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Lia Levi e la sua produzione letteraria per l'infanzia

Nel documento L'onomastica nella narrativa di Lia Levi (pagine 46-62)

In questa sede ho deciso di analizzare alcuni dei libri per bambini e ragazzi scritti da Lia Levi,40 un'autrice che, in Italia, ha raggiunto un grande successo proprio all'interno del

panorama della letteratura per l'infanzia. Nata a Pisa il 9 novembre del 1931 da una famiglia piemontese di origine ebraiche, nel 1938, a causa della promulgazione delle leggi razziali, Lia Levi si trova costretta, assieme alla sua famiglia, a dover lasciare la casa di Torino. Il padre, non potendo più lavorare, sempre a causa dei nuovi regolamenti, decide di spostarsi a Milano per poi riparare in un secondo momento a Roma, dove poi Lia continuerà i suoi studi anche dopo la fine della guerra.

Prima di diventare un'affermata scrittrice di romanzi per adulti e bambini, Lia Levi si è dedicata al giornalismo diventando anche direttrice dell'importante mensile di cultura ebraica Shalom. Lia Levi è approdata al mondo della narrativa in età già matura dato che solo nel 1994 vede la luce il suo primo romanzo Una bambina e basta con il quale si aggiudica il premio Elsa Morante-opera prima.

Anche se tardivo, il suo esordio nel mondo della narrativa ha dato dei frutti di tutto rispetto: da ogni sua opera, sia che si tratti di un racconto per bambini o di un romanzo per adulti, emerge non solo una forte attitudine per la scrittura, ma anche una grande cultura alimentata, probabilmente, dalla sua carriera giornalistica

Nei suoi libri rivolge un'attenzione particolare alla tradizione e alla cultura ebraica alla quale è d'altronde legata fino dalla nascita. In lei c'è sempre stata la volontà di far conoscere al pubblico le molte verità sugli ebrei e su Israele che per secoli sono state celate o distorte. Questa volontà nasce ovviamente dalla sua esperienza personale, ossia da quella di bambina costretta a nascondersi per sfuggire alla violenza di un cieco fanatismo. In un primo momento deve aver visto nel giornalismo l'unico mezzo attraverso il quale trasmettere informazioni veritiere sull'ebraismo. Tuttavia, in un secondo momento, anche la narrativa si è rivelata un ottimo mezzo con cui riecheggiare, attraverso trame più o meno fantasiose, le grandi sofferenze che il nazismo ha provocato

40 Per la vita di Lia Levi e la trama di Una bambina e basta: Levi L., Una bambina e basta, Mondadori Scuola, Milano, 1999, pp. VII-X; Per la biografia di Lia Levi: http://www.orecchioacerbo.com (consultato il 19/03/2017).

in lei come in milioni di altre persone,

L'esordio di Lia Levi nel mondo della narrativa viene ufficializzato dall'uscita di Una

bambina e basta, un libro in cui è già possibile scorgere tutte le tematiche che

caratterizzeranno i suoi scritti successivi.

Ma cosa rende interessante Una bambina e basta? La sua particolarità consiste nell'essere prima di tutto un romanzo autobiografico, nel quale la scrittrice descrive gli anni della sua infanzia contrassegnati dalle persecuzioni razziali. In secondo luogo è un romanzo narrato attraverso la voce di una Lia Levi tornata bambina.

L'immediata adozione del libro, inizialmente destinato agli adulti, da parte di un pubblico giovanile non deve stupire dato che l'autrice è riuscita a descrivere con toni delicati e per niente drammatici anche gli eventi meno piacevoli che hanno caratterizzato la sua storia personale.

La morte è solamente accennata così come tutte le altre cose turpi che in quel periodo di guerra sono state perpetuate nei confronti di persone indifese: l'autrice quindi non raggiunge mai toni drammatici, al contrario in alcune scene fa emergere anche una certa vivacità e briosità.

Lo stile semplice ed essenziale del libro ben si accorda con la scelta di far narrare la storia ad una sé tornata bambina. La piccola protagonista fa emergere l'ingenuità tipica della sua giovane età, ma allo stesso tempo anche una grande curiosità. La curiosità è un elemento preponderante nella vita di ciascun bambino e nella piccola Lia si esplica attraverso le continue domande rivolte ai grandi in merito a quanto sta accadendo attorno a lei.

In Una bambina e basta l'autrice ha affrontato diverse problematiche, come: lo scoppio di conflitti tra nazioni a causa di presunte diversità, la comunicazione tra genitori e figli adolescenti e il fascino che alcuni riti religiosi possono esercitare su delle giovani menti in cerca di risposte. Durante gli incontri con le scuole Lia Levi ha potuto notare quanto i bambini siano bravi nell'estrapolare dai suoi libri molte delle tematiche non esplicitate. Per chiarire ulteriormente ciò che ho appena affermato, ritengo sia utile riassumere brevemente la storia narrata in Una bambina e basta. La prima scena del romanzo coglie i genitori di Lia Levi nel momento in cui decidono di annunciare a lei e alle sue sorelle che ben presto dovranno lasciare la scuola statale e andare in un istituto ebraico. Il trasferimento è dovuto ai nuovi regolamenti emanati dal governo fascista, regolamenti a

causa dei quali, il padre perde addirittura il lavoro, cadendo per questo in una profonda depressione. Lia racconta di non aver provato molto disagio nel cambiare scuola e che tutto, per lei, continuava, almeno apparentemente, ad essere come sempre. Racconta della zia residente a Ventimiglia, in una casa situata esattamente sul confine che divide l'Italia dalla Francia. La donna viene presto accusata di favorire il passaggio di informazioni tra i partigiani dei due paesi. Con lo scoppio della guerra, la famiglia di Lia, non sentendosi al sicuro, abbandona la casa e si trasferisce in un albergo di Torino, ma la loro peregrinazione non è destinata a finire qui dato che dopo poco si spostano a Milano, dove al padre è stato promesso un lavoro. Tuttavia, dopo poco, il datore di lavoro dell'uomo decide di trasferirlo a Roma e così tutta a famiglia è costretta a spostarsi nuovamente. La nuova casa romana, situata nel quartiere Monteverde, ha un atrio piuttosto grande, con un portiere e due scale, una a destra e una a sinistra, che salgono fino al nono piano. Con loro si è trasferita anche Maria, la governante alla quale tutti i componenti della famiglia sono molto affezionati, anche se il carattere della donna è piuttosto scontroso.

Tra le nuove leggi antisemitiche c'è però anche quella che vieta alle famiglie ebree di tenere a servizio persone ariane. Tuttavia, il padre di Lia, in quanto figlio di un ufficiale morto nella Grande Guerra, riesce a far sì che nessuno, almeno per il momento, lo obblighi a licenziare Maria. Inoltre Lia e le sue sorelle possono ancora andare un po' al mare nei periodi estivi grazie alla nonna materna che non solo non è ebrea, ma è anche benestante.

Arriva però anche per i Levi il momento in cui sono costretti a mandare via Maria. Tuttavia, i genitori di Lia chiedono ai vicini di far finta di avere la donna al loro servizio, in modo che non si allontani definitivamente dai Levi e, in caso di necessità, possa continuare a dare una mano in famiglia. Ma con il passare del tempo la governante inizia a lavorare sul serio per i signori che la ospitano mettendo in secondo piano le esigenze dei Levi. L'atteggiamento di Maria irrita molto Lia che si sente improvvisamente abbandonata e delusa da una delle persone che ama di più al mondo.

Arriva il 1943 e in una calda sera di luglio le bambine sentono in casa e per le strade grida di gioia. I genitori spiegano loro il motivo di questa insolita euforia: il re Vittorio Emanuele III di Savoia ha fatto arrestare Mussolini decretando in questo modo la fine del Fascismo e con esso quella delle leggi antisemitiche.

Ma la firma dell'armistizio da parte dell'Italia scatena la reazione dei tedeschi che per tutta risposta invadono il “bel paese”.

È la mamma ad annunciare alla famiglia l'arrivo dei tedeschi a Roma ed è sempre lei a riferire la notizia secondo cui essi non faranno nessun male agli ebrei romani a patto che questi ultimi gli consegnino cinquanta chili d'oro. Alla domanda di Lia su come gli ebrei riusciranno ad accumulare tutto quell'oro, la madre risponde che ciascuna famiglia contribuirà alla raccolta con il metallo che ha in casa. La bambina si stupisce della risposta diretta e sincera che la madre le fornisce poiché fino a quel momento aveva prestato sempre poca attenzione alle sue domande.

Tuttavia, la madre, non fidandosi della promessa fatta dai tedeschi, decide di cercare immediatamente un luogo sicuro nel quale nascondere la famiglia in caso di un'improvvisa repressione antisemita. Il padre al contrario non dimostra di avere le stesse energie della moglie, anzi dalla sua faccia trapela lo sgomento che prova ogni qual volta la moglie lo sprona a cercare una via di fuga per la famiglia. A questo proposito Lia si sofferma a considerare e a confrontare gli atteggiamento dei due genitori: “Mio padre sa già tutto, ha compreso tutto, ma resta immobile. Non è più mio padre, ma l'eterno uomo ebreo che si ferma smarrito quando quello che da tanto si portava dietro, quello che la sua mente aveva disegnato in ogni sua minuta piega, è lì, improvvisamente reale di fronte a lui. Non è capace di vivere la vita, ha già faticato tanto a conoscerla. Il suo cuore ha una stanchezza antica, ogni suo gesto ha il peso di mille anni, non sa battersi per sopravvivere perché quando suo padre, suo nonno, il suo bisnonno hanno lottato, hanno via via consumato anche le sue forze”.41

Del tutto opposta è la considerazione che Lia fa sulla madre: “le madri ebree no, sono tigri, leonesse, contendono alla vita ogni boccone, rubano ogni centimetro. Loro devono difendere i figli: per questo non hanno bisogno di libri e sinagoghe”.

Per la bambina è chiaro che la parte trainante all'interno della coppia è la madre che, anche nel romanzo, viene effettivamente presentata come una donna forte e spesso dura nei confronti delle figlie. Per ogni comunicazione alle bambine il padre delega la moglie, proprio come nel momento in cui devono annunciare alle figlie il loro trasferimento in un

convento di monache situato nella campagna romana.

L'idea di abitare in un convento affascina la piccola Lia, in quanto la maggior parte dei suoi film e libri preferiti sono ambientati proprio in luoghi ameni nei quali le persone si dedicano a una vita semplice e fatta di preghiere. Tuttavia, questo comporta un distacco dai genitori duro da sopportare soprattutto per la sorella più piccola. La madre che si troverà ad alloggiare nel convento solo saltuariamente si raccomanda con le figlie di non rivelare a nessuno le loro origine ebraiche, anche se in quella stessa grande struttura ci sono molte altre bambine ebree. Il padre, invece, trova rifugio in una pensione a Piazza Fiume. Il convento di monache ospita anche molte pensionanti e fra queste vi è la cugina del padre che ha una figlia di nome Laura.

Un giorno, nel convento arrivano altre ragazzine ebree e tra queste vi è Fiamma, che era stata compagna di Lia alla scuola ebraica. Fiamma è insieme alla sorella più piccola e se un tempo sfoggiava boccoli dorati e perfetti, adesso appare castana e tutta arruffata; probabilmente, pensa Lia, le preoccupazioni e la paura l'hanno resa più bruttina.

Un giorno però arriva un gruppo di giovani soldati tedeschi che si stabilisce in una villa confinante, per mezzo di una bassa siepe, con il loro collegio. I nuovi vicini non sembrano voler creare problemi né alle suore, né alle povere bambine anche perché i giovani soldati vengono allietati dall'assidua presenza di due delle collegiali più grandi. Le due ragazze, Caterina e Margherita, non sono però altrettanto cordiali e disponibili con le altre ospiti del convento e a detta di Gemma, una ragazzina di quindici anni, le due giovani avrebbero intenzione di salvare solo lei grazie alla loro amicizia con i tedeschi. Ai tanti pensieri che affollano la mente di Lia si aggiunge anche il sospetto che le due belle collegiali possano rivelare ai tedeschi le vere identità delle bambine ospitate dalle suore. Tuttavia, l'inaspettato arrivo di una piccola bambina di neanche tre anni contribuisce ad allietare le monotone giornate trascorse nel convento. La madre della bimba è stata costretta a lasciarla nel convento in quanto per lei lì non vi era più posto. La bimba di nome Rossana, che è molto irrequieta e spesso disobbediente, viene ben presto soprannominata “Spepetto”. Una sera Lia sente la piccola Rossana piangere disperatamente, forse perché bisognosa delle cure e dell'affetto della madre; ed è così che Lia decide di portarla a letto con sé e consolarla.

soldati andranno a cercare gli ebrei anche nei luoghi sacri, fino a quel momento considerati inviolabili. È importante, dunque, che tutte le bambine assumano, in via precauzionale, un'altra identità e per fare ciò le suore decidono di consegnare a ciascuna di loro i documenti delle collegiali “ariane” che momentaneamente hanno lasciato il convento per far visita alle famiglie lontane. Alla nostra protagonista sono assegnati i documenti di una certa Maria Cristina Cataldi. Un nome del genere, afferma Lia, non potrebbe essere più in contrasto con le sue origini ebraiche in quanto il nome fa chiaramente riferimento a Cristo e a Maria, due figure verso le quali i cristiani nutrono una profonda venerazione.

Tuttavia, durante il soggiorno in convento, la piccola Lia ha modo di entrare maggiormente in contatto con la religione cristiana che su di lei esercita un certo fascino: il dio dei cristiani le appare molto più buono di quello degli ebrei e le feste cattoliche, come il Natale, le trasmettono tanta gioia. Ormai conosce a memoria le preghiere recitate dalle suore e come tutte le bambine lì presenti aspira ad essere scelta per la parte della Madonna nel Presepio vivente. Tutti questi fattori, uniti alla stima che prova nei confronti della suora insegnante, contribuiscono a fomentare in lei una sfrenata voglia di conversione. Ma l'intervento tempestivo della madre cancella definitivamente dalla sua mente questa idea. Per distogliere la figlia da questo pensiero la donna richiede anche l'intervento del marito che, avvisato della cosa, si reca al convento per parlare con la figlia. Durante il pranzo consumato nel centro della città, il padre le rivela di non essere osservante, ma di non è essere neppure ateo. Egli si definisce Teista ossia di credere in un'entità superiore, senza però identificare questa nel dio di una delle tante religioni “storiche”. Alla fine della breve conversazione le dice solamente che l'idea della conversione è una stupidaggine alla quale non deve più pensare. Lia sente che deve obbedire a questo comando anche se il padre non le ha dato una spiegazione esaustiva sul perché non dovrebbe convertirsi al cristianesimo. L'essere ebrea per nascita sembra essere un motivo più che valido per non cambiare religione.

Intanto è giunta notizia che il papa chiederà ai tedeschi e agli americani di continuare a farsi la guerra fuori dalla città di Roma.

Abbandonata l'idea della conversione Lia e le sorelle aspettano l'arrivo della Pasqua ebraica che però dovrà essere festeggiata in convento. In occasione della festa, la madre

di Fiamma e Fioretta arriva in convento annunciando alle monache di voler portare con sé le figlie per la festa del Seder, ossia la cena della Pasqua ebraica. Le suore si dimostrano contrarie al fatto che le bambine stiano troppo tempo fuori dal convento dato che il pericolo della cattura da parte dei tedeschi è sempre in agguato. La donna però non prende sul serio le raccomandazioni delle suore e decide di allontanarsi con le figlie. Il mattino seguente Fiamma e Fioretta non fanno ritorno al convento e tutte le ospiti ben presto apprendono la triste notizia: la famiglia di Monteverde che i tedeschi hanno prelevato da casa la sera prima, grazie a una spiata da parte dei vicini, è quella delle loro piccole amiche. Il fatto sconvolge tutto il convento e la paura fra le bambine continua a regnare sovrana finché, dopo qualche tempo, non giunge la notizia tanto invocata, ossia che a Roma sono finalmente arrivati gli Americani

Una volta liberata Roma dai tedeschi, la madre di Lia decide di portare a casa con sé solo una delle tre sorelle in quanto le risorse alimentari scarseggiano ancora. Quando finalmente tutti i componenti della famiglia fanno ritorno a casa ritrovano anche la governante Maria che, nel frattempo, ha continuato a vivere lì assieme al fidanzato Tarcisio.

Con il tempo tutto sembra ricominciare ma alcune delle sue vecchie compagne ebree non fanno più ritorno e di loro resterà solo il ricordo dei giochi fatti a Villa Sciarra.

Nel frattempo, il padre, che durante la guerra aveva vissuto un periodo di depressione, ritrova la vitalità di un tempo e decide di organizzare un comitato comprendente tutti quei genitori che anche durante la guerra sono riusciti a far studiare i propri figli. Tutti insieme lottano affinché ai figli sia data l'opportunità di sostenere degli esami speciali in modo da non subire l'umiliazione di essere rimandati a ottobre. Ma la nostra protagonista dopo aver superato gli esami di ammissione alla classe successiva deve anche studiare per la

maggiorità, ossia per la cerimonia religiosa che si svolge in concomitanza con il

raggiungimento dei tredici anni da parte del ragazzo o della ragazza ebrea.

Superati gli esami scolastici e ritornata alla vita di sempre, la protagonista decide di scrivere una lettera a un'emittente radiofonica per partecipare ad un gioco. Prima però decide di far leggere alla madre la letterina che inizia così: “Cara radio sono una bambina ebrea...”. Dopo aver letto questo incipit la madre si rivolge alla figlia con aria severa, ma allo stesso tempo serena e le dice: “Non sei una bambina ebrea, hai capito? Hai capito?

Sei una bambina. Una bambina e basta”.42

Con questa frase semplice, ma allo stesso tempo incisiva si conclude la prima parte del romanzo. Nell'edizione da me presa in considerazione è infatti presente una seconda parte che è possibile trovare anche sotto il titolo di Se va via il re. Questo capitolo è il proseguimento della prima parte, in quanto in esso viene raccontato quanto accaduto alla famiglia dell'autrice una volta finita la guerra. Finalmente la pace è stata ripristinata, ma ancora evidenti sono le ferite lasciate dal conflitto sul popolo italiano. Tuttavia, una nuova speranza aleggia nell'aria, ossia quella di veder cambiare definitivamente la politica del paese: presto ci sarà il referendum che permetterà agli italiani di scegliere tra la monarchia e la repubblica. La protagonista dice di essersi avvicinata molto alla politica in quel periodo, arrivando persino a litigare con le sue amiche, quando queste non dimostravano di appoggiare l'ideologia repubblicana. La narratrice ci racconta poi degli insegnanti ottusi e poco inclini a comprendere le esigenze degli studenti, ma anche della sua decisione di diventare uno scout. Dice anche di essere stata un'appassionata lettrice delle storie di Cuore Garibaldino che uscivano a puntate sull' “Intrepido”. Protagonisti di queste storie erano i partigiani, tra i quali spiccava la figura di una giovane donna di nome Milena. La simpatia dell'autrice per i partigiani la ritroveremo anche nei libri per bambini da lei scritti: molto spesso, infatti, metterà al centro delle sue vicende i fautori della Resistenza, divertendosi ad assegnare loro dei veri e propri nomi di battaglia.

Nella seconda parte del libro, dunque, la protagonista è cresciuta e dimostra di avere un

Nel documento L'onomastica nella narrativa di Lia Levi (pagine 46-62)

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