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Le Sorgenti di Petrolio

Nel documento Gerardo Massimi (pagine 57-64)

1. Il brigantaggio e la scienza. 2. La piccola Babilonia. 3. Sgorghi di petrolio. 4. Magazzini sotterranei. 5. La caverna petrolifera. 6. Le fatiche d’Ercole. 7. Il primo pozzo.

1. Il brigantaggio e la scienza. “Eccoci finalmente questa sera alla terza maraviglia, che doveva essere la seconda; anzi l’unica veramente di cui l’ultima volta intendevo parlarvi un po’ diffusamente, se le idee e le parole non s’intrecciassero come le ciliege nel paniere, sicché, giusta il proverbio lombardo, tirane una, ne vengon dieci.

“Appena ci fummo levati la mattina susseguente al nostro arrivo a Tocco, fedeli alla nostra missione, movemmo tutti insieme per alla volta della sorgente. Dico della sorgente, perché si parlava d’una soltanto, della sorgente del Comune, benché ce ne fosse un’altra, o forse parecchie. La sorgente del Comune sgorga dal lembo estremo della piattaforma, dov’essa si spicca dalla montagna, che si dirama dalla Maiella, ma porta il nome speciale di Monte d’Oro. Non so perché si chiami così: merita piuttosto il nome di Monte dell’Orso, che altri ci suggeriva. Alla sorgente si va per diverse vie. Io preferisco condurvi per quella del piccolo Arollo. Nell’atto di metterci in cammino, mi fece specie il vedere come quelli che dovevano servirci di guida erano muniti d’un bravo fucile ad armacollo. – Che? c’è forse paura di qualche cosa? – domandai. – No, – signore, rispondeva quello che mi era più dappresso, – gli è così.... – Ma non vi sono briganti nei dintorni? – insistevo io, cui non garbava punto di trovarmi muso a muso con quella gente, che sanno per bene impostare un pezzetto delle vostre orecchie all’indirizzo dei vostri congiunti, per averne un buon riscatto”. “Come? fanno codesto i briganti?”interruppe Marietta.

“Fanno, o almeno facevano, questo e peggio. Ah, miei cari! è una cosa orribile il brigantaggio. Tra gli uomini della scienza, benché dediti a specifici studi, ci furono e ci sono uomini coraggiosissimi. Questi hanno sfidato e sfideranno la fame, la sete, le tempeste, i geli, le belve feroci. Noi li vediamo intrepidi in mezzo ai furori dell’Oceano, ricercare, per vaghezza d’apprendere, gli scogli ove vanno più

facilmente a rompere i vascelli: noi li vediamo spingersi nelle regioni dei poli, ove le montagne di ghiaccio intrecciano una danza infernale e minacciano di schiacciare il bastimento come un fuscellino; ove per anni ed anni sono in faccia alla morte, che sta loro innanzi coi due più terribili fra i suoi strumenti di supplizio, la fame e il freddo: li vediamo perigliarsi sulle più inaccessibili vette delle Alpi, pendere da uno spigolo di ghiaccio che strapiomba sull’abisso: li vediamo attraversare i deserti africani seminati di scheletri; cacciarsi nelle vergini foreste dell’America popolate di tigri. Tutto sfidano quegli apostoli del vero; ma il pugnale del brigante, oso dire, non lo sfida nessuno. Perché nel cuore d’Europa, nella terra della civiltà, da cui gli uomini della scienza s’irradiano fino alle isole più remote dell’Oceano, fino alle vette supreme delle Ande e dell’Imalaia, e fin quasi a porre il dito sui due punti, finora vietati, dei poli, ove s’impernia il globo; perché, dico, nel cuore d’ Europa, sotto i cieli più belli, vi sono regioni più ignote alla scienza, che nol siano la Nuova Zelanda, e 1’isola di Melville?.. “51.

“E quali sono codeste provincie?”domandarono i più intelligenti dell’uditorio. “Cercatele nell’Italia meridionale e nella Spagna!... Ma via, lasciamo.... Vi dicevo dunque come io domandassi alla nostra scorta se vi fossero briganti nei dintorni. Dovete sapere che la nostra escursione era considerata come un affare d’utilità pubblica. Quella gente si sarebbe dunque guardata bene dal fare o dal dire cosa alcuna che potesse stornarci da quell’impresa. Non negarono tuttavia che qualche rimasuglio di briganti non si lasciasse vedere fra i solitari dirupi della Maiella. – Ma, – dicevano, – gente dispersa, che si tiene rintanata come le belve feroci, per non cadere nelle mani della giustizia. Del resto, – soggiungevano, – qui in Tocco i briganti non ci capitarono mai, e sarebbero i malcapitati se ci venissero. – Oh se io avessi potuto sapere ciò che accadde alcuni mesi di poi, quando i briganti ci capitarono davvero, e macellarono, forse per private vendette, due dei signori che ci avevano fatto la migliore accoglienza, e condussero prigioniero l’ingegnere che dirigeva le operazioni per la ricerca dei petroli, e che per buona sorte riuscì a scappare; se avessi saputo tutto questo, non mi sarei così presto acquetato alle assicurazioni di quei bravi Toccolani. Ma allora ci credetti in buona fede, ne badai ai briganti più di quello che ci badi ora.

2. La piccola Babilonia. “Lasciato il paese alle spalle, e attraversato l’altipiano alla volta della Maiella, si discende ad un torrentello, nutrito dagli scolaticci e dalle poche sorgenti del monte d’Oro. Questo torrentello è il piccolo

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Nuova Zelanda (New Zeland, in ingl.), gruppo d’ isole di cui due così vaste che superano in estensione, prese insieme la penisola italica e la Sicilia. E’ al Sud-Est dell’Australia, quasi esattamente agli antipodi dell’Italia. - Melville, isola considerevole al Nord dell’Australia. Lo stesso nome fu dato dall’inglese Parry a una vasta isola da lui scoperta nell’Oceano Artico a 75 gradi di latitudine, sotto lo stesso meridiano che taglia per mezzo la penisola di California nell’America occidentale. (Nota originale dello Stoppani).

Arollo, confluente all’altro che ho già nominato, il quale si chiama grande Arollo. Fra le sorgenti che il piccolo Arollo riceve, si novera la sorgente petrolifera, verso la quale sono diretti i nostri passi. Tenendoci nel letto del torrentello, lo andavamo rimontando lentamente, allo scopo di studiare la struttura geologica del suolo, che lo stesso torrentello metteva a nudo, avendo col lavorio delle acque profondamente intagliato il terreno. Così si doveva fare per raccogliore i dati, con cui fissare i punti ove avessero a praticarsi i trafori con maggior probabilità di buon successo. Rimontando dunque il piccolo Arollo, ed esplorando, fin dove si poteva, il paese all’ingiro, e’ mi pareva di trovarmi in una piccola Babilonia. Strati di travertino, alternati a strati di bitume, palesavano antichi sgorghi di petrolio, avvenuti forse mille anni innanzi. Indizi di roventi sgorghi c’erano dappertutto lungo il torrente: le erbe e gli sterpi sullo due sponde erano qua e la impeciati: e una specie di viscida pece occupava talora dei piccoli spazi, principalmente nei seni che il torrente doveva aver invasi durante le piene.

Alla fine arriviamo precisamente dove i dirupi del monte d’Oro si spiccano nudi, quasi verticalmente, dal piano, e, lasciato il letto del piccolo Arollo, a pochi passi sulla sua sinistra, ci si mostra un borratello, che è la celebre sorgente del Comune”.

“Dunque una sorgente di petrolio?”credette d’indovinare Giannina.

“Adagio: finora non trattasi che d’un ruscello d’acqua, ma d’acqua solforosa, che puzza orribilmente, e sbuca da una cavernuccia, di poche spanne di luce; non altro che un fesso del monte d’Oro. L’acqua, lasciando il suo speco, prima di buttarsi liberamente nel piccolo Arollo, è costretta a radunarsi in una vasca, dalla quale, attraversando un angusto canale, passa in una seconda; quindi si dirama per riempire ad un tempo una terza e una quarta vasca, da cui uscendo poi, tutta quanta riunita di nuovo in un solo borratello, arriva in pochi salti all’Arollo. Quanto a quelle vasche, disposte quasi a gradinata sul pendio, non avete a immaginarvi nulla di ben architettato. Le sono quattro pozzanghere di cui la più vasta può vantare un giro di 12 metri, o giù di lì: e si ottennero, anziché scavando il suolo, col cingere per ciascuna un certo spazio con muricciuolo a secco, i cui massi sono intrecciati di vimini e sterpi, in guisa da formare piuttosto una graticciata che un muro. E vasche, e muricciuoli, e pendio, tutto vi è stranamente e naturalmente ingrommato di pece. A dar l’ultima pennellata a codesto babelico abbozzo, manca un tugurio, una stamberguccia a terreno, ove si custodiscono quattro avelli di pietra, da riporvi il petrolio”.

3. Sgorghi di petrolio. “Ma codesto petrolio d’onde viene, se non viene dalla sorgente?”volle sapere Giovannino.

“Viene sì dalla sorgente, ma.... aspetta un pochino. Hai da sapere innanzi tutto che nelle regioni meridionali le lunghe siccità sono a volta a volta interrotte da piogge brevi,si, ma veramente diluviane. Queste piogge hanno luogo specialmente nei primi mesi d’inverno. Al diluviare dell’acqua, quella sorgente si gonfia talora

repentinamente in guisa straordinaria, e allora si può ammirare il curioso spettacolo dell’emissione del petrolio. Talvolta l’improvviso squagliarsi delle nevi sui vasti gioghi della Maiella produce lo stesso effetto. L’eruzione del petrolio mi fu descritta da quei paesani con quel linguaggio poetico, più del gesto che della parola, che io non saprei riprodurre. Quando la sorgente comincia a gonfiarsi, si vedono dapprima guizzare in seno all’acqua limpidissima come dei neri serpenti. Sono filacciche di bitume víscido, quasi sbrendoli di una massa viscosa, strappati dalla violenza della corrente, che li tira e ravvolge in mille tortuose spirali. La furia dei serpenti ingrossa; e s’inseguono, si pigiano, e spinti nella prima vasca, lì si urtano, s’intrecciano, s’impigliano, si raggrumano a vicenda, formando delle masse nere filamentose, che galleggiano sull’acqua. In breve la copia del petrolio è tanta, che l’acqua scompare per disotto, e la sorgente piglia l’aspetto d’un fiume di liquida pece, cui la foga dello onde tende a travolgere nell’Arollo: e ci riesce purtroppo sovente, non ostante quei meschini ripari e quegli angusti recipienti destinati ad arrestar quel vischio galleggiante. È un momento di crisi pei poveri Toccolani, a cui è affidata la guardia della sorgente. Talora lo scataroscio della pioggia avviene di notte: bisogna correre, e in mezzo ai turbini d’acqua che scroscia dal cielo ed erompe dalla terra, attendere alla difficile manovra. E non è piccola impresa questa poi Meridionali, nei quali parmi d’aver notato una gran ripugnanza per l’acqua, che non è propria di noi Settentrionali, avvezzi a pigliarla sulle spalle forse per la metà dell’anno, anche nei mesi in cui si bramerebbe l’asciutto. Ho detto la manovra essere difficile: e tale è veramente, eseguita con mezzi antidiluviani. L’acqua deve, per gli angusti canali, sfuggir di sotto al petrolio, il quale dovrebbe invece restare a galla nelle vasche. Ma i muricciuoli minacciano di sfiancarsi: le vasche rigurgitano: il petrolio trabocca. Poi un petrolio così denso, come quello di Tocco, è appena se galleggi: e quando ha formato di mille grumi una sola massa glutinosa e pesante, si adagia sul fondo e vien tratto a spintoni dall’acqua, per le aperture di sotto, giù nell’Arollo e via col esso. In fine la è una vera tribolazione. Di petrolio si schiuma quanto si può, e se ne riempiono i poco capaci avelli: il resto se ne vada per quella via che ha seguito liberamente per tanti secoli”.

“Dove se ne va?”fece Chiarina.

“Oh bella!... dalla sorgente nel piccolo Arollo; dal piccolo Arollo nel grande; da questo nel Pescara e dal Pescara giù giù fino al mare. Un fatto da tutti attestato è questo, che il petrolio era talvolta versato in tanta copia nel Pescara, che i pesci ne morivano. Qualche anno avvenne che la pesca delle anguille, di cui il Pescara è assai fecondo, andasse intieramente fallita. Dovete sapere che le anguille fanno come gli uccelli di passo. Vivono nelle acque dolci, spingendosi su pei fiumi, fino a trovare sulle maggiori altezze i laghetti alpini, quasi ai lembi delle nevi perpetue. Ma poi, venuta la stagione di deporre le uova discendono al mare. A suo tempo veggonsi nelle acque limpide dei fiumi quasi delle nubi, che rimontano la corrente. Sono le anguille neonate, sottili come un fil di seta, che ascendono a migliaia, a milioni, e vanno a ingrossarsi nelle acque dolci. La pesca delle anguille si fa naturalmente

come la caccia degli uccelli, quando sono di passo. Guai pertanto se quella pesca coincide con uno sgorgo di petrolio”.

4. Magazzini sotterranei. Qui naturalmente l’uditorio meravigliato volle sapere come mai avvenissero quegli sgorghi.

“La cosa è semplicissima”, ripresi. “Vi ho detto che il petrolio, distillato nel gran laboratorio della terra, si raduna nelle cavità sotterranee. È indubitato che in seno alle montagne di Tocco vi sono vasti crepacci, spaziose caverne, sotterranei canali, dove s’infogna il petrolio, e dove in pari tempo filtrano le acque che piovono dal cielo, o provengono dalle nevi che sgelano sulle alture. Quando quei sotterranei ricevono una tal quantità d’acqua che soverchi la loro capacità, essa rigurgita per le aperture che mettono al di fuori, e traboccando con violenza, trae seco il petrolio, che vi galleggia, a quel modo che l’acqua del lesso, traboccando dalla pentola, trae seco l’unto che vi monta a galla in forma di mille occhi. Volete una prova che è così? Vi racconterò una storiella curiosa. Se vi ricordate, oltre la sorgente del Comune, ve ne hanno altre.... un’altra certamente, che era detta la sorgente degli Anconitani perché certi signori d’Ancona ne avevano acquistato il possesso. Quella sorgente era soggetta anch’essa a sgorghi di petrolio, quanto quella del Comune e anche più, e scaturiva dalla sinistra, o quasi nel letto del grande Arollo.

5. La caverna petrolifera. “Tra le maraviglie di cui i buoni paesani di Tocco erano soliti ad intrattenere i loro ospiti, narravano pur questa: che, alcuni anni or sono, mentre il tempo faceva assai grosso, il grande Arollo era d’improvviso scomparso, e il suo letto veniva immediatamente occupato da una quantità veramente enorme di liquido bitume. Che le acque dell’Arollo si fossero realmente convertite in bitume?... Alcuni pastori ricordavano poi come, essendo bambini, si divertivano a lanciar sassi entro una smisurata cavità che appariva a certa distanza a monte della sorgente petrolifera. Ma quella tana era scomparsa, né i narratori sapevano indicarne per l’appunto il sito. Ammessa la verità dei racconti, ne veniva naturale la conclusione che l’Arollo si fosse gettato un giorno nella caverna, come avvenne talora di certi fiumi, e come avviene pur sempre di certi altri. Che le acque spariscano, come fecero allora, per due giorni, e poi ricornpariscano; che una caverna in riva al fiume rimanga aperta un tempo, e poi venga ostruita: tutto ciò non presenta nulla di meraviglioso, quando si rifletta all’indole torrenziale dell’Arollo, chiuso in un letto angusto, soggetto a piene improvvise, che può quindi ingombrare e sgombrare, secondo il caso, e apportare non lievi modificazioni al suolo sottomesso al suo governo. Piuttosto, in che modo collegare la scomparsa del fiume entro quella caverna collo straordinario efflusso del petrolio? I signori Anconitani non istettero a pensar troppo, a quanto pare; ma conclusero che doveva esistere una comunicazione fra quella caverna e la sorgente petrolifera, talché, rinviando l’Arollo entro quelle tane, si sarebbe ottenuto l’efflusso del petrolio. Fruga, e rifruga, si scopre la caverna fatale a circa un mezzo chilometro a monte della sorgente e ad una distanza non

maggiore di 20 metri dal letto attuale del torrente. Non altro rimaneva che ripetere coll’arte l’esperimento già fatto con tanto esito dalla natura.

“Infatti l’Arollo, allora assai povero d’acque, fu deviato, e costretto a trovare un’altra volta la via sotterranea. Caspita! dove se n’è ito là dentro costui, che più non ritorna? Passarono, infatti da cinque a sei ore, che furono assai lunghe, senza che giungessero nuove del sotterraneo pellegrino. Quand’ecco si fa sentire presso la sorgente petrolifera, e a gran distanza all’ingiro, un odore puzzolentissimo. Le acque della sorgente si gonfiano, accrescendosi d’un volume pari a quello delle acque versate nella caverna. L’Arollo ha dunque trovato la sorgente degli Anconitani, e torna con essa a rivedere il sole. Ma quello che è meglio, ha incontrato per via il petrolio, e se lo trascina seco prigioniero. Infatti le acque s’intorbidano, ed eccoti il petrolio uscire a furia. Io devo al Signor Carlo Ribighini tutti i particolari relativi a questo singolare fenomeno. Egli assistette personalmente, nei primi d’ ottobre 1865, ad un secondo esperimento. Alle sei del mattino fu introdotta l’acqua dell’Arollo nella caverna; alle 11 e 1/2 ebbe luogo la puzzolentissima emanazione; a mezzogiorno l’acqua della sorgente, schifosamente intorbidata e pregna d’argilla cerulea, si gonfiava, e con essa usciva il bitume, gradatamente aumentando. Alle due pomeridiane veniva sviata l’acqua dalla caverna, e verso le 4 e 1/2, cessato l’efflusso del petrolio, tutto tornava nello stato normale. La quantità del petrolio raccolto in quelle quattr’ore circa, risultava da 1000 a 1500 chilogrammi; era liquido, galleggiante, e, come assicura il Signor Ribighini, acconcio perfettamente alla distillazione. Era naturale che l’esperimento si ripetosse, e lo si ripeté infatti più volte, sicché in quattro giorni di continui esperimenti si ottenne la quantità certo assai ragguardevole di 70 o 80 mila chilogrammi di petrolio ”.

6. Le fatiche d’Ercole. “Ma non capisco bene” disse Giannina, “come codesto Arollo potesse trovare il potrolio, trarlo seco... “

“Io per me invece non ci trovo, come ho detto, nulla di strano. Si tratta infine d’una buona risciacquata a quei sotterranei, invischiati e sparsi di pozzanghere bituminose. L’Arollo in ultima analisi ha fatto ciò che fanno in quel luogo stesso le sorgenti, cioè le acque che circolano sotterra: riguardo a quei sigg. Anconitani, Ercole avrebbe potuto intentar loro un processo perché non gli hanno pagato quello a cui gli dà diritto il suo brevetto d’invenzione: o invero non hanno fatto altro che mettere in pratica quello stesso espediente del celebre Semidio per ripulire le stalle di Augía, risparmiando non so quante migliaia di forconi o di scope”.

“Chi è cotesta Augía?”interruppe Giovannino, mentre gli altri dicevano lo stesso coi loro occhi incantati.

“Bah ! non mi ricordavo che oggimai la mitologia è bandita dalle scuole.... Basta.... Avrete almeno inteso parlare in genere delle dodici fatiche di Ercole, cioè delle dodici maggiori imprese di questo Sansone della mitologia. Ora, l’ottava fra le dodici è questa appunto a cui alludevo. Augía, non donna ma uomo, e di più figlio

del sole, e re dell’Elide52, possedeva una stalla.... una bagattella, vedete.... capace di tremila buoi: e questa stalla, immaginatevi, nessuno l’aveva spazzata da tre secoli in poi. Ce n’era del concio: ce n’era tanto che il fetore ammorbava il paese, e vi aveva da ultimo sviluppata la peste. Augía che pensa ? manda a chiamare Ereole, il quale, come aveva diviso una montagna e d’un continente fattine due, sfondandovi quello che oggi si chiama stretto di Gibilterra **53, poteva bene spazzare una stalla per quanto vasta si fosse. Ed Ercole, il Semidio, divenuto un tantino mozzo di stalla, che fa? precisamente quello che si è fatto a Tocco. Piglia un fiume, anzi due, come asseriscono alcuni bene informati, e li avvia dentro alla stalla, la quale non è a dire se rimanesse in breve libera da quella sporcizia”.

7. Il primo pozzo. “Quelli l’hanno trovato il verso”, scappò a dire una delle mamme. “Ora seguiteranno a imbottarvi l’acqua, e a spillarne il petrolio”.

“Eh! bisognerebbe che l’acqua, passando per quel buco, diventasse petrolio; se no, sarebbe come versar acqua nella botte, per cavarne il vino. A furia di cavarne acqua e vino, finiranno per spillare dell’acqua bella e buona. Almeno io credo così, perché non penso che il petrolio si riproduca poi tanto rapidamente, ma che invece quel viscidume, adunato in tanta copia entro sotterranei, sia un prodotto accumulato lentamente dai secoli. Se l’industria vuol tentare qualche cosa di serio, non si contenti dello spontaneo prodotto delle sorgenti e molto meno di quello che si poté ottenere con un artificio cosí fuori dell’ordinario. Ricorra invece ai pozzi, e vada a snidare il petrolio dai suoi mille ricettacoli, come si fa in America”.

Nel documento Gerardo Massimi (pagine 57-64)

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