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L A LEGGENDA DI C ARLO M AGNO A P ELLIZZANO *

Nel documento Studi di storia trentina (pagine 155-169)

In queste pagine mi propongo di ricapitolare, esclusivamente in riferimento a Pellizzano e alla sua chiesa – ove sono state conser- vate in passato, e ancor oggi in parte si conservano, testimonianze iconografiche e documentarie molto importanti –, quanto è noto a proposito del testo e del dossier iconografico sulla leggendaria spedizione di Carlo Magno nelle montagne lombarde e trentine, dalla Valcamonica alla val di Sole e poi a Santo Stefano di Cariso- lo in val Rendena.

Si tratta di osservare criticamente due distinti fenomeni: da un lato l’evento della spedizione in sé, del quale non è stato difficile, a partire dall’Ottocento, negare la plausibilità; dall’altro l’utilizzazio- ne che a partire dal Tre-Quattrocento gli uomini di chiesa e l’élite sociale e culturale della Valcamonica e del Trentino tardomedieva- le fecero di questo evento, sulla base di un rapporto col passato e con la ‘verità’ storica che è ovviamente molto diverso dalla nostra vigilanza critica. Allo scopo di ottenere consenso e di rafforzare devozioni, appariva infatti lecito e ‘giusto’ ricercare (o fingere di ritrovare) – in un oscuro e lontano alto medioevo cristiano – mes- saggi, idee, insegnamenti da proporre al ‘popolo’ attraverso imma- gini, e da certificare attraverso indulgenze e narrazioni scritte. Del resto, ancor oggi molti nostri contemporanei considerano l’alto medioevo un serbatoio di eventi da interpretare e ‘manipolare’, abusando della storia e della ricerca storica.

Circa i rapporti tra i re Carolingi e l’area alpina, i dati obiettivi accertabili da parte della critica storica sono veramente esigui. È vero, il Carlo Magno della storia ebbe molto a che fare con le Alpi. Sconfiggendo i Longobardi, controllando i Bavari e affidando la Rezia curiense a suo figlio Pipino, fra il 770 e l’800 egli riunificò sotto un unico dominio l’intera catena alpina, per la prima volta dopo secoli. Ma nello specifico del territorio che ci interessa l’uni- co appiglio che riconduce all’età carolingia è la donazione della Valcamonica al monastero di San Martino di Tours.

Dopo di che, c’è solo invenzione, pura invenzione, richiamo a un mito potentissimo che varie volte nei secoli venne usato e riela- borato. Singoli enti ecclesiastici alpini, ad esempio, ricorsero a Carlo Magno per ‘convalidare’ la propria fondazione o le proprie prerogative: si pensi al monastero di Müstair nei Grigioni (davvero fondato in età carolingia, ma certo non da Carlo Magno) che gli dedicò nel XII secolo una grande statua (quando fu proclamato santo da Federico Barbarossa); ma anche il principe vescovo Ber- nardo Cles nel Cinquecento (verso il 1534) fece dipingere da Mar- cello Fogolino, nel castello del Buonconsiglio, un gigantesco Car- lo, che paternamente osserva la sfilza di vescovi trentini raffigurata sotto di lui.

L’invenzione della fantastica campagna militare dell’imperatore franco, che provenendo da Bergamo e passando dalla Valcamonica alla val di Sole e di lì a Santo Stefano di Carisolo avrebbe sconfitto e convertito re e popolazioni pagane ed ebree, e avrebbe fondato chiese, sollecitando i sette vescovi che lo accompagnavano a dotar- le di indulgenze, va invece inserita nella vastissima diffusione – a livello popolare, ma anche di cultura ‘alta’ – dei componimenti ca- vallereschi di tradizione carolingia.

Si sa che la testimonianza più significativa di questa leggenda è costituita dall’affresco attribuito a Simone Baschenis e dalla lunga iscrizione della chiesa rendenese, risalenti agli anni Trenta del Cin- quecento. Ma a noi interessa soprattutto la disseminazione delle testimonianze della leggendaria spedizione, lungo il preteso itinera- rio. Ben quattro narrazioni simili al «privilegio di Santo Stefano» (l’iscrizione dipinta sopra ricordata) si trovano o si trovavano in biblioteche o in chiese lombarde: una scrittura di un manoscritto della Biblioteca Civica «A. Mai» di Bergamo, una pergamena oggi irreperibile a San Pietro Cuco a Bieno in Valcamonica, un docu- mento in copia conservato in un santuario di Lovere, un’epigrafe tarda nella chiesa di San Brizio presso Monno. Le tappe di Bieno e di Monno sono ricordate nell’iscrizione di Carisolo, come pure la sosta compiuta a Pellizzano, prima di prendere la strada di passo di Campo Carlo Magno (denominazione, questa, primonovecentece- sca) e di scavallare in Rendena. Il testo che a essa si riferisce recita così, nella versione che si può leggere nella chiesa rendenese:

Et adhuc predictus Carolus pertransivit montem Toni et venit ad unam terram que vocatur Plezan, et ibi interfecit magnam quantita- tem paganorum et iudeorum. Et ibi predictus episcopus Turpinus posuit visillum, et quando episcopi venerunt extra ecclesiam in- venerunt astam visilli que floruerat. Et predicti VII episcopi con- cederunt XL dies indulgentie pro singulo, et dominus pontifex Ur- banus extraxit suam cirothecam et fecit impleri arena, et concedit omni die Sancte Marie tot annos indulgentie quot arene grana ins- teterunt cirotece.

[E ancora il predetto Carlo Magno superò il passo del Tonale e giunse in un villaggio chiamato Pellizzano, e lì ammazzò una grande quantità di pagani e di ebrei. E lì il predetto vescovo Turpi- no piantò la bandiera, e quando i vescovi uscirono dalla chiesa (di Santa Maria di Pellizzano) trovarono l’asta della bandiera che era fiorita. E i predetti vescovi concessero 40 giorni di indulgenza per ciascuno. E il papa Urbano tirò fuori il suo guanto e lo fece riempi- re di sabbia, e concesse a Santa Maria un’indulgenza quotidiana di tanti anni, quanti erano i grani di sabbia contenuti nel guanto].

Quello che si dice di Pellizzano non è molto diverso dal raccon- to concernente altre località, anche se colpisce la dimensione iper- bolica, illimitata, dell’indulgenza concessa dal papa ‘Urbano’: al- trove ci si ferma (si fa per dire) a 500 anni.

Ci si potrebbe chiedere però perché fu scelta proprio la chiesa di Pellizzano, tra quelle della val di Sole (e non per esempio la pieve di Ossana, del territorio della quale Pellizzano faceva parte, dipen- dendo anzi direttamente dalla vicina chiesa matrice a differenza delle cappelle di Vermiglio, Peio, Celledizzo e Mezzana). È impos- sibile dare una risposta, anche se si può ipotizzare che ciò sia dipe- so dal prestigio o dalla lungimiranza di qualche ecclesiastico o di qualche notaio presente in loco. Comunque, la chiesa della Natività di Maria di Pellizzano era importante, essendo una delle più anti- che della valle (è attestata almeno dal 1264), ed è significativo che anche dopo il Quattrocento (l’epoca alla quale si riferiscono, lo ve- dremo subito, le testimonianze più antiche della leggenda camu- no/trentina, che sono proprio quelle pellizzanesi) abbia attratto pel- legrinaggi e devozioni. Fu la chiesa di Pellizzano infatti a fungere, in val di Sole, da ‘santuario à répit’, ovvero da luogo ove i neonati morti senza battesimo venivano ‘resuscitati’ e battezzati, perché non finissero al Limbo.

A eccezione di qualche trascurabile variante (come per il nome del celebre arcivescovo: Tripinus invece di Turpinus, posto che non si tratti di un errore di lettura dell’editore), il testo di Carisolo concernente Pellizzano è perfettamente identico a quello che si leggeva in una pergamena dell’archivio parrocchiale di Pellizzano, pubblicata da Ciccolini nel 1936 – che riportava beninteso l’intero «privilegium Sancti Stefani de Randena», il che prova la circostan- za importante che l’episodio solandro fece parte sin dall’inizio del- la narrazione. Il severo (e un po’ miope) erudito tratta questo do- cumento con sommo disprezzo: «lezione maccheronica falsata non solo nella forma ma anche nel contenuto. L’unico valore può deri- varle per la documentazione quattrocentesca della tradizione». Tut- tavia la sua trascrizione è preziosa, perché la pergamena, vista a quanto pare dal Bezzi una quarantina d’anni fa, oggi non è più re- peribile. La scrittura risaliva al 19 novembre 1446 ed era proba- bilmente una copia ‘semplice’, tratta da un originale sconosciuto: vale a dire che il notaio Graziadeo da Bolbeno, che la compilò, si limitò a vergare il proprio nome in calce, senza compromettersi troppo. Quanto meno, Ciccolini non ci dice che sul testo da lui vi- sto figurasse il signum notarii, né la formula usualmente adottata dai notai quando redigono copie ‘autentiche’.

Prima di questa data dunque la leggenda era già stata comple- tamente messa per iscritto, e un ulteriore elemento cronologico, per quanto di problematica interpretazione, ci è fornito dalle ultime ri- ghe del testo trascritto da Ciccolini, ove si dice che «Carolus impe- rator et pontifex Urbanus et prenominati septem episcopi concede- runt suprascriptam indulgentiam prenominatis eclesiis sub annis domini nostri Iesu Christi curentibus millesimo quatuorcentesimo vigesimo nono», dunque nel 1429. La circostanza non è facilmente spiegabile: cosa accadde in quell’anno, che possa far scrivere al notaio che l’indulgenza fu allora concessa? Non lo sappiamo.

Sta di fatto che entro la prima metà del Quattrocento Pellizzano è inserita a pieno titolo in una narrazione ormai consolidata, e la circostanza ci è confermata da un altro importante documento, risa- lente al 1474 (e tuttora conservato nell’archivio parrocchiale). Si tratta dell’atto di consacrazione della rinnovata chiesa, steso con una certa perizia da Antonio da Revò, vicepievano della pieve di Ossana ma anche notaio (confermato nel notariato dal vescovo Georg Hack; la figura del prete-notaio, abbastanza diffusa ad

esempio a Venezia, è rara nel territorio trentino). A consacrare la chiesa, e a far redigere il relativo documento, fu il frate francesca- no Albertino, vescovo Exiensis (una antica sede episcopale in Francia, nell’attuale dipartimento Lot-et-Garonne), suffraganeo «in pontificalibus administrandis» e vicario generale di lungo corso (1444-1480) di alcuni principi vescovi di Trento sino a Johannes Hinderbach, in carica nel 1474. Di recente, infatti, la chiesa era sta- ta «non parum ampliata», e dotata di due altari laterali, uno dedica- to a san Rocco e l’altro a sant’Antonio. In tutti e tre gli altari, quel- lo della Madonna e i due nuovi, furono collocate importanti reli- quie (anche di santi di recente canonizzazione, come san Bernardi- no); e allo scopo di favorire la frequentazione della nuova chiesa, il principe vescovo concesse ulteriori indulgenze.

Qui interessa in particolare la notizia con la quale il vescovo Albertino inizia la narratio del documento: che cioè «iamdudum tempore regis Karuli in dicta villa Peliçani fuisse edifficata ecclesia una ad honorem gloriosissime Virginis Marie». La leggenda caro- lingia si riverbera dunque sulla data di fondazione della chiesa. E qualcuno aggiunse da qualche parte un particolare che la pergame- na di consacrazione non riporta; Carlo Magno avrebbe addirittura finanziato la costruzione della chiesa: «eius procul dubio aere», di certo coi suoi soldi, secondo quanto riferisce Weber senza citare la fonte.

Forse fu lo stesso Antonio da Revò il ‘regista culturale’ del- l’operazione. Appena un paio d’anni prima, infatti, egli era stato coinvolto nel progetto che il vescovo Hinderbach aveva accorta- mente costruito attorno al culto dei tre martiri anauni Sisinio, Mar- tirio e Alessandro. Anche a Sanzeno si era arrivati (il 15 novembre 1472) alla solenne consacrazione in pompa magna – alla presenza del vescovo – della nuova chiesa che si stava costruendo. In quel caso si era partiti dal preteso reperimento delle reliquie dei tre mar- tiri; e nell’occasione Antonio da Revò aveva scritto un Epitaphium

inventionis. A Pellizzano nel 1474 si parte da un altro tipo di ‘in- venzione’, ma il meccanismo è più o meno lo stesso: l’evento sto- ricamente lontano (tardo antico in un caso, altomedievale nell’altro) è ‘fondativo’ per la devozione e la fede dell’oggi, sotto la direzione del vescovo.

In effetti gli insistiti riferimenti a Carlo Magno, nel documento del 1474 e nei suoi dintorni, si inseriscono bene nel contesto delle

scelte culturali di Johannes Hinderbach. Il principe vescovo mostrò ripetutamente grande attenzione per la figura dell’imperatore, da lui considerato ‘tedesco’ a tutti gli effetti; fu infatti «in Alamania» che «plurima mirabilia fecit». Egli propose la figura dell’imperato- re franco come mitico fondatore del potere vescovile trentino, da sempre nella sua ottica saldamente legato all’Impero. Proprio l’an- no precedente, infatti, nel 1473, aveva commissionato al pittore Giacomo Staudenfuchs un affresco nel castello di Stenico, nel qua- le l’imperatore era raffigurato nell’atto di donare a san Vigilio le valli occidentali dell’episcopato, con l’eloquente epigrafe «Carolus Magnus dono dedit, sanctus Vigilius episcopus accepit».

Quanto infine agli affreschi che decoravano all’esterno la chie- sa, disgraziatamente distrutti nel 1841, non possiamo dire nulla.

Nota bibliografica

Per i problemi di metodo evocati all’inizio, si veda Sergi, Antidoti

all’abuso della storia, pp. 2-3.

Per il rapporto fra i Carolingi e lo spazio alpino, Albertoni, Le Alpi da

Carlo Magno fino al Mille.

Per il contesto generale nel quale si inserisce anche la leggenda della spedizione di Carlo Magno dalla Lombardia al Trentino, si veda Bordone,

Il mito. Ho proposto una ricostruzione in Varanini, La leggenda di Car-

lomagno, ove si legge anche il brano dell’epigrafe di Santo Stefano di Ca-

risolo qui riproposto e si rinvia alla bibliografia precedente (in particolare, Bolognini, S. Vigilio di Pinzolo; Lorenzi, La demolizione del dazio di

Tempesta; Bezzi, La leggenda di Carlo Magno; Renzetti, Il passaggio di

Carlomagno). Si veda anche per completezza bibliografica La leggenda

di Carlo Magno nel cuore delle Alpi, e in particolare Imperadori, La via

di Carlo Magno nel versante trentino, pp. 175-176. Le testimonianze ico-

nografiche trentine sono analizzate con precisione anche nel catalogo del- la mostra su Carlo Magno e le Alpi sopra menzionato: si veda Comoli,

Simone II Baschenis, e Comoli, Marcello Fogolino.

Per quello che riguarda la chiesa di Pellizzano e la sua documentazio- ne, si veda Inventari e regesti degli archivi parrocchiali della Val di Sole, 1, pp. 386-388 per l’edizione del documento del 1446; Weber, Le chiese

della Val di Sole, pp. 60-61; inoltre, Inventario dell’archivio storico della

Parrocchia di Pellizzano. Per il rilievo della chiesa di Pellizzano in quan-

to santuario, si veda Santuari d’Italia. Trentino-Alto Adige/Südtirol, pp. 24, 25, 40, 101, 163.

A proposito di Johannes Hinderbach e della sua ‘devozione’ per Carlo Magno, nonché dell’affresco di Stenico, si veda Bellabarba, «Jus feudale

tridentinum», pp. 160-161; Dellantonio, Il principe vescovo Johannes

Hinderbach, pp. 258-259. I riferimenti al prete Antonio da Revò e gli

spunti comparativi con il caso di Sanzeno si trovano in Rogger, Interessi

agiografici del vescovo Hinderbach, pp. 337-341, in particolare note 76 e

84 e testo corrispondente.

Appendice documentaria

Pellizzano, 1474 ottobre 16

Albertino vescovo Exiensis, suffraganeo e vicario generale in

pontificalibus di Johannes Hinderbach principe vescovo, avendo consacrato la chiesa di Santa Maria di Pellizzano recentemente ampliata, e i tre altari dedicati alla Madonna, a san Rocco e sant’Antonio (provvisti di reliquie debitamente elencate), concede ai fedeli che visitino la chiesa una serie di indulgenze, a condizione che i sindici della comunità di Pellizzano facciano celebrare alme- no una messa nei giorni anniversari della consacrazione di chiesa e altari.

AP Pellizzano, pergamena non numerata, mm. 310x224, in buono stato di conservazione. Sul verso, nel riquadro centrale individuato dalle piegature, una scritta tardo-cinquecentesca o seicentesca, alquanto sbiadita [«Dedic(aci)o ecclesiae/ Sancte Marie de Pellizano/ fabricatae 1474/ die 16 8br(is)], e un ap- punto a penna di Ciccolini («1464 [così] 16. X. G. Ciccolini»). Sul lato cor- to della pergamena, un’altra scritta novecentesca in inchiostro blu: «Conse- crazione della chiesa ed altari / p. P. Gaggia / Anno 1474 / 16 ottobre («ed al- tari» e «16 ottobre» aggiunte successivamente dalla stessa mano, con inchio- stro nero).

Universis Christi fidelibus hoc presens privilegium inspecturis domi- nus frater Albertinus ordinis minorum sancti Francisci, Dei et apostolice sedis gratia episcopus Exiensis ac reverendissimi in Christo patris et do- mini nostri domini Iohannis eadem gratia episcopi et domini Tridentini in pontificalibus administrandis eiusdem suffraganeus et vicarius generalis, salutem in eo qua est omnium vera salus.

Licet isdem, cuius munere venit ut sibi a Christi fidelibus suis digne et laudabiliter serviatur, de habundantia pietatis que merita supplicum exce- dit et vota ac vere bene sibi servientibus multa maiora tribuit quam va- leant promereri, nos, tum nichilominus desiderantes Domino reddere po- pulum acceptabilem et bonorum operum sectatorem, fideles ipsos ad

complacendum eis quasi quibusdam allectivis muneribus cum indulgentiis et remissionibus invitamus ut exinde reddantur divine gratie aptiores.

Quapropter ad universitatis vestre notitiam deducimus per presentes quod nos, anno Domini millesimo quatricentessimo et septuagessimo quarto, inditione septima, die vero dominico sextodecimo mensis octo- bris, in villa Pelliçani plebis Ursane et vallis Solis, cum ita esset quod alias, iamdudum tempore regis Karuli, in dicta villa Pelliçani fuisset edif- ficata ecclesia una ad honorem gloriosissime Virginis Marie, et ex devo- tione eiusdem populi fuisset non parum ampliata de novo, eandem eccle- siam taliter ampliatam ad laudem et honorem prefate matris nostre glorio- sissime Virginis Marie cum tribus altaribus superius in choro dicte eccle- sie, videlicet unum et primum in medio chori ad honorem venerabilis et gloriose Virginis Marie, secundum a latere dextro ad honorem sancti Ero- chy confessoris, tertium a latere sinistro ad honorem sancti Antonii devo- tissimi confessoris, consecravimus et sollempniter dedicavimus, coope- rante nobis septiformi gratia, dimisso sic uno altari veteri prout ab antiquo fuit, et in primo altari sancte Marie infrascripte reliquie humiliter et devo- te sunt condite: in primis sanctorum martirum Sysinii, Martirii ed Ale- xandri, sancte Margarite virginis et martiris, sancti Laurentii martiris, un- decim milia virginum, sanctorum martirum Fabiani et Sebastiani, Eufrasie virginis, Iustine virginis, de ligno sancte Crucis, sancti Iohannis Baptiste. In altari sancti Erochy, primo de reliquiis sancti Bernardini confessoris, Katerine virginis et martiris, de lapide super quo apostoli dormiverunt in orto cum Christo, sancti Erochi confessoris, de loco ubi Christus emanavit sanguinem et aquam in orto. In altari vero sancti Antonii, primo de monte Tabor ubi Deus dedit legem Moysi, sancti Blasii episcopi et martiris, de domo sancte Elysabeth, sancti Floriani martiris, sanctorum martirum Viti et Modesti, que ecclesia cum dictis altaribus libere pertinet plebano plebis Ursane,

nos igitur, volentes dictam ecclesiam cum ipsis altaribus a Christi fi- delibus venerari et frequentari, cupientes, omnipotentis Dei misericordia et beatorum apostolorum Petri et Pauli auctoritate confisi, omnibus vero penitentibus confessis et contritis in singulis diebus dominicis primis sin- gulorum mensium totius anni ac festis principalibus, videlicet Nativitatis domini nostri Iesu Christi, Epyphanie, diei Veneris sancti Resurectionis domini nostri Iesu Christi, Ascensionis eiusdem ac quelibet die gloriose Virginis Marie, dedicationis nove et antique, necnon in diebus sancti An- tonii et sancti Erochy qui dictam ecclesiam cum predictis altaribus devote visitaverit et pias ellimosinas eisdem errogaverit, quadraginta dies indul- gentie auctoritate prefati domini domini nostri Tridentini qua fungimur in hac parte, et alios quadraginta auctoritate nostra, et pro qualibet particula reliquiarum que fuerunt viginti tres alios quadraginta dies misericorditer in Domino relaxamus, mandantes quatenus sub pena excomunicationis

sindici dicte ecclesie qui sunt vel qui fuerint singulis annis in diebus con- secrationis dicte ecclesie et dictorum altarium cum patrociniis eorundem ad expenssam et satisfationem dicte comunitatis Pelliçani celebrare fa- ciant ad minus unam missam.

In cuyus testimonium hoc presens privilegium per presbiterum Anto- nium de Revoho viceplebanum eiusdem plebis Ursane et notarium publi- cum conscribi iussimus, et nostri sigilli appensione muniri. Datum et ac- tum in villa Pelliçani, anno mense die et loco ac inditione quibus supra, pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini nostri Syxti, dignissimi Dei providentia pape anno quarto.

(SN) Ego presbiter Antonius de Revoho, publicus notarius ac per bone memorie reverendissimum dominum dominum Georgium Dei et apostoli- ce sedis gratia episcopum et dominum Tridentinum ad dicti tabellionatus offitii confirmatus, omnibus et singulis predictis presens fui et de mandato prefati domini suffraganei hoc presens privilegium scripsi signoque meo solito signavi ad maius et evidens testimonium omnium premissorum.

VI.F

AMIGLIE

:

C

ASTELBARCO

,L

ODRON

,S

AIBANTE

,D

EL

B

ENE

Gian Maria Varanini non è noto principalmente come studioso di gruppi parentali e dinastie, ma nella sua ampia bibliografia si trovano anche numerose ricerche espressamente dedicate a singole famiglie, con trattazioni peraltro sempre intrecciate con temi di sto-

Nel documento Studi di storia trentina (pagine 155-169)