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Le soluzioni prospettate dal Governo Turnbull

Il 13 novembre 2016 l’attuale Primo Ministro Turnbull, insieme al Ministro per l’Immigrazione, Peter Dutton, hanno annunciato76 che è stato siglato un accordo con gli Stati Uniti per reinsediare sul territorio americano le persone attualmente in detenzione sulle isole di Nauru e Manus.

La conferma è arrivata anche dal Segretario di Stato americano, John Kerry, il quale ha dichiarato77 che la crisi dei rifugiati è un problema urgente, e in quanto tale, gli Stati Uniti hanno deciso di considerare i numerosi rinvii fatti dall’UNHCRC circa la situazione di emergenza dei richiedenti asilo sulle due isole, e hanno accettato di reinsediare i rifugiati detenuti nei centri di lavorazione offshore australiani e quelli che sono stati trasferiti temporaneamente in Australia per motivi medici.

Anche se gli Stati Uniti non sono parti della Convenzione sui rifugiati, hanno ratificato il relativo Protocollo del 1967 il quale impone l’applicazione di tutte le disposizioni sui rifugiati siglate a Vienna.

Mentre non sono ancora noti i dettagli dell’accordo, una relazione ufficiale fa emergere che gli Stati Uniti intendano reinsediare in totale 110.000 rifugiati nell'anno fiscale 201778.

Il primo ministro australiano ha indicato che la priorità va ai soggetti più vulnerabili, in particolare le famiglie presenti a Nauru, ma attualmente non esiste alcuna informazione su quando i primi rifugiati partiranno per gli

76 26 Stephanie Anderson, Francis Keany, “Malcolm Turnbull, Peter Dutton announce

refugee resettlement deal with USA”, ABC News, 13 November 2016

77Chris Uhlmann, “John Kerry confirms US considering Nauru, Manus Island refugee

resettlement deal”, ABC news, 13 November 2016

78 Bureau of Population, Refugees and Migration, “Proposed Refugee Admissions FY

Stati Uniti. Tuttavia, i funzionari della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti hanno fatto un sopralluogo nei centri di detenzione, per conoscere da vicino la situazione e iniziare al più presto il trasferimento delle persone. Il ministro australiano dell'immigrazione ha prontamente affermato che il centro su Nauru continuerà 'per sempre' nella sua forma attuale79 arrivano più barche, le persone continueranno a essere inviate a Nauru per la loro trasformazione. e ciò suggerisce che il centro dell'Isola di Manus sarà chiuso a tempo debito.

L'UNHCR non è parte di tale accordo, ma ha accolto con favore l'annuncio, ritenendo che tale disposizione riflette una “soluzione molto necessaria e duratura per alcuni rifugiati che sono stati trattenuti in Nauru e Papua Nuova Guinea per più di tre anni e che rimangono in una situazione precaria”80.

Su questa base, l’UNHCR annuncia che “appoggerà i rinvii fatti dall'Australia agli Stati Uniti, alla luce della situazione acuta umanitaria”81. L'UNHCR rimane gravemente preoccupata per il destino di tutti gli individui vulnerabili trattenuti in Papua Nuova Guinea e Nauru, e osserva che devono essere trovate soluzioni appropriate per tutti. Pertanto l'approvazione da parte dell'UNHCR di questi riferimenti nell'ambito dell'imperativo umanitario non altera gli obblighi dell'Australia in base al diritto internazionale, incluso il diritto di richiedere asilo indipendentemente dal modo di arrivo. L'Australia deve essere parte della soluzione per i rifugiati e i richiedenti asilo che hanno cercato la sua protezione, e in particolare quelli che hanno familiari nel Paese o bisogni speciali.

80 29 UNHCR, UNHCR to endorse Australia-United States relocations as "offshore processing" arrangements fail refugees, 13 November 2016

La politica attuale ha fallito nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo che hanno bisogno e meritano sicurezza e cure.

Amnesty International invece ha definito l'accordo come “un passo estremo per strappare la responsabilità del governo australiano”. Dopo aver osservato che gli Stati Uniti offriranno ai rifugiati una vera e propria possibilità di riavviare la loro vita in un luogo sicuro, Amnesty ha sostenuto che uno dei paesi più ricchi al mondo come l'Australia, dovrebbe guidare da esempio in un momento di livelli record di persone obbligate a cercare sicurezza in luoghi diversi dalla loro terra natale.

“Eppure il nostro governo non è in grado di svolgere un ruolo equo nel fornire rifugio a coloro che fuggono dal conflitto e dalla persecuzione e questo ha urgente bisogno di cambiare”, afferma il Dr. Graham To il coordinatore nazionale per i rifugiati di Amnesty International.

L'elaborazione offshore non è una soluzione sostenibile a lungo termine e l'Australia deve accettare la responsabilità dei rifugiati che cercano la sua protezione, specialmente quelli con connessioni familiari in Australia. Ha bisogno di creare percorsi alternativi alla sicurezza in modo che i rifugiati possano evitare di fare rischiosi viaggi e contribuire a creare una maggiore capacità di protezione all'interno della regione Pacifica.

Conclusioni

Nel corso della tesi è emerso come la questione della regolamentazione dell’immigrazione in Australia e, in particolare, la gestione dell’immigrazione irregolare, siano aspetti controversi alla luce del diritto internazionale e mutevoli nel tempo.

Ciò rende la trattazione della legislazione migratoria australiana un argomento molto delicato e complicato da affrontare.

Attraverso l’analisi degli sviluppi che hanno caratterizzato tale legislazione nel tempo, anche in relazione ai cambiamenti politici ed al quadro di riferimento internazionale, sono state esaminate le diverse misure di contrasto e gestione dell’immigrazione irregolare in Australia, anche come risposta alla variabile sensibilità della popolazione rispetto alla matrice anglosassone della società australiana. È inoltre stato messo in evidenza come le operazioni di polizia per il contrasto all’immigrazione siano state generalmente condotte lontano dai riflettori. Tale modus operandi, da una parte ha garantito al governo australiano di evitare un eccessivo costo politico in relazione a tali operazioni, ma dall’altra genera zone d’ombra nel trattamento dei richiedenti asilo e sulla violazione dei loro diritti fondamentali.

Le politiche di contrasto all’immigrazione irregolare in Australia si basano su scelte geografiche, che vedono particolarmente presi di mira i cittadini dei paesi asiatici limitrofi al continente australiano. In questo quadro di decisioni politiche, le frontiere sono sempre più intese non come non una semplice “linea”, bensì come un concetto di esclusione.

La politica d’asilo contemporanea australiana è fondata su strategie di prevenzione che tengono i richiedenti asilo sempre più a distanza dallo Stato, come ricordato dalla campagna di comunicazione promossa dal

Governo, “Stop the boats”, la quale arriva dritto al punto: coloro che arrivano via mare senza un visto valido non approderanno mai in Australia. L'Australia ha una serie di obblighi in relazione all’elaborazione delle domande dei richiedenti asilo e al trattamento dei rifugiati, derivanti da accordi internazionali, tra i quali viene in rilievo, in primis, la Convenzione di Ginevra del 1951.

Tuttavia, negli ultimi decenni, abbiamo visto come l'Australia stia eludendo questi doveri attraverso modifiche ad hoc alla legislazione nazionale e come stia erodendo il suo regime di protezione dei diritti dei rifugiati, soprattutto dopo gli emendamenti alla legge sull’immigrazione. Ciò pone i richiedenti asilo all'interno di un vuoto morale, una geografia definita da un'anomalia giuridica in cui essi sono soggetti all'autorità dello Stato, ma non hanno la capacità di accedere al sistema di protezione dello Stato stesso.

L'esternalizzazione della detenzione dell'immigrazione si basa sull'uso dell'ambiente geografico per sconvolgere la legge sui rifugiati, eludendo l'obbligo giuridico dello Stato ad esaminare le domande dei richiedenti asilo sulla terraferma e costruendo nuove “colonie” geografiche dove trattenere gli immigrati irregolari. Questi centri di detenzione offshore sono riconosciuti per le violazioni delle condizioni dei diritti umani che a loro interno sono perpetrate. In particolare, risulta che tali centri si caratterizzino per le cattive condizioni sanitarie e di vita, per i servizi sanitari scarsi e per le procedure inadeguate al fine di determinare lo status di rifugiato. L'Australia si sottrae altresì dal dovere di proteggere i richiedenti asilo in mare, impiegando metodi di interdizione, detenzione e rimpatrio che rendono il confine marittimo sempre più impermeabile a coloro che cercano asilo.

Nonostante gli Stati debbano attenersi ai principi dei diritti umani in tutte le aree geografiche e riguardo tutte le persone su cui hanno controllo, le frontiere geografiche in cui l'Australia opera attualmente rimangono prive

delle garanzie del diritto internazionale sui rifugiati. Le regole della società internazionale diventano "tigri di carta" di fronte ai diritti nazionali e ai governi regionali potenti.

Una soluzione efficace sarebbe quella di chiudere i centri di detenzione offshore di Nauru e Manus Island, concentrando le risorse sui programmi di trasformazione e reinsediamento sul territorio.

Purtroppo, questa è una prospettiva che mette in evidenza la difficoltà di equilibrare il diritto internazionale, la sovranità statale e la politica interna. Credo che l’Australia debba affrontare il problema dell’immigrazione evitando di non rispettare i trattati che ha ratificato, dato che i valori su cui si basa la Carta Costituzionale australiana sono all’insegna del rispetto della dignità e della libertà dell’individuo, della libertà di parola, dell’uguaglianza di fronte alla legge, della parità tra uomo e donna e della convivenza pacifica. Includono inoltre uno spirito egualitario che si ispira all’equità, al rispetto reciproco, alla tolleranza, alla compassione per le persone bisognose e alla ricerca del bene pubblico.

La soluzione al problema dovrebbe andare nella triplice direzione di offrire una effettiva possibilità di asilo a tutti coloro che hanno i requisiti per rientrare nel riconoscimento dello status di rifugiato, velocizzare i tempi dei controlli e dell’elaborazione delle domande, e garantire agli immigrati di condurre una vita dignitosa. Ciò perché il solo fatto di fuggire dal loro paese d’origine per affrontare un viaggio tutt’altro che sicuro, dovrebbe far meditare sulle motivazioni profonde che spingono tali persone a voler cercare un’opportunità di vita migliore in Australia. È comprensibile quindi come, una volta scoperto che non c’è possibilità di raggiungere il continente e al contrario, l’unica prospettiva è quella di rimanere in campi detentivi a cielo aperto per un tempo indefinito, gli immigrati attuino incisive manifestazioni di protesta.

Nel frattempo, l’approccio australiano all’immigrazione ha attirato inevitabili confronti con i problemi attuali che si verificano nel Mar Mediterraneo, e tale modello ha suscitato reazioni politiche differenti. Da un lato, c’è chi sostiene che nonostante le differenze geografiche, gli Stati membri dell’Unione Europea potrebbe emulare il modello australiano di controllo delle frontiere. L’ex Primo Ministro britannico, David Cameron, durante un summit europeo nel marzo dello scorso anno, ha pressato i leader europei per avere più navi internazionali di pattuglia, con l’intento di iniziare a far tornare indietro le imbarcazioni appena partite dalle coste libiche.

Lo stesso ex Primo Ministro australiano Abbott, ha affermato davanti al Parlamento Europeo che l’Europa avrebbe dovuto seguire l’esempio dell’Australia circa la politica immigratoria. Egli affermò: “il controllo efficace delle frontiere non è per le menti eccessivamente sensibili, ma è necessario per salvare vite umane e proteggere le nazioni”82.

Non mancano simpatizzanti di tale modello anche nel panorama politico italiano, ma fino ad oggi non ci sono state dichiarazioni ufficiali in tal senso.

Tuttavia, da un duplice punto di vista, pratico e giuridico, la soluzione australiana non può essere abbracciata dall’Europa.

Nella pratica, esistono differenze sostanziali tra i due contesti, che rendono i confronti estremamente difficili. In primis, il luogo di provenienza delle barche, dato che il flusso migratorio australiano arriva principalmente dall’Indonesia, che è considerato come paese di transito nel quale giungono i richiedenti asilo provenienti da luoghi vicini, come l’Iran e l’Afghanistan, alla volta del viaggio verso il continente.

82Paul Karp, ‘Tony Abbott says Europe is facing 'peaceful invasion' of asylum seekers’, 18 September 2016, www.theguardian.com

L'Indonesia non ha mai sostenuto le misure di ritorno delle imbarcazioni australiane, ma ha una Marina Militare efficace ed in grado di intercettare le barche trainate o ribaltate che si trovano in difficoltà nelle sue acque. Al contrario, coloro che lasciano la Libia sono principalmente persone che fuggono da un rischio immediato, dal momento che il paese è stato assediato dalla guerra civile per molti anni. Anche in tempi più pacifici, i migranti in Libia hanno sempre avuto pochi diritti e misere risorse economiche, ritenendo così il mare la loro unica via di fuga.

Anche per quanto riguarda la Guardia Costiera del paese, essa ha solo tre imbarcazioni operative lungo tutta la costa occidentale, dove si svolge la maggior parte dei viaggi di contrabbando, e non in grado di far fronte all’ingente flusso di migranti.

Paul Barrett, ex Segretario del Dipartimento di Difesa dell’Australia, ha dichiarato che una differenza immediata riguarda la sicurezza, poiché una volta che i barconi tornano in terra indonesiana, nessuno si trova in un immediato pericolo di morte, cosa che non è possibile affermare per quanto riguarda la Libia.

Anche da un punto di vista giuridico, gli Stati membri dell'Unione Europea devono affrontare una situazione diversa. Le misure per attuare una politica analoga a quella utilizzata dall'Australia potrebbero essere dichiarate illegali, ai sensi della Convenzione europea sui diritti dell'uomo. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha stabilito nel 2012 (caso Hirsi Jamaa e a. c. Italia, sentenza del 23.2.2012, ricorso n. 27765/09) che il ritorno da parte dell'Italia alla Libia dei migranti intercettati in mare, ha violato gli obblighi giuridici sanciti sia in accordi bilaterali tra Italia e Libia, sia in numerose Convenzioni internazionali (vedi art. 3 e 13 CEDU, e art.4 IV Protocollo aggiuntivo CEDU).

Anche i richiedenti asilo che sono stati presi nelle acque internazionali e messi a bordo di navi dell'Unione Europea, sono sotto la giurisdizione

dello Stato di bandiera, che ha obblighi in materia di diritti umani e non può pertanto restituirli in paesi in cui potrebbero affrontare gravi violazioni dei diritti umani.

In tutto il mondo occidentale, l'allontanamento della migrazione irregolare dalla nazione sta trasformando i limiti geografici degli Stati sovrani. È importante capire come i processi della mobilità stiano trasformando i confini e, in tal modo, cambiando le condizioni geografiche dei diritti e della protezione globale.

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