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Leggere la povertà alla luce del capitale umano ››

Il concetto di povertà evoca come suo riferimento inevitabile la condizione di deprivazione materiale, tale da impedire alla persona di raggiungere uno standard di vita

Daniela Pisu

L’inclusione delle “risorse fragili” in Sardegna: buone prassi e inserimenti socio lavorativi

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in grado di soddisfare i suoi bisogni primari. Su questo punto la letteratura non presenta particolari divergenze, se non per quanto concerne i parametri di riferimento per la rilevazione empirica del fenomeno. Nel dibattito la maggiore variabilità emerge, invece, quando la riflessione sul concetto di povertà stimola la ricerca di fattori che producono, accrescono o contrastano le dinamiche di deprivazione. Questi ampliano la cornice di riferimento dei processi di deprivazione e indirizzano l’osservazione verso campi tematici differenti rispetto a quelli a cui tradizionalmente si riferisce la povertà.

La pista di riflessione seguita nella nostra ricerca riguarda la multidimensionalità della povertà, pur cercando di non appiattire i riferimenti di cui ancora non si è compresa la correlazione specifica con la deprivazione. La ricerca sociologica sul disagio e l’emarginazione sociale ha, nel tempo, sedimentato riflessioni teoriche ed evidenze empiriche sul ruolo che nella determinazione dei processi di impoverimento svolgono i sistemi di relazione all’interno dei quali gli attori sociali sono coinvolti e che tuttavia, concorrono a strutturare e definire. La necessità di motivare le persone a considerare l’apprendimento come attività trasversale rispetto all’intero arco di vita, trova esposizione nella risoluzione del 15 luglio 2003 sul capitale sociale ed umano del Consiglio dell’Unione Europea. La motivazione risponde al bisogno di trovare una soluzione a questo “problema da risolvere” dovuto al fatto che le persone con un elevati livelli di istruzione e formazione, hanno maggiori possibilità di apprendimento rispetto a quanti, come donne e lavoratori con maggiore anzianità di servizio, hanno minori opportunità di specializzazione32.

Tratteremo la multidimensionalità della povertà nel terzo capitolo della nostra ricerca, mentre, nei paragrafi che seguiranno l’attenzione è sullo specifico contributo apportato nei processi di impoverimento, da sistemi relazionali quali l’istruzione (capitale umano) e le reti sociali di supporto (capitale sociale) che cercheranno conferma nella parte empirica di questo lavoro.

32 Risoluzione C175/3 del Consiglio dell’Unione Europea del 15 luglio 2003 Costituire il capitale sociale

e umano nella società dei saperi: apprendimento, lavoro, coesione sociale e genere, pubblicata nella

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1.3.1 La prospettiva della sociologia dell’istruzione

Nelle società contemporanee l’istruzione rappresenta il fattore che, più di ogni altro, influisce sulle opportunità di vita delle persone attraverso l’accumulazione di capitale umano. Questo concetto rimanda a quel complesso di conoscenze, competenze, abilità, ed emozioni acquisite da un individuo attraverso l’istruzione, la formazione, l’esperienza lavorativa e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi.

In questo paragrafo metteremo in evidenza come tali capacità e conoscenze influiscano sulla realizzazione economica della persona nonché il loro impatto sul sistema sociale di appartenenza. L’influenza assume un peso importante nei progetti di vita, in termini di sbocchi occupazionali, condizioni di salute, consumi culturali e partecipazione alla vita politica.

Per queste ragioni la sociologia dell’istruzione ha approfondito lo studio delle disparità relative all’istruzione finalizzate a rappresentare meglio la struttura dei vantaggi scolastici, goduti o subiti dalle singole classi sociali33. Le ricerche disponibili

mostrano che durante il XX secolo le influenze familiari sui risultati scolastici sono diminuiti lentamente e in maniera selettiva. La riduzione delle disparità ha coinvolto quasi esclusivamente le classi agricole negli anni del miracolo economico, ma il quadro risulta invariato negli ultimi quattro decenni. Nel complesso la partecipazione scolastica è aumentata percettibilmente, seppure le distanze tra gruppi sociali non si siano notevolmente modificate.

Le evidenze empiriche mostrano l’insufficienza dello sviluppo economico e dell’espansione dell’istruzione rispetto al bisogno di sradicare le disparità sociali nell’accesso allo studio. L’incidenza della famiglia d’origine è dimostrata da un ampio numero di ricerche in cui le opportunità di studio dipendono dallo status sociale. I condizionamenti esercitati dal titolo di studio dei genitori e dal tipo di occupazione che svolgono, pur strettamente connessi tra loro, esercitano influenze autonome. A parità di istruzione dei genitori, il loro lavoro influisce sui risultati scolastici dei figli. Prendiamo, ad esempio, due famiglie in cui entrambi i genitori hanno un diploma ma nella prima lavorano come impiegati qualificati e nella seconda come operai. I figli di questa

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seconda famiglia non avranno le stesse opportunità nel percorso scolastico, in termini di stimoli e di relazioni interpersonali come punto di riferimento per la carriera successiva. È il background familiare, inteso come ambiente culturale della famiglia di origine, ad incidere sui percorsi scolastici.

A parità di lavoro dei genitori è il titolo di studio la componente rilevante nella produzione delle disuguaglianze. Se consideriamo due famiglie in cui i genitori sono entrambi impiegati ma nella prima sono laureati e nella seconda diplomati, avranno maggiori opportunità di studio i figli dei genitori laureati. I giovani che vivono in famiglie con genitori di elevata scolarizzazione tenderanno ad essere più istruiti dei loro coetanei appartenenti a famiglie meno istruite. È verosimile, infatti, che l’elevato livello di istruzione di genitori, amici e conoscenti abbia effetti diretti ed immediati nei giovani che portati a considerare “normale” la prosecuzione degli studi grazie all’influenza delle persone vicine. È possibile, altresì, che un genitore istruito, attribuendo un elevato valore all’istruzione e alla cultura, crei emulazione nel figlio. Gli svantaggi economici, invece, incidono soprattutto sui figli delle famiglie operaie mentre non si rilevano importanti differenze tra figli di impiegati, liberi professionisti e dirigenti.

Con quali azioni e a quali condizioni è possibile ridurre le disuguaglianze nell’accesso allo studio? Occorrono politiche attive destinate e contrastare, soprattutto, le disparità precoci. Ci riferiamo, quindi, alla proposta di migliorare gli asili nido e le scuole dell’infanzia per combattere il problema alla radice, cioè a partire dai primi anni di vita dei bambini34. Lavorare sulla prevenzione per evitare il sorgere delle

disuguaglianze di fruizione del diritto allo studio con la conseguente riproduzione della

povertà educativa, quale tema che approfondiremo nel terzo capitolo della nostra

ricerca. Va poi evidenziato che maggiori investimenti in questo settore determinerebbero effetti positivi non solo sulle opportunità di studio dei minori appartenenti alle famiglie svantaggiate ma anche sulle opportunità lavorative delle loro madri. Tutto ciò inciderebbe, quindi, sul benessere complessivo della famiglia che potrebbe contare su una maggiore stabilità economica, dovuta alla presenza di due redditi. Ancora, potrebbe essere di vitale importanza laddove a seguito di separazioni o perdite, il nucleo monogenitoriale è sostenuto da una donna con figli minori. In tal

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senso, potrebbero essere funzionale al superamento della povertà di genere e dei padri separati come povertà che, nel terzo capitolo, abbiamo chiamato povertà delle relazioni

fragili. Inoltre, gli interventi prescolari vanno integrati con azioni orientate e

personalizzate in favore dei minori con difficoltà di apprendimento, soprattutto nei primi anni di scuola.

Il bisogno di migliorare le condizioni di accesso al diritto allo studio, avendo cura di tutelare soprattutto i bambini appartenenti a famiglie in difficoltà, è una tematica che sarà esplicitata nella parte empirica del nostro lavoro. In questo contesto emerge come bisogno non solo della persona vulnerabile ma anche dei professionisti del sociale, impegnati nella pianificazione dei servizi educativi territoriali, sempre più chiamati loro malgrado a lavorare in un’ottica riparativa piuttosto che preventiva.

1.3.2 La prospettiva dell’economia dell’istruzione

Nel corso del XX secolo la diffusione dell’interesse sulla relazione che intercorre tra economia e istruzione ha portato i contesti scientifici di svariati paesi alla costruzione di un sapere conosciuto come “economia dell’istruzione”35.

Il concetto di capitale umano è stato affrontato da vari autori nella storia del pensiero economico, tuttavia manca la formulazione di una vera e propria teoria economica. A partire dagli anni sessanta, la Scuola di Chicago36, grazie ai lavori pionieristici di

alcuni economisti, quali Jacob Mincer, Theodore Schultz e Gary Becker segna una profonda rivitalizzazione di tale tema, sviluppando una vera e propria teoria diffusasi come “teoria del capitale umano”. Prima di questi contributi, gran parte degli economisti, pur sostenendo che le abilità acquisite e l’istruzione concorrono a determinare l’ammontare di capitale umano, non ha mai accettato che gli esseri umani potessero essere concepiti come dei capitali dal punto di vista economico. Successivamente, le variabili relative agli anni di educazione e di pratica professionale

35 Refrigeri L. (2004), Oltre il capitale umano, Rubettino Editori, Soveria Mannelli, p.5.

36 La Scuola di Chicago costituisce l’orientamento del pensiero economico neoliberista sorto negli Stati

Uniti tra gli anni trenta e quaranta presso l’Università di Chicago. La sua massima affermazione si verifica dapprima negli anni cinquanta ma ancor più negli anni sessanta, ad opera di economisti quali Friedman, Stigler, Simon, Becker, Schultz. Le teorie economiche prodotte sulla base di questo orientamento sono centrate sulla libertà individuale, sulla libera concorrenza del mercato, attribuendo all’apparato statale la funzione di garante del libero gioco nel mercato. Tra i pilastri fondamentali della Scuola oltre alla teoria economica dei prezzi e a quella monetaria, viene annoverato anche il contributo che la stessa ha offerta nell’elaborazione della teoria del capitale umano.

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appresa nei luoghi di lavoro, vengono considerati i fattori principali della variabilità dei redditi dei lavoratori37.

Il primo autore ad introdurre il concetto di capitale umano fu l’economista classico Adam Smith nella sua celebre opera “La Ricchezza delle Nazioni” del 177638. Lo

studioso scozzese attribuisce l’esistenza di differenziali nelle retribuzioni oltre alla difficoltà di apprendere un mestiere ed alle maggiori o minori responsabilità che esso comporta, anche al bisogno di compensare i costi per il conseguimento di una determinata qualifica finalizzata all’esercizio di determinate professioni. Egli giustifica quest’assunzione in base ad una definizione produttivistica di capitale umano, per effetto dell’analogia instaurata tra l’investimento formativo e quello nelle macchine specializzate, per cui in entrambi i casi vi dovrà essere una restituzione in termini di ricavi tale superare i costi sostenuti, la cui entità deve remunerare in misura proporzionale sia il risultato finale che il sacrificio speso, poiché, in caso contrario, esso non verrebbe affrontato39. L’autore propone l’analogia tra gli uomini e le macchine

produttrici, sostenendo che l’educazione delle persone, come la produzione delle macchine, richiede l’impiego di risorse economiche, quindi risulta errato considerare per il calcolo della ricchezza nazionale il valore di queste ultime e trascurare quelle degli individui.

Il concetto di capitale umano comincia ad arricchirsi di nuove sfaccettature ma dobbiamo attendere più di un secolo per raggiungere un altro importante traguardo grazie al contributo di Marshall nel 1879. Egli, infatti, seguendo la tradizione smithiana nella definizione di ricchezza ingloba in essa anche le risorse umane40. Il capitale

37 Refrigeri L. (2004), op.cit, p.34.

38 Nel 1967 il primo studioso a confrontarsi con il tema della valutazione del capitale umano fu il padre

dell’economia politica inglese William Petty. Analizzando diversi fenomeni economici e sociali che caratterizzavano la costruzione dell’impero Britannico, lo studioso arrivò ad una stima macroeconomica del capitale umano utilizzando due indicatori per quantificare le perdite di capitale umano generate dalle epidemie, dalla guerre e dall’emigrazione e stabilire criteri efficienti di tassazione, valutando così il potere economico della nazione inglese. Secondo lo studioso l’ammontare della ricchezza nazionale doveva tener conto della capacità lavorativa, incorporata negli uomini, intesa come attitudine a creare ricchezza. Per stimare il valore economico della popolazione occupata egli determinò il valore di ogni lavoratore sulla base dei redditi da lavoro e concluse che, il reddito da lavoro, corrispondeva alla rendita perpetua del capitale umano che lo genera rapportata ad un determinato tasso di interesse. Cfr. Petty W. (1986), Aritmetica Politica, Liguori, Napoli (tit. or: Discourse on Political Arithmetic, 1960).

39 Smith A. (1987), La ricchezza delle nazioni, Utet, Torino (tit. or. An Enquiry into the Nature and

Causes of the Wealth of Nations, 1776), p. 198.

40 Marshall A. (1972), Principi di economia, Utet, Torino, (tit. or. Principles of Economics: an

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umano, inizia, quindi, a comporsi delle risorse interne alla persona finalizzate a definire il ruolo produttivo che la stessa può acquisire nel mercato del lavoro e nella società. Tra queste, la parte più importante, è la conoscenza, acquisita durante l’interno arco di vita. Nel secolo successivo Becker nell’opera Human Capital del 1964, illustra le evidenze empiriche dello studio compiuto per gli USA, sugli effetti positivi dell’istruzione universitaria nella formazione del capitale umano impiegato nella produzione di beni e servizi ed i conseguenti redditi differenziali di coloro che avevano beneficiato di tale istruzione. Secondo lo studioso i tassi di rendimento sociale dell’istruzione, in rapporto allo sviluppo economico, erano molto più elevati dei rendimenti privati, arrivando al raddoppio anche nel limite superiore41. La decisione del

singolo di investire in capitale umano, descritta teoricamente e analiticamente nei primi due capitoli della suddetta opera, presenta l’istruzione come investimento indispensabile per l’acquisizione di conoscenze e maggiore produttività, responsabili di un reddito più elevato. Il capitale umano allora viene espresso sulla base del valore di mercato della capacità produttiva di una persona e finisce per corrispondere alla qualità della prestazione lavorativa che, secondo lo studioso, può essere resa migliore e più produttiva con l’istruzione. In questa prospettiva il capitale umano è circoscritto a quel complesso di conoscenze, abilità e competenze che le persone apprendono e perfezionano, sostenendo costi, così come avviene in qualsiasi altra tipologia di investimento42.

L’autore sostiene, altresì, che le differenze individuali capaci di influire sui percorsi di formazione individuali, possono essere riconducibili a diversi fattori. Tra i primi annovera le capacità innate personali, per cui esistono forti disomogeneità nella distribuzione delle capacità individuali (talento, intelligenza, motivazione, ecc.) finalizzate ad influenzare l’apprendimento. Nell’analisi delle caratteristiche degli studenti che si iscrivevano al College dopo le High School43, lo studioso rilevò che essi

41 Di Petretto A., Pignataro G. (2008), Economia del capitale umano. Istituzioni, incentivi e valutazione,

FrancoAngeli, Milano, pp.149-150.

42 Spalletti S. (2009), Istruzione, crescita e rendimenti nella teoria del capitale umano. Una prospettiva di

storia del pensiero economico, Aracne, Roma, pp. 154-158.

43 In tal senso si rimanda a Becker G. (1964), Human Capital, Columbia University Press, New York and

London, pp. 201-254; Lovaglio P.G., Investimento in capitale umano e disuguaglianze sociali, in (a cura di) Vittadini G.(2004), Capitale umano, la ricchezza dell’Europa, Guerini Associati, Milano, pp. 147- 167.

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erano dotati in media da un maggior talento naturale, individuato sulla base dei quozienti di intelligenza nei test IQ, rispetto a coloro che interrompevano la loro carriera formativa alle High School. Su questi dati Becker mostrò stime empiriche per valutare la correlazione positiva tra capacità e grado di istruzione.

Secondo la teoria del capitale umano, quindi, è ragionevole ritenere che, a parità di anni di studio, le persone più capaci possano ottenere redditi più elevati, assumendo così che le capacità naturali e l’istruzione siano complementari, per cui l’effetto delle capacità sul reddito aumenta all’aumentare dell’istruzione.

Riprendendo la letteratura classica sul capitale umano, recenti studi sostengono che il reale motore del capitale umano non può essere confinato al processo formativo strutturato in ambito scolastico. L’evidenza empirica del fenomeno ha dimostrato che il capitale umano è il risultato di un lungo percorso trasversale all’intero arco di vita, dalle esperienze vissute in famiglia e nelle restanti reti sociali. Talvolta la scuola arriva sulla scena quando i tempi sono diventati troppo maturi per recuperare gli svantaggi determinati in età precocissima.

La prevenzione delle condizioni di disuguaglianza sociale, sostiene Pelligra, inizia negli investimenti nelle politiche per la famiglia. La vera sfida per l’accompagnamento dei giovani nel modo del lavoro è l’enfatizzazione del ruolo formativo della famiglia in tutte quelle abilità non cognitive che, almeno quanto le altre competenze, costituiscono il fulcro della maturazione individuale e della crescita sociale44. Una programmazione

sociale consapevole della necessità di una maggiore razionalizzazione delle risorse da destinare agli interventi scolastici, permetterebbe di favorire il diritto allo studio dei bambini appartenenti alle famiglie disagiate, considerando solo in via residuale le azioni destinate al superamento delle condizioni di vulnerabilità sociale.

L’investimento nell’istruzione finalizzato a favorire uguali opportunità di accesso allo sviluppo umano fin dai primi anni di vita ed un maggiore sostegno allo sviluppo iniziale dei minori, può avere ricadute sulla comunità. Questo modus operandi contribuisce alla formazione di cittadini più capaci e produttivi di valore che costituiranno il presupposto per il rendimento delle generazioni future.

44 Pelligra V., Accompagnare i giovani nel mondo del lavoro in (a cura di) Comitato Scientifico e

Organizzazione dei cattolici italiani (2013), La Famiglia, speranza e futuro per la società italiana, Brossura, Torino, pp.10-12.

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