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Per la lunga controversia sul Bolor, vedi la documentazione in Cacopardo &

Cacopardo 2001: 22, 47-48 e passim.

34 Molti autori sette-ottocenteschi (ad es. Moghul Beg in Raverty 1888: 142) sostengono

che questo ―abito nero‖ era una pelle di colore scuro. La pelle di capra rozzamente tagliata in forma di ―poncho‖ fu in effetti l‘abito dei pastori e dei guerrieri peristani, Nuristan incluso, fino a tutto l‘Ottocento ed era ancora in uso fra i Kalasha nella seconda metà del Novecento. E‘ assai più probabile tuttavia che il termine Siah Posh si riferisca alla ―coarse black blanket made of goats‘s hair‖, menzionata a metà Settecento da Ghulam Mohammad, un testimone

termine odashu, o oda odao shu, usato dai cronisti di Tamerlano, per indicare il loro ―capo‖ è con ogni probabilità una combinazione dei termini Kati ota e psh , rispettivamente una sorta di sacerdote e uno sciamano.

E con questo approdiamo di nuovo al punto di partenza della storia che ci interessa. Intorno ai primi del Cinquecento, fanno la loro comparsa le armi da fuoco. Il futuro imperatore Moghul dell‘India Babur è armato di cannoni e archibugi quando nel 1519 discende dall‘Afghanistan in India attraversando il Bajaur, dove sopraffà gli abitanti Kafiri ―ribelli e in conflitto con la gente dell‘Islam‖, i quali ―non avevano mai visto prima un archibugio‖ (Babur 1921: 267-273). Babur si scontra con i Kafiri, del cui vino fa spesso menzione, anche nell‘Alishang (ivi: 342) e a Chighar Serai (ivi: 212).

A questo punto il confine meridionale dell‘area kafira si estende fino a comprendere tutta la fascia montuosa a nord del fiume Kabul, dalle porte di Kabul stessa fino a parte di Swat e all‘Indus Kohistan35. E‘ la progressiva avanzata dei Pathan, provvisti anch‘essi di armi da fuoco, a erodere nell‘arco di tutto il XVI secolo la frontiera meridionale del Peristan.

oculare (ibid.: 142). Questo capo, cucito anch‘esso in forma di mantello senza maniche, è in uso ancor oggi fra i Kalasha, che lo chiamano ghui.

35 Mettendo insieme le varie fonti, constatiamo che in quest‘epoca sono Kafire, o a

prevalenza kafira, le valli di Nijrau (Abu-l-Fazl in Raverty 1888: 104; Babur 1921: 213) e Taghau (Babur 1921: 221), ossia il Kohistan di Kabul; tutte le alture che dominano il Laghman e il Ningrahar (Babur 1921: 210; Scarcia 1965: CXLVIIss); buona parte del Kunar (Babur 211-12); almeno parte del Bajaur (Babur 1921: 370, 372); parte della valle del Panjkora (Muazzam Shah in Holzwarth 1999: 42; Siddiq, ivi: 46); e buona parte della valle di Swat (Raverty 1862: 251). Cf. Cacopardo & Cacopardo: 35-37.

L‘avvento delle nuove armi scatena dunque una nuova avanzata della civiltà. Ma è dal fronte settentrionale, per il momento, che l‘irruzione del mondo islamico sarà più efficace e duratura. Nei primi decenni del XVI secolo il khanato di Chagatai, agitato da possenti conflitti intestini, irrompe in direzione delle montagne, compiendo una serie di incursioni che porteranno le sue forze nel Peristan settentrionale e fino in Baltistan e Ladakh, da dove raggiungeranno perfino il Kashmir (cf. Petech 1977: 26-27).

Di questo ingresso settentrionale nella regione abbiamo la testimonianza di prima mano lasciata da Mirza Haidar Dughlat, il principe di stirpe Moghul che fu condottiero di alcune di queste imprese. Il Bolor, o Balur, di cui Mirza Haidar ci indica con precisione le frontiere, coincide perfettamente col nostro Peristan, chiuso com‘è fra le province di Kashgar e Yarkand, il Badakhshan, il territorio di Kabul, il Laghman, il Kashmir e il Baltistan. Quest‘area è definita kafiristan, ―terra di infedeli‖.

Mirza Haidar non è prodigo di notizie etnografiche, ma riconosciamo tratti del mondo kafiro quando allude alla libertà sessuale informandoci che ―seguono i loro desideri senza limiti o compunzione‖, o quando riferisce che sono montanari e hanno vacche, pecore e capre da cui ricavano latte, burro e vestiti di lana; che lasciano alle donne il lavoro dei campi; che ogni valle parla una lingua diversa e nessuno conosce la lingua altrui; che ogni villaggio è perennemente in guerra con tutti gli altri. Di queste guerre ci fornisce un quadretto che fa sorridere, certamente un po‘ caricaturale, ma che può far riflettere sulla profonda differenza fra il concetto di guerra in ambito tribale e nel mondo delle grandi civiltà. Mentre Mirza Haidar muoveva eserciti di migliaia di uomini su distanze di

centinaia di chilometri, gli abitanti del Bolor, andavano in guerra ogni mattina lasciando le donne alla cura dei campi e del focolare, ma quando era pronto da mangiare, queste venivano fuori e ―li inducevano a desistere‖ con il solido argomento che era l‘ora del pranzo, dopo il quale le ostilità riprendevano fino alla nuova pacificazione a ora di cena: pacificazione che talvolta falliva, costringendoli a vegliare tutta la notte nelle loro case fortificate36 (Dughlat 1895: 384-6).

Non sappiamo esattamente in quale parte del Peristan settentrionale Mirza Haidar trascorresse l‘inverno del 1527-28. Ma sappiamo che in seguito a questa e alle altre incursioni del khanato di Chagatai in questo periodo, una qualche forma di governo di derivazione statuale fu insediata nel Chitral, perché nel 1550 la troviamo dominata da musulmani sunniti di lingua turca i cui sudditi sono tutti Kafiri (Muazzam Shah in Holzwarth 1999: 44; Hafiz Muhammad Sidiq ivi: 49; cf. Holzwarth 1996: 122-23; Raverty 1888: 232n). Questa è evidentemente la prima origine del principato di Chitral, che fu probabilmente il più antico dei vari principati musulmani che si sarebbero formati nel nord del Peristan nella seconda metà del millennio.

36 Queste ―case fortificate‖ dovevano essere qualcosa di molto simile ai kot in uso fino a

tempi recenti fra i Kalasha. A sud di Birir esiste ancora un villaggio Kalasha di recente islamizzazione, Jinjeret Kuh, che era composto un tempo esclusivamente di queste case-torri, due delle quali sono ancora in perfetto stato di conservazione (Cacopardo & Cacopardo 1992; 1996). Edifici apparentemente analoghi a questi per struttura e funzioni sono stati recentemente scoperti nella valle di Swat da Olivieri (Olivieri & Vidale 2006: 138-39), che li attribuisce al periodo kafiro seguito al declino del buddhismo in quell‘area. Strutturalmente simili, ma funzionalmente diverse da quelle Kalasha sono le torri documentate in Nuristan, che non erano, a quanto pare, case permanentemente abitate dalle famiglie, ma edifici da guardia e da battaglia riservati ai guerrieri (cf. Edelberg 1984: 145-54).

Da sud, di lì a poco, si sviluppa un‘offensiva dell‘impero Moghul. L‘imperatore Akbar, impegnato in un confronto con Abdullah Khan, signore del khanato uzbeko che da Bukhara minacciava le sue frontiere, tenta più volte di penetrare da sud il territorio dei Kafiri per raggiungere il Badakhshan. Nel 1581, una forza al comando di suo figlio, il futuro imperatore Jahangir, viene inviata contro i ―Siah Posh dei monti di Katur‖ (Raverty 1888: 141)37. Nel 1582 un‘altra forza sotto Mohammad Darwish Khan viene inviata ad un jihad contro i Kafiri del Laghman (Scarcia 1965, spec. CXXXVIII, CLXss). Nel 1593, nel corso di combattimenti contro ribelli Pathan e della setta dei Roshanniya, un‘altra forza penetra profondamente in territorio Kafiro, raggiungendo il villaggio di Kanshal nel Dir Kohistan (Abu-l-Fazl Allami 1939: 982-85; cf. Raverty 1888: 170-72).

A dare filo da torcere ad Akbar non sono tanto i Kafiri, quanto i Pathan, refrattari al giogo di qualsiasi governo, che si sono insediati ormai in Bajaur, Swat, Panjkora e lungo tutta la frontiera meridionale del Peristan. I conflitti fra l‘impero e questi ―ribelli‖ si prolungheranno per tutto il regno di Akbar, ma fallito questo tentativo di sottometterli, i Pathan di questa fascia tribale resteranno indipendenti, formando un baluardo che impedirà per lungo tempo la penetrazione in Peristan dei

37 Potrebbe riferirsi a questo episodio una tradizione orale registrata da McNair (1884:

8), secondo cui una forza Moghul sotto Jahangir avrebbe portato i suoi elefanti fin oltre l‘abitato di Drosh, per restare poi bloccata da una muraglia appositamente costruita. La tradizione è menzionata anche da Murtaza (1982: 65-66), che situa nei dintorni di Lawi il luogo dove i Moghul furono arrestati, pur senza menzionare né Jahangir, né la muraglia. Potremmo avere qui un esempio della notevole profondità cronologica delle tradizioni orali dell‘area, che raggiungerebbe in questo caso i tre secoli.

potentati delle pianure dal versante meridionale. Fino a fine Ottocento, nessun altro esercito imperiale tornerà a valicare i colli che chiudono la piana di Peshawar (Caroe 1958: 385). Nel Kunar, in età Moghul, l‘estrema frontiera dell‘Impero rimane attestata nei pressi di Nurgal, a poco più di una trentina di chilometri da Jalalabad, dove sorgono due forti imperiali muniti di una forte guarnigione (Raverty 1888: 110)38

Ed è di questo periodo la primissima testimonianza occidentale sui Kafiri in età moderna: curioso a dirsi, è anche questa di fonte italiana. Si tratta di un manoscritto riesumato ai primi del Novecento da Pietro Tacchi Venturi39, in cui Matteo Ricci, il celebre missionario gesuita in Cina, ricostruisce le vicende dell‘avventuroso viaggio dall‘India al Celeste Impero del suo confratello portoghese Bento da Goes (cf. Wessels 1924: 1-42). Sulla base dei diari di quest‘ultimo, fortunosamente recuperati dopo il suo assassinio nel Turkestan cinese, Ricci riferisce che nel 1603, mentre si trova dalle parti di Peshawar, Goes viene a sapere da ―un pellegrino‖ di:

una terra che i saraceni chiamano Caferstam, nella quale non consentono entrar saraceni, e gli ammazzano quando là vanno, lasciando pure andare a essa gentili mercanti, ma non entrare nei loro tempij. E diceva degli uomini di quella terra che si vestivano di nero quando andavano alli tempij a orare, e la terra esser fertile et produre uva, della quale facevano vino che da lì portavano per vendere ai saraceni. E, avendone il pellegrino seco, lo diede a provare e bere al fratello Benedetto; e ritrovò esser vero vino d‘uva, cosa molto insolita in quelle bande. Di dove vennero a pensare che sarebbe quella qualche terra de‘ christiani (Ricci in D‘Elia 1949: 403; cf. Ricci-Trigault 1983: 519).

38 Nel Kohistan di Kabul la frontiera della Civiltà restera lungamente attestata ad un

forte costruito nel Nijrau da Babur, che nel Settecento era ancora continuamente esposto ad attacchi kafiri (Ghulam Muhammad in Raverty 1888: 143)

39 Lo scritto di Ricci era stato pubblicato nel 1615 nella traduzione latina di Nicholas

Trigault (cf. Ricci-Trigault 1983: 517-37), attraverso la quale la notizia di Goes approdò poi alla letteratura novecentesca sui Kafiri del Nuristan (cf. Masson 1842: 205; Davidson 1902: 170; Jones 1966: 79). La prima narrazione del viaggio di Goes, basata sullo scritto di Ricci, era stata tuttavia pubblicata nel 1605 da Padre Fernão Guerreiro (1997: 117-82): è qui che troviamo dunque la prima notizia sul Kafiristan pubblicata in Europa (ivi: 151).

Nacque da questo la leggenda dei ―Kafiri cristiani‖, che fu lungamente coltivata in ambito cattolico anche dopo che un altro gesuita, Padre Gregorio Roiz, era tornato scoraggiato e deluso dal lungo viaggio intrapreso intorno al 1678 nella speranza di iniziarli al cattolicesimo (Mac Lagan 1932: 126). La speranza rimase viva a tal punto che il 6 luglio 1887 fu perfino istituita una Prefettura Apostolica ―del Kafiristan e del Kashmir‖, con sede a Rawalpindi (Archivio Propaganda Fide, Roma, Acta 1887, 308-309), che nel 1947 divenne addirittura diocesi con la stessa denominazione (Enciclopedia Treccani, v. *). Pare che sia seguito, nel primo Novecento, qualche tentativo di evangelizzazione del Nuristan, naturalmente senza esito (Levy 1973: 265). Curiosamente, alla voce ―Afghanistan‖ dell‘Enciclopedia cattolica si legge ancor oggi che il cristianesimo sopravvisse in Kafiristan fino all‘Ottocento.

Risalgono invece al 1625 quelle che possiamo definire le più antiche note etnografiche di cui disponiamo sui Kafiri, contenute nell‘Ikbal

Namah-i- Jahangiri (in Raverty 1888: 141-42; 1896: 76). Pare che il suo

autore abbia incontrato una delegazione di Pashai del Darrah i-Nur venuti in visita a Jalalabad dall‘imperatore Jahangir. Il passo, di circa una pagina, contiene varie notizie piuttosto precise, che dimostrano la stretta affinità delle culture Pashai di quest‘epoca con quelle del Nuristan ottocentesco. L‘autore osserva, per di più, che i visitatori ―assomigliano ai Kafiri del Tibbat‖, termine spesso usato a quei tempi dai musulmani per indicare il Ladakh e il Baltistan (Holzwarth 1997: 1n). Poiché è più probabile che intendesse con questo riferirsi a Kafiri del Peristan orientale piuttosto che a buddhisti, potremmo avere qui un antico riconoscimento della sostanziale omogeneità culturale del Peristan.

Nel Seicento le testimonianze rimangono rade, ma consentono di disegnare un quadro approssimativo che vede ancora una fascia continua di culture Kafire dal Nuristan e dall‘area Pashai fino a Chilas e oltre, passando per il sud del Chitral, ancora occupato dai Kalasha, l‘alta valle del Panjkora (Dir probabilmente inclusa), l‘alta valle di Swat, Gilgit stessa e l‘Indus Kohistan. Nel nord del Chitral è stabilmente insediato il principato islamico, i cui sudditi sono però probabilmente ancora in larga parte Kafiri. Non sono ancora islamizzate né la valle di Gilgit, sede di un principato che diviene nel corso del secolo tributario dell‘impero Moghul, né quelle di Hunza e Nagar, anche se l‘Islam sciita proveniente dal Kashmir comincia a penetrare dal Baltistan. Sulla fascia sud, prosegue la progressiva avanzata dei Pathan (Cacopardo & Cacopardo 2001: 31-38).

Ma è solo nel prossimo secolo che la diffusione dell‘Islam da sud finisce per saldarsi con quella proveniente dal nord. E‘ nel Settecento, a quanto si ricava dalle scarse notizie disponibili, che il proselitismo sunnita dei Pathan riesce a guadagnare alla fede del Profeta buona parte dell‘Indus Kohistan fino a Chilas (Holzwarth 1998: 18-19; cf. Holzwarth 1999: 121-24; cf. Frembgen 1999: 83-85), andando a saldarsi con il proselitismo sciita venuto dal Kashmir. Ed è in questo secolo che si forma il khanato di Dir, che renderà praticabile, per quanto difficoltoso e insicuro, il percorso del Lowri Pass per raggiungere Chitral da sud. A fine secolo, il khan di Dir Qasim Khan consoliderà appieno il suo potere creando un piccolo potentato locale confinante col principato di Chitral (Cacopardo & Cacopardo 2001: 36). Quest‘ultimo, probabilmente già dai primi decenni del secolo, ha conquistato l‘area a sud di Drosh: sebbene il sud Chitral rimanga largamente Kafiro, la contiguità di questi due centri di potere

politico musulmano, Dir e Chitral, crea le condizioni per rendere praticabile la via del Lowri Pass e rompe per sempre la continuità del territorio tribale. E‘ solo adesso, dunque, che il Nuristan si avvia al suo tardivo isolamento culturale.

Non c‘è da stupirsi se la penetrazione dell‘Islam dal meridione si sviluppa lungo i due principali possibili percorsi di transito da nord a sud attraverso la regione, ossia la via del Lowri Pass e quella dell‘Indo, fino ad allora probabilmente del tutto impraticabili a causa dell‘ostilità dei Kafiri. Ma possiamo stabilire con certezza che a fine Settecento nell‘area montuosa compresa fra questi due assi si trovavano ancora vaste zone Kafire o a prevalenza Kafira.

Erano gli anni della rivoluzione francese, l‘Inghilterra era avviata alla rivoluzione industriale, ma il Peristan era ancora pressoché del tutto sconosciuto all‘Occidente. Nella sua geografia dell‘India pubblicata nel 1793, Rennel dà notizia di un territorio che chiama Cafferistan o Kuttore (ossia Katur), abitato da idolatri, che, secondo le informazioni che riesce a recuperare, si estende dai monti a nord-est di Kabul fino al Kashmir (Rennel 1793: 150, 164ff). E‘ questa la prima notizia inglese sul Kafiristan, basata in parte su autori classici come Abu-l-Fazl o Babur, ma in parte anche su una raccolta di manoscritti che non è stata ancora rintracciata, i ―manoscritti Kirkpatrick‖. Inspiegabilmente, la notizia di Rennel è completamente sfuggita a tutti gli studiosi contemporanei del Peristan. Per quanto una simile estensione dell‘area Kafira a fine Settecento potesse sembrare sorprendente rispetto alle concezioni novecentesche di cui si è detto, Rennel non era molto lontano dalla verità.

La distribuzione delle residue comunità ―gentili‖ proprio in quegli anni ci è nota infatti in considerevole dettaglio grazie soprattutto ad un manoscritto persiano dalla storia tormentata, il Sair al-Bilad, che contiene il minuzioso rapporto di un‘esplorazione geografica intrapresa fra il 1786 e il 1796 da Moghul Beg, l‘inviato di un capitano inglese di stanza a Calcutta, Francis Wilford, del corpo dei genieri del Bengala. Moghul Beg fu uno dei primissimi fra quegli esploratori-spie che gli inglesi inviarono durante tutto l‘Ottocento oltre la loro frontiera ad esplorare i territori dove essi stessi non erano ammessi, i famosi pundits di Rudyard Kipling. Utilizzato appena da Wilford per un oscuro articolo (Wilford 1801), il Sair al-bilad conteneva preziose informazioni geografiche che solo alla fine del secolo successivo sarebbero state acquisite per altre vie, a prezzo di molte fatiche, dai geografi della Corona britannica: fosse giunto in mano al perspicacissimo Rennel, la geografia di buona parte dell‘Afghanistan e del Pakistan sarebbe forse stata fissata molto tempo prima. Il manoscritto finì quasi un secolo dopo nelle mani di Raverty, che ne pubblicò ampi stralci in un volume rimasto a lungo rarissimo (Raverty 1888), dopodiché questo testo fu di nuovo largamente dimenticato fino alla sua recente riesumazione da parte di Holzwarth.

Il Sair al-bilad divide i Kafiri in due grandi categorie, note anche a Robertson: Siah Posh (in Pushto: tor kafiri, ―Kafiri Neri‖) e Safed Posh (pers. ―vestiti di bianco‖; in Pushto spin kafiri, ―Kafiri Bianchi‖). Ma mentre Robertson considera Siah Posh solo i Kati, e Safed Posh tutti gli altri gruppi meridionali del Nuristan, Moghul Beg applica il primo termine

in modo molto netto a tutti i Nuristani e solo ai Nuristani40, mentre riserva l‘appellativo Safed Posh a tutti i Kafiri diffusi al di fuori del Nuristan, che al tempo di Robertson erano ormai convertiti. Abbiamo qui un‘altra indicazione della percezione, quanto meno esterna, di una identità collettiva nuristana, che mette in questione la tesi sostenuta da Fussman (1988) e, sulla sua scorta, da Fabietti (1998: *[L’id. etn.]), secondo cui l‘―identità etnica‖ nuristana sarebbe una semplice costruzione esogena fondata sulla contrapposizione con i musulmani circostanti.

Nella descrizione di Moghul Beg, i Siah Posh occupano tutto l‘attuale Nuristan, insieme ad alcuni altri distretti adiacenti, fra cui l‘alto Alishang (Raverty 1888: 103), il Tregam (ivi: 107-108, 150) e l‘alta valle di Shigal (ivi: 107). Si direbbe anzi che sia l‘identità Safed Posh ad essere costruita in opposizione all‘altra, poiché comprende un assortimento eterogeneo di popoli che hanno in comune solo il fatto di essere Kafiri e non essere Nuristani: precisamente i Pashai dell‘alto Darra-i-Nur (ivi: 109, 130, 147), i parlanti Shina della valle di Gilgit (ivi: 161, 190-91), i Gawri e forse i Torwali del Swat Kohistan (ivi: 130, 203, 234, 236, 242), e qualche altro gruppo residuo nell‘Indus Kohistan (a nord del Buner, ivi: 130), nel Dir Kohistan (ivi: 130, 158) e nei pressi del Baltistan (―i monti del Piccolo Tibet‖, ivi:130) 41. Complessivamente, le aree kafire indicate da Moghul Beg occupano in effetti buona parte del territorio che va dal Nuristan ai confini del Kashmir.

40 Cf. Mohun Lal (1834: 76; 1846: 344) , che chiama Siah Posh i Kafiri del Tregam e del

Moghul Beg è un ricercatore estremamente attento, assai più accurato di molti suoi successori ottocenteschi: sebbene acquisite spesso di seconda mano, raramente le sue registrazioni geografiche risultano scorrette o irrintracciabili. Eppure sappiamo con certezza che le sue informazioni sulla distribuzione delle culture Kafire sono incomplete. Erano Kafire alla sua epoca, per esempio, varie altre valli Pashai, come Sau e Kulman nel basso Alinghar (Mohan Lal 1834: 78; 1846: 347; Burnes 1842: 214) e parte del Darra-i-Mazar (Elphinstone 1815: 619n). Ma la cosa più sorprendente è il suo ferreo silenzio riguardo ai Kalasha, come agli altri Kafiri del sud Chitral. I Kalasha non convertiti occupavano allora un territorio molto più vasto delle tre valli attuali, che comprendeva tutte le valli sul lato destro del fiume Chitral dal Lutkho fino a Urtsun, nonché vaste aree sul versante sinistro, nello Shishi Kuh e intorno a Drosh (Cacopardo & Cacopardo 2001: 74-76). Moghul Beg si reca personalmente a Drosh, ospite del governatore Mir Shah Riza, uno dei grandi principi dello Shah Namah di Mohammad Siar (v. Appendice), che è la sua fonte per gli itinerari nel Chitral e tutt‘intorno. Descrive minuziosamente due itinerari per Bragamatal, via Arandu e via Lutkho, ma tace della via diretta per andarvi da Drosh attraverso la valle di Bumboret, terra Kalasha per eccellenza. Ci informa su distretti reconditi come la valle di Tirich o di Ojor, e ignora la grande valle Kalasha di Shishi Kuh che ha a portata di mano. E‘ evidente che il suo ospite gli ha nascosto di proposito, o lo ha pregato di tenere nascosta, l‘esistenza stessa di questi territori

41 Questi ultimi dovrebbero essere i nipoti dei ―Kafiri del Tibbat‖ dell‘Ikbal Namah-i-

Kalasha, così come la presenza di Kafiri in distretti che pur nomina, come Urtsun (Raverty 1888: 157-58, 173), Damel (ivi: 173) o lo stesso Lutkho. La presenza di Kalasha a fine Settecento in quest‘ultima importante vallata del Chitral, fino a ieri incerta, è adesso confermata dallo Shah Namah di Siar: nel novembre 2006, per di più, abbiamo avuto modo di incontrare alcuni loro discendenti.