Introduzione
Nel periodo compreso tra il settembre 2021 e l’agosto 2022, Governo e Parlamento hanno concentrato i propri lavori sulle due priorità dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del contrasto alla crisi provocata dal conflitto in Ucraina.
Confprofessioni è stata coinvolta in diverse occasioni nel confronto con le istituzioni su questi temi, centrali nell’agenda politica, nonché su altri progetti di legge di rilievo per l’economia e il mondo del lavoro, a partire dal disegno di legge di bilancio per il 2022, dal successivo Documento di Economia e Finanza, della primavera del 2022, e dal disegno di legge sulla concorrenza, che ha suscitato un’accesa dialettica tra i partiti e tra le stesse parti sociali.
Molto vivace anche il confronto sul disegno di legge in tema di equo compenso delle prestazioni professionali, che nel periodo di riferimento ha svolto il suo iter parlamentare in Senato dopo l’approvazione da parte della Camera dei Deputati, senza tuttavia essere approvato in ragione dello scioglimento anticipato delle Camere. Un tema, questo, su cui si sono concentrati anche i lavori della Consulta del lavoro autonomo, istituita dal CNEL e coordinata da Confprofessioni, che ha elaborato un documento, fatto proprio dal CNEL, orientato al perfezionamento della proposta normativa all’esame delle Camere.
Con riferimento alle relazioni con le istituzioni dell’Unione, la confederazione ha intensificato, quest’anno le sue attività di rappresentanza e informazione, tanto all’interno del CCMI del CESE, quanto in forma autonoma. Nel giugno del 2022 il Presidente di Confprofessioni Gaetano Stella è stato rieletto alla presidenza del CEPLIS per il triennio 2022-2025.
I rapporti con le istituzioni politiche nazionali
Nel mese di ottobre del 2021, il Senato avviava un ciclo di audizioni con le parti sociali sul disegno di legge delega in materia di contratti pubblici, volto a riformare la disciplina del codice dei contratti pubblici nella prospettiva di semplificare e accelerare lo svolgimento delle azioni previste dal PNRR.
Confprofessioni osservava, a tal proposito, come il codice dei contratti pubblici rappresentasse l’infrastruttura normativa delle opere pubbliche previste dal PNRR:
«Diventa quindi improrogabile un’ampia revisione del codice, nella direzione della semplificazione normativa e procedurale». Auspicavamo, in questa direzione, la conferma dell’approccio già seguito nei più recenti interventi di semplificazione a carattere derogatorio, a partire dal decreto “Genova” del 2018 e dai decreti
“Semplificazioni” del luglio 2020 e del maggio 2021.
Apprezzabili, in questa linea, il principio della stretta aderenza agli standard minimi di regolazione imposti dalla disciplina europea, la semplificazione delle procedure inerenti i contratti “sotto soglia” e la riduzione delle stazioni appaltanti nella direzione della valorizzazione delle centrali di committenza.
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Più nel dettaglio, segnalavamo l’opportunità di estendere l’istituto del collegio consultivo tecnico, imporre una standardizzazione dei documenti di gara, a carattere vincolante per le pubbliche amministrazioni, e contenere i costi connessi alla partecipazione alle gare, ed in particolare i costi dovuti agli organismi di attestazione per l’ottenimento dell’attestazione SOA, che attualmente sono ingenti e scoraggiano i piccoli soggetti economici alla partecipazione, limitando di fatto la competizione.
Inoltre, ribadivamo l’esigenza che il codice dei contratti fosse riformato nel senso dell’espressa previsione del principio dell’equo compenso delle prestazioni professionali, siano esse rese nell’ambito dei contratti di fornitura di servizi professionali così come nell’ambito dei servizi di ingegneria e architettura o, ancora, nell’ambito di altri lavori pubblici.
Infine, per un effettivo rilancio del mercato dei servizi di ingegneria e architettura, nonché a piena tutela della trasparenza e della concorrenza, auspicavamo un intervento volto a delimitare le mansioni dei professionisti appartenenti alla pubblica amministrazione.
Negli ultimi mesi del 2021, la confederazione è stata chiamata ad illustrare le proprie posizioni su decreti e proposte di legge aventi ad oggetto temi inerenti i rapporti e i luoghi di lavoro, anche connessi ai perduranti effetti della pandemia da Covid-19.
In una fase ancora caratterizzata da una notevole diffusione della pandemia, il decreto-legge 127/2021 introduceva l’obbligo del green pass per l’accesso nella totalità dei luoghi di lavoro. Intervenendo in audizione, in ottobre, al Senato durante la discussione del disegno di legge di conversione, Confprofessioni esprimeva il suo consenso per questa scelta, motivata da prudenza e dalla massima diffusione delle vaccinazioni, ma sottolineava al contempo le rilevanti conseguenze di carattere organizzativo gravanti sui datori di lavoro. Soffermando l’attenzione sulla specifica realtà degli studi professionali – caratterizzati dall’accesso di differenti tipologie di persone, tra cui dipendenti, collaboratori occasionali, clienti, ecc. – si segnalavano alcune difficoltà, derivanti, in particolare, dai limiti previsti per il rispetto della privacy, che avrebbero sottoposto i titolari degli studi a gravose procedure quotidiane.
Il mese successivo la Camera dei deputati dava l’avvio ad un ciclo di audizioni su una serie di proposte di legge in tema di lavoro agile e lavoro a distanza, tema su cui la confederazione è da molto tempo concentrata, ma certamente reso più urgente dalla pandemia. Pertanto, spiegavamo come «il settore degli studi professionali ha sempre guardato con attenzione al lavoro agile in ragione delle caratteristiche dell’attività che viene svolta nei contesti produttivi professionali. Lo svolgimento delle prestazioni lavorative “a distanza” è infatti da tempo una realtà attiva in molti studi professionali amministrativi ed economici. In questo senso Confprofessioni si è impegnata fin dall’adozione della legge n. 81/2017 a promuovere l’utilizzo dello smart working attraverso la bilateralità di settore mediante l’erogazione di contributi per l’acquisto della strumentazione». Con riferimento al merito delle proposte di legge oggetto di esame parlamentare, segnalavamo la nostra sfiducia per approcci legislativi troppo penetranti nelle tradizionali prerogative delle parti sociali: «Nel nostro Paese, caratterizzato da un accentuato pluralismo di forme e dimensioni delle attività economiche, i contesti produttivi sono troppo differenti tra loro perché si possa definire uniformemente, in via legislativa, un quadro regolativo dettagliato dello smart
Osservatorio delle libere professioni 127 working, valido per tutti i contesti. Il ruolo della legislazione, dunque, dovrà essere
quello di stabilire alcuni principi generali e di lasciare, quindi, alla contrattazione collettiva di primo e secondo livello e agli accordi individuali il compito di declinare in maniera specifica, a seconda delle esigenze settoriali e produttive, la concreta attuazione dello strumento». Il legislatore veniva, piuttosto, invitato a valutare iniziative di decontribuzione per promuovere il lavoro a distanza.
Una posizione simile è stata illustrata poco dopo, a dicembre, sempre presso la Camera dei deputati, in occasione del ciclo di audizioni su alcune proposte di legge in tema di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Se, da un lato, riconoscevamo
«l’esigenza di oltrepassare una concezione meramente conflittuale di relazioni sindacali e di rapporto tra lavoratore e impresa», ribadivamo l’«importanza di rendere il contratto collettivo aziendale lo strumento principale di promozione delle diverse forme di partecipazione dei lavoratori. Le specificità di ogni singola azienda fanno d’altronde ritenere indispensabile che la regolamentazione dei vari istituti partecipativi sia affidata ai soggetti protagonisti della realtà produttiva […]. L’opzione alternativa, che imposti per legge condizioni e forme di partecipazione, indipendentemente dalle scelte concrete individuate dalla contrattazione collettiva, finirebbe per schiacciare eccessivamente il margine della libertà delle parti – datoriali e dei lavoratori – rendendo la partecipazione un vincolo, piuttosto che un’opportunità, e riproponendo una visione organicistica dei modelli di partecipazione alla gestione delle imprese».
In novembre giungeva al Senato la proposta di legge in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, nel testo approvato dalla Camera dei deputati.
Nel ricordare come il principio dell’equità del compenso professionale rappresenti l’attuazione del diritto costituzionale «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36 Cost.), nonché del principio di uguaglianza (art.
3 Cost.), condividevamo l’iniziativa di una vasta riforma dell’attuale disciplina in materia, che è risultata del tutto inadeguata a rispondere alle domande di tutela poste dalla nostra categoria, in parte per la sua formulazione imprecisa ed eccessivamente circoscritta, in parte per le applicazioni giurisprudenziali, che ne hanno ulteriormente limitato l’ambito di applicazione.
Dopo aver ripercorso analiticamente i contenuti e le vicende applicative della disciplina vigente, introdotta con l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148/2017, convertito con legge n. 172/2017, mettevamo in risalto luci ed ombre del testo licenziato dalla Camera, nella prospettiva di una sua correzione da parte del Senato. Segnalavamo, in particolare, come permanessero «ritrosie incomprensibili nella prospettiva della piena tutela dei diritti dei professionisti, [con] distinzioni poco comprensibili tra professioni regolamentate in forma ordinistica e professioni non regolamentate». Inoltre, «si introducono strumenti operativi che rischiano di essere perfino controproducenti rispetto agli obiettivi che si intende perseguire, con esiti paradossali e punitivi per gli stessi professionisti che si vorrebbe, in principio, tutelare».
Recependo le osservazioni critiche già formulate dal CNEL sulla proposta di legge, indicavamo alcuni temi prioritari per una revisione del testo: l’estensione del perimetro di applicazione dell’equo compenso anche ai rapporti di natura non convenzionale;
l’eliminazione delle incomprensibili previsioni di sanzioni disciplinari a carico del
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professionista; la cancellazione del potere di avviare class action in capo ad ordini o associazioni rappresentative; l’eliminazione della previsione della possibilità per imprese e ordini professionali di concordare modelli di convenzione, assistiti da presunzione di legittimità; la ridefinizione della composizione dell’Osservatorio, in modo da rispecchiare l’universo della rappresentanza del mondo professionale; la migliore definizione del perimetro di applicazione della norma con riferimento alle professioni non ordinistiche.
Nel mese di novembre, giungeva alle Camere il disegno di legge di bilancio per il 2022, sul quale le Commissioni bilancio di Camera e Senato avviavano il consueto ciclo di audizioni con parti sociali e associazioni.
Confprofessioni esprimeva anzitutto preoccupazione per il quadro macroeconomico italiano ed europeo. A fronte della crescita allarmante del debito pubblico negli anni della pandemia, e dell’aumento dei costi di approvvigionamento delle risorse energetiche, le misure proposte dal Governo apparivano già allora corrette nelle intenzioni, ma troppo timide: «Occorrono misure coraggiose per favorire gli investimenti pubblici e privati, alleggerire la pressione fiscale, ridurre il costo del lavoro, aiutare il consolidamento delle imprese, invertire i processi di delocalizzazione degli impianti produttivi».
L’ulteriore rinvio di una riforma fiscale di sistema, affidata ad un processo di delegazione legislativa molto incerto nei contenuti e negli esiti – e che infatti ad oggi risulta arenato per l’ennesima volta – suscitava la nostra preoccupazione.
L’alleggerimento della pressione fiscale era indicato come esigenza prioritaria del Paese:
ribadivamo che questo obiettivo avrebbe dovuto realizzarsi a partire dal ripensamento della tassazione sulle persone fisiche, non limitatamente ad una riforma delle aliquote, ma nella prospettiva di garantire l’equità tra le categorie produttive, in modo che a redditi uguali corrispondessero debiti d’imposta equivalenti.
Poco incisive anche le consuete misure di incentivazione delle attività produttive, riproposte secondo le azioni ormai in essere da molti anni. Segnalavamo dunque al Parlamento come fosse maturo un complessivo ripensamento di queste politiche, che hanno accompagnato l’innovazione e la trasformazione tecnologica del nostro sistema industriale, ma non hanno determinato una crescita robusta, non hanno interrotto i processi di delocalizzazione degli impianti produttivi, né hanno irrobustito l’occupazione, o favorito lo sviluppo di filiere strategiche o impedito gravi crisi di impresa e fughe di capitali stranieri dal nostro Paese. Peraltro, una nuova visione strategica di supporto alle attività produttive avrebbe dovuto muovere dal riconoscimento della piena partecipazione dei liberi professionisti ai programmi di incentivazione rivolti al mondo delle PMI, per accompagnare le attività professionali nel loro sforzo di consolidamento e adeguamento alle sfide imposte dall’apertura dei nuovi mercati internazionali e dalla transizione digitale che sta interessando il settore dei servizi professionali.
Particolare attenzione era infine dedicata agli interventi correttivi e di proroga del Superbonus 110%, vera e propria leva per il sostegno all’edilizia e al contempo strumento funzionale all’ammodernamento del patrimonio edilizio in una prospettiva di sicurezza e sostenibilità. Pertanto, apprezzavamo la proroga stabilita dalla manovra, che corrispondeva ad una delle esigenze che Confprofessioni ha sempre prospettato al
Osservatorio delle libere professioni 129 Governo e al Parlamento, mentre esprimevamo perplessità su molte delle misure
restrittive che venivano parallelamente introdotte, prospettando soluzioni alternative basate sull’esperienza quotidiana dei liberi professionisti coinvolti nei processi di attuazione del Superbonus.
A conferma delle incertezze del piano del Governo circa il Superbonus 110%, già a febbraio, con il decreto-legge “Sostegni-ter”, la disciplina veniva ulteriormente modificata, introducendo il divieto di cessione multipla dei crediti d’imposta derivati da lavori di riqualificazione energetica e di messa in sicurezza degli edifici.
Intervenendo in audizione al Senato durante l’iter di conversione del decreto, ribadivamo anzitutto l’esigenza di dare stabilità alla disciplina. «Pur condividendo l’obiettivo che si è posto il Legislatore, nutriamo perplessità sulla reale efficacia dello strumento adottato, ossia quello del divieto delle cessioni multiple del credito: misura che, se non corretta e adeguatamente modificata, nell’applicazione concreta, produrrà l’effetto contrario rispetto all’obiettivo del Legislatore, provocando effetti devastanti sull’economia». Inevitabili le ricadute anche sulle attività dei professionisti, che nella disciplina sviluppatasi precedentemente erano stati correttamente individuati come i veri garanti degli interventi in ambito Superbonus 110%.
Pertanto, in una prospettiva di supporto alle attività del legislatore, indicavamo – anche in base alle analisi sviluppate dal nostro tavolo tecnico per l’analisi ed il monitoraggio del Superbonus 110% e di tutti i bonus edilizi ed in linea con quanto indicato dalla Banca d’Italia – come il vero rimedio al contrasto alle frodi non risiedesse tanto nella limitazione delle cessioni quanto, piuttosto, nella qualità degli operatori cessionari, fin dalla prima cessione. Il perimetro dei soggetti abilitati avrebbe dunque dovuto essere limitato esclusivamente a banche, intermediari finanziari di cui all’elenco del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, società di cui alla legge 30 aprile 1999 n. 130, o imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del d.lgs. n.
2009 del 7 settembre 2005. Soggetti, questi, che sono sottoposti a vigilanza, e tenuti ad osservare gli stringenti obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio.
A marzo Confprofessioni era invitata a partecipare ad una indagine conoscitiva sull’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, promossa dalla Commissione “Lavoro”
del Senato.
Esponevamo, qui, la peculiare condizione del lavoro professionale, in cui, negli ultimi anni, si è assistito ad un significativo calo dell’accesso dei giovani. Tornavamo dunque a sollecitare le istituzioni a contribuire a rendere più attrattivo il lavoro professionale per le giovani generazioni attraverso la promozione di politiche di aggregazione tra giovani professionisti, e tra giovani professionisti e professionisti con maggiore anzianità, a partire dall’incentivazione fiscale delle Società tra giovani professionisti.
Sotto il profilo dei percorsi di inserimento e formazione professionale, soffermavamo la nostra attenzione sull’apprendistato duale: «Le potenzialità dell’apprendistato sono evidenti e, sebbene lo stesso PNRR lo individui come leva strategica nell’ambito di alcune delle missioni previste, devono essere necessariamente rimosse delle difficoltà operative che ne contrastano l’utilizzo […]. Confprofessioni sostiene da sempre l’apprendistato duale in tutte le sue forme, come confermano i dati sull’utilizzo di tale istituto nel settore studi professionali. E la nostra Confederazione è stata tra i
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promotori della istituzione, nell’ambito dell’apprendistato di terzo livello, dell’apprendistato per il praticantato per l’accesso alla professione».
Nello stesso arco di tempo prendeva le mosse il faticoso passaggio parlamentare del disegno di legge sulla “Concorrenza”, contenente, secondo l’impostazione del Governo Draghi, diversi interventi di liberalizzazione dei mercati non sempre condivisi dalle forze politiche della maggioranza. Confprofessioni interveniva tanto al Senato quanto alla Camera con una propria memoria, nella quale coglievamo l’occasione per contrastare iniziative volte all’ulteriore sfaldamento della regolazione delle attività professionali.
Confutando, in prima battuta, la diffusa e superficiale equazione tra concorrenza e liberalizzazione, ricordavamo come, nella teoria economica, il mercato concorrenziale assume piuttosto la dimensione di un ambiente intensamente circondato da regole poste a garanzia dell’equilibrio tra due finalità che rivestono pari importanza: da un lato, il libero accesso e la libera attività economica, dall’altro la tutela dei soggetti deboli e la protezione delle posizioni sfavorite nei rapporti economici. «Ovviamente – proseguivamo – la liberalizzazione ha rappresentato una direttrice essenziale per promuovere un mercato concorrenziale, rimuovendo quegli ostacoli, sedimentati nel tempo, che garantivano ingiustificate rendite di posizione, impedendo l’accesso al mercato a nuovi operatori interessati. Ma non vi è dubbio che nel contesto odierno – dopo decenni di liberalizzazioni profondissime, che hanno coinvolto settori strategici dell’economia nazionale, e soprattutto a fronte di una crisi economica di portata straordinaria, che chiama la politica all’impegnativo compito di sostenere la ripresa in tutti i modi possibili – le politiche concorrenziali non possono essere schiacciate sul solo obiettivo della liberalizzazione».
Ripercorrendo le tappe recenti delle liberalizzazioni in Italia, ricordavamo come i servizi professionali siano stati oggetto del più intenso e radicale processo di liberalizzazione che abbia interessato l’economia italiana: «Basti ricordare l’abolizione delle tariffe e l’affermazione del principio della libera pattuizione del compenso professionale; l’apertura del mercato dei servizi professionali a società, anche nella forma di società di capitali, aperte a soci non professionisti, e la progressiva penetrazione di soggetti economici organizzati nei settori delle farmacie e dell’odontoiatria, oltre che nella medicina e nella veterinaria; il riconoscimento delle qualifiche professionali dei professionisti dell’Unione Europea che possono stabilirsi liberamente in tutti i Paesi membri».
Sebbene Confprofessioni abbia da sempre rappresentato l’anima più dinamica e aperta al futuro del mondo professionale, tali riforme, progettate senza alcun coinvolgimento delle parti sociali e in un clima di antagonismo nei confronti della cultura professionale, hanno prodotto squilibri e iniquità: esse hanno sì contribuito ad un maggior dinamismo nel settore delle attività professionali, ma al prezzo di una grave perdita di tutele minime di equità e dignità del lavoro dei liberi professionisti, di cui si sono avvantaggiati grandi gruppi economici, sovente stranieri, e la stessa pubblica amministrazione.
Concludevamo, pertanto, invitando la politica a pensare la concorrenza come una risorsa per incentivare il mercato dei servizi professionali, piuttosto che quale strumento per indebolirne gli attori.
Osservatorio delle libere professioni 131 La primavera offriva anche l’occasione per tornare a volgere l’attenzione al processo
di attuazione del PNRR. Dapprima, in marzo, grazie ad un incontro con il prof. Tiziano Treu, Coordinatore del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ‘Italia Domani’; quindi, in maggio, in un’audizione parlamentare sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 36/2022, recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Nell’incontro con il prof. Treu puntavamo il fuoco sull’impatto del PNRR sulle libere professioni: muovendo dall’analisi dei trend del settore, che denotano, negli ultimi anni, la diminuzione dei liberi professionisti e dei redditi professionali, segnalavamo la condizione di fragilità del comparto, e le opportunità che il PNRR potrebbe dischiudere per il suo consolidamento. «Nella fase determinante di attuazione del Piano, il professionista è, in primo luogo, un anello di congiunzione a sostegno di cittadini e imprese, contribuendo alla diffusione della stessa conoscenza delle opportunità offerte dal Piano. […] Il ricorso ai servizi professionali di consulenza ai soggetti privati, lungi dal rappresentare un costo di intermediazione, potrà garantire una maggiore capillarità delle azioni e un’ottimizzazione della loro efficacia. Per questo, occorre sollecitare che i bandi e i progetti pubblici contemplino sempre il finanziamento anche dei costi di consulenza e progettazione: più in generale, il ricorso alla consulenza dei professionisti andrebbe incentivato attraverso forme di premialità fiscale per chi si sia avvalso di attività rese dai professionisti a diverso titolo coinvolti nei progetti del PNRR».
Segnalavamo quindi le potenzialità dischiuse dal PNRR nella direzione della nascita di nuove competenze professionali: «L’emersione di nuove competenze professionali è stata particolarmente evidente negli ultimi decenni, alla luce di imponenti transizioni dei nostri sistemi economici e delle straordinarie innovazioni connesse alla digitalizzazione […] ma è opinione condivisa che il PNRR determinerà un’accelerazione di questa transizione, e prospetterà l’urgenza di nuove competenze professionali, connesse a settori quali il digitale, la cultura e il turismo, la transizione ecologica, la cura della persona e il welfare di comunità». Al fine di agganciare e guidare questa transizione, occorre perseguire con determinazione un processo di ampliamento e aggiornamento delle competenze professionali, ed intervenire sulla revisione dei percorsi formativi universitari preordinati al conseguimento delle qualifiche professionali, sulla promozione dei percorsi di apprendistato, così come, per i professionisti già operativi, sulla ristrutturazione dei contenuti della formazione professionale continua.
Osservavamo, altresì, le opportunità offerte dal PNRR nella prospettiva del sostegno alla crescita e allo sviluppo dimensionale degli studi professionali, sia attraverso una complessiva riforma del quadro normativo, per rimuovere ostacoli non più al passo con i tempi, sia attraverso un sostegno economico teso all’ammodernamento delle infrastrutture degli studi professionali. A tal proposito, auspicavamo l’integrazione del PNRR con un’azione di finanziamento della digitalizzazione delle professioni, essenziale per evitare ritardi e diseguaglianze nelle competenze digitali, destinate a riverberarsi sui clienti e sul PIL nazionale.