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Con l’adozione della Decisione Quadro 2002/465/GAI, la cooperazione giudiziaria penale si è arricchita di un nuovo strumento, che opera specificamente a livello di coordinamento investigativo sovranazionale, le squadre investigative comuni.

Esse realizzano una sorta di integrazione operativa tra autorità giudiziarie ed autorità di polizia appartenenti a diversi ordinamenti nazionali e consentono lo scambio diretto di informazioni e l’acquisizione di prove non ripetibili nel territorio di un altro Stato membro, senza la necessità di richiesta rogatoriale.

Per questa ragione costituiscono uno dei più avanzati strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale - il primo, in ordine di tempo, introdotto nell’ordinamento italiano in via alternativa rispetto alla rogatoria - potenzialmente idoneo a realizzare un deciso salto di qualità nei meccanismi di collaborazione sovranazionale: l’attività di indagine viene svolta dalle autorità nazionali, di polizia e/o giudiziarie, che compongono la squadra e che operano, al suo interno, congiuntamente a quelle di altri Stati membri, in un ambito previamente concordato nell’atto costitutivo della squadra stessa (ed eventualmente implementato nel successivo programma operativo di azione), a prescindere da una formale richiesta alle autorità estere, perché non necessaria. In sostanza, le autorità nazionali, all’interno della squadra, raccolgono direttamente la prova ed i mezzi di prova all’estero, analogamente a quanto farebbero in una procedura domestica, ma secondo le regole del diritto straniero, agendo sul territorio straniero con i medesimi poteri riconosciuti alle autorità nazionali.

Le squadre investigative comuni nascono da una nuova visione delle indagini che si svolgono in ambiti nazionali diversi, aventi ad oggetto crimini di dimensioni transnazionali,

65 CAIANIELLO M., ibidem, pag. 2209.

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fondata su un approccio non atomistico, ma coordinato, e che considera il territorio dell’Unione come uno spazio comune. Il campo di applicazione tipico, ad esse congeniale, è quello delle indagini parallele che si svolgono in due o più Stati membri. Esse presuppongono un progetto condiviso, ossia l’elaborazione di una strategia investigativa sulla base di accordi che ne definiscono gli obiettivi e le regole.

Si tratta di uno strumento molto duttile e flessibile, che instaura innovative modalità di consultazione tra le autorità nazionali coinvolte, deformalizzate e snelle, anche avvalendosi, all’occorrenza, dell’ausilio di soggetti cosiddetti ‘facilitatori’, come Eurojust ed Europol.

Esso offre la possibilità di definire accordi diversi da caso a caso, che – ferma l’applicazione del diritto nazionale dello Stato nel quale la squadra opera - prevedano specifiche modalità procedurali di esecuzione, in relazione al tipo di atto da compiere, che ne assicurino la conformità al diritto interno anche degli altri Stati coinvolti, ove i risultati investigativi sono destinati ad essere utilizzati. Consente perciò di risolvere preventivamente problemi di legittimità nel compimento degli atti, derivanti dalla diversità delle discipline procedurali nazionali.

Esso era già noto al diritto internazionale ed anche al diritto europeo.

In ambito internazionale, è previsto dall’art. 20 del Secondo protocollo addizionale alla Convenzione di Strasburgo del 1959, adottato in data 8 novembre 2001, nonché, tra gli altri accordi internazionali, tra i quali la Convenzione ONU del 15 dicembre 2000 sul crimine organizzato, oltre che in alcuni accordi bilaterali (tra i quali, quelli fra Stati Uniti e Unione europea, tra Italia e Svizzera e Italia e Albania).

Nell’Unione europea è stato introdotto dall’art. 13 della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale stipulata a Bruxelles il 29 maggio 2000.

Poiché la Convenzione non ha trovato attuazione in ambito nazionale con la rapidità auspicata, al fine di accelerarne l’introduzione negli ordinamenti nazionali degli stati membri il Consiglio europeo ha adottato la Decisione quadro 2002/465/GAI, nella quale ha trasposto la disciplina prevista all’art. 13 della Convenzione (stabilendo il termine del 1°

gennaio 2003 per l’attuazione).

L’Italia, come si è anticipato nel primo capitolo, l’ha attuata per ultima, col d. lgsl. n.

34 del 15 febbraio 2016, emanato in forza della legge delega europea per il 2014 (artt. 18-21 l. 9 luglio 2015, n. 114). Negli intenti del legislatore europeo, la Decisione quadro 2002/465/GAI avrebbe dovuto perdere di efficacia con la ratifica della Convenzione di

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Bruxelles; siccome quest’ultima è avvenuta addirittura dopo, il d.lg. n. 52 del 5 aprile 2017 («Norme di attuazione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000») ha previsto un rinvio integrale al d.lgsl. n. 34/2016 per quanto attiene alla disciplina delle squadre investigative comuni (art. 18).

In generale, il decreto n. 34 del 2016 ha dettato una disciplina di maggiore dettaglio rispetto alla decisione quadro.

Le squadre investigative comuni possono essere costituite per reati in materia di terrorismo e di associazione mafiosa (previsti dagli artt. 51, commi 3-bis, 3-quater e 3 quinquies, e 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.) e per qualsiasi reato punito con la reclusione superiore a cinque anni o che comunque richiede «indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati membri» (art. 2, commi 1 e 2) oppure «che esigono un’azione coordinata e concertata con quelle condotte all’estero» (arg. ex art. 3, comma 1, e art. 1, comma 2).

Per le procedure attive, la richiesta deve essere inoltrata dal procuratore della Repubblica direttamente all’autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri con i quali si intende istituirla (art. 2, comma 4). Analogamente, le procedure passive vanno trasmesse al procuratore della Repubblica titolare delle indagini da coordinare o a quella del luogo ove gli atti devono essere compiuti (art. 3, comma 1). Vige, dunque, in entrambi i casi, il principio della trasmissione diretta tra autorità giudiziarie.

Nessuna comunicazione è dovuta al Ministro della Giustizia, salvo il caso in cui le autorità italiane rifiutino una richiesta passiva (art. 3, comma 4). L’unico motivo di rifiuto codificato concerne il caso in cui la richiesta di costituzione preveda «il compimento di atti espressamente vietati dalla legge o contrari ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico» (art 3, comma 4). Ove non si configuri tale situazione, qualunque atto investigativo è consentito.

In caso di indagini per reati di terrorismo o di mafia, il procuratore antimafia ed antiterrorismo deve, invece, essere informato, ai fini del coordinamento investigativo.

L’istituzione della squadra avviene mediante la sottoscrizione di un atto costitutivo, che ne indica i componenti, il direttore, l’oggetto e le finalità, nonché la durata (art. 4, commi 1 e 2).

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Componenti sono i membri nazionali e quelli distaccati, ossia autorità di polizia e/o pubblici ministeri appartenenti, rispettivamente, allo Stato membro che istituisce la squadra ovvero ad altri Stati membri partecipanti.

A seconda delle necessità investigative, sia l’oggetto e la finalità d’indagine, sia i componenti della squadra possono essere modificati (art. 4, comma 4).

Per l’assunzione degli atti si applica la lex loci dello Stato ove l’atto deve essere eseguito (art. 6, comma 1), ma i membri distaccati possono chiedere, e concordare, l’applicazione di specifiche regole procedurali che consentano di acquisire il risultato investigativo conformemente alla propria legge nazionale, in modo da poterlo utilizzare in ambito domestico.

All’assunzione degli atti partecipano i membri distaccati, i quali «assumono, anche agli effetti della legge penale, la qualifica di pubblico ufficiale e svolgono le funzioni di polizia giudiziaria nel compimento delle attività di indagine ad essi assegnate», salvo che «Il pubblico ministero, con provvedimento motivato» disponga che essi non vi prendano parte (art. 5). La possibilità di partecipazione diretta del pubblico ministero al compimento deli atti investigativa consente, nell’ordinamento italiano, di renderli pienamente utilizzabile nel procedimenti nazionali.

In definitiva, una volta che la squadra è costituita, i membri:

- possono scambiare, tra loro, informazioni ed evidenze probatorie, senza necessità di ricorrere a richieste formali,

- richiedere qualunque tipo di misura investigativa, purché previamente concordata all’interno della squadra, nell’atto costitutivo o nel piano d’azione operativo ad esso eventualmente allegato, secondo modalità esecutive anch’esse concordate e modificabili nel corso dell’attività,

- presenziare a perquisizioni domiciliari ed audizioni in tutti gli Stati coinvolti, anche se appartenenti ad altro Stato membro,

- coordinare le diverse iniziative necessarie al procedimento investigativo.