Per una maggiore comprensione dell’argomento in esame è utile riportare alla luce, se pur brevemente, il significato etimologico della parola stessa patrimonium. Come si può notare, la parola in questione deriva da pater, che, nel diritto romano classico, era unico soggetto cui potessero ascriversi i beni. Orbene, da questa distinzione, come in un processo a cascata, derivano le definizioni delle cose che non appartenevano a nessuno ma che tuttavia sarebbero potute entrare nel patrimonio di qualcuno, extra patrimonium, e delle cose che, al contrario, mai sarebbero potute appartenere ad alcuno, res extra commercium (ad es. beni demaniali), in forza della loro destinazione. Molti sono, tuttavia, gli operatori del diritto che fanno notare l’utilizzo improprio che si fa del termine patrimonio: quanto meno, l’uso in maniera non tecnica. Si è detto già del patrimonio come un complesso di rapporti attivi e passivi, ebbene, a volte esso viene utilizzato, ad esempio in campo economico, solo per intendere i rapporti attivi (è il caso del patrimonio netto nelle società), non tenendo presente i rapporti passivi.
Per quanto anzidetto, può accadere che in ambito aziendalistico, se i rapporti attivi eguagliano i passivi, ci si ritrovi davanti ad un patrimonio azzerato, quindi il patrimonio non esiste; tutt’altra cosa è utilizzare una corretta terminologia giuridica nella quale il patrimonio è rappresentato, quindi esistente, anche nel caso in cui le poste passive superino quelle attive; è questo il caso dell’eredità onerosa.
Altro discorso ancora va fatto per i beni che, presentando un valore economico, entrano a far parte del patrimonio, quindi il bene rappresenta una singola unità; possiamo dire di beni aggregati al plurale mentre di patrimonio si parla al singolare, locus dove confluiscono i beni. Il patrimonio, generalmente, viene riconosciuto dalla dottrina come universalità di fatto, all’interno della quale ben possono essere presenti distinti patrimoni di destinazione.
in cui si rinvengono nuclei patrimoniali dotati di piena autonomia ed indipendenza, capaci di propri rapporti ed insensibili alle fluttuazioni ed alle vicende da cui rimane coinvolto il patrimonio con il quale convivono e riservati alla copertura (Deckung) patrimoniale delle sole obbligazioni assunte in coerenza con lo scopo cui risultano destinati”. Quindi secondo questa definizione diviene centrale nella teoria dei patrimoni il vincolo di destinazione, cosa molto spesso trascurata, poiché sovente l’aspetto maggiormente messo in rilievo risulta il fenomeno di compressione della garanzia patrimoniale (2740 c.c. garanzia generica), elemento del tutto secondario nella articolazione delle vicende che hanno come sbocco un fenomeno di segregazione patrimoniale dovuta ad una dedica causale. La migliore dottrina si spinge ad affermare, inoltre, che la compressione tanto temuta, da parte di altra dottrina, dalla garanzia patrimoniale generica sia solo virtuale in quanto “un conto è infatti l’atto negoziale, avente ad oggetto la scomposizione del proprio patrimonio allo specifico fine di produrre una limitazione della responsabilità – fine che, ove pure soccorra il preventivo assenso del creditore, non è possibile perseguire, stante la sua contrarietà a norma di legge inderogabile tutt’altra cosa è l’atto dispositivo che, operando l’attribuzione di determinanti beni (strumentale o finale che essa sia), importa, come sua conseguenza, la modifica della sfera patrimoniale del disponente, esponendo il creditore all’eventus damni. La eventuale deroga, apportata al principio della universalità e concorsualità della garanzia patrimoniale, deve bilanciarsi con la meritevolezza di un vincolo di destinazione, tale come è quello previsto dal legislatore in molte ipotesi (ad es. fondo patrimoniale di famiglia; fondi comuni d’investimento; la separazione patrimoniale nelle SIM ecc). Inoltre, in dottrina, si è segnalato come nel nostro ordinamento la reazione alla erosione pure fraudolenta delle garanzie patrimoniali non sia la nullità bensì l’inefficacia dell’atto, scaturita dall’esercizio dell’azione revocatoria che comunque rimane esperibile cosi come prevista dal nostro codice civile all’art. 2901. Anche l’altro aspetto, considerato principale, in alcune vicende attinenti ad ipotesi di destinazioni, ossia l’alterazione del regime d’imputazione soggettiva (si pensi al trust), non è da considerasi elemento fondante, bensì accessorio, proprio in virtù della nuova funzione del diritto proprietario.
Quindi, in definitiva, possiamo affermare che nei casi di patrimoni separati il patrimonio appartiene allo scopo.
Cruciale allora diviene il momento della destinazione, ed eventualmente la possibilità di identificare una causa negoziale di destinazione di beni (o meglio patrimoni) ad uno scopo.
Allora, sarà necessario liberarci della destinazione intesa come strumento per la separazione patrimoniale (cosa in sè neutra) ed addentrarci con maggiore attenzione nella problematica della causa, del giudizio di liceità della stessa (art. 1343 cod. civ.) e di meritevolezza (art. 1322 cod. civ.). Tali elementi risulteranno fondamentali nell’ipotesi in cui volessimo immaginare uno spazio all’autonomia privata sufficiente alla creazione di negozi aticipi aventi come propria causa la destinazione di beni allo scopo e come proprio effetto la separazione patrimoniale, con l’apposizione di un vincolo reale su un complesso di beni.
La tesi preferibile, a nostro parere, è quella di attenta dottrina che, con intelligenza, pone in luce come anche in questo caso si possa lasciare spazio all’autonomia privata valorizzando, ai fini di un controllo unicamente ex post, il giudizio di meritevolezza di tutela e non escludendo dal raggio d’azione di questi istituti quelli posti a tutela delle garanzie patrimoniali, ove però ne ricorrano i requisiti sia oggettivi che soggettivi.
Ci si riferisce al giudizio di cui all’articolo 1322 del codice, giudizio che già autorevole dottrina, in tema di interpretazione della causa dei negozi atipici, ha valorizzato nonostante difforme e contrario giudizio di altra ed altrettanto autorevole dottrina tesa a sminuirne il portato fino ad appiattirlo sul giudizio di liceità di cui all’articolo 1343 del codice civile.
Approfondendo il profilo della causa nella destinazione dei beni allo scopo, giustamente è stato posto come nodo cruciale da risolvere quello del bilanciamento degli interessi (file-tunnig): da un lato la compressione della tutela creditoria dall’altro la meritevolezza dell’interesse realizzato (lo scopo) attraverso il negozio destinatario. Esperienze gia previste nel nostro codice come il fondo per i bisogni della famiglia (fondo patrimoniale di famiglia) ci pongono con chiarezza dinnanzi agli occhi un esempio di accettazione ex ante da parte del nostro ordinamento della meritevolezza di questo fenomeno, considerando l’interesse della famiglia, entità
costituzionalmente tutelata (articolo 29 cost.) preminente nei confronti di quello della tutela dell’affidamento del credito.
Quindi in definitiva il legislatore di volta in volta ha lasciato prevalere altri interessi nei confronti di quelli del ceto creditorio.
Il medesimo messaggio è rinvenibile nella novella codicistica sui patrimoni destinati ad uno specifico affare, forma di organizzazione dell’attività imprenditoriale ritenuta ex ante lecita e meritevole di tutela dal nostro legislatore e per questo introdotta. Vi è da specificare che nell’ipotesi di cui sopra, che ci impegnerà nei prossimi capitoli, la destinazione come in altre ipotesi (cartolarizzazione) è necessaria ai fini del perseguimento di un’efficiente gestione delle attività d’impresa.