• Non ci sono risultati.

Le relazioni tra l’UE e l’Armenia dall’APC alla PEV

5. Erevan e Bruxelles: quali prospettive?

5.1. Le relazioni tra l’UE e l’Armenia dall’APC alla PEV

I primi contatti diplomatici tra la Repubblica di Armenia e l’allora Comunità Economica Europea si sono sviluppati già a partire dai primi anni novanta ed hanno condotto alla firma, nell’aprile 1996, dell’Accordo di Partenariato e Cooperazione (APC) che dal luglio 1999 a oggi (e presumibilmente sino alla sua sostituzione con il nuovo Accordo di Associazione attualmente in fase di negoziazione) ha fornito la base giuridica su cui si sono rette le relazioni tra Erevan e Bruxelles. Per quanto detto trattato sia stato ideato con lo scopo di regolare una gamma di aspetti alquanto articolata della futura cooperazione euro-armena (quali il dialogo politico, le questioni economiche, legislative e commerciali, la politica energetica, l’ambiente, i trasporti, i diritti umani, la prevenzione delle attività illegali, il controllo dell’emigrazione e gli scambi culturali, per citarne alcuni)402, esso non ha aperto la strada a una partecipazione più attiva (e quindi a un’influenza maggiore) dell’Unione Europea né in Armenia e tantomeno nel resto delle repubbliche post- sovietiche interessate. Come abbiamo avuto modo di vedere, infatti, è stato solo a partire dall’inizio di questo secolo che Bruxelles ha cominciato a presentarsi ad Erevan come un interlocutore di rilievo, seguendo un processo di avvicinamento per tappe verso l’intera area del Caucaso meridionale che ha portato infine nel 2004 ad inglobare la periferica repubblica armena nella nuova Politica Europea di Vicinato, con la quale il vecchio APC è stato arricchito da un accordo supplementare di natura politica, il Piano d’Azione (PA), che oltre a prevedere una politica di soft-

power più incisiva volta ad esportare l’acquis comunitario (senza prospettive di un’eventuale membership nell’organizzazione) offriva al contempo un approccio su misura che (almeno in teoria)

avrebbe dovuto rivelarsi un cospicuo passo avanti, proprio in quanto andava a trattare quelle problematiche che riguardavano più da vicino il paese aderente. Il primo Piano d’Azione che è stato

402

Si veda: Accordo di Partenariato e Cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e la

Repubblica di Armenia, dall’altro, Lussemburgo, 22 aprile 1996, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità

Europee, il 9 Settembre 1999.

negoziato e successivamente adottato congiuntamente da Bruxelles e da Erevan nel novembre del 2006, infatti, ha provveduto ad affiancare ai sei campi d’azione generali (rintracciabili pariteticamente in tutti i PA della PEV) otto campi d’azione prioritari specifici per il caso armeno, quali: (1) il rafforzamento delle strutture democratiche, dello stato di diritto, inclusa la riforma del

settore giudiziario, la lotta alle frodi e alla corruzione; (2) il rafforzamento del rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali, conformemente agli impegni internazionali dell’Armenia con l’APC, il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’ONU; (3) la promozione ulteriore dello sviluppo economico, la valorizzazione degli sforzi nella lotta alla povertà e della coesione sociale, in modo tale che essi possano contribuire alla realizzazione nel lungo periodo dello sviluppo sostenibile, nonché della protezione dell’ambiente; (4) il miglioramento ulteriore del clima per gli investimenti e il consolidamento della crescita generata dal settore privato; (5) la maggiore convergenza tra la legislazione economica e la prassi amministrativa; (6) lo sviluppo di una strategia energetica, che comprenda anche la disattivazione anticipata della centrale nucleare di Metsamor; (7) la contribuzione alla risoluzione pacifica del conflitto nel Nagorno-Karabakh; (8) e un impegno maggiore nel campo della cooperazione regionale.403

Come è possibile notare dall’elenco qui riportato, i contenuti prioritari del Piano d’Azione elaborati per l’Armenia sono andati ad abbracciare una serie di problematiche davvero importati ed impellenti per lo sviluppo del paese, e che, se affrontate con la dovuta coerenza e con una buona dose di impegno reciproco, avrebbero potuto apportare ad Erevan indiscussi benefici già nel primo quinquennio 2007-2011; cosa che però non è avvenuta. Se da un lato, per l’appunto, il pacchetto europeo è andato a proporre un approccio confacente al raggiungimento di significativi progressi in materia di diritti umani, lotta alla corruzione, sviluppo economico e promozione della democrazia, dall’altro, una lettura più attenta di alcuni dei punti più delicati di suddetto accordo ha rivelato la presenza di palesi contraddizioni di fondo, imputabili in linea di massima tanto a una scelta politica di basso profilo (apparentemente voluta dall’Unione) quanto a una mancata presa di coscienza delle più basilari necessità dell’Armenia; un fattore, quest’ultimo, che a sua volta ha fatto la sua parte nel minare alla base anche il raggiungimento di tutti gli altri obiettivi negoziati. Ci riferiamo in particolar modo al sesto e al settimo dei campi d’azione prioritari negoziati, e dedicati rispettivamente alla questione del Nagorno-Karabakh e a quella della centrale nucleare di Metsamor, che, come abbiamo avuto modo di visionare in precedenza, rimangono tuttora due questioni di fondamentale importanza per la sicurezza nazionale e per la sicurezza energetica, e che, proprio a ragione della loro stretta interconnessione con le dinamiche politiche interne ed esterne

403

Si veda: EU/ARMENIA Action Plan, adopted by the Republic of Armenia and the European Union in 2006. <http://ec.europa.eu/world/enp/pdf/action_plans/armenia_enp_ap_final_en.pdf>

venutesi a plasmare nel corso degli anni, avrebbero dovuto costituire, a nostro avviso, quel nucleo di partenza su cui implementare (preferibilmente in una seconda fase) tutte le altre misure previste negli altri punti. Per ciò che concerne il sesto campo d’azione prioritario, ad esempio, l’Unione Europea ha contrattato con l’Armenia la chiusura della principale fonte di produzione elettrica nazionale, proponendo di sopperire alla perdita che ne sarebbe conseguita, da una parte, attraverso l’adozione di una politica energetica maggiormente diversificata negli approvvigionamenti e, dall’altra, attraverso lo sviluppo parallelo degli altri impianti di produzione nazionali (centrali idroelettriche e risorse rinnovabili). Questo però è stato deciso senza tenere in considerazione le gravi difficoltà in cui versa Erevan e gli ingenti oneri finanziari che essa dovrà assumersi per onorare l’accordo fatto con Bruxelles (e di cui, tra l’altro, non dispone), dacché: in primo luogo, anche nel caso in cui (a seguito dell’eventuale chiusura di Metsamor) si cercasse di portare la produzione energetica interna al massimo della propria efficienza (beneficiando altresì dei fondi europei ricevuti), con molta probabilità essa non riuscirebbe a soddisfare da sola la domanda interna; in secondo luogo, inoltre, la stessa richiesta avanzata da Bruxelles per una diversificazione «by routes and types» lascia dietro di sé molte perplessità: come può un paese fortemente dipendente dalle esportazioni di idrocarburi differenziare le proprie vie di approvvigionamento quanto il perdurare dell’embargo azero-turco non ne permette obiettivamente l’attuazione?

Affinché Erevan possa godere di una sicurezza energetica proficua e meno oppressa dalle contingenze esterne, due presupposti si rendono necessari, ossia la normalizzazione delle relazioni armeno-turche e la risoluzione della disputa territoriale con l’Azerbaigian. Su questo doppio frangente il Piano d’Azione si è rivelato tuttavia piuttosto insoddisfacente e controverso: se da una parte la questione dei rapporti tra l’Armenia e la Turchia è stata direttamente glissata, dall’altra, quella del Nagorno-Karabakh è stata invece trattata con una cautela tale da sfociare in un’ambigua e incomprensibile contraddittorietà. Come è stato fatto notare da Tevan Poghosyan, un confronto tra il settimo campo d’azione prioritario del PA armeno con il primo campo d’azione prioritario del PA contrattato con l’Azerbaigian è rivelatore di quanto l’Unione Europea non si sia dimostrata all’altezza di proporre un approccio uniforme fondato su princîpi e valori comuni, e capace quindi di guidare le due parti verso un punto di incontro.404 Genera, infatti, un forte disorientamento la scelta di Bruxelles di voler elaborare la propria collaborazione con l’Armenia per la risoluzione del conflitto «on the basis of International norms and principles, including the principle of self

404

Cfr. T. POGHOSYAN, The Armenian ENP and conflict resolution in Nagorno-Karabakh, Antje Herrberg, Crisis Management Initiative, International Center for Human Development, Report, September 2009; pp. 8-9.

<http://www.internal-

displacement.org/8025708F004CE90B/(httpDocuments)/2832A491D782D85AC1257651004D306C/$file/DFID_Arme nia_ENP_ConflictResolution.pdf>

determination of peoples»405, asserendo al contempo che con l’Azerbaigian la medesima verrà trattata invece «on the basis of the relevant UN Security Council resolutions (che condannano l’invasione armena) and OSCE documents and decisions»,406 quando è risaputo che nel caso del Karabakh l’incongruità giuridica latente tra il diritto all’autodeterminazione dei popoli e quello della salvaguardia dell’integrità territoriale va a costituire uno dei fattori che hanno reso la questione più ostica da risolvere sul piano internazionale. Questa doppia presa di posizione dai toni assecondanti, assunta presumibilmente nel tentativo di avvicinare le due parti alla propria sfera di influenza (ma senza preoccuparsi di farle contemporaneamente convergere tra di loro), appare poi maggiormente incomprensibile se si considera che negli stessi documenti l’Unione Europea ha preferito riconfermare il suo ruolo di sostegno marginale al Gruppo di Minsk, invece di proporsi come un attore attivo nel processo di mediazione; un’opzione che, tra l’altro, sarebbe stata non solo facilmente perseguibile (sfruttando, ad esempio, la consolidata presenza della Francia nella troika di Minsk) ma che avrebbe potuto altresì apportare un considerevole beneficio alle parti in causa e alla stessa regione del Caucaso meridionale, poiché la nuova veste di principale organizzazione sovranazionale del continente assunta dopo l’allargamento 2004-2007 consentiva all’UE di porsi realmente come un interlocutore intermedio affidabile, capace quindi di sfruttare sia i propri legami in ambito PEV con le due repubbliche contendenti che quelli istaurati con le altre potenze legate al conflitto, vale a dire la Russia e la Turchia.

Di fronte allo scarso interesse dimostrato dall’Unione e al perdurare dell’irrisolta questione chiave del Nagorno-Karabakh negli anni seguenti alla firma dei PA, non stupisce quindi che il bilancio del primo quinquennio della Politica Europea di Vicinato si sia rivelato un generale insuccesso: eccettuata l’adozione da parte del governo di Erevan di una serie di misure legislative (per la maggior parte dirette alla riforma del settore economico e di quello giudiziario; ma che comunque vengono sempre a dipendere dalle deficienze insite nel sistema armeno tra la legge emanata dal parlamento e la sua effettiva applicazione), i rapporti annuali redatti dalla Commissione Europea sui progressi compiuti dall’Armenia non hanno fatto altro che constatare una situazione interna che è rimasta pressoché stagnate, soprattutto per ciò che riguarda la promozione della democrazia, che non a caso dovrebbe essere ritenuta uno degli obiettivi principe delle politiche europee di prossimità.407 Se andiamo poi a confrontare queste stesse osservazioni con gli indici pubblicati da Freedom House nello stesso periodo 2007-2011, (ma di cui i documenti ufficiali

405

Cit. EU/ARMENIA Action Plan, adopted by the Republic of Armenia and the European Union in 2006. 406

Cit. EU/ AZERBAIGIAN Action Plan, adopted by the Republic of Azerbaigian and the European Union in 2006. <http://ec.europa.eu/environment/enlarg/pdf/enp_action_plan_azerbaijan.pdf>

407

Si confronti a titolo di esempio l’ultimo rapporto pubblicato nel maggio del 2011: European Commission, High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy, Joint Staff Working paper –

Implementation of the European Neighbourhood Policy in 2010 – Country report: Armenia, SEC (2011) 639, Brussels,

europei non sembrano tener conto), dall’avvio della PEV ad oggi il cammino della repubblica armena verso la creazione di uno stato pienamente democratico non solo è rimasto invariato in molti settori, ma in alcuni è addirittura proseguito verso la direzione opposta408: se dopo cinque anni e più di “tentata” europeizzazione i risultati sono questi, rimane dunque da chiedersi quanto il soft-

power dell’UE possa essere visto come un impulso proficuo verso il cambiamento, oppure al

contrario come un’inutile erogazione di fondi fine a sé stessa.

Documenti correlati