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L’UE vista da Erevan: tra attivismo mancato e approcci controversi

5. Erevan e Bruxelles: quali prospettive?

5.2. L’UE vista da Erevan: tra attivismo mancato e approcci controversi

Di fronte a un bilancio pressoché negativo delle politiche europee di prossimità, e trovandoci adesso in un periodo di transizione verso il più ambizioso Partenariato Orientale, sarebbe interessante andare a vedere ora l’altro lato della medaglia delle relazioni bilaterali tra Erevan e Bruxelles, ovvero quali percezioni e quali aspettative si è fatta l’Armenia dell’Unione Europea nel corso degli ultimi anni. Le sfumature presenti nella visione politica armena devono essere obbligatoriamente prese in considerazione, soprattutto alla luce della posizione di semi-neutralità che questa repubblica occupa oggi all’interno del variegato insieme dei partecipanti all’iniziativa di Praga lanciata nel 2009. Sebbene si tratti, infatti, di un paese che (diversamente dalla Georgia) non ha mai asserito in modo esplicito il proprio desiderio di aderire all’UE (una prospettiva che, anche se vista positivamente da una buona parte della popolazione, è ritenuta tuttora dal governo in carica come un’eventualità tanto irrealistica quanto rischiosa409, dacché andrebbe non solo a incrinare le relazioni con l’alleata Mosca ma altresì ad apportare un’ulteriore e indesiderata instabilità all’interno di un contesto regionale già di per sé ostile), e che, ciononostante, ha sempre considerato le strutture europee come un valido punto di riferimento, ciò non significa che l’interesse per una potenziata cooperazione con Bruxelles sia mossa prevalentemente solo dagli incentivi che quest’ultima si è proposta di offrire. Se gettiamo infatti uno sguardo più attento a quanto enunciato nella strategia di sicurezza nazionale del 2007, possiamo notare che l’Armenia si aspetta, nella realtà dei fatti, qualcosa di più dall’Unione Europea.

Secondo le linee politiche della c.d. dottrina di complementarità, l’intensificarsi e il consolidarsi delle relazioni con Bruxelles viene inteso dall’Armenia non solo come un’occasione per riuscire a promuovere la democrazia, il buon governo, e la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà

408

Si veda la tabella Nations in Transit Ratings and Averaged Scores (relativamente al periodo 2002-2011) in A. ISKARDYAN, Report on Armenia 2011, Freedom House. <http://www.freedomhouse.org/images/File/nit/2011/NIT- 2011-Armenia.pdf>

409

Cfr. N. BABAYAN & N. SHALAPOVA, Armenia: the Eastern Partnership’s unrequited suitor, in FRIDE Policy

Brief, n° 94, September 2011; p. 2. <http://www.isn.ethz.ch/isn/Digital-Library/Publications/Detail/?ots591=0c54e3b3-

fondamentali nel paese, nonché un’opportunità economica e commerciale atta ad apportare futuri benefici nello sviluppo economico nazionale, ma in primo luogo, come uno strumento capace di garantire, attraverso le proprie iniziative (quali la PEV e il più recente PO) una solida e durevole stabilità nell’intera regione del Caucaso Meridionale; e non è un caso, infatti, che nello stesso testo, i policy-makers armeni si siano appellati direttamente a Bruxelles affinché questa possa porre la revoca dell’embargo di Ankara del 1993 (che, come abbiamo visto, viene a dipendere fortemente dalla questione del Nagorno-Karabakh, e quindi anche dai rapporti con l’Azerbaigian) come una delle condizioni vincolanti l’iter negoziale (ancora in corso) per l’adesione della Turchia.410. È facile dedurre, dunque, che l’assimilazione dell’aquis, o se vogliamo la c.d. europeizzazione, promossa e richiesta dalle politiche di prossimità viene ad interlacciarsi, nell’ottica armena, primariamente alla risoluzione dei conflitti e delle dispute con i paesi limitrofi, in un equilibrio che, contrariamente a quanto previsto dal c.d. principio di condizionalità (come elaborato dall’Unione Europea), non potrà di certo raggiungersi per mezzo di una offerta che, anche di fronte ai più vantaggiosi incentivi del Partenariato Orientale, appare ancor’oggi ai nostri occhi parzialmente insoddisfacente e incompleta a bilanciare la domanda.

Il format multilaterale dell’iniziativa di Praga, pur possedendo tutte le carte in regola per poter aprire una stagione nuova nel Caucaso meridionale, e pur prevedendo all’interno delle proprie strutture una piattaforma (la prima) destinata a garantire, oltre alla democrazia e al buon governo, anche sicurezza e stabilità a livello regionale, non appare in grado di poter risolvere la questione dei conflitti congelati, e questo a ragione sia della mancata partecipazione a pieno titolo di Russia e Turchia alle piattaforme dell’iniziativa (rispetto alla quale vengono ad occupare un ruolo pressoché marginale), che dell’approccio di non interferenza riproposto da Bruxelles. Ancor’oggi, infatti, l’Unione Europea (a discapito di un ruolo più attivo nella situazione post-bellica georgiana) non sembra disposta ad assumersi responsabilità di equiparabile impegno con la piccola repubblica armena, e questo di fronte tanto al persistere del rischio di un’eventuale riaccendersi delle ostilità (comprovato dalle continue violazioni del cessate il fuoco registrate anche in periodi più recenti411) quanto dell’evidente impossibilità riscontrata nel promuovere le riforme e i valori europei senza aver prioritariamente condotto le parti in causa verso una basilare intesa nella questione del Nagorno-Karabakh. L’indolenza di Bruxelles nell’adottare un approccio idoneo potrebbe però, d’altra parte, produrre una certa dose di frustrazione nelle ambizioni di Erevan verso l’Unione, come è emerso infatti dalle reazioni del governo armeno alla Risoluzione del Parlamento Europeo

410

Cfr. Republic of Armenia, National Security Strategy (approved at the session of National Security Council at the RA President office on January 26th, 2007) . <http://www.mfa.am/u_files/file/doctrine/Doctrineeng.pdf>

411

Cfr. Azerbaigian Soldier Severely Wounded Along Border With Separatist Region, published on Radio Liberty / Radio Free Europe official website, May 28th 2012 <http://www.rferl.org/content/azerbaijani-soldier-severely- wounded-in-nagorno-karabakh/24584258.html>

2216 del 20 maggio 2010, che aveva ad oggetto proprio le future strategie da adottare nel Caucaso

meridionale, fra cui, per l’appunto, la disputa tra l’Armenia e l’Azerbaigian, come anche un breve ma effimero accenno alla (ormai fallita) normalizzazione delle relazioni armeno-turche.

«[Relativamente al] conflitto del Nagorno-Karabakh

6. [il Parlamento Europeo] accoglie favorevolmente il ritmo dinamico dei negoziati sul conflitto nel

Nagorno-Karabakh evidenziato dai sei incontri tra i presidenti di Armenia e Azerbaigian svoltisi nel corso del 2009 nello spirito della Dichiarazione di Mosca; invita le parti a intensificare i loro sforzi per i negoziati di pace in vista di una soluzione nei prossimi mesi, a mostrare un atteggiamento più costruttivo e ad abbandonare le preferenze a perpetuare lo status quo creato con la forza e senza legittimità

internazionale, causando quindi instabilità e prolungando le sofferenze delle popolazioni colpite dalla

guerra; condanna l’idea di una soluzione militare e le pesanti conseguenze della forza militare già usata e chiede ad entrambe le parti di evitare ulteriori violazioni del cessate il fuoco del 1994;

7. sostiene appieno gli sforzi di mediazione del gruppo di Minsk dell’OSCE, i principi fondamentali

contenuti nel documento di Madrid e la dichiarazione dei paesi copresidenti del gruppo di Minsk in data 10 luglio 2009 a margine del vertice G8 dell'Aquila; invita la comunità internazionale a dimostrare coraggio e la volontà politica di contribuire a risolvere gli aspetti più problematici che continuano ad ostacolare il raggiungimento di un accordo;

8. è profondamente preoccupato dal fatto che le centinaia di migliaia di rifugiati e profughi interni fuggiti

dalle proprie case durante o a causa del conflitto nel Nagorno-Karabakh sono tuttora sfollate e non hanno diritti, compreso il diritto di rientrare, i diritti di proprietà e il diritto alla sicurezza personale; chiede a tutte le parti di riconoscere in modo inequivocabile e senza riserve tali diritti e la necessità di una rapida realizzazione e di una rapida soluzione a questo problema che rispetti i principi del diritto internazionale;

chiede, a tal proposito, il ritiro delle forze armene da tutti i territori occupati dell'Azerbaigian, unitamente all'invio di forze internazionali da organizzare ai sensi della Carta delle Nazioni Unite

affinché possano fornire le necessarie garanzie di sicurezza per un periodo di transizione, il che garantirà la sicurezza della popolazione del Nagorno-Karabakh e permetterà il ritorno degli sfollati interni alle proprie case e la prevenzione di ulteriori conflitti provocati dalla mancanza di una casa; chiede alle autorità armene e azere e ai leader delle relative comunità di dar prova del loro impegno a creare relazioni pacifiche fra le etnie, preparando concretamente il rientro degli sfollati; ritiene che la situazione dei profughi e degli sfollati interni dovrebbe essere affrontata secondo standard internazionali, tenendo conto anche della recente raccomandazione 1877 (2009) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dal titolo «I popoli dimenticati dell’Europa: proteggere i diritti umani degli sfollati di lunga durata»;

9. sottolinea la necessità di reali sforzi per spianare la strada a una pace duratura; invita tutte le autorità

interessate ad evitare politiche provocatorie, dichiarazioni retoriche e dai toni accesi nonché la manipolazione della storia; esorta i leader di Armenia e Azerbaigian ad agire in modo responsabile, a smorzare i toni e a preparare il terreno affinché l'opinione pubblica accetti e comprenda appieno i benefici di una soluzione globale;

10. ritiene che dovrebbe essere rapidamente abbandonata la tesi secondo cui il Nagorno-Karabakh comprende tutte le terre azere che circondano il Nagorno-Karabakh; rileva che uno status

provvisorio del Nagorno-Karabakh potrebbe offrire una soluzione finché non sia deciso lo status definitivo e che essa potrebbe creare un quadro temporaneo per la coesistenza pacifica e la cooperazione delle comunità armena e azera nella regione;

11. sottolinea che la sicurezza per tutti è un elemento indispensabile di qualsiasi accordo; riconosce

l’importanza di adeguati accordi di mantenimento della pace in linea con le norme internazionali in materia di diritti dell'uomo che comprendano aspetti sia militari che civili; invita il Consiglio ad esplorare la possibilità di sostenere il processo di pace con le missioni di politica comune di sicurezza e difesa (PCSD), inviando ad esempio un’ampia missione di monitoraggio in loco che potrebbe facilitare la

creazione di una forza internazionale di mantenimento della pace, una volta reperita una soluzione politica;

[Per ciò che concerne invece ] Il riavvicinamento Armenia-Turchia

12. accoglie con favore i protocolli relativi all’instaurazione e allo sviluppo di relazioni diplomatiche

tra l’Armenia e la Turchia che, tra l’altro, prevedono l’apertura del confine comune; invita entrambe le parti a cogliere quest’occasione per migliorare le loro relazioni procedendo alla ratifica e all’attuazione di detti protocolli senza condizioni preliminari e in un arco di tempo ragionevole; sottolinea che il

riavvicinamento tra l’Armenia e la Turchia e i negoziati del gruppo di Minsk dell'OSCE sono processi distinti che dovrebbero avanzare seguendo la propria logica; osserva tuttavia che gli sviluppi

in uno dei due processi potrebbero avere un forte impatto, potenzialmente molto positivo, per la regione nel suo insieme;»412

Sin dal giorno immediatamente successivo alla pubblicazione di questo documento sono provenute dure critiche da parte dell’allora Presidente dell’Assemblea Nazionale armena, Hovik Abrahamyan, che in una lettera indirizzata al Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, ha rimarcato quanto alcune delle posizioni espresse da Bruxelles (e in particolare quelle contenute nei punti 6, 7, 8 e 10) contengano un linguaggio nettamente in contrasto non solo a una risoluzione pacifica del conflitto, ma altresì agli stessi princîpi di Madrid, come anche a tutto quello che sia l’OSCE, sia l’UE, che le stesse risoluzioni precedentemente emanate dallo stesso Parlamento Europeo avevano sempre sostenuto.413 In effetti, i termini usati lasciano trasparire una visione più favorevole all’Azerbaigian, poiché già nei considerando introduttivi di detta risoluzione è esplicitamente asserito che «l’UE rispetta i princîpi di sovranità e integralità territoriale nelle sue relazioni con gli stati del Caucaso meridionale».414 Se nei Piani d’Azione del 2006 (ma non solo), l’UE è stata accusata più volte di applicare doppi standard verso i suoi partner, nel momento in cui essa si è preposta di decidere per quale dei due princîpi antinomici del diritto internazionale schierarsi, essa ha infine optato per quello meno vantaggioso per il Nagorno-Karabakh, scatenando un forte malcontento tra i politici armeni, che, probabilmente, più che traditi si saranno sentiti (alla luce di altre situazioni simili nel continente europeo che sono state trattate da Bruxelles in maniera diversa) ancor più confusi di prima: perché, nel 2010, l’Unione Europea dovrebbe salvaguardare

l’integralità territoriale di Baku contro l’irredentismo di Stepanakert, quando, ad esempio, nel 2008, la maggioranza dei membri dell’UE hanno preferito optare per la via inversa con l’appoggio

412

Cit. Risoluzione del Parlamento europeo del 20 maggio 2010 sull’esigenza di una strategia UE per il Caucaso

Meridionale, (2009/2216(INI)), Questioni di sicurezza e risoluzione pacifica dei conflitti, Bruxelles, 20 Maggio 2010,

traduzione italiana pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 31 Maggio 2011. <http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2011:161E:0136:0147:IT:PDF> 413

Cfr. Letter of RA NA President Hovik Abrajamyan to the President of the European Parliament Jerzy Buzek, available on the National Assembly of the Republic of Armenia official website:

<http://www.parliament.am/news.php?cat_id=2&NewsID=3957&year=2010&month=05&day=21&lang=eng> 414

Cit. . Risoluzione del Parlamento europeo del 20 maggio 2010 sull’esigenza di una strategia UE per il Caucaso

pieno del diritto all’autodeterminazione dei popoli nel caso del Kosovo415 (divenuto uno stato indipendente a danno dell’integralità territoriale della Serbia)?

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