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La legittimazione all’opposizione

Titolati a proporre opposizione sono tutti i creditori della società gemmante che vantano un credito non solo economico ma anche una prestazione di fare, anche se sono soci della stessa società e purchè vi abbiano interesse. Altra categoria di creditori che non viene il più delle volte considerata, che può proporre opposizione, è quella dei creditori di altri specifici affari, magari già in essere.

Come ricordato, infatti, una società è vero che può destinare una quota parte del proprio patrimonio alla nuova cellula ma è anche vero che di cellule se ne possono creare più di una, ed è vero, quindi, che anche i creditori di un’altra cellula, visto che le norme sul fatto illecito espongono anche i creditori di altra cellula alle azioni dei creditori involontari.

La legittimazione appartiene in senso lato ai creditori che si dichiarino tali, a prescindere dalla loro qualità di chirografari e di privilegiati ed indipendentemente dal fatto che siano muniti di titolo esecutivo. Quindi, purchè la pretesa sia sufficientemente fondata, anche i titolari di crediti contestati o sottoposti a condizione possono proporre opposizione47 avverso

“graduata” contrattualmente mediante la delibara di costituzione, ai sensi del terzo comma del medesimo art. 2447 quinquies c.c.>> M. LAMANDINI, Patrimoni separati e tutela dei

creditori, Relazione al convegno di studi “La tutela differenziata dei creditori nelle

procedure concorsuali” organizzato da S.I.S.CO., società italiana di studi concorsuali, Milano, 13 novebre 2004, pag. 2, 3 e 4.

47 Nello stesso senso il Trib. Di Genova 13/07/1992; Trib. Verona, 10/10/1991, in Foro it.,

secondo cui è legittimato a proporre opposizione ancorchè il credito sia giudizialmente contestato e, in quanto tale, non iscritto nel bilancio della società, il creditore sociale di un

la delibera di costituzione.

La mancata iscrizione in bilancio della società generatrice dei patrimoni separati e destinati non inficia la possibilità di proporre opposizione e la legittimità dei creditori48; anzi, tale omissione può fondare ancor più l’opposizione di cui si discute. L’impostazione riportata oltre ad essere fondata sul dato letterale (art 2447 quater, comma 2, c.c.) viene fuori dalla opportunità di evitare che i soggetti che si affermano titolari di pretese creditorie, nelle more del tempo necessario a stabilire se le loro pretese sono fondate o meno, finiscano col perdere una tutela specifica49.

essere oggetto di intimazione nelle forme dell’offerta reale. Ed in quanto trattasi di azione di natura esclusivamente cautelare, nel nostro ordinamento l’emissione di provvedimenti cautelari non è sottoposta al previo riconoscimento del diritto ma solo alla delibazione circa il fondamento della pretesa.

48 Tuttavia sul piano degli obblighi della società è stato evidenziato che se il rapporto da cui

scaturisce un credito vantato da un terzo si ritiene nullo è legittimo ometterne l’iscrizione (Trib. Milano 6/2/1995), mentre della possibilità che in concreto la società debba egualmente adempiere si deve tener conto costituendo un apposito fondo rischi, almeno nella stima percentuale di una soccombenza. Infatti solo se il credito vantato da terzi si reputi, assolutamente inesistente, e si possa con ogni sicurezza escludere l’eventualità di una soccombenza della società in sede giudiziale (circostanza, in vero, difficilmente prevedibile), questa potrà limitarsi a tener conto della pretesa creditoria mediante l’iscrizione della cifra corrispondente sia nell’attivo che nel passivo del bilancio. È il fatto giuridico, e non quello contabile, che costituisce il presupposto dell’iscrizione in bilancio e quindi ogni fatto giuridico che possa dar luogo a modificazioni del patrimonio sociale deve venire riflesso in varia guisa, a seconda dei casi, nel bilancio d’esercizio. Sicché devono trovare posto in bilancio non soltanto le situazioni contabili definite, ma anche quelle in via di definizione futura che comportino rischi essenziali e che, potendo provocare perdite macroscopiche, costituiscano potenzialmente un substrato di patrimonialità (così COLOMBO, I debiti contestati in bilancio, in Giur. comm., 1980, II, pag. 67 ss.).

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Perciò a condizione che l’affermata ragione creditoria dell’opponente non si palesi di per sé sicuramente insussistente (come nel caso in cui neppure se ne possa apprezzare l’apparenza), deve ritenersi legittimato all’opposizione anche il creditore che vanti una pretesa litigiosa: e ciò senza che sia necessaria, nel giudizio di opposizione, una ulteriore verifica della fondatezza della ragione di credito a garanzia della quale l’opposizione è svolta, laddove tale fondatezza sia già oggetto di specifico e distinto giudizio e senza che sia necessario sospendere il giudizio di opposizione fino all’esito del distinto giudizio. Da un lato, infatti, l’accertamento specifico sia pure incidentale, della fondatezza delle ragioni creditorie dell’opponente verrebbe a sovrapporsi all’accertamento di merito già pendente, dall’altro la sospensione del giudizio di opposizione potrebbe comportare esiti di ingiustificata protrazione delle conseguenze cautelari tipiche di tale giudizio, la cui introduzione, come visto, paralizza, salva autorizzazione giudiziale, l’esecuzione dell’operazione. Né tale soluzione interpretativa può essere confutata da considerazioni sistematiche concernenti il coordinamento dei due giudizi. Tale coordinamento, infatti, può in ogni caso essere assicurato considerato che, comunque, l’effetto della sospensione derivante da un eventuale accoglimento della opposizione può essere rimosso in linea di principio dal sopravvenire di pronuncia che accerti definitivamente l’insussistenza del credito dell’opponente nel separato giudizio di merito. Del resto, tale modalità di coordinamento tra esito del giudizio conservativo ed esito del giudizio di merito non è situazione estranea al nostro ordinamento, che, ad esempio, prevede espressamente (art. 2901 c.c.) l’esperibilità dell’azione revocatoria anche da parte del creditore la cui pretesa sia soggetta a condizione, con ciò ammettendo che il giudizio strumentale possa svolgersi anche per crediti incerti nell’an e nel quantum ed inesigibili e che, anzi, possa concludersi

Un’altra questione che rientra nella tematica dell’opposizione alla delibera di costituzione è quella del potere degli obbligazionisti di poter o meno porre in essere tale atto. La risposta, nonostante il carattere sempre laconico della norma ci sembra affermativa, anche perché è ancor più lampante che questa categoria di “creditori” ha tutto l’interesse a non vedere intaccato il patrimonio della società gemmante.

Già in passato la novella del 1991 risolse la questione con l’introduzione dell’art. 2503-bis c.c., a proposito dell’opposizione al progetto di fusione e di scissione di una società. In realtà le cose andavano nello stesso modo anche nel silenzio normativo, quindi l’intervento del legislatore, allora, fu visto più come un legittimare una pratica già invalsa nel mondo degli affari. Come già detto, la novella sui patrimoni separati e destinati tace sul punto ma non si vede perché mai si debba negare agli obbligazionisti la possibilità di opporsi alla costituzione di tali patrimoni, visto che la ratio legis sembra del tutto simile e del tutto simile appare il potenziale pregiudizio a loro arrecato.

La cosa però da notare è che gli obbligazionisti, al contrario dei singoli creditori, soprattutto involontari, della società sono organizzati in assemblea e il voto favorevole della maggioranza dell’assemblea degli obbligazionisti alla delibera di costituzione del patrimonio separato e destinato vale come voto di ogni singolo obbligazionista, sia in caso di obbligazioni convertibili e non convertibili in azioni.

Per questo motivo, nel caso in cui uno degli obbligazionisti non fosse d’accordo sull’istituzione del patrimonio destinato, ben poco potrebbe fare per opporsi alla delibera del consiglio d’amministrazione. La cosa però

prima che vi sia certezza della pretesa. Per la Cassazione l’art. 295 del c.p.c. la cui ratio è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo il riferimento all’ipotesi in cui tra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico. Perciò la sospensione necessaria del processo non può essere disposta ad esempio nell’ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull’an

debeatur e di quello sul quantum (fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente

in senso logico) essendo in tal caso applicabile l’art. 337, comma 2, del codice di procedura civile, il quale in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità possa essere invocata in un separato processo prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo – e tenuto conto altresì del fatto che a norma dell’art. 336, comma 2, del c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull’an determina l’automatica caducazione della sentenza sul quantum anche se su quest’ultima si sia formato un giudicato apparente (Cassazione 25 maggio 1996, n. 4844, in Mass., 1996).

concessa loro, per riequilibrare le cose, è la possibilità di conversione anticipata, cioè passare da obbligazionisti ad azionisti, e prendere parte alla decisione di costituzione in qualità di soci della società.