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Legge morale e libertà di volere

Nel documento La norma tra diritto e pedagogia (pagine 33-36)

CAPITOLO I – Norma e formazione

1.3. La formatività delle norme morali

1.3.1. Legge morale e libertà di volere

A questo punto è necessario affrontare la questione riguardante il rapporto tra la legge morale e la libertà del volere: chi negando la norma, chi negando la libertà, chi confondendo i problemi. Dall’intellettualismo etico del mondo classico all’etica della situazione dei nostri giorni, potremmo dire che l’uomo non ha fatto altro che cercare di dar volto e significato alle sue azioni. “La necessità della legge morale e libertà del volere, sono condizioni essenziali della moralità, e il negarlo renderebbe vano e insignificante lo stesso problema morale”79.

Agire moralmente è quindi aderire praticamente e liberamente a ciò che alla ragione si presenta come degno di essere attuato, in quanto autentico valore dell’uomo.

La morale, infatti, è il risultato di due fondamentali elementi, uno oggettivo, la norma, l’altro soggettivo, la libertà dell’atto umano. Elementi questi che impegnano la ragione e la volontà, funzioni della personalità umana che necessitano di essere sviluppate ed educate convenientemente, in direzione delle finalità proprie dell’uomo e in continuità della sua natura. Di conseguenza agire moralmente è quindi aderire praticamente e liberamente a ciò che alla ragione si presenta come degno di essere attuato, in quanto autentico valore dell’uomo, valore intrinsecamente e universalmente valido, anche se non uniformemente vissuto e realizzato.

78 J.J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, Roma,

Editori Riuniti, 2002, p.120.

Data la complessità della formazione morale per le implicanze delle disposizioni più intime e proprie del soggetto, da una parte, e per le esigenze dei valori, dall’altra, è inevitabile fare un riferimento al rapporto autorità-libertà, domandandosi come l’educando, immaturo, possa giungere ad operare una sintesi fra le due (disposizioni proprie ed esigenze dei valori), ossia come egli possa acquisire la capacità di una costante scelta preferenziale per il bene.

Si avverte, infatti, che fra il detentore dell’autorità e colui che deve conquistare la libertà, l’autonomia, vi è di mezzo la coscienza del soggetto che deve essere risvegliata e resa operante nel suo ruolo di essere, dal punto di vista del soggetto, la sorgente fondamentale del bene. E’, perciò, la condizione di una maturità in cui si trova il soggetto, che richiede l’intervento del più anziano, in qualità di esperto, il quale sappia offrire al soggetto immaturo quegli stimoli di cui ha bisogno per procedere, mediante atti di vita propri, verso la maturazione della propria personalità, anche nel settore che coinvolge gli aspetti di moralità. Ma anche in questo caso sorgono numerosi problemi da prendere in considerazione, non ultimo quello relativo all’abilità, al “saper fare” dell’educatore - saper commisurare le sue prestazioni alle possibilità e capacità dell’educando.

Ebbene, pur riconoscendo l’eticità dell’autorità nel fatto educativo morale, non è giustificato ogni suo esercizio, ma soltanto quello che risponde alle esigenze educative. Se ciò non fosse si cadrebbe nell’autorità autoritaria, come la definirebbe il Laberthonnière, secondo il quale, infatti, “c’è l’autorità che usa del potere e dell’abilità di cui dispone, per subordinare gli altri ai suoi scopi particolari, e cerca unicamente di impadronirsi di essi per sfruttarli; ecco l’autorità che asservisce”80 e si riferisce appunto all’autorità autoritaria; d’altro canto “c’è l’autorità che si serve del suo potere e dell’abilità di cui disporre per subordinare in certo senso se stessa a quelli che le sono sottoposti, e legando la sua sorte alla loro, persegue con essi un fine comune: ecco l’autorità liberatrice”81.

Dire, dunque, autorità educativa equivale a dire ricorso all’autorità in funzione di una libertà potenziale, protezione del soggetto immaturo e guida verso

80 L. Laberthonnière, Teoria dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1954, p. 34 81 Ivi

traguardi di vita migliore. Tutti i periodi della vita del minore-educando e tutte le sue modalità di percezione della realtà devono essere presi in seria attenzione, anche perché proprio su queste si fonda quel personale modo di atteggiarsi nei riguardi della realtà circostante, che orienta la coscienza del minore-educando. “Pensare ad un neutralismo etico - scrive Luigi Secco - è lo stesso che pensare a neutralismo educativo. Toccherà se mai all’educando, una volta giunto alla vita adulta, avere tanta maturità da sentirsi pienamente libero rispetto alle soluzioni che gli servirono di orientamento nell’epoca della sua formazione. A questo deve mirare la vera educazione della coscienza: permettere la crescita di soggetti capaci di scegliere da soli, liberi di fare scelte diverse dal consueto, dall’abitudinario, le quali testimoniano la libertà creatrice di ciascuno”82.

A questo punto del discorso potrebbe sostanziarsi l’idea secondo cui la norma vincola moralmente chiunque desidera che essa valga per tutti, come Kant esprime nella sua legge fondamentale della ragion pura pratica: “Agisci soltanto secondo quella massima per mezzo della quale puoi insieme volere che essa divenga una legge universale”83. La morale, dunque, si fonda sulla libera ma ponderata scelta individuale, rendendo perciò l’uomo capace, per amore del bene, di attuare la legge morale, anche contro e al di sopra dei beni materiali, confutando così l’etica pessimistica di Hobbes. Un qualsiasi fine, per quanto nobile e spirituale, contaminerebbe l’atto morale e lo ridurrebbe rispondente ad un “imperativo ipotetico” e non più ad un “imperativo categorico”, che, solo, è l’imperativo della moralità. Solo l’imperativo categorico ha il valore di una legge pratica, mentre tutti gli altri imperativi, possono invero, essere chiamati “principi” e non leggi della volontà. “Infine, c’è un imperativo che senza fondarsi sulla condizione di un qualsiasi altro scopo da raggiungersi con un certo comportamento, comanda immediatamente questo comportamento. Questo imperativo è categorico. Esso non riguarda la materia dell’azione e ciò che questa debba conseguire, ma la forma e il principio di cui l’azione stessa consegue, e il

82 L. Secco, La formazione morale, in G. Flores D’Arcais (a cura di), Questioni di Pedagogia,

Brescia, La Scuola, 1972, p. 210.

Bene per essenza di essa consiste nell’intenzione, qualsiasi ne sia il risultato. Questo imperativo può chiamarsi imperativo della moralità”84.

Pertanto, per formazione morale si intende quella capacità, che si sviluppa gradualmente, di riflettere su ciò che è bene e ciò che è male, facendo appello a tutte le risorse emotive e intellettuali della mente umana.

La morale non si acquisisce solo grazie alla memorizzazione di norme e di regole, per passiva condiscendenza o a forza di discussioni scolastiche astratte; svilupparsi moralmente significa imparare a stare con gli altri, adottare un giusto modo di comportarsi. Per far ciò l’individuo continua a cercare suggerimenti nei comportamenti altrui, nei precetti morali nonché nelle norme di riferimento, ma il problema dello sviluppo morale può essere risolto soltanto se si procede nella direzione di una formazione morale che passa da una forma di obbedienza ad una di cooperazione e consapevolezza, compiendo delle scelte, affrontando la gente, esprimendo opinioni, desideri e valori.

Nel documento La norma tra diritto e pedagogia (pagine 33-36)

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