attribuiva discendenza da Alessandro ai sovrani di vari piccoli regni circostanti al Peristan, fra cui il Badakhshan e il principato quattrocentesco di Swat. La leggenda si è poi estesa nell‘Ottocento, pare ad opera degli inglesi, ai Kafiri del Nuristan, che non la coltivarono mai nelle loro tradizioni orali. Nella seconda metà del Novecento, sempre ad opera di Occidentali, è stata trasferita ai Kalasha, che vengono così spesso indicati come discendenti dei macedoni nei documentari televisivi o nei servizi folkloristici dei settimanali. Inutile dire che la cosa non va presa sul serio (cf. Cacopardo A. S. s. d.).
(Xüan Zang) e Fa-hsien (Fa Xien), si insediarono per quasi un millennio una serie di piccoli principati buddhistizzati di cui restano moltissime testimonianze epigrafiche. Ma da questa arteria che traversava le montagne, peraltro resa ardua dai precipizi e dai briganti, il Buddhismo non riuscì mai a propagarsi nel resto del Peristan. Le tracce della sua civiltà restano confinate lungo la strada, come se chi la percorreva non avesse alcun rapporto con il territorio circostante, un po‘ come chi oggi traversi la Svizzera in autostrada. Chitral fu appena lambita dal buddhismo31 e il Nuristan vi restò del tutto estraneo, anche se è probabile che risalgano a quest‘epoca varie influenze, come l‘adozione del soffitto a lanterna, diffuso in tutto il Peristan e noto in età buddhista dalle sue riproduzioni in pietra nelle grotte del sito di Bamyan32.
E‘ come se il confine fra il Peristan e la civiltà avesse oscillato nel corso dei secoli a seconda della forza propulsiva di quest‘ultima, ritraendosi quando questa avanzava e tornando a estendersi verso le pianure quando questa entrava in crisi. Scrisse Toynbee (1974: 26): ―Quando la frontiera fra una società più civilizzata e una meno cessa di avanzare, la bilancia non si ferma ad uno stabile equilibrio, ma inclina, con l‘andare del tempo, in favore della società più arretrata‖. E infatti, quando la civiltà buddhista si disgrega, sul finire del primo millennio dopo Cristo,
31 Che Chitral non sia mai stata buddhistizzata è indicato dal fatto che, a fronte degli oltre
cinquemila petroglifici del primo millennio d. C. reperiti lungo la Karakorum Highway, in tutto il Chitral ne sono stati scoperti finora solo quattro, tre dei quali legati ad un unico sovrano di nome Jivarman, evidentemente autore di una breve incursione, se non di una semplice visita, in territorio non buddhista (cf. Cacopardo, A. M. 2007).
32 Per le fonti sul periodo buddhista in Peristan, vedi Cacopardo & Cacopardo 2001:
la parola scritta si eclissa dal Peristan, le notizie si rarefanno fino a perdersi, ed è evidente che l‘antico paganesimo tribale ha ripreso il sopravvento. Nella bassa valle di Swat, in questo periodo, vi sono chiari segni dell‘emergenza di culture kafire dove prima dominava il buddhismo (Olivieri & Vidale 2006: 138-46).
Ed è qui che i Kafiri cominciano ad apparire sotto questa etichetta nelle cronache di fonte musulmana. Nell‘XI secolo (precisamente nel 1020-21) abbiamo notizia di una jihad di Mahmud di Ghazni contro i Kafiri del Darrah-i-Nur (Raverty 1888: 134-35), una valle abitata da Pashai che non era ancora pienamente islamizzata ai primi dell‘Ottocento (cf. Cacopardo & Cacopardo 2001: 37).
Nel giro di qualche secolo, l‘Islam si diffonde da ovest prima a nord, poi a sud e infine a est del Peristan. Il Badakhshan gravita nella sfera islamica già dall‘ottavo secolo d. C., ossia dai primi tempi della conquista araba della Battriana e della Sogdiana (Leitner 1895, App.: 18). Il Panjshir sembra già avviato all‘islamizzazione entro il nono secolo, mentre Kabul si converte progressivamente fra l‘ottavo e il decimo (Scarcia 1965: CXXXII-CXXXV). L‘area di Jalalabad viene sottratta dai Ghaznavidi al controllo degli Hindushahi alla fine del X secolo: da lì l‘Islam dilaga a sud del Peristan verso l‘India (Majumdar, Raychaudhuri & Datta 1992: 182-83). Kashgar e Yarkand, sul versante nord, si islamizzano rapidamente a partire dalla metà del Trecento, dopo la conversione (1358) di Tughluq Timur Khan, signore del khanato gengiskhanide di Chagatai Hambly 1970:132-33; Roux 2000: 37). Con la conversione del Kashmir nello stesso secolo (Elias in Dughlat 1895: 432-33) è quasi completo l‘accerchiamento
che si concluderà con l‘islamizzazione del Baltistan nella seconda metà del Cinquecento (Holzwarth 1997).
Per tutto questo periodo, le notizie rimangono molto rade: sono questi i ―secoli muti‖ della storia del Peristan. Ma è ad una fonte italiana che dobbiamo le prime vaghissime informazioni che giungono in Occidente sulla regione, dopo quelle dell‘antichità greco-romana. E‘ di culture di tipo Kafiro che ci parla in tutta evidenza Marco Polo quando descrive gli abitanti del Belor:
E quando l‘uomo va oltra .iij. giornate [dal Wakhan], e‘ conviene che l‘uomo cavalca bene per .xl. giornate per montagne e per coste, tra creco e levante, e per valle, passando molti fiumi e molti luoghi diserti. E per tutto questo luogo non si truova abitazione né albergagione, ma conviene che ssi porti la vivanda. Questa contrada si chiama Belor. La gente dimora ne le montagne molto alte; adorano idoli e sono selvatica gente, e vivono de le bestie che pigliano. Loro vestire è di pelli di bestie, e sono uomini malvagi (Polo 1994: 68 [49, 12-16]).
Che il Belor di Marco Polo coincida grosso modo con il Bolor che Mirza Haidar descriverà due secoli e mezzo più tardi, ossia pressappoco col nostro Peristan, è fuori di dubbio (cf. anche Cardona, ivi: 564)33. Sebbene si tratti di notizie di seconda mano, il nostro ―Emilione‖ passò molto vicino al Peristan e la sua breve nota ci dice molte cose. E‘ probabile che le sue quaranta giornate si riferiscano al viaggio dal passo di Baroghil, che separa il Wakhan dal Chitral, fino alle soglie del Kashmir. Apprendiamo comunque che per varie centinaia di chilometri non si incontravano musulmani, e che, mentre le abitazioni degli indigeni erano arroccate in cima ai colli come tanti villaggi kafiri più recenti, lungo la
strada non vi erano centri abitati. Questo indica chiaramente che non vi potevano essere né principati, né forme di potere politico centralizzato, la cui prima preoccupazione sarebbe stata quella di controllare le vie di comunicazione. Ciò che risulta chiaro dalla sua descrizione, insomma, è che, sebbene non fosse impossibile inoltrarvisi, si trattava di avventurarsi in un vasto territorio oltre i confini della Civiltà. Il rapporto ostile fra questa e i Peristani è testimoniato dal cenno al loro essere ―uomini malvagi‖, che può riferirsi tanto al loro non conoscere ―né l‘Islam, né i retti costumi‖ (per usare le parole di una fonte musulmana successiva), quanto al loro brigantaggio ai danni dei musulmani.
Quest‘ultimo è testimoniato di lì a poco. Nel 1398, abbiamo notizia addirittura di una breve incursione di Tamerlano in persona contro i Kafiri Siah Posh e Katur confinanti col Panjshir, allo scopo di punirli per i loro taglieggiamenti in questa valle (Raverty 1888: 135-38). Questa ―storia incredibile‖, come l‘ha definita Jean-Paul Roux (2000: 99) ci fornisce notizie importanti, perché testimoniano una continuità diretta con le culture del Nuristan ottocentesco. Il termine Siah Posh (―vestiti di nero‖)34, infatti, è un eteroetnonimo rimasto in uso fino all‘Ottocento per designare i Nuristani o la principale delle loro etnie, quella dei Kati. Il