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PER UNA LETTURA ICONOGRAFICA DEI MONUMENTI AI CADUTI NEL TERRITORIO PADOVANO

Una costante dell‟iconografia locale è l‟aquila, che a Padova compare già nel monumento dedicato a Giuseppe Mazzini, ed è da intendersi sia come simbolo della dinastia sabauda, sia più genericamente come aquila italica contrapposta a quella asburgica bicipite. Il monumento di Agna (1925) mostra l‟aquila sabauda mentre tenta di sopraffare l‟aquila asburgica. Una cartolina del 1915 raffigura San Francesco e tre aquile che sorreggono la bandiera sabauda. Lo stesso soggetto, modificato in chiave fascista è ripreso da Luigi Soressi nel frontone bronzeo della Casa del Mutilato: uno stormo di aquile, di cui tre volano in primo piano, sono illuminate dai raggi emanati dal fascio littorio. Le tre aquile vengono riprese anche nel monumento di Piazzola sul Brenta (poi modificato) e nella lampada votiva posta sotto la lapide ai caduti delle Poste e Telegrafi di Padova. Poi diventa consuetudine di molti comuni apporre un‟aquila italica con le ali dispiegate sulla sommità del proprio monumento.

Figure 41-43 Le “tre aquile illuminate dal fascio littorio” del rilievo bronzeo realizzato da Luigi Soressi per il frontone della Casa del Mutilato di Padova (a sx.); il monumento di Piazzola con le tre aquile (al centro, sostituite da un’unica aquila nel II° dopoguerra); le tre aquile che sorreggono la lampada votiva del monumento conservato nell’atrio del Palazzo delle Poste a Padova

Una diffusione capillare di questo soggetto fa si che in tutta la provincia l‟aquila sia rappresentata almeno su 26 monumenti del territorio. Meno di una decina invece le Vittorie alate raffigurate genericamente sopra al „pomo‟ della Vittoria, con un braccio alzato a sorreggere la corona d‟alloro e con un ramoscello d‟olivo nell‟altra mano.

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Un‟unica raffigurazione allegorica di questo comune soggetto si discosta dalle altre, la monumentale Vittoria di Limena. Questa allegoria, a metà tra l‟iconografia della Patria e quella della Vittoria, rappresenta una figura femminile discinta raffigurata nell‟atto di alzare al cielo una spada con entrambe le mani.

Le raffigurazioni della Madre Patria sono tra le immagini più articolate nei monumenti di guerra: simboli già utilizzati dal nazionalismo risorgimentale esse fondono attributi di diversa derivazione storica e culturale.

Figura 45 il monumento di Limena, particolare della Vittoria alata

Ponso e Santa Margherita d‟Adige conservano le due sole rappresentazioni iconografiche di questo soggetto in tutta la provincia, anche se presentate in modo diametralmente opposto. Nessuna delle due incarna una figura materna, per enfatizzare il concetto di Madre Patria, anzi la figura femminile di Ponso è raffigurata come una giovane donna con i capelli sciolti. Reggono entrambe uno scudo con i simboli della romanità e mentre la Patria di Ponso regge una Vittoria alata con la mano destra, quella di Santa Margherita d‟Adige sostiene una spada e indossa l‟elmo. Anche l‟abito è diverso, una semplice tunica per la statua ponsina e una tunica con busto corazzato per quella di Santa Margherita. È significativo segnalare la presenza di un‟altra Patria nel territorio anche se non direttamente legata ad un monumento ai caduti, poiché parte costituente del bassorilievo legato al bollettino della Vittoria di Diaz collocato sotto i portici di fronte al monumento ai caduti di Conselve. Questa Patria con il capo turrito regge una spada in una mano mentre nell‟altra ha un ramoscello d‟alloro.

Figure 46-48 i monumenti di Ponso e di Santa Margherita d’Adige e il bassorilievo di Conselve

Tra i simboli degli antichi fasti imperiali uno su tutti si imporrà durante il regime fascista: il fascio littorio che verrà elevato a ruolo di simbolo nazionale associandosi così al tricolore. Il passaggio da simbolo ideologico di un partito a simbolo della nazione è accompagnato da un‟iconografia nuova, di glorificazione della guerra, in cui i valorosi caduti sono raffigurati “[...]ritti, fieri, con la spada alta, con l‟alloro nel pugno, e non cadaveri cadenti, come purtroppo

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veggonsi in molti monumenti ai nostri eroi [...]. Noi vogliamo che i simboli che li rappresentano li mostrino superbi, coi muscoli vibranti, con lo sguardo alto e consapevole44.

Il fante non è più dunque quello raffigurato nei monumenti di Conselve (1923), ma quello di Camposampiero (1921) - esempio precocissimo che incarna e anticipa gli ideali fascisti dell‟Uomo Nuovo – Montagnana (1923), Sant‟Angelo di Piove di Sacco (1927) e Cartura. Anche qui l‟iconografia come la retorica si dimostra flessibile nell‟anticipare certe tendenze e nel mantenerne, al contrario, altrettante inalterate.

Figure 49-53 Sopra, i fanti del monumento di Conselve;

sotto, da sinistra a destra i fanti dei monumenti di Camposampiero, Montagnana, Cartura, Sant’Angelo di Piove di Sacco.

Il soldato diventa l‟Uomo Nuovo che esce rigenerato dalla Grande Guerra: l‟idea è resa facendo leva sulla giovinezza, la nudità e apparenze gentili ma possenti. Secondo Mosse la guerra aiuterà gli uomini ad acquistare consapevolezza di sé stessi e della propria mascolinità, avvicinandoli alla vita politica e rafforzandone idee e convinzioni45.

A fronte di queste codifiche gli scultori traducono questo messaggio in opera, lo rendo universale, così accade che autori diversi in province differenti, realizzino opere molto simili. E‟ questo il caso del Fante che alza al cielo la Vittoria alata, soggetto iconografico molto abusato e che ci permette di trarre delle conclusioni riguardo la relazione tra scelta iconografica e messaggio politico. Dopo il 1922 il cambiamento delle scelte iconografiche nella produzione dei monumenti non avviene in modo immediato, è necessario almeno l‟arco di un decennio per assistere ad un‟uniformità nell‟intero territorio nazionale, è importante notare che in alcuni centri l‟elaborazione del nuovo linguaggio figurativo si dimostra già avviata prima della Marcia su Roma, tanto da avere insite delle caratteristiche anticipatrici delle nuove tendenze figurative del fascismo. Se l‟uniformità tipologica e iconografica saranno dunque delle costanti nella monumentomania, a creare le differenze saranno lo stile e il contesto geografico, politico e economico.

44 Maggiorotti, L. A., L’espressione del dolore nella pittura bellica, in «Esercito e nazione», Roma, 1933 45 Mosse, G. L., Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari, 1990

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Figure 54-55 Da sinistra a destra, il fante del monumento di Merlara, Padova (E. Zago, 1926) e quello di Miane, Treviso (V. Celotti, 1922)

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