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Verso una tassonomia degli ostacol

1. Le ragioni per una tassonomia degli ostacol

Dal capitolo precedente è emerso come il concetto di modello, nozione cardine della fisica matematizzata, non possa essere assunta come primitiva nell’insegnamento della fisica, poiché gli studenti non sono in grado – comprensibilmente – di esplicitare e di interpretare correttamente tutto l’implicito che la rappresentazione della realtà attraverso modelli (astratti e/o materiali) di fatto presuppone.

Al fine di individuare le condizioni di possibilità dell’ apprendimento significativo di questo nuovo e fondamentale gioco linguistico inaugurato dalla scienza moderna, occorre quindi abbandonare temporaneamente il terreno delle definizioni preconfezionate ed interrogare all’indietro la costituzione di tale costrutto teorico che incorpora idealizzazioni e approssimazioni e che può essere utilizzato – come nel caso dell’oscillatore lineare – per rappresentare fenomeni empirici differenti ma accomunati da similarità epistemica. D’altro canto, sulle orme di Speranza, lo stesso D’Amore, nell’intento si promuovere una didattica consapevole e critica, indica la via della riflessione storico-epistemologica, suggerendo di non

accettare passivamente gli «elementi primi dello scienziato», ma di «ripercorrere la generazione delle idee che hanno portato a scegliere quegli oggetti come oggetti primi»1.

Lungo questa direzione si colloca anche il nostro tentativo di intraprendere una chiarificazione del senso delle regole che governano il gioco linguistico “rappresentare mediante un modello” attraverso una ricostruzione della genesi epistemica di tale nozione che, all’interno della prospettiva didattico- disciplinare, si traduce nell’esibizione degli ostacoli epistemologici (di alcuni perlomeno) sottesi alla sua nascita, al suo sviluppo e alla sua applicazione. Ciò tuttavia, non con l’obiettivo di proporre nuovi differenti contenuti in aggiunta a o in sostituzione di quelli generalmente insegnati, ma al fine di migliorare la qualità della loro trasposizione, informando chi la deve amministrare delle difficoltà con cui dovettero misurarsi gli stessi fondatori della fisica classica nel costruire – per esprimerci con Sellars – l’immagine scientifica della realtà a partire dalla sua immagine manifesta. Il nostro interrogare le fonti storiche non assumerà, pertanto, la forma di un’indagine sulle ragioni psicologiche della convergenza tra le concezioni intuitive degli studenti e alcune delle tesi fondamentali della fisica pregalileiana, ma cercherà di conciliare – in linea con un’opzione pedagogica di matrice problematicista – le istanze del soggetto messe in luce dagli studi empirci nel campo della fisica ingenua e del cambiamento concettuale, con quelle riconducibili alla natura dell’oggetto emerse dall’analisi epistemologica della fisica come savoir savant. Le concezioni spontanee, infatti, sono classificabili come misconcezioni solo se giudicate sulla base del sapere accreditato e istituzionalizzato, sapere, tuttavia, che non sorge d’un colpo già nella sua veste matura, ma che a sua volta si è costituito storicamente attraverso il superamento di ostacoli intrinseci alla sua stessa natura.

1

B. D’Amore, «Il ruolo dell’Epistemologia nella formazione degli insegnanti di Matematica nella scuola secondaria», cit., p. 10.

I benefici che sul piano didattico possono derivare da un’analisi in chiave epistemologica dei tratti salienti dell’evoluzione storica della fisica sono reclamati anche da Schecker, che raccomanda il ricorso a testi storici per favorire negli studenti la consapevolezza del mutato paradigma entro cui si collocano i concetti e le leggi della meccanica classica. Ciò che suggerisce lo studioso è appunto l’insegnamento esplicito2 della nuova visione del mondo inaugurata dalla scienza moderna, così da promuovere nei discenti la consapevolezza necessaria per comprendere il differente contesto esplicativo richiesto dall’uso scientifico di concetti (forza, velocità, movimento, ecc.) che, formatisi originariamente sul piano intuitivo, appartengono, nel vocabolario quotidiano, a giochi linguistici diversi3. Maturare la consapevolezza del paradigma di riferimento risulta pertanto, agli occhi dell’autore, un prerequisito fondamentale per la comprensione dei concetti, nonché un obiettivo più realistico da conseguire per l’educazione scientifica rispetto al completo abbandono del pensiero di “senso comune”,

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Scrive Schecker: «The teacher must take into account that Newtonian mechanics is a lot more than laws and concepts. The underlying notions and methodological principles should be taught as explicitly as the three axioms – perhaps in a form similar to our theses I to IV». H. P. Schecker, «Paradigmatic change», cit., p. 75.

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Interessanti ci paiono in proposito queste brevi riflessioni di Giovanni Piana: «Un triangolo disegnato su una sfera lo chiameresti ancora triangolo? Potremmo rispondere “si!” – oppure: “assolutamente no!”»; «Supponi, dopo aver insegnato elementi di geometria piana, di invitare gli allievi a disegnare un triangolo – ma sui loro banchi è stata fatta deporre una semisfera. Alcuni diranno: su una superficie sferica non è possibile disegnare nessun triangolo. Ed altri invece: una figura triangolare disegnata su una sfera la potremmo ancora chiamare triangolo. Ad esempio triangolo sferico o qualcosa di simile»; «Possiamo usare uno stesso nome in giochi linguistici differenti, ma dobbiamo essere consapevoli che la differenza del gioco, ne cambia il senso. Nello stesso tempo rientra nel novero delle possibilità interessanti il fatto che si possano stabilire nessi tra giochi linguistici differenti proprio per il fatto che si è deciso di usare lo stesso nome». G. Piana, Frammenti epistemologici, lulu.com, 2015, disponibile all’indirizzo Internet: http://www.filosofia.unimi.it/piana/index.php/epistemologia/190-frammenti-epistemologici p. 17. Questo, in effetti, è ciò che accade quando per insegnare i concetti della fisica ci si avvale di idee ancoraggio sorte sul piano intuitivo: sebbene indispensabili, come già insegnava Ausubel (Id., Educazione e processi cognitivi: guida psicologica per gli insegnanti, cit.), per poter attivare un apprendimento significativo, occorre, tuttavia, una loro gestione consapevole e attenta al fine di evitare o almeno di non favorire l’insorgere di eventuali misconcezioni.

continuamente alimentato dalla comunicazione quotidiana e dalla diffusione mediatica poco sorvegliata di informazioni scientifiche divulgative.

Per quanto plausibili e almeno parzialmente condivisibili, le conclusioni di Schecker risultano tuttavia problematiche se, coerentemente con la lettura in chiave batesoniana avanzata in precedenza, interpretiamo l’acquisizione del paradigma e con esso l’evolversi della sua consapevolezza come un apprendimento di livello logico superiore che, come tale, non può avere luogo se non collateralmente all’acquisizione di singoli contenuti. In questo senso, insegnare in maniera diretta ed esplicita, come suggerisce Schecker, il sistema di credenze condivise sotteso al paradigma galileiano-newtoniano non rappresenta una proposta facilmente percorribile: da un lato, infatti, implica da parte dei docenti una consapevolezza epistemologica4 che non può essere data per scontata alla luce di quanto emerso in precedenza; dall’altro, non risolve comunque il problema poiché l’esito di questo tentativo sarebbe al più un mero proto-apprendimento, con scarse ripercussioni sull’acquisizione significativa di concetti specifici. D’altro canto, concordiamo sul fatto che la comprensione profonda di alcuni concetti sofisticati e controintuitivi (ad esempio quello di moto o di forza nella meccanica newtoniana) richiede preliminarmente la consapevolezza di muoversi all’interno di un paradigma affatto differente rispetto alle abitudini mentali consolidatesi attraverso l’esperienza pratico-percettiva del mondo. La questione, a nostro avviso, si pone dunque in questi termini: da un lato l’apprensione dei concetti della fisica classica reclama la consapevolezza del paradigma, dall’altro la consapevolezza del paradigma non si può guadagnare direttamente come una qualsiasi acquisizione di primo livello, ma si sviluppa collateralmente a proto-apprendimenti e solo a condizione di una “messa in forma” didattica capace di assicurare autenticità epistemica al

4

Ci si riferisce, in particolare, alla conoscenza tacitamente acquisita nella pratica generalmente non soggetta a tematizzazione diretta e pertanto difficilmente esplicitabile nonché alle filosofie implicite cui faceva riferimento Speranza.

sapere insegnato. Proprio per la sua intrinseca paradossalità, tale problema non si presta a soluzioni univoche e definitive, disponibili nel breve periodo: abbandonata l’ipotesi di un percorso lineare che conduce dalla comprensione dei concetti alla consapevolezza del paradigma o viceversa, si tratta piuttosto di operare una trasposizione didattica – epistemologicamente e pedagogicamente fondata – che consenta di passare da un livello all’altro, ricorsivamente, così da garantire le condizioni di possibilità per sviluppare – nel tempo – una comprensione sempre più adeguata dei giochi linguistici validati all’interno del paradigma newtoniano unitamente alla consapevolezza dei loro limiti di applicazione.

A quest’esigenza si lega dunque il nostro tentativo di abbozzare, seppur in via provvisoria e senza alcuna pretesa di esaustività, una tassonomia di ostacoli – passibile di revisioni, integrazioni ed ampliamenti – con lo scopo, da un lato, di rendere avvertiti i docenti, esplicitandoli, dei nodi teorici costitutivi del sapere stesso al fine di favorirne una migliore gestione sul piano didattico attraverso la scelta di soluzioni traspositive epistemologicamente adeguate; dall’altro – in analogia con la teoria batesoniana – di consentire una corretta interpretazione delle misconcezioni a partire dai tipi logici di ostacoli con cui possono essere messe in relazione, così da facilitare interventi differenziati e mirati a seconda del tipo logico di errore.

Nell’intento di guidare gli insegnanti, come suggerisce D’Amore, a prendere contatto con le «ragioni obiettive dell’esistenza di ostacoli epistemologici»5, utilizzeremo sia fonti primarie quali i testi di Galileo – particolarmente incisivi ed efficaci per la forma dialogica in/secondo cui sono redatti – sia fonti “secondarie”6 provenienti dalla riflessione storico-epistemologica e

5

B. D’Amore, L. Radford, G. T. Bagni, «Ostacoli epistemologici e prospettive socioculturali», L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate, 29B, 1,2006, pp. 11-40, p. 17.

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Sull’importanza dell’utilizzo di entrambi i tipi di fonti si esprime anche D’amore. Ivi, p. 17.

filosofica, con l’obiettivo di offrire una “piattaforma problematica” che stimoli i docenti ad un’analisi critica delle proprie assunzioni epistemologiche implicite, aiutandoli al contempo a comprendere e a contestualizzare opportunamente le idee spontanee dei discenti.

Alle voci di Bachelard e di Brousseau che ci ricordano come l’ostacolo epistemologico sia espressione non di mancanza di conoscenza bensì di una conoscenza pregressa, alternativa a quella scientificamente accreditata, vogliamo così unire quella di Giovanni Piana, assumendo a premessa dei paragrafi successivi la riflessione cui ci invita il quesito formulato dal filosofo in questo suo breve frammento:

– Così si parla di evidenza riferendola a principi logici generali. Ad esempio: la parte non può essere maggiore del tutto di cui è parte. E trovi immediatamente il logico sapiente che scuote la testa e ti parla dell’equinumerosità della totalità dei numeri naturali con quella dei numeri pari… Vedi quanto ti può ingannare l’intuizione! Non si parli più di evidenza… Avrà ragione il logico sapiente oppure – avendo egli cambiato gioco linguistico – ha semplicemente fatto il gioco delle tre carte?7

2.

I presupposti-ostacolo all’origine della rappresentazione