati Uniti 5.43 5 Russia 4.21 66 Burundi 2.95 136
Germania 5.41 6 Libano 3.95 89 Haiti 2.90 137
Olanda 5.41 7 Grecia 3.91 90 Chad 2.87 138
Fonte: Global Competitiveness Report, World Economic Forum. Anno 2011.
A voler essere rigorosi, il GCI, l'EFI e gli altri indici affini non sono propriamente misure di governance, ma indicatori compositi rivolti prioritariamente a un’audience d’investitori privati che aggregano, tra gli altri, indicatori di qualità istituzionale.
Ciononostante, questi indici, che sono generalmente presentati sia in forma composita sia in un’esaustiva illustrazione delle sub-componenti, forniscono utili indicazioni di policy. Per esempio, riprendendo il modello della growth-diagnostics di Rodrik (v. capitolo precedente), essi possono facilitare l’individuazione dei cosiddetti ‚vincoli alla crescita‛ identificando le aree d’intervento più bisognose di riforme. Secondariamente, buone performance in questo genere d’indici rafforzano la credibilità di un paese nei mercati internazionali, così agevolando l’accesso alle risorse finanziarie.
- Corruption Perceptions Index (Transparency International)
Un semplice grafico di correlazione, sebbene non permetta di stabilire un nesso di causalità tra i due fenomeni, ha comunque il pregio di fornire un’efficace istantanea della relazione che intercorre tra due grandezze: la Figura 3 evidenzia lo stretto legame tra una misura di corruzione percepita, il Corruption Perceptions Index (CPI), e l'Indice di Sviluppo Umano (HDI). Quest’ultimo viene costruito a partire da un insieme di sottoindicatori che riguardano l’educazione (il livello di istruzione di un paese), la salute (le aspettative di vita) e la ricchezza (il reddito nazionale pro-capite) di un paese. La nuvola di punti e l’alta correlazione tra le due variabili (r=0.71) testimoniano di una forte associazione tra la corruzione e lo sviluppo umano. Nei punti estremi del plot la variabilità è minore e, in particolare, la concentrazione nell’area in alto a destra del grafico evidenzia come i paesi più sviluppati siano inevitabilmente anche i meno corrotti.
L’indice di corruzione percepita elaborato da Transparency International, assieme ai
Worldwide Governance Indicators della Banca Mondiale, è una delle misure di
governance più diffuse in letteratura, e probabilmente la più conosciuta fuori dalla cerchia di accademici e addetti lavori. Ogni anno, l’uscita del rapporto di quest’organizzazione non-governativa, di cui l’indice rappresenta la parte fondamentale, riceve una vasta eco sia presso i media sia nell’opinione pubblica in generale. La prima edizione del Corruption Perceptions Index (CPI), ad opera del Prof.
Lambsdorff (Lambsdorff 2007), risale al 1995,. Da allora la qualità dei dati e la copertura dei paesi sono aumentati costantemente e nel 2012, con l’obiettivo di superare alcune limitazioni imputabili al metodo di elaborazione dell’indice, prima fra tutte l’utilizzo in serie storiche, il CPI è stato sensibilmente rinnovato.
Figura 3. Corruzione e sviluppo umano.
Fonti: Transparency International, International Human Development Indicators (UN). Anno 2012. 171 paesi, r = 0.71.
L’indice ha l’obiettivo di quantificare il livello di corruzione (percepita) all’interno del settore pubblico in un indicatore composito che aggrega, in una scala che va da 0 (massimo livello di corruzione percepita) a 100 (corruzione assente)15, i dati di 13 diverse fonti (Tabella 8). Ciascuna di queste fonti ha l’obiettivo di rilevare l’incidenza della corruzione nel settore pubblico e nella sfera politica di un paese, avvalendosi delle risposte fornite da business leader ed esperti16. A ogni indice, la cui forte
15 Prima del 2012 la scala dell’indice andava da 0 a 10.
correlazione dimostra che le definizioni delle diverse fonti sono sovrapponibili, viene attribuito lo stesso peso, e il CPI finale è il risultato della semplice media di questi score standardizzati.
Tabella 8. Fonti del Corruption Perceptions Index, edizione 2012.
Fonte Numero di paesi coperti
African Development Bank Governance Ratings 53
Bertelsmann Foundation Sustainable Governance Indicators 31
Bertelsmann Foundation Transformation Index 128
Economist Intelligence Unit Country Risk Ratings 138
Freedom House Nations in Transit 29
Global Insight Country Risk Ratings 175
IMD World Competitiveness Yearbook 59
Political and Economic Risk Consultancy Asian Intelligence 16
Political Risk Services International Country Risk Guide 140
Transparency International Bribe Payers Survey 29
World Bank – Country Performance and Institutional Assessment 67
World Economic Forum Executive Opinion Survey 147
World Justice Project Rule of Law Index 97
Fonte: Corruption Perceptions Index 2012.
Pur imponendo che un paese sia coperto da almeno tre fonti per la sua inclusione, grazie a questo metodo la copertura del CPI è più ampia di quella delle singole fonti e la sua affidabilità è comunque maggiore di ciascuna di esse (Saisana e Saltelli, 2012). Dall’anno della sua prima elaborazione, il 1995, fino al 2011, il processo di aggregazione delle fonti era basato sui ranghi percentili. In questo modo, ciascun sotto-indicatore, dotato di una propria scala, veniva standardizzato e finiva per assumere la scala del CPI, da 0 a 10. In seguito, agli score standardizzati si applicava
una beta-trasformazione con l’obiettivo di dilatare la variabilità della distribuzione. Tuttavia, proprio il fatto di essere basato sul rank, ossia sulla posizione relativa di un paese rispetto agli altri, costituiva il principale limite del CPI, perché trascurava completamente la distanza relativa tra gli score. Un esempio aiuta a chiarire: ipotizzando che in un dato anno tutti i paesi del mondo avessero combattuto la corruzione con lo stesso impegno e ottenendo gli stessi risultati, l’indice dell’anno successivo non avrebbe subito alcuna variazione, poiché le posizioni relative dei paesi sarebbero rimaste invariate. Oppure, analogamente, se in un dato anno il livello di corruzione fosse raddoppiato in tutti i paesi del mondo, ciascun CPI avrebbe avuto lo stesso punteggio dell’anno precedente. Questo si traduceva nell’impossibilità di confrontare i valori del CPI nel tempo: poiché una variazione dell’indice poteva essere determinata da modifiche della copertura dei paesi, e non solamente da variazioni nel punteggio delle fonti, l’utilizzo in serie storiche del CPI era completamente precluso. Tabella 9. Corruption Perceptions Index. Scala da 0 (corruzione massima) a 100 (corruzione assente).
Paese CPI Rank Paese CPI Rank Paese CPI Rank
Danimarca 90 1 Austria 69 25 Grecia 36 94
Finlandia 90 1 Qatar 68 27 Argentina 35 102
Nuova Zelanda 90 1 Spagna 65 30 Ucraina 26 144
Svezia 88 4 Corea del Sud 56 45 Libia 21 160
Singapore 87 5 Lettonia 49 54 Venezuela 19 165
Svizzera 86 6 Arabia Saudita 44 66 Iraq 18 169
Australia 85 7 Brasile 43 69 Afghanistan 8 174
Cile 72 20 Italia 42 72 Corea del Nord 8 174
Francia 71 22 Cina 39 80 Somalia 8 174
Fonte: Transparency International. Anno 2012.
Per superare questi limiti, dall’edizione 2012 è stato modificato il metodo di aggregazione delle fonti, che viene ora calcolato come semplice media degli score
standardizzati (z-transformation) in una scala che va da 0 (massima corruzione) a 100 (corruzione assente). Questa sostanziale innovazione darà la possibilità, dal 2013, di colmare un’importante lacuna su cui insisteva buona parte delle critiche rivolte al CPI (si veda fra tutte Galtung, 2007): l’impossibilità di rilevare i trend e di compiere confronti inter-temporali impediva, infatti, di utilizzare l’indice per valutare gli effetti delle politiche anti-corruzione di un paese.
Il Corruption Perceptions Index non è l’unico indice di corruzione prodotto da Transparency International. Oltre al CPI, Transparency elabora annualmente il Bribe
Payers Index e il Global Corruption Barometer. Il primo può essere definito come una
misura di corruzione esportata: quest’indice, infatti, classifica la propensione delle