La famiglia delle sHSP comprende proteine con peso molecolare tra i 12 ed i 43 kDa che si assemblano in grandi strutture multimeriche e contengono una regione carbossi-terminale conservata di 90 aminoacidi circa, il dominio α-cristallina. Molte delle piccole HSP sono prodotte solamente in condizioni di stress. Esperimenti in vitro hanno dimostrato che esse prevengono l’aggregazione proteica con un’attività chaperon ATP-indipendente, legandosi saldamente alle proteine denaturate in seguito a uno stress. E’ stato suggerito che, dopo la rimozione dello stress, questi complessi possano fornire una riserva di proteine “unfolded” per il macchinario HSP70 che è in grado di rinaturarle. Le sHSP non mostrano alcuna apparente specificità per i substrati e sono funzionali solo nella forma oligomerica. Sul meccanismo di azione di questi chaperon non abbiamo molte informazioni. E’ stato ipotizzato che la proteina substrato possa ricoprire l’esterno del grande chaperon multimerico e che le interazioni idrofobiche siano fondamentali nel legame col substrato (Fink, 1999).
L’ α-cristallina appartiene alla famiglia delle sHSP. E’ la proteina principale delle lenti di mammifero dove, oltre a costituire un elemento strutturale fondamentale, aiuta a mantenere il normale di grado di trasparenza del cristallino, impedendo l’aggregazione delle altre proteine.
Si trova sottoforma di multimeri polidispersi costituiti da due tipi di polipeptidi, l’αA e l’αB, il cui peso molecolare si aggira intorno ai 20 kDa. I multimeri sono costituito da circa 15 - 50 unità e hanno un peso molecolare che oscilla tra 300 ed i 1000 kDa. La proporzione fra le due catene varia in base a diversi elementi come l’età, la specie e le condizioni ambientali, ma il significato di questa variabilità non è ancora chiaro. Nelle lenti di mammifero il rapporto molare è generalmente 3 a 1. L’αA si trova
principalmente nelle lenti e, in tracce, anche in altri tessuti; l’αB è considerata una proteina ubiquitaria (Horwitz, 2003).
A causa della natura polidispersa di questa proteina al momento non è disponibile una struttura cristallina. Per quanto riguarda la struttura quaternaria, tra i vari modelli ipotizzati negli ultimi anni, quello micellare sembra il più attendibile; ciò dipende da una serie di osservazioni sulle proprietà e il comportamento delle subunità. Queste sono, infatti, anfifiliche, con un domino N-terminale idrofobico e un dominio C-terminale idrofilico, si assemblano attraverso i domini N-terminali, sono mobili e si interscambiano facilmente fra aggregati (fig 13) (Augusteyn, 2004).
Fig 13. Una possibile struttura micellare per l’α-cristallina. Le subunità si associano attraverso interazioni che coinvolgono i domini idrofobici N-terminali (grigio scuro), i quali sono localizzati al centro dell’aggregato I domini idrofilici C-terminali (grigio chiaro) sono disposti sulla superficie del multimero (Augusteyn, 2004).
L’αB cristallina è uno chaperon molecolare che si ritrova nelle placche senili dei soggetti affetti dal morbo di Alzheimer. Per questo motivo gli studi in vitro dell’effetto dell’α-cristallina sulla fibrillogenesi e sulla neurotossicità del βA sono numerosi. Tuttavia, i risultati sono discordanti. Alcuni di questi suggeriscono che l’αB prevenga la formazione di fibrille, ma aumenti la neurotossicità del βA (Stege et al., 1999), altri indicano invece che questo chaperon promuova l’aggregazione e la formazione delle fibrille (Liang, 2000). In altri studi si riporta che l’αA cristallina arresti la formazione delle fibrille e sopprima la tossicità del βA (Santhoshkumar et al. 2004). Quindi, nonostante
l’argomento sia ampiamente trattato, i dati fino ad oggi disponibili rendono difficoltosa qualsiasi ipotesi a riguardo del ruolo dell’α-cristallina sulla fibrillogenesi del βA. Studi
in vivo su animali suggeriscono che la sovraespressione degli chaperon molecolari svolga
un ruolo positivo nel trattamento delle malattie neurodegenerative (Muchowski e Wacker, 2005). Questi interessanti risultati se da un lato aprono nuovi scenari nella progettazione di strategie terapeutiche, dall'altro impongono una maggiore conoscenza del ruolo e del meccanismo di funzionamento di queste proteine nei processi di aggregazione.
6 Gli inibitori
Negli ultimi anni numerosi studi sono stati indirizzati alla ricerca di molecole naturali o di nuova sintesi in grado di inibire l’aggregazione del βA e ridurne gli effetti citotossici. Ricerche di questo tipo potrebbero rappresentare il punto di partenza per la progettazione di terapie farmacologiche di prevenzione e/o cura e, inoltre, contribuire alla comprensione dei dettagli molecolari che regolano il processo di fibrillogenesi.
Una molecola inibitrice può influenzare l’andamento della cinetica di aggregazione in tre modi. Essa può interferire con il processo di nucleazione determinando un incremento della durata della fase di latenza. In alternativa, l’effetto può interessare la fase di polimerizzazione. Ciò si può tradurre in una diminuzione della velocità di allungamento delle fibrille e, quindi, in una minore pendenza della curva. Infine, può provocare un abbassamento del livello di saturazione, riflettendo la formazione di un minor numero di fibrille mature. Non può essere, naturalmente, esclusa una combinazione di tutti questi effetti (Findeis et al., 1999) (fig 14).
Fig 14. Schematizzazione dei potenziali effetti di una molecola inibitrice sulla cinetica di aggregazione dei peptidi βA. L’inibizione può essere osservata attraverso un prolungamento della fase di nucleazione (delayed time), una riduzione nella velocità di crescita delle fibrille, un abbassamento del numero di fibrille mature in grado di formarsi (maximum polymerization) o una combinazione di questi effetti (Findeis et al., 1999).
Molti studi dimostrano che piccole molecole con anelli aromatici sono in grado di influenzare significativamente la cinetica di aggregazione dei peptidi βA. Queste includono la curcumina, l’acido rosmarinico (Ono et al., 2004), il fullerene (Kim e Lee, 2003), le tetracicline (Forloni et al., 2001), la melatonina (Pappolla et al., 1998), i polifenoli del vino (Ono et al., 2003) ecc.
Le interazione aromatiche, dette anche interazioni π-π o di stacking, rivestono un ruolo di primaria importanza nella biochimica, in particolar modo nei processi di riconoscimento fra molecole e nell’auto-aggregazione (Gazit, 2002). Queste interazioni dipendono dalla particolare distribuzione elettronica delle cariche presenti nella molecola aromatica. Per esempio, sebbene il benzene non abbia una carica netta, è presente una maggiore densità di carica elettronica sulla superficie dell’anello ed una minore nelle regioni laterali.
Studi teorici approfonditi e calcoli empirici dimostrano che gli anelli aromatici tendono, infatti, ad associarsi formando tre strutture principali, proposte sulla base della componente elettrostatica dell’interazione. In figura 15a è rappresentata la struttura a T, in cui l’estremità di un anello interagisce con la faccia di un altro. Nella struttura sfalsata, rappresentata in figura 15b, gli anelli si dispongono parallelamente l’uno sull’altro, ma senza allinearsi (Waters, 2002). Questa si ritrova principalmente in sistemi biologici quali la doppia elica del DNA, a livello delle basi dei nucleotidi, e le proteine, dove ne stabilizza la struttura terziaria (Gazit, 2002). Anche in figura 15c gli anelli sono sovrapposti l’uno sull’altro, ma in questo caso essi risultano perfettamente allineati (Waters, 2002).
Fig 15. Interazioni tra anelli aromatici planari: a) Struttura a T b) Struttura parallela sfalsata c) Struttura parallela (Waters, 2002).
In generale, le proteine hanno una frequenza relativa di aminoacidi aromatici molto bassa. Tuttavia, la maggior parte dei peptidi/proteine amiloidogenici, pur non mostrando una chiara omologia di sequenza, possiede brevissime sequenze con residui aromatici. Queste ultime, anche sottoforma di frammenti singoli, sono in grado di promuovere interazioni intermolecolari ed aggregare, formando fibrille del tutto simili a quelle di peptidi/proteine
interi (Gazit, 2002) come nel caso del frammento KLVFFAE (Lys-Leu-Val-Phe-Phe-Ala- Glu) del βA (Balbach et al., 2000).
Infatti, la coppia di residui di Phe sembra rappresentare un elemento strutturale fondamentale nel processo di riconoscimento molecolare e nell’auto-aggregazione del βΑ. Più in generale possiamo affermare che, a differenza di quanto accade nella formazione degli aggregati amorfi, le interazioni di stacking possano guidare la fibrillogenesi, sia dal punto di vista termodinamico, fornendo un contributo energetico proveniente dalle interazioni stesse, sia da quello strutturale, orientando le molecole secondo una schema ben preciso.
In questa ottica, molecole aromatiche capaci di riconoscere ed interagire con gli aminoacidi presenti nei peptidi/proteine amiloidi, rappresentano quindi dei potenziali inibitori della fibrillogenesi. Esse, infatti, potrebbero impedire l’aggregazione dei peptidi creando un ingombro sterico o, se cariche, attraverso una repulsione elettrostatica (fig 16) (Gazit, 2002).
Fig 16. Modello per l’inibizione della formazione delle fibrille amiloidi. In assenza di un inibitore le interazioni di stacking tra gli anelli dei peptidi aromatici guidano l’aggregazione e la transizione strutturale che porta alla formazione delle fibrille amiloidi. Un inibitore costituito da un elemento di riconoscimento aromatico e da uno capace di inibire l’aggregazione (fibril breaker) potrebbe legare il monomero ed impedire la formazione di aggregati (Gazit, 2002).
Oltre ai composti citati a inizio paragrafo, una molecola aromatica che potrebbe agire con questo meccanismo è l’ipericina, estratta dall’Hypericum perforatum. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che gli estratti di tale pianta abbiano proprietà neuroprotettive (Silva et al., 2004) e possano essere impiegati per scopi terapeutici nel trattamento del morbo di Alzheimer e altre amiloidosi (Castillo e Snow, 2002).