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Le sfide di una convivenza multiculturale

All‟interno di un quadro teorico e pratico di poteri-diritti pluridecentrati, riluttanti ad essere sussunti nella verticalità della piramide giuridica, si diffondono dispositivi immanenti di regolamentazione. Si affermano pratiche effettive di organizzazione spontanea e di autoregolamentazione dei comportamenti. Si aprono margini sempre più

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Cfr. A.CATANIA, Metamorfosi del diritto, p. 76: “L‟estesa socializzazione del processo democratico non dà luogo tanto, come sarebbe stato auspicabile, ad una partecipazione forte, diffusa, responsabile ai processi deliberativi in modo tale da rendere significativamente riconoscibile il ruolo sovrano dei partecipanti, ma piuttosto ad una micidiale miscela di apatia politica generalizzata rispetto alla gestione della vita comune […]”.

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U.BECK, Costruire la propria vita. Quanto costa la realizzazione di sé nella società del rischio?, tr. it., di C. Tommasini, il Mulino, Bologna 2008, p. 9.

73

M.WEBER, La scienza come professione. La politica come professione, tr. it. P. Rossi e F. Tuccari, Mondadori, Milano, 2006, p. 37.

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La globalizzazione e l‟universalismo dei diritti

30 ampi di tolleranza delle eccezioni alla norma75. Si affida la gestione dell‟emergenza a forme di decretazione d‟urgenza. Le questioni emergenziali vengono trattate alla stregua di questioni amministrative e non come un problema politico di ampio respiro da risolvere.

Tutto questo rende opportuna una ricostruzione sostanziale del complesso di norme che disciplinano il fenomeno dell‟immigrazione. Ricostruzione che affronti le tematiche coinvolte garantendo la protezione concreta del soggetto, la composizione delle differenti identità normative che entrano in gioco, la promozione di pari opportunità proprio passando attraverso meccanismi differenziali. L‟individuo – con il suo bagaglio di storia, tradizione, identità sociale – dovrà rappresentare il fine e non il mezzo dell‟attività governativa.

La propensione verso questa prospettiva spinge a considerare scarsamente condivisibili quelle concezioni filosofiche di matrice liberale76 che insistono sulla neutralità procedurale dello Stato nei confronti del cittadino. Astrarre i fini dalle procedure vorrebbe dire adottare una filosofia politica vuota, minimalista, che non tiene conto del fatto che gli individui sono enti interrelati, storici ed empirici. Forme apatiche di

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J.CARBONNIER, Flessibile diritto. Per una sociologia del diritto senza rigore, Giuffrè, Milano 1997, p. 4: “Sinuoso, capriccioso, incerto, così ci è apparso – dormiente ed eclissantesi – mutevole, ma per caso, e rifiutando spesso il cambiamento atteso, imprevedibile per il buon senso come per l‟assurdo. Flessibile diritto”.

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Le teorie liberali – che sono state enunciate da Locke, Kant, Mill, Rawls, ma anche da teorici contemporanei, quali Nagel, Scanlon, Dworkin, Habermas – sono accomunate, in tutte le loro differenti declinazioni, dalla centralità conferita, in politica come in morale, all‟individuo, ai suoi diritti, alle sue libertà. Mutuando dal linguaggio di Rawls, potremmo asserire che il paradigma liberale si caratterizza per la tesi del primato del “giusto” sul “bene”, cui si connette il corollario, di natura antropologica, della “priorità dell‟Io sui suoi fini”. Per i liberali ciò che sta a fondamento della società e dello Stato non è un‟unica concezione etica condivisa, ma piuttosto un insieme di principi e regole procedurali, che consentono agli individui di seguire e promuovere la propria concezione di giusto. Riprendendo l‟idea kantiana degli uomini come esseri razionali e morali, i liberali sostengono l‟autosufficienza morale dell‟individuo e concepiscono il bene comune solo come una convergenza di interessi individuali, quasi si trattasse di una sommatoria algebrica di particolarismi. Il liberalismo è una concezione individualistica ed universalistica in cui le istituzioni appaiono come neutrali rispetto alle plurime e frammentate concezioni di bene. In quest‟ottica anche i diritti appaiono avulsi dalla dimensione istituzionale e sono concepiti come relativi all‟individuo incondizionatamente, senza alcuna influenza politica da parte delle comunità di appartenenza. Questi temi sono stati – e sono ancora – al centro di un acceso dibattito fra liberali e comunitari.

31 politica, neutrali e procedurali, basate esclusivamente sulla fissazione delle regole del gioco, non possono che portare verso “l‟autocastrazione”77

del soggetto. Viceversa, essere cittadini in senso pieno – e non solo formale – vuol dire avere la possibilità concreta di compiere scelte di vita congruenti con le proprie prospettive e più o meno conformi a quel sostrato culturale di appartenenza, che incontrastatamente esercita un peso specifico sulla formazione e sullo sviluppo del singolo. Nelle società contemporanee, pluraliste e multiculturali, una linea politica ispirata a principi di neutralità ed eguaglianza sarebbe destinata ad escludere le differenze culturali dai propri programmi, riproducendo e rafforzando pratiche di disconoscimento, disparità economiche, forme di emarginazione sociale78. Come è stato osservato, “l‟irrilevanza pubblica delle differenze culturali dimostra che la formalizzazione astratta e generalizzante, politica e giuridica, delle concrete identità particolari non garantisce […] l‟eguaglianza e la neutralità dei diritti, ma si dimostra essere invece un potente dispositivo di esclusione”79

.

Ma anche le concezioni teoriche comunitarie80, che all‟autonomia dell‟individuo hanno contrapposto la sua ascendenza storica e culturale, possono risultare poco adatte a dar

77

L.BAZZICALUPO, Appunti delle lezioni di Storia delle Dottrine politiche, Gentile, Salerno 1999, p. 203.

78Il modello francese di integrazione si propone “universalista”, “non riconosce diritti che all‟individuo

libero nei suoi legami comunitari”. Cfr. Haut Conseil à l‟Intègration, Rapports au Premier Ministre, La

Documentation francaise, Paris, 1991, p.19; 1995, pp.19 e ss.. Per un approfondimento sul modello di

azione governativa francese verso i fenomeni migratori e un suo confronto col modello inglese si rinvia a A.FACCHI, I diritti nell‟Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, Laterza, Roma- Bari 2004, pp. 11-19.

79

A.TUCCI, Etnia come oggettivazione dell‟altro, in A.AMENDOLA,L.BAZZICALUPO (a cura di), Dopo il

nomos del moderno? Uguaglianza, neutralità, soggetto, ESI, Napoli 2006, p. 253. Cfr. A. FACCHI, I

diritti nell‟Europa multiculturale, cit., p. 17.

80Lo sviluppo delle teorie comunitarie è particolarmente interessante perché è sorto all‟interno delle

medesime aree geografiche e culturali, che hanno fatto da sfondo all‟evolversi delle teorie liberali. Tra gli esponenti di spicco del comunitarismo rientrano Taylor, MacIntyre, Sandel, Selznick, Bellah e, per certi versi, anche Ungel e Walzer. Il filo rosso che lega questi autori è la critica al concetto liberale di sé, alla presunta neutralità della giustizia, alla spoliticizzazione dei diritti. All‟antropologia liberale atomistica ed astratta, i comunitari oppongono la radicale dipendenza dell‟individuo dalla società. L‟identità individuale avrebbe una genesi sociale e dialogica e le concezioni liberali, fondate sull‟indipendenza dei fini rispetto alle procedure atte a realizzarli, sarebbero filosoficamente sterili. La morale che guida l‟agire umano per i comunitari non può basarsi esclusivamente sulla valutazione razionale dell‟idea di giusto, ma al contrario su legami di appartenenza identitaria. In quest‟ottica i principi di giustizia non possono valere indipendentemente dai contesti dati, ma devono essere conformi alla varietà di beni sociali che

La globalizzazione e l‟universalismo dei diritti

32 conto del pluralismo delle società contemporanee, dal momento che finiscono col tutelare e rafforzare i valori corrispondenti a quelli del gruppo dominante, cioè della comunità autoctona, discriminando le minoranze. In questo modo, il comunitarismo ricadrebbe proprio in pecche simili a quelle rimproverate al liberalismo81.

Dunque, per scansare questi rischi, sembra opportuna l‟adozione di scelte politiche volte a salvaguardare e valorizzare le plurime identità culturali, mediante l‟implementazione di diritti collettivi e culturali, a favore degli appartenenti a comunità minoritarie. Se l‟individuo non è disincarnato, irrelato e astorico, ma ha legami culturali e sociali con la propria comunità di appartenenza, allora il quadro di diritti e garanzie, posto a sua tutela, dovrà comprendere anche diritti volti alla promozione di pratiche identitarie e diritti esercitabili direttamente dalle collettività, entro cui trova attuazione e sviluppo la sua persona.

Eppure, il riconoscimento di diritti culturali e collettivi ha in sé una falla: potrà mai l‟individuo esprimere critica, dissenso, disaccordo nei confronti del gruppo di cui è parte per nascita e formazione culturale?82 La pressione sociale, esercitata coattivamente o in via subliminare dalla comunità di appartenenza, non rischia, forse, di mortificare la capacità dell‟individuo di dissentire e deviare dal modello precostituito? Non è, tutto questo, in contrasto col riconoscimento dei diritti individuali di libertà ed uguaglianza? L‟impossibilità di divergere da flussi di idee unidirezionali può scivolare nella massificazione, nell‟omologazione, rendendo il gruppo pericoloso all‟esterno, ma non dimentichiamo che può degenerare anche in forme dispotiche e totalitarie di governo.

caratterizza una comunità politica. Come pure i diritti, data la dimensione interrelata degli individui e la loro permeabilità rispetto ai contesti di appartenenza, non possono essere assoluti e incondizionati, ma al contrario essi dovranno essere l‟altra faccia di un dovere di appartenenza e contribuzione.

81

Cfr. A.FACCHI, I diritti nell‟Europa multiculturale, cit., p. 4. Questa critica è sollevata, tra gli altri, da W.KYMILICKA, Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano, 1996, cap. 5: I filosofi comunitari.

82

Cfr. L.BAZZICALUPO, Appunti delle lezioni di Storia delle Dottrine politiche, cit., p. 207; A. Facchi, I

33 E, allora, diventa doveroso garantire all‟individuo l‟opportunità di distanziarsi dall‟orientamento dominante del gruppo, attraverso la previsione di provvedimenti volti a promuovere e facilitare dissenso o adesione incondizionata, da parte del soggetto, alle decisioni del gruppo. Proprio in tal senso Kymilicka sostiene che “i diritti delle minoranze […] non devono permettere ad un gruppo di opprimere i suoi membri”83

. Sulla stessa linea Raz osserva che abbandonare la propria comunità deve essere una scelta concretamente esperibile e che il diritto d‟uscita deve essere pubblicamente riconosciuto84. Ma il mero riconoscimento pubblico non basta. E‟ necessario che le politiche statali si impegnino a garantire l‟autonomia decisionale del soggetto, rafforzando le pratiche educative, facendo informazione, fornendo sostegno economico e sociale all‟immigrato85

. Una politica ispirata a principi di multiculturalismo, tesa a realizzare effettivamente libertà ed uguaglianza, dovrà essere sensibile alla realtà dei soggetti più deboli, alle differenze specifiche, all‟irripetibilità identitaria di ciascuno.

Identità non è appartenenza, ma piuttosto pluriappartenenza86. Non esistono forme identitarie stigmatizzate, fisse, conchiuse entro i confini della casta, ma persone, con il loro bagaglio identitario frammentato, pronte ad indossare sempre nuove maschere87. L‟individuo è multiculturale. E solo una politica del diritto centrata su una prospettiva empirica soggettivistica potrà tutelarne autonomia, capacità di critica, potere decisionale.

Concludo facendo mie le osservazioni di Alessandra Facchi: “Se, come penso, una comunità, qualunque comunità, ha valore solo in quanto luogo di formazione e realizzazione dell‟individuo, non sono giustificate azioni pubbliche che comprimano

83

W.KYMILICKA, La cittadinanza multiculturale, il Mulino, Bologna 1999, p. 337.

84

J.RAZ, Multiculturalism, in “Ratio Juris. An International Journal of Jurisprudence and Philosophy of law”, n. 3, 1998, p.119. A.FACCHI, I diritti nell‟Europa multiculturale, cit., p. 156.

85

A.FACCHI, I diritti nell‟ Europa multiculturale, cit., p. 156.

86

Cfr. A.GUTTMAN, La sfida del multiculturalismo all‟etica politica in “Teoria Politica” n. 3,1993, p.15.

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La globalizzazione e l‟universalismo dei diritti

34 deliberatamente le libertà individuali o ostacolino la formazione di nuove identità collettive soltanto in nome della conservazione di una comunità. Un‟attitudine multiculturale non si traduce soltanto nella tutela delle collettività esistenti, ma anche nell‟apertura verso nuove culture e nuovi gruppi sociali. L‟approccio nei confronti della convivenza multiculturale non è dunque la conservazione forzata di identità differenti, quelle tradizionali degli immigrati e quelle spesso ben più conservatrici degli autoctoni, ma la loro convivenza, sovrapposizione ed eventuale fusione […]”88.